sezione lavoro; sentenza 6 settembre 1988, n. 5058; Pres. Antoci, Est. Rapone, P.M. DeTommaso (concl. parz. diff.); Soc. Alitalia (Avv. Marazza) c. Iannelli (Avv. Ricci). ConfermaTrib. Roma 10 luglio 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 787/788-795/796Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183856 .
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PARTE PRIMA
rigorose norme del codice civile (v., per tutte, sent. 26 settembre
1978, n. 4319, Foro it., 1978, I, 2120, e 18 giugno 1982, n. 3729, id., Rep. 1983, voce Tributi in genere, n. 956).
A questo consolidato indirizzo giurisprudenziale il collegio in
tende prestare adesione, considerato anche che la resistente non
adduce alcun nuovo argomento che induca alla rimeditazione. Il
motivo di ricorso proposto dall'amministrazione deve, pertanto, esser accolto. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 6 settembre
1988, n. 5058; Pres. Antoci, Est. Rapone, P.M. De Tommaso
(conci, parz. diff.); Soc. Alitalia (Avv. Marazza) c. Iannelli
(Avv. Ricci/ Conferma Trib. Roma 10 luglio 1985.
Lavoro (rapporto) — Lavoro all'estero — Contratto collettivo — Applicabilità — Limiti (Disp. sulla legge in generale, art.
25; cod. civ., art. 2077, 2103).
È incensurabile in Cassazione, se logicamente e congniamente mo
tivato, l'apprezzamento del giudice di merito che, ai sensi del
l'art. 2077 c.c., applichi l'inquadramento previsto dal contratto
collettivo di categoria al lavoratore italiano trasferito all'este
ro, il cui contratto individuale preveda un inquadramento me
no favorevole. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 5 settembre
1988, n. 5021; Pres. Pandolfelli, Est. Berni Canani, P. M.
Di Renzo (conci, diff.); D'Adamo ed altro (Avv. Ventura) c. Impresa Guffanti costruzioni (Avv. Savasta, Salvadori). Cassa Trib. Milano 4 giugno 1985.
Lavoro (rapporto) — Lavoro all'estero — Contratto collettivo — Applicabilità — Limiti (Disp. sulla legge in generale, art.
25, 31; cod. civ., art. 2077, 2069, 2103; 1. 3 aprile 1926 n.
563, disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro, art.
5, 10; 1. 27 maggio 1949 n. 260, disposizioni in materia di ri
correnze festive, art. 16, 20, 22).
Ove la contrattazione collettiva di diritto comune non limiti espres samente la propria efficacia al territorio nazionale, si applica no al lavoratore italiano trasferito all'estero gli istituti contrattuali che siano indifferenti alla situazione socio-economica del paese ospitante. (2)
III
PRETURA DI ROMA; ordinanza 11 agosto 1988; Giud. Bron
zini; Scala (Avv. Amenta Fanfani) c. Banca nazionale dell'a
gricoltura (Avv. Scognamiglio).
Lavoro (rapporto) — Lavoro all'estero — Licenziamento «ad nu
tum» — Illegittimità — Disciplina limitativa — Applicabilità (Disp. sulla legge in generale, art. 25, 31; 1. 15 luglio 1966 n.
604, norme sui licenziamenti individuali; I. 20 maggio 1970 n.
300, norme sulla tutela della libertà e della dignità dei lavorato
ri, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di
lavoro e norme sul collocamento, art. 18).
La disciplina limitativa del licenziamento, rientrando nella clau sola generale di ordine pubblico, si applica anche al rapporto di lavoro stipulato tra lavoratore e datore di lavoro italiani e
sottoposto ad una legislazione straniera. (3)
(1-3) Per l'applicabilità del contratto collettivo anche ai lavoratori ita liani operanti all'estero «in assenza di una norma interpretativa» che di sponga in maniera contraria, v. Cass. 25 febbraio 1988, n. 2029, Foro it.,
Il Foro Italiano — 1989.
1
Motivi della decisione. — Con il primo motivo — deducendo
la violazione degli art. 2077 e 2094 c.c. e 25 disp. sulla legge in generale — assume la ricorrente: che erroneamente il tribunale
ha ritenuto l'applicabilità dei contratti collettivi italiani di diritto
comune anche nei confronti del rapporto di lavoro svolto all'e
stero, giacché detti contratti, essendo finalizzati alla disciplina uni
forme dei rapporti di lavoro, sarebbero operanti limitatamente
al territorio nazionale, e ciò a prescindere dalla volontà delle par ti del rapporto di lavoro, attinendo detta limitata efficacia spa ziale alla natura ed alla funzione dei contratti collettivi stessi; che erroneamente il tribunale ha applicato l'art. 2077 c.c., in quan to, raffrontando le condizioni previste dal contratto collettivo e
da quello individuale, ha ritenuto il secondo deteriore rispetto al primo avuto riguardo alla rispondenza tra mansioni e qua lifica.
Con il secondo motivo — denunciando la violazione dell'art.
1363 c.c. nella interpretazione delle norme sull'inquadramento di
cui all'accordo del 10 luglio 1970 e vizio di motivazione sul punto — assume la ricorrente che erroneamente il tribunale ha ricono
sciuto l'inquadramento dello Iannelli nella terza classe dei fun
zionari equiparando la posizione di lavoro dello Ianelli a Teheran
a quella di capo agenzia periferia Italia e lamenta che il tribunale
non avrebbe valutato taluni elementi qualificanti segnalati da es
sa Alitalia quali lo svolgimento di talune funzioni del capo agen zia da parte di altra persona (agente generale).
Il ricorso è infondato. Riguardo al primo motivo, devesi osser
vare che questo Supremo collegio ha in precedenza ritenuto che
i contratti collettivi di lavoro — in quanto si ispirano funzional
mente ad intenti di uniformità di trattamento giuridico ed econo
mico dei lavoratori — spiegano la loro efficacia, di regola, all'interno del territorio nazionale e non sono, quindi, applicabili ad attività lavorative svolte al di fuori dei confini del nostro Sta
to (salva diversa, esplicita volontà delle parti contraenti) non sus
sistendo sui mercati esteri le condizioni economico-sociali proprie delle imprese che operano nel nostro territorio, da una parte, e dei lavoratori, dall'altra, in vista delle quali gli stessi contratti
determinano quel trattamento (Cass. 18 febbraio 1983, n. 1240, Foro it., 1984, I, 258).
Orbene, nella specie il tribunale non ha affatto violato siffatto
principio generale, in quanto — con un accertamento di fatto
congruamente e logicamente motivato ed incensurabile, quindi, in questa sede — ha ritenuto l'applicabilità dei ccnl di diritto
comune, in considerazione dei ripetuti richiami agli stessi conte
nuti nella lettera-contratto individuale del 21 agosto 1969 redatta
per il primo trasferimento del dott. Iannelli a Teheran ed ha rile
vato che tale contratto «non contiene altro che un mero rinvio
alle leggi ed alla contrattazione collettiva italiana».
Dopo questa premessa, il tribunale ha coerentemente risolto
la controversia riconoscendo allo Iannelli l'inquadramento nella
qualifica F3 a decorre dal 1° ottobre 1969, in applicazione degli art. 2077 c.c. (che prevede la prevalenza del contratto collettivo
rispetto alle clausole difformi dei contratti individuali, giacché
questi ultimi devono uniformarsi alle disposizioni dei primi, sal vo che contengano speciali condizioni più sfavorevoli ai prestato ri di lavoro) e 2103 c.c. (che sancisce la immutabilità in peius della qualifica del dipendente).
Riguardo il secondo motivo devesi premettere, in diritto, che
l'operatività della cosiddetta promozione automatica prevista dal
l'art. 2103 (nuovo testo) c.c., è subordinata al concreto ed effetti vo esercizio — per il tempo stabilito dalla disciplina collettiva
1988, I, 1544, con nota di richiami. In tale decisione è contenuta anche l'affermazione dell'applicabilità della legislazione italiana ai rapporti di lavoro conclusi all'estero tra datori di lavoro e lavoratori italiani.
In netta antitesi con tale decisione, v. Cass. 18 febbraio 1983, n. 1240, id., 1984, I, 258, con nota contraria di G. Pezzano, il quale rileva come il principio di territorialità del ccnl, affermato nella sentenza da ultimo citata, sia retaggio dell'elaborazione concettuale del periodo corporativo.
Sul lavoro italiano all'estero, v., in dottrina, Magno, Prime note sulla legge per i lavoratori italiani all'estero, in Dir. lav., 1988, I, 481; AA.VV., Norme per la tutela previdenziale dei lavoratori italiani operanti all'este ro, Atti del seminario del 6 novembre 1987, a cura della Se. Ma.
Sulla tutela assicurativa, v., da ultimo, Corte cost. 22 febbraio 1989, n. 40, che sarà riportata nel prossimo fascicolo.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
o dalla legge — di mansioni superiori a quelle della qualifica ri vestita dal prestatore di lavoro.
Orbene, nella specie, il tribunale — con apprezzamento di fat
to logicamente motivato, in aderenza alle pattuizioni contrattuali — sulla base delle mansioni effettivamente svolte dallo Iannelli,
ha qualificato lo stesso «primo addetto all'attività di produzione
periferia Italia», posizione di lavoro attestata dall'accordo sul
l'inquadramento del personale Alitalia per un anno in cat. CI
(impiegati di concetto di prima classe) e dopo tale tempo di atte
sa in F3 (funzionari di 3a classe) ed ha attribuito allo Iannelli
la posizione di F3 direttamente dall'inizio delle mansioni corri
spondenti al suddetto profilo in ragione dell'avvenuto svolgimen
to già per due anni in Italia da parte dello Iannelli delle mansioni
di capo agenzia (per il quale il contratto collettivo prevede l'ini
ziale inquadramento per un anno in CI e successivamente in F3),
come ritenuto dal Pretore di Roma, con un capo della sua statui
zione ormai passata in giudicato. Non sussiste quindi la violazio
ne di legge dedotta con il motivo in esame.
Per le suddette considerazioni, il ricorso va rigettato.
II
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo del ricorso si denunziano violazione dell'art. 25 disp. prel., dell'art. 7 1. 14 lu
glio 1959 n. 741 e dell'art. 2077 c.c., nonché insufficienza di mo
tivazione, per avere il tribunale erroneamente escluso l'applicabilità
dei contratti collettivi del settore ai rapporti dedotti in giudizio
ed avere omesso ogni motivazione in ordine alla funzione attri
buita all'indennità convenuta per la permanenza all'estero dei la
voratori.
Si deduce: che, tendendo il principio di territorialità del diritto
del lavoro ad ampliare e non a ridurre la tutela dei lavoratori,
e potendo quindi al massimo operare nel senso di precludere de
roghe alla legislazione italiana per i contratti eseguiti sul territo
rio nazionale, e di consentirle per i contratti eseguiti all'estero,
la controversia doveva trovare soluzione sulla base dell'art. 25
disp. prel.; che trattamento economico e trattamento normativo
non possono essere valutati che separatamente e, avendo le parti
concordato il solo trattamento economico, per il trattamento nor
mativo doveva farsi riferimento, trattandosi di rapporti soggetti
alla legge italiana, al d.p.r. 14 luglio 1960 n. 1032, quanto meno
per gli istituti non migliorati dai contratti collettivi successivi; che,
essendo stati i contratti individuali stipulati in Italia, tra contraenti
italiani, e trovando nella specie applicazione l'art. 25 preleggi,
e con esso gli art. 2077 e 2113 c.c., nonché l'art. 5, 2° comma,
1. 11 agosto 1973 n. 533, dovevano ritenersi operanti, rispetto
ai rapporti di lavoro svoltisi in Libia, anche i contratti collettivi
di diritto comune del settore.
Si sostiene, quindi, che la comparazione di trattamenti operata
dal tribunale risulta ingiusta e immotivata considerato che del
tutto apodittiche sono le affermazioni circa la funzione dell'in
dennità per l'estero contenute nella sentenza impugnata; che, inol
tre, quanto all'orario di lavoro, doveva rilevarsi che le otto ore
giornaliere rappresentano anche per la legge libica un massimo
e non un minimo inderogabile; che, infine, il trattamento econo
mico complessivo percepito dalla D'Adamo nei tre anni di per
manenza in Libia equivaleva al minimo previsto dai contratti
collettivi italiani. Il ricorso è fondato. Ritiene il collegio di non poter condivide
re la tesi dell'inapplicabilità dei contratti collettivi — salva diver
sa, esplicita volontà delle parti contraenti — ad attività lavorative
svolte fuori del territorio nazionale, adottata nella sentenza im
pugnata sul presupposto dell'estraneità dell'estensione all'estero
dell'ambito di efficacia alla funzione tipica della contrattazione
collettiva.
Simile generalizzazione dei limiti di efficacia eventualmente de
sumibili da singoli contratti collettivi non può trovare fondamen
to nel cosiddetto principo di territorialità della disciplina sostanziale
del rapporto di lavoro poiché in tale principio — nella versione
che devolve la disciplina del lavoro alla legge del luogo in cui
è prestato, cosi come in quella che, senza escluderne l'applicazio
ne al lavoro esplicato all'estero, sottopone alla legge italiana i
rapporti che si svolgono sul territorio nazionale — non appartie
ne all'ordinamento vigente. Secondo l'orientamento già espresso
in materia da questa corte (v. Cass. 2795 del 1968, Foro
Il Foro Italiano — 1989 — Parte I-16.
it., Rep. 1969, voce Obbligazioni e contratti, n. 63; 5156 del 1980,
id., Rep. 1980, voce Lavoro (contratto), n. 25), il rapporto di
lavoro, in quanto costituito da obbligazioni contrattuali, rientra
infatti nella previsione dell'art. 25, 1° comma, disp. sulla legge
in generale, e deve quindi intendersi disciplinato nella sostanza
della legge nazionale dei contraenti, se comune, o in mancanza
della legge del luogo di conclusione del contratto, salva in ogni
caso la diversa volontà delle parti. La connessione esistente tra
la disciplina privatistica e quella pubblicistica del lavoro non va
le, invero, a snaturare il rapporto di lavoro, che è e rimane espres
sione dell'autonomia privata, collettiva e/o individuale (cfr. Cass.
n. 5274 del 1979, id., 1979, I, 2565). Le esigenze sottese alle diverse formulazioni del menzionato
principio di territorialità possono del resto trovare, almeno in
parte, risposta oltre che in singole convenzioni internazionali (v.
ad es. il rilievo dato al locus laboris ed il limite posto alla scelta
della legge ad opera delle parti nell'art. 6 della convenzione euro
pea sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali adottata
a Roma il 19 giugno 1980), nell'art. 31 preleggi, sempreché i prin
cipi che si intendono salvaguardare possano essere ricondotti al
l'ordine pubblico internazionale.
Un principio di territorialità della contrattazione collettiva di
diritto comune (per i contratti corporativi v. invece ad es., peral
tro essenzialmente sotto il profilo dell'inderogabile efficacia sul
territorio nazionale, Cass. 25 gennaio 1939, n. 271, id., 1939,
I, 821, e gli art. 5 e 10 1. 3 aprile 1926 n. 563), che ne impedisca l'applicazione, salva diversa volontà delle parti, al rapporto di
lavoro soggetto alla legge italiana ma svoltosi all'estero non può
neppure dedursi da ragioni ad essa contrattazione intrinseche. Sul
punto il collegio ritiene di doversi discostare dall'indirizzo espres
so da questa sezione lavoro con la sentenza 18 febbraio 1983,
n. 1240 (id., 1984, I, 258) richiamata dal giudice di appello, indi rizzo secondo il quale i contratti collettivi di lavoro, in quanto
ispirati funzionalmente ad intenti di uniformità di trattamento
giuridico ed economico dei lavoratori, spiegano la loro efficacia,
di regola, all'interno del territorio nazionale e non sono, quindi,
applicabili ad attività lavorative svolte al di fuori dei confini del
nostro Stato (salva diversa, esplicita volontà delle parti contraen
ti), non sussistendo sui mercati esteri le condizioni economico
sociali proprie delle imprese che operano nel nostro territorio,
da una parte, e dei lavoratori, dall'altra, in vista delle quali gli
stessi contratti determinano quel trattamento.
Deve, invero osservarsi: — che le condizioni economico-sociali proprie dei mercati este
ri possono divergere in alcuni paesi, coincidere in altri con quelle
esistenti sul territorio nazionale. Per conservare l'estensione del
principio enunciato nella richiamata decisione dovrebbe quindi
assumersi che, esistendo paesi dal contesto economico-sociale net
tamente diverso da quello italiano, e non potendo perciò realiz
zarsi un'applicazione generalizzata all'estero del contratto collettivo
italiano, l'efficacia di questo dovrebbe presupporsi circoscritta al
territorio nazionale. L'argomentazione risulta però dotata di mag
giore coerenza logica rispetto a quella, alternativa, che nella com
parazione caso per caso dei contesti propri di singoli paesi con
le condizioni esistenti in Italia dissolve, relativizzandolo, il princi pio stesso;
— che le parti collettive considerano, di regola, quelle situazio
ni che, interessando la generalità o la maggior parte dei lavorato
ri, possono definirsi tipiche o normali. Da ciò non deve desumersi
l'estraneità alle norme collettive di situazioni più specifiche di
quelle espressamente disciplinate ma piuttosto, salvo contrari ri
sultati interpretativi nel caso concreto, l'indifferenza delle norme
stesse rispetto a tali situazioni. La contrattazione collettiva, pur
ispirandosi ad intenti di uniformità di trattamento del lavoratori,
fa salve, infatti, le differenzazioni determinate dalla diversa quan
tità e qualità del lavoro o da peculiari situazioni di singoli settori
o di singole zone, destinate a formare oggetto di accordi azienda
li integrativi di quelli generali e da interpretarsi in collegamento
con essi (v. Cass. n. 2049 del 1980, id., Rep. 1980, voce cit.,
n. 51). Le differenziazioni derivanti dalla presentazione del lavo
ro all'estero possono, al pari delle altre, essere disciplinate, come
rilevato in dottrina, da accordi integrativi collettivi o individuali, senza discontinuità rispetto al contatto più generale. La destina
zione del dipendente all'estero può del resto richiedere un ade
guamento, mediante pattuizioni aggiuntive o integrative, del
contratto individuale che non la preveda; non ne determina ne
cessariamente l'inefficacia, né impedisce la prosecuzione, senza
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PARTE PRIMA
funzionamento, interruzione o sospensione, del rapporto iniziato
in Italia (cfr., sul rilievo della destinazione del lavoratore all'este
ro come vicenda contrattuale che non interessa la qualificazione del rapporto nella sua totalità, Cass. n. 3926 del 1983, id., Rep.
1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1066; sulla continuità del rap
porto, la fattispecie considerata in Cass. n. 2547 del 1969, id.,
1969, I, 2875; su un'ipotesi di sospensione del rapporto, determi
nata però dal distacco del dipendente presso una consociata este
ra, Cass. n. 4604 del 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1925); — che la contrapposizione tra intenti di uniformità nel tratta
mento giuridico ed economico del lavoratore, propria della con
trattazione collettiva, e varietà delle condizioni esistenti sui mercati
esteri, sembra presupporre come necessariamente eccezionale la
destinazione del lavoratore all'estero. Ma in tale contesto l'ecce
zionalità deve essere valutata avendo riguardo ai termini di riferi
mento dell'autonomia collettiva: in relazione, quindi, non già all'attività di una singola impresa o al prevedibile sviluppo di
un determinato rapporto di lavoro, bensì alle attività proprie del
l'insieme delle imprese destinatarie dell'accordo. E in tal senso,
in un periodo carratterizzato da libertà e intensità di scambi com
merciali, rapporto e imprese multinazionali, interdipendenza eco
nomica di Stati, non possono essere considerate in sé eccezionali
(ancorché possono esserlo in relazione a singole imprese o vicen
de contrattuali) prestazioni eseguite all'estero: da quella dell'a
gente che all'estero diffonde prodotti nazionali a quella del
lavoratore impegnato in un cantiere edile situato fuori dei confini
nazionali. Non vi è pertanto ragione di limitare in via generale la perseguita uniformità di trattamento giuridico ed economico
dei lavoratori al solo tempo in cui la prestazione è svolta in Italia; — che, infine, lo stesso art. 2069 c.c. lega l'efficacia nello spa
zio del contratto collettivo all'estensione della rappresentanza pro
pria alle associazioni sindacali stipulanti, quindi alla localizzazione
di queste ultime, ai fini della determinazione dei destinatari del
l'accordo, piuttosto che a quella, ancorché normalmente connes
sa, delle prestazioni di lavoro: il 2° comma della norma prevede,
infatti, l'obbligatorietà del contratto, in mancanza delle indica
zioni elencate nel 1° comma (comprendenti l'ambito territoriale
di efficacia) «per tutti gli imprenditori e prestatori di lavoro rap
presentati dalle associazioni stipulanti». Fermo restando che l'ambito, anche territoriale, di applicazio
ne del contratto collettivo è determinato, nei limiti della rappre sentanza di cui sono titolari, dalle parti stipulanti, le quali possono
disciplinare spcificamente attività svolte all'estero, riferire il con
tratto al solo lavoro esplicato in Italia, o ancora nulla prevedere al riguardo, deve dunque escludersi che nell'ultima ipotesi le pat tuizioni collettive, ove non siano state espressamente richiamate
e fatte proprie dai contraenti nella stipulazione dei singoli con
tratti individuali, siano insuscettibili di applicazione ai rapporti di lavoro, soggetti alla legge italiana, che si svolgono al di fuori
dei confini dello Stato.
Ciò non significa affermare con pari generalità l'efficacia ri
spetto al lavoro esplicato all'estero del contratto collettivo che
non lo preveda, senza tuttavia fissare, espressamente o implicita
mente, limiti territoriali di applicazione. La destinazione del lavoratori all'estero può comportare, infat
ti, mutamenti rilevanti in altre modalità della prestazione, e ciò
non solo o non tanto per il diverso contesto socio-economico,
quanto per l'incidenza sullo svolgimento del rapporto dell'ordi
namento del paese ospitante, o il possibile assoggettamento del
l'attività lavorativa a disposizioni legislative, regolamentari, amministrative locali eventualmente incompatibili con disposizio ni del contratto collettivo italiano disciplinante l'attività consi
derata.
Non può escludersi a priori che i mutamenti siano di tale entità
da rendere la prestazione radicalmente estranea alle previsioni delle
associazioni stipulanti il contratto nazionale (e su tale valutazione
può incidere, sotto altro profilo, anche la durata della prestazio ne: potrà, ad es., doversi negare che un determinato contratto
collettivo possa riferirsi ad un rapporto destinato a svolgersi esclu
sivamente e definitivamente all'estero), ma, al di fuori di ipotesi
estreme, lo spostamento all'esterno del luogo di esecuzione della
prestazione non interferisce necessariamente con l'intero complesso delle pattuizioni che la disciplinano; può renderne inoperanti, per ché di fatto inapplicabili, alcune.
La disciplina contrattuale, individuale e collettiva, del rapporto di lavoro si articola invero in un complesso di istituti, situati pe
II Foro Italiano — 1989.
raltro a livelli diversi di centralità, attinenti alcuni a diritti sanciti
dalla Costituzione o da nome imperative; regolati altri da clauso
le della stessa autonomia collettiva previste come derogabili. Un mutamento nelle modalità di esecuzione della prestazione
può cosi investire più o meno profondamente l'assetto contrat
tuale, si che il problema dell'estensione o meno, al lavoro presta to all'estero, dell'efficacia di un contratto collettivo italiano che
nulla preveda al riguardo dovrà porsi di regola con riferimento
non al contratto nel suo insieme, ma ai singoli istituti da esso
regolati. Si traduce cioè in un problema di interpretazione: stabi
lire quali clausole o insieme di clausole siano neutri rispetto al
luogo della prestazione; quali, invece, presupponendo determina
te condizioni di lavoro, non possano ritenersi volute anche in
relazione ad attività da svolgersi in paesi che tali condizioni con
consentono; quali, infine, possano riferirsi, nell'intenzione delle
parti, soltanto alle prestazioni eseguite sul territorio nazionale.
Le disposizioni rispetto alle quali risulti indifferente il luogo della prestazione dovranno ritenersi vincolanti (con le conseguen ze di cui agli art. 2077 e 2113 c.c. e, per i contratti a tempo
determinato, all'art. 5 1. n. 230 del 1962) anche per i periodi in cui l'attività lavorativa sia esplicata all'estero. Le altre potran no rilevare, nella determinazione della disciplina del rapporto con
creto nei limiti in cui interferiscano con disposizioni direttamente
applicabili. Cosi, ad es., ove l'orario normale di lavoro, natural
mente dipendente dalle condizioni locali, superi quello fissato dal
contratto collettivo italiano, il dipendente non potrà pretendere il computo delle ore eccedenti come straordinario supplementare, ma a una retribuzione base coincidente con i minimi stabiliti dal
l'autonomia collettiva con riferimento ad un determinato orario
normale dovrà aggiungersi la quota corispondente alle ore presta te in più, computate, se rientranti nei limiti posti dalla legge ita
liana come ore di lavoro normale.
Nel caso in esame il giudice d'appello, chiamato a pronunziarsi su domande dirette ad ottenere, in relazione a rapporti di lavoro
pacificamente soggetti alla legge italiana ma svoltisi in Libia in
periodo compreso tra la fine del 1979 e quella del 1982, i com
pensi previsti dalla contrattazione collettiva del settore per lavoro
staordinario, supplementare ed altre causali, il computo degli stessi
nelle indennità di fine rapporto, ed infine la restituzione di parte della indennità di preavviso versata a seguito di dimissioni al da
tore di lavoro, avrebbe dovuto, pertanto, accertare se i contratti
collettivi invocati escludessero o meno dal proprio ambito di effi
cacia la prestazione del lavoro all'estero: stabilire, in caso di ri
sposta negativa a tale quesito, se e quali delle pattuizioni collettive
concernenti gli istituti richiamati dai ricorrenti dovessero ritenersi
inoperanti, in quanto non indifferenti al luogo di esecuzione del
la prestazione, rispetto al lavoro esplicato in Libia; individuare
la funzione attribuita dalle parti all'indennità convenuta per la
prestazione del lavoro in Libia; determinare, infine, le eventuali
differenze tra il trattamento dovuto e quello percepito dai lavo
ratori.
Ha omesso, invece, le prime due indagini sul presupposto, ine
satto nella generalità e nella portata ad esso attribuite, dell'estra
neità di una estensione all'estero dell'ambito di efficacia alla
funzione tipica della contrattazione collettiva, e tuttavia ha egual mente proceduto ad una comparazione fra il trattamento cui i
ricorrenti avrebbero avuto diritto qualora l'attività lavorativa fosse
stata esplicata in Italia e quello da essi percepito, computando
peraltro in quest'ultimo l'indennità convenuta per la permanenza
all'estero, intesa quale compenso aggiuntivo finalizzato «a con
globare una serie di trattamenti e compensi che, nella logica di
un lavoro prestato in Libia, non hanno motivo di porsi autono
mamente».
La qualificazione del compenso aggiuntivo risulta però carente
di motivazione: condizionata dalla previa sottrazione dei rapporti alla disciplina collettiva italiana, ma non sorretta da alcuna auto
noma giustificazione, essa si risolve in un'enunciazione affatto
apodittica. Preliminare era dunque l'indagine sull'applicabilità dei contratti
collettivi del settore. E tra essi è compreso il ccnl, richiamato
dai ricorrenti, del 1° agosto 1959 per gli impiegati addetti alle
industrie edilizia ed affini, reso efficace erga omnes con d.p.r. 14 luglio 1950 n. 1032.
Di tale contratto, suscettibile di interpretazione in sede di legit
timità, deve riconoscersi l'applicabilità nel caso in esame, fatte
salve, ove efficaci rispetto alle prestazioni svolte all'estero, le even
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tuali modifiche successivamente apportate dall'autonomia col
lettiva.
Vero è che, secondo la dichiarazione premessa dalle parti al
l'articolato, «viene stipulato il presente ccnl da valere in tutto
il territorio nazionale per le imprese dell'industria delle costruzio
ni edili, stradali, ferrovie... e gli impiegati da esse dipendenti». Ma il tenore letterale della dichiarazione (non «in tutto il terri
torio nazionale e solo in esso» ma «in tutto il territorio naziona
le») non autorizza un'interpretazione limitativa.
Considerato, inoltre, che una formula quale «da valere nel ter
ritorio nazionale» non esclude logicamente la validità al di fuori
dello stesso, la precisazione aggiunta con il termine «tutto» intro
duce non certo l'opposizione «nel vs. fuori» ma «tutto vs. par
te»; indica, cioè che le associazioni stipulanti intendevano assegnare all'accordo una portata generale, tale da non escludere alcuna
zona del territorio nazionale, senza per questo circoscriversi l'ef
ficacia dell'accordo stesso.
Delle voci menzionate nella sentenza impugnata sono previste nel ccnl del 1959 una maggiorazione connessa, in determinate con
dizioni, al possesso di diploma (art. 5), un'indennità di cassa e
di maneggio di denaro (art. 14), e la tredicesima mensilità (art. 13 e 28); tutte manifestamente indifferenti al luogo di esecuzione
delle prestazioni (per la tredicesima mensilità, in particolare, può
aggiungersi che, dovuta agli impiegati del settore industriale in
forza dell'art. 13 del contratto collettivo 5 agosto 1937, al quale deve ritenersi conservata — v. Cass. n. 6507 del 1982, id., Rep.
1983, voce cit., n. 1673 — l'efficacia cogente stabilita dall'art.
43 d.lgt. 23 novembre 1944 n. 369, nonché in forza dell'art. 17
dell'accordo interconfederale 27 ottobre 1946, reso efficace erga omnes con d.p.r. 28 luglio 1960 n. 1070, essa è stata estesa agli addetti ai servizi domestici con la legge, difficilmente riferibile
alle sole prestazioni svolte in Italia, 27 dicembre 1953 n. 940). Sono considerati all'art. 26 i giorni festivi, ed all'art. 16 è fis
sato il compenso per il lavoro in essi compiuto: è palese la con
nessione «territoriale» (deducibile anche da un inquadramento delle
corrispondenti disposizioni della 1. 27 maggio 1949 n. 260 nel
l'ambito delle norme di polizia di cui all'art. 28 preleggi) dell'e
lencazione di domeniche, festività nazionali e infrasettimanali: essa
può assumere rilevanza — ma sul punto nulla è dedotto nel ricor
so — nei limiti in cui un eventuale maggior numero di giornate lavorative annue possa incidere sul calcolo della retribuzione do
vuta, ma il compenso per il lavoro festivo non può che riferirsi,
come esattamente ritenuto dal giudice d'appello, ai giorni che
festivi sono considerati nel paese ospitante.
Disciplinati dagli art. 20 e 22 sono anche, per le ipotesi ivi
indicate, rimborsi e indennizzi per spese di vitto e alloggio; irrile
vanti tuttavia nella specie poiché il tribunale ha accertato — e
non vi è censura sul punto — che vitto e alloggio (considerati,
peraltro, in modo non univoco, ai diversi fini del confronto ef
fettuato dallo stesso tribunale fra «trattamento italiano» e tratta
mento percepito), erano stati dall'impresa corrisposti. Per l'orario di lavoro il contratto rinvia (art. 8) alle disposizio
ni di legge. Previsto è infine (art. 41) il preavviso di licenziamen
to e dimissioni, ma in relazione ad esso, avendo i ricorrenti
lamentato la previsione nei contratti individuali di una durata
maggiore di quella fissata dalla contrattazione collettiva, deve ri
cordarsi che se di questa ultima non è consentita la riduzione, è lecito però (v. Cass. n. 3741 del 1981, id., Rep. 1981, voce
cit., n. 1271) pattuire mediante accordo individuale una durata
superiore. Sulla base del ccnl 1° agosto 1959, nella ricostruzione del trat
tamento economico spettante ai ricorrenti dovevano essere dun
que computate la tredicesima mensilità e, ove accertati in fatto
i corrispondenti presupposti, le indennità di cassa e di diploma,
nonché il lavoro compiuto oltre l'orario normale legale. Eventuali modificazioni apportate dagli altri contratti collettivi
indicati nel ricorso non possono essere esaminate in questa sede
di legittimità: spettando al giudice del merito l'interpretazione dei
contratti collettivi di diritto comune, non può il collegio stabilre
se ed in quale misura essi siano applicabili al lavoro esplicato in Libia.
Degli emolumenti spettanti ai ricorrenti in base alla contratta
zione collettiva applicabile il tribunale avrebbe dovuto tenere conto
nel determinare, interpretando i contratti individuali, la funzione
attribuita dalle parti all'indennità convenuta per la permanenza dei lavoratori all'estero.
li Foro Italiano — 1989.
Ove poi fosse stata accertata la volontà delle parti di ricom
prendere in detta idennità i compensi diversi dalla retribuzione
base, lo stesso tribunale avrebbe dovuto ancora tenere conto, ai
fini del computo del trattamento economico complessivo, di limi
ti posti ai patti di conglobamento (cfr. Cass. n. 3345 del 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1154).
Deve, infine, ricordarsi che con il d.l. 31 luglio 1987 n. 317, convertito, con modificazioni, in 1. 3 ottobre 1987 n. 398, sono
stati disciplinati alcuni aspetti del lavoro italiano all'estero.
A norma dell'art. 2, 4° comma, in particolare, il ministero del
lavoro e della previdenza sociale, ai fini del rilascio dell'autoriz
zazione preventiva per l'assunzione dei lavoratori italiani da im
piegare o da trasferire all'estero, accerta che il trattamento
economico-normativo offerto sia complessivamente non inferiore
a quello previsto dai contratti collettivi vigenti in Italia per la
categoria di appartenenza del lavoratore e sia distintamente pre vista l'entità delle prestazioni in denaro o in natura connesse con
lo svolgimento all'estero del rapporto di lavoro.
Tale disposizione, ove non si ponga l'accento esclusivamente
sull'estensione del previsto controllo oltre l'ambito soggettivo di
obbligatorietà del contratto collettivo, rende la questione dei li
miti territoriali di efficacia delle norme collettive suscettibile di
soluzione diversa da quella sopra adottata.
La nuova disciplina non influisce tuttavia sulla presente con
troversia, avente ad oggetto rapporti di lavoro cessati in data an
teriore alla sua entrata in vigore. Per le svolte considerazioni il ricorso deve essere accolto e, an
nullata la sentenza impugnata, la causa deve essere rinviata per nuovo esame ad altro giudice, designato in dispositivo, il quale si uniformerà ai principi innanzi enunciati.
Ili
Parte ricorrente ha richiesto l'applicazione delle norme di cui
alle leggi 604/66 e 300/70 a tutela della stabilità reale nonché
della contrattazione collettiva che prevede una forma di stabilità
negoziale, deducendo che i motivi dell'intimato licenziamento non
rientrano fra le cause legittime di scioglimento del rapporto di
lavoro ipotizzate e dalle leggi e dalla contrattazione collettiva.
Per contro la società convenuta ha sostenuto l'inapplicabilità sia della normativa sulla «stabilità reale» sia della contrattazione
collettiva poiché il contratto di lavoro, stipulato negli Usa, sia
pure tra soggetti italiani, è stato, per volontà delle parti, regolato da norme di diritto americano che non prevedono, a fronte di
un trattamento economico molto più favorevole, alcune garanzie di stabilità.
Ora la fattispecie è disciplinata dall'art. 25 preleggi, nel senso
che applica la legge nazionale dei contraenti, se è comune, ovvero
quella del luogo nel quale è stato concluso il contratto, salva la
diversa volontà delle parti. In mancanza di contratto scritto di assunzione la volontà delle
parti può indubbiamente essere desunta dalle modalità di conclu
sione del contratto, dal suo contenuto e dal comportamento ne
goziale delle parti medesime.
Nel caso di specie il contratto è stato stipulato negli Usa ed
è disciplinato da norme di diritto americano per volontà delle
parti, volontà dimostrata in modo inconfutabile da due elementi; dall'avere il ricorrente percepito una retribuzione pari a circa 120
milioni annui (e quindi più che doppia rispetto alla retribuzione
che avrebbe percepito se fosse stato applicabile il ccnl) e dall'ave
re la Scala sottoscritto un employer recipt (vedi fotocopia allega ta in atti la cui firma non è stata disconosciuta dal ricorrente) in cui la Scala dava atto di avere ricevuto una copia del Bnl Em
ployer handbook e di essere d'accordo con le clausole e le regole in esso contenute (ivi compreso quelle che stabilivano la non sta
bilità del rapporto). Pertanto, ai sensi dell'art. 25 preleggi, il rapporto è regolato
da norme di diritto americano. Tali norme, tuttavia, prevalgono su quelle previste dalla contrattazione collettiva e dalle leggi 604/66
e 300/70 per quanto riguarda la stabilità del posto di lavoro?
Ora, sul punto, si deve richiamare la giurisprudenza della Su
prema corte la quale, in più occasioni, ha stabilito come «il prin
cipio di favore nei confronti del prestatore di lavoro, .... nel nostro
ordinamento giuridico, derivando il suo substrato etico-sociale dal
l'art. 3 Cost., informa tutta la legislazione costituzionale ed ordi
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PARTE PRIMA
naria in materia di lavoro ed ai sensi dell'art. 31 preleggi costitui
sce un limite di ordine pubblico internazionale all'introduzione
nel nostro ordinamento, anche se richiamate dall'art. 25, 1° com
ma, preleggi, di una legge straniera che contenga una disciplina del rapporto di lavoro dedotto in giudizio meno favorevole ri
spetto alle leggi italiane» (Cass. 3204/85, Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 957, v. anche Cass. 5156/80, id., Rep.
1981, voce Diritto internazionale privato, n. 22; 9 novembre 1981, n. 5924, id., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 394, che ha
escluso l'applicazione della legislazione argentina che non con
templa norme specificatamente attinenti all'indennità di anzianità
ed al pensionamento, per contrasto con l'art. 31 preleggi in quan to si tratta di valori preminenti nell'ordinamento italiano e come
tali inderogabili). Ora, ai sensi dell'art. 31 preleggi si deve escludere che si possa
no applicare quelle norme di diritto americano che facoltizzano
il recesso ad nutum del datore di lavoro perché in contrasto con
quel valore preminente che nel nostro ordinamento è la stabilità
reale del posto di lavoro, diretta alla tutela della dignità stessa
e della libertà del lavoratore (e pertanto da ritenere ancor più
significativa sul piano del favore nei confronti del prestatore di
lavoro di cui parla la Suprema corte delle norme che garantisco no i diritti patrimoniali dei lavoratori). A ciò non può replicarsi che la garanzia reale non è applicabile a tutti i rapporti di lavoro
(limitazione ritenuta legittima dalla giurisprudenza della Corte co
stituzionale) perché tale limitazione è stabilita in relazione a ra
gioni e circostanze obiettive (la minore dimensione dell'azienda
o la natura dirigenziale del rapporto) che sole possono giustifica re la deroga al principio generale. Nel caso di specie siamo fuori
dalle ipotesi espressamente stabilite di non applicabilità delle leg
gi 604/66 e 300/70 e non sembra legittimo ipotizzare uno scam
bio fra stabilità del rapporto e trattamento economico di miglior favore che non sarebbe ammissibile secondo il nostro ordinamen
to giuridico (si deve anche osservare che il caso esaminato nella
sentenza n. 3209/85 della Suprema corte, id., Rep. 1985, voce
Diritto internazionale privato, n. 35, riguardava proprio l'ingres so in Italia di una normativa libica circa i contratti a termine
meno garantista rispetto a quella italiana, ingresso ritenuto inam
misibile ex art. 31 preleggi).
Pertanto, non potendosi applicare le norme di diritto america
no alle modalità di risoluzione del rapporto, per le ragioni prima
dette, è sicuramente applicabile l'art. 18 1. 300/70 perché tra le
cause di scioglimento del rapporto di lavoro non può certo ri
comprendersi quella indicata nella lettera di licenziamento in atti
(discutibile appare invece il richiamo alla contrattazione collettiva
avendo la Suprema corte espresso sul punto una giurisprudenza contrastante: Cass. 1240/83, id., 1984, I, 258, e contra Cass.
2029/88, id., 1988, I, 1544). La qualifica dirigenziale del ricor rente oltre ad essere stata contestata non risulta provata.
Per altro il periculum in mora risulta ex se dall'avvenuto licen
ziamento le cui conseguenze vanno valutate non solo sul piano economico, ma principalmente sul piano psicologico o morale (nel caso di specie a queste conseguenze si aggiunge il problema del
visto per gli Usa, per il cui rilascio è necessario notoriamente, un attestato di lavoro).
Inoltre, se è vero che il ricorrente ha percepito 120.000.000
in un anno, si deve considerare come tale somma è stata corri
sposta come retribuzione in New York (cioè in una metropoli nella quale il livello dei prezzi è più alto che nelle città italiane) e che è comprensiva anche del trattamento fine rapporto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 14 luglio
1988, n. 4594; Pres. Bologna, Est. Lipari, P.M. Martinelli
(conci, parz. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Palatiello) c. Soc. Siderocemento (Avv. Piccialuti). Cassa Comm. trib.
centrale 9 febbraio 1984, n. 1335.
Tributi in genere — Contenzioso tributario — Impugnazione in
cidentale del contribuente — Omessa notificazione all'ammini
strazione — Principio del contraddittorio — Violazione —
Nullità della decisione — Fattispecie (D.p.r. 26 ottobre 1972
n. 636, disciplina del contenzioso tributario, art. 25, 26).
Il Foro Italiano — 1989.
La omissione, da parte della segreteria della commissione tributa
ria di secondo grado, della notificazione alla amministrazione
finanziaria, ricorrente in Commissione centrale, del ricorso in
cidentale proposto dalla controparte, costituisce violazione del
principio del contraddittorio che vige anche nel processo tribu
tario dinanzi alla Commissione tributaria centrale, secondo quan to disposto dall'art. 25 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636; in
conseguenza, la decisione impugnata deve essere cassata e la
causa rinviata per nuovo esame alla medesima Commissione
centrale, in altra composizione, la cui segreteria dovrà provve dere alla notificazione omessa da quella della commissione di
secondo grado. (1)
Svolgimento del processo. — 1. - Con avviso di accertamento
in rettifica, notificato il 24 dicembre 1971, l'ufficio distrettuale
delle imposte dirette di Catania accertava nei confronti della s.p.a.
Siderocemento, per l'esercizio 1968/69, il reddito da ricchezza mo
bile cat. B si lire 475.533.551, costituito quanto a lire 265 milioni (somma calcolata in via induttiva, ai sensi dell'art. 120 d.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645) dall'utile conseguito su un ricavo di lire
4.829.253.533: e quanto a lire 210.553.551 dalla plusvalenza rea
lizzata a seguito della vendita di un terreno (oltre a un reddito
di categoria A di lire 6.856.407). Con ricorso alla commissione tributaria di primo grado di Ca
tania la società eccepiva l'inesistenza totale del reddito, adducen
do la grave situazione economica e finanziaria in cui versava nel
periodo di imposta considerata, che ne aveva comportato la sot
toposizione al regime di amministrazione controllata; e contesta
va, altresì', la ritualità dell'adozione nel caso concreto del metodo
induttivo di accertamento.
L'ufficio resisteva, osservando che l'accertamento induttivo era
giustificato in quanto la società non aveva prodotto la documen
tazione di bilancio richiesta; e soggiungendo che dalla relazione
del commissario risultava il superamento delle momentanee diffi
coltà economiche.
(1) La corte applica al processo tributario principi comunemente acqui siti al processo civile, nel solco di una giurisprudenza consolidata: per riferimenti sulla applicabilità al processo tributario delle disposizioni del codice di rito civile, v. Cass. 18 giugno 1988, n. 4178, che sarà riportata nel prossimo fascicolo, con nota di richiami e osservazioni di G. Alben zio (Solidarietà ed intervento del terzo nel processo tributario), cui adde, con spefico riferimento al giudizio di impugnazione dinanzi alle commis sioni tributarie, Cass. 13 giugno 1984, n. 3540, Foro it., 1985, I, 522, con nota di ulteriori richiami, nonché Cass. 7 gennaio 1980, n. 75, id., 1981, I, 107 (che ha dichiarato tardivo il ricorso incidentale in Cassazione
presentato dall'ufficio oltre il termine di sessanta giorni dalla comunica zione della decisione).
Sull'appello incidentale nel processo civile, v. Cass. 25 giugno 1987, n. 5587, id., 1988, I, 869 (che ha dichiarato inammissibile l'appello inci dentale proposto all'udienza di precisazione delle conclusioni) e Cass. 28
luglio 1985, n. 4378, id., 1985, I, 3121 (sui limiti di proponibilità dell'ap pello incidentale tardivo); nel processo del lavoro, v. C.M. Barone (An drioli, G. Pezzano, A. Proto Pisani), Le controversie in materia di
lavoro, Bologna-Roma, 1987, 856-862; sulle modalità e i termini di pre sentazione del ricorso in impugnazione nel processo tributario, v. Cass. 7 settembre 1988, n. 5067, in questo fascicolo, I, 785. Più in generale, sul principo del contraddittorio: nel processo civile, v. Cass. 29 novembre 1986 n. 7024, Foro it., 1987, I, 1817 (sulla nullità della sentenza emessa in udienza collegiale non comunicata alle parti) e Pret. Firenze 25 giugno 1985, id., 1986, I, 547 (sulla emissione di provvedimenti d'urgenza inau dita altera parte), nonché G. De Vergottini, Il diritto di difesa come
principio fondamentale della partecipazione al processo, in Dir. e società, 1986, 97; nel processo tributario, v. Comm. trib. I grado Verbania 6 ottobre 1986, Foro it., 1988, III, 68 (sulla omessa previsione dell'obbligo della difesa tecnica nel processo tributario); Comm. trib. II grado Gros seto 27 settembre 1988, id., 1989, III, 62 (sulla necessità del rispetto del contraddittorio col contribuente anche in sede di redazione del processo verbale di accertamento); Comm. trib. centrale 21 settembre 1987, n. 6309 e 14 settembre 1987, n. 6225, id., Rep. 1987, voce Tributi in genere, nn. 835, 836 (sulla nullità dell'appello non notificato alla controparte e sui limiti della sua sanabilità); Comm. trib. centrale 21 giugno 1986, n. 5773, id., Rep. 1986, voce cit., n. 886 (sulla inammissibilità dell'appel lo incidentale allorché venga dichiarato inammissibile quello principale).
Sul ricorso incidentale tributario nel regime previgente la riforma (r.d. 8 luglio 1937 n. 1516), v. Cass. 4 aprile 1977, n. 1286, id., 1978, I, 1770, e in Dir. e pratica trib., 1977, II, 912, con nota di Podenzana-Bonvino, Appunti in tema di impugnazione incidentale nel processo tributario.
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