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sezione lavoro; sentenza 8 febbraio 1988, n. 1339; Pres. Zappulli, Est. Carucci, P. M. Leo (concl.conf.); Acea (Avv. Gagliani Caputo) c. Cappelli e altri. Conferma Trib. Roma 5 gennaio 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 1131/1132-1133/1134Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181188 .
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1131 PARTE PRIMA 1132
contenute nella ricordata sentenza 1767/77 anche in considerazio
ne che la legge stessa la qualifica sospensiva e non risolutiva.
Una tale ricostruzione dell'istituto, peraltro, appare in armonia
con lo stesso intento del legislatore, nell'interesse di entrambe
le parti del rapporto: da un lato, infatti, il venditore risulta essere
svincolato da ogni obbligo di prelazione ed è libero, dopo l'inuti
le scadenza del termine, di vendere a chiunque; dall'altro, il colti
vatore non è soggetto ad alcun procedimento risarcitorio, come
conseguenza del suo incolpevole inadempimento, soprattutto ove
il mancato ottenimento del mutuo possa essere dovuto a difficol
tà burocratiche, protrattesi oltre il termine previsto nella legge.
Conseguentemente deve ribadirsi il seguente principio: in tema
di diritto di prelazione del mezzadro, del colono, o dell'affittua
rio di fondo rustico, l'art. 8, 8° comma, 1. 26 maggio 1965 n.
590, ove dispone che, nei casi in cui il pagamento del prezzo
è differito (6° e 7° comma), il trasferimento della proprietà è
sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento stesso nei
termini prescritti (tre mesi o un anno, nelle ipotesi rispettivamen
te disciplinate dal 6° e 7° comma) va inteso nel senso che il pre
detto pagamento costituisce condicio iuris sospensiva dell'efficacia
del contratto, conclusosi con l'accettazione della proposta di alie
nazione notificata dal proprietario, con la conseguenza che il man
cato avverarsi della condizione tarvolge automaticamente il
contratto medesimo, senza necessità di domanda risolutoria da
parte del proprietario e restituisce a quest'ultimo la piena libertà
del fondo.
Al riaffermato principio segue quale logico corollario che «il
diritto di prelazione è validamente esercitato dal coltivatore il quale
subordini l'accettazione della proposta di alienazione comunica
tagli dal proprietario del fondo alla concessione da parte dello
Stato del mutuo della somma necessaria a pagare il prezzo (Cass.
16 marzo 1981, n. 1467, cit.)».
Ma, nella specie, il problema si pone in termini diversi.
Alla stregua della situazione di fatto accertata dal giudice del
merito in sede di rinvio, la posizione assunta dall'oblato consiste
va nella volontà di riservarsi, in caso di diniego del mutuo, di
pagare con denaro proprio o di recedere dal contratto.
La corte d'appello ha ritenuto che una condizione cosi struttu
rata non corrispondeva a quella prevista dalla legge, e che essa
quindi poneva in essere una modifica della proposta (cioè una
nuova proposta), che l'originario offerente non aveva accettato,
onde il contratto non poteva considerarsi concluso.
Tale qualificazione giuridica della fattispecie concreta accertata
è da condividersi pienamente, in quanto l'oblato, proponendo di
inserire nel regolamento negoziale la clausola in questione, pre
tendeva di attribuirsi la facoltà di versare il prezzo con denaro
proprio dopo la scadenza del termine più lungo, previsto dalla
legge per l'ipotesi di pagamento con fruizione del mutuo statale,
anziché entro quello più breve dalla legge stessa fissato per il
caso di pagamento con denaro proprio.
Né può trovare accoglimento la censura di difetto di motiva
zione in ordine alla situazione di fatto come sopra accertata, po
sto che la sentenza ha motivato in modo logico e congruo, con
il compiuto esame delle espressioni tutte usate nella dichiarazione
31 maggio 1973, in relazione alla ratio sottesa al canone di totali
tà e coerenza, correttamente applicando i principi ermeneutici sta
biliti nella sentenza di rinvio.
Pretendere, pertanto, oggi di discutere l'esegesi dell'atto nego
ziale, come nella specie è stato interpretato, costituirebbe un ap
prezzamento di fatto, sottratto al controllo di legittimità di questa
corte.
Il ricorso va, quindi, rigettato.
Il Foro Italiano — 1988.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 8 febbraio
1988, n. 1339; Pres. Zappulli, Est. Carucci, P. M. Leo (conci,
conf.); Acea (Avv. Gagliani Caputo) c. Cappelli e altri. Con
ferma Trib. Roma 5 gennaio 1985.
Lavoro (rapporto) — Lavoratrici madri — Periodo di astensione
obbligatoria — Computabilità ai fini della progressione in car
riera — Fattispecie (L. 30 dicembre 1971 n. 1204, tutela delle
lavoratrici madri, art. 4, 5, 6; 1. 9 dicembre 1977 n. 903, parità
di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, art. 3).
/ periodi di astensione obbligatoria dal lavoro delle lavoratrici
madri vanno computati ai fini della progressione in carriera,
anche quando la contrattazione collettiva, cui l'art. 3 l. 903
del 1977fa riferimento, subordini la progressione alla frequen
za con partecipazione attiva a corsi di formazione professiona
le da concordare nelle modalità di impostazione e di esecuzione
tra le parti collettive; corsi che però non sono stati istituiti. (1)
Motivi della decisione. — Col primo mezzo l'Acea, denunzian
do violazione e falsa applicazione dell'art. 3, 2° comma, 1. n.
903 del 1977 e degli art. 4, 5, 6 1. n. 1204 del 1971, deduce che
la norma consente all'autonomia contrattuale collettiva una disci
plina derogatoria anche deteriore. Gli accordi aziendali in esame
escludono la progressione automatica per il semplice decorso del
tempo, ma legano il conseguimento delle categorie superiori al
l'acquisizione di esperienze in tutte le attività del ciclo lavorativo,
conseguibili sia con la pratica costante per un determinato perio
do, sia a seguito della frequenza di appositi corsi.
Col secondo mezzo (violazione dell'art. 414 c.p.c. in tema di
ripartizione dell'onere della prova nel processo del lavoro, omes
sa motivazione su punto decisivo rilevabile di ufficio) la ricorren
te osserva che gravava sulle lavoratrici l'onere di provare che le
condizioni stabilite dagli accordi sindacali in concreto non si era
no verificate. L'avere il tribunale rilevato la mancanza di prova
sulle concordate modalità di svolgimento e sulla stessa effettua
zione dei corsi, traendone il convincimento che nella realtà la
progressione in carriera era rimessa al semplice decorso del tem
po ha costituito indebita inversione dell'onere della prova. La
menta ancora l'Acea l'omessa motivazione sul punto, ritenuto
dal tribunale decisivo per la definizione della controversia.
Col terzo mezzo (violazione degli art. 1362 ss. c.c., omessa
e contraddittoria motivazione) la ricorrente lamenta che il tribu
nale non ha motivato sul comportamento tenuto dalle parti, suc
cessivo alla stipulazione degli accordi aziendali, dal quale ha tratto
elementi per determinare l'intenzione dei contraenti a norma del
l'art. 1362 c.c., decidendo che in realtà la progressione era rimes
sa al mero decorso del tempo.
I tre mezzi, che si esaminano congiuntamente per l'interdipen
denza dei temi introdotti, sono infondati nel loro complesso.
La finalità che il legislatore persegue con l'art. 6 1. n. 1204
del 1971 e con l'art. 3 1. n. 903 del 1977 è quella — diretta evi
dentemente ad attuare il principio costituzionale di eguaglianza — di impedire che in materia di lavoro la donna venga a trovarsi
in posizione di svantaggio in ragione del sesso, la cui manifesta
zione più specificamente rilevante in relazione allo svolgimento
del rapporto di lavoro è data dal fatto fisiologico della maternità,
comprensiva delle fasi pre e post partum e delle necessità di accu
dimento del neonato, il tutto costituente il cosi detto periodo di
astensione obbligatoria. II mezzo tecnico legale predisposto a tal fine è innanzi tutto
quello, di carattere generale, di togliere all'astensione dal lavoro
a causa della maternità gli effetti propri di un'assenza dal lavoro
e le connesse conseguenze dannose (che possono ricorrere anche
in caso di assenza giustificata). In tale logica l'art. 6 1. 1204/71
(1) Non si rinvengono precedenti negli esatti termini. Per i riferimenti
all'incidenza dell'astensione obbligatoria per maternità sulla progressione in carriera della dipentente, cfr. la nota di richiami a Cass. 23 maggio
1986, n. 3485, Foro it,. 1988, I, 254. Cfr., inoltre, Cass. 10 agosto 1987, n. 6879, id., Mass., 1179, e in Dir. e pratica lav., 1987, 2823, con nota
di E. d'Avossa, che ha affermato che i particolari requisiti richiesti dalla
contrattazione collettiva ex art. 3 1. 903 del 1977 possono consistere an
che nella effettività della prestazione lavorativa.
In tema di lavoratrici madri, cfr. Cass. 6 febbraio 1988, n. 1293 e
21 ottobre 1987, n. 7767, Foro it., 1988, I, 784, con nota di richiami.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
si esprime nel senso che i periodi di cui agli art. 4 e 5 «devono
essere computati nella anzianità di servizio a tutti gli effetti, com
presi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica o
alle ferie».
Nell'affrontare poi il problema della progressione in carriera — collegato ma al tempo stesso più specifico rispetto a quello
puro e semplice dell'anzianità di servizio e dei conseguenziali ef
fetti economici — il legislatore non poteva non farsi carico della
considerazione che la progressione non è solo e sempre automati
camente collegata alla anzianità, ma può comportare — a secon
da delle mansioni che il progrediente sarà chiamato a svolgere — la garanzia di una più specifica esperienza professionale, che
la sola anzianità non darebbe. Trascurandosi la specificità del
problema della progressione, si sarebbe — oltre tutto — sbilan
ciata ad ingiustificato vantaggio della donna la parificazione «quan to all'anzianità» operata col sopra citato art. 6 1. 1204/71,
probabilmente incorrendosi in una illegittimità costituzionale di
segno contrario sotto diversi profili che non è qui il caso di esa
minare.
Secondo tale prospettiva l'art. 3 della successiva 1. 903 del 1977,
sempre mantenendosi nel solco del citato art. 6 1. 1204 del 1971, riafferma il principio del computo del periodo di astensione ob
bligatoria nell'anzianità di servizio anche ai fini della progressio ne nella carriera giacché le relative assenze «sono considerate come
attività lavorativa», introduce tuttavia un limite all'efficacia di
tale anzianità di servizio (per cosi' dire «figurativa», dato che è
la legge ad istituire la equiparazione a servizio effettivo del perio do di astensione), nel senso che detta equiparazione è operante solo quando si tratti di progressione verso gradi professionali per i quali i contratti collettivi «non richiedono particolari requisiti».
Sorge dunque il problema di stabilire di quale natura debbano
essere i particolari requisiti ostativi alla progressione per mero
decorso del tempo. Il tenore letterale della disposizione non è prodigo di indicazio
ni a riguardo, ma deve ritenersi — in considerazione della ratio
legis — che, se per la progressione debbano concorrere anzianità
ed attitudini, l'equiparazione ad attività lavorativa del periodo di astensione obbligatoria svolga già pienamente il suo effetto
nel senso che deve ritenersi realizzato l'elemento «anzianità» per decorso naturale del tempo (senza cioè escludere il detto periodo di maternità), a parte l'ulteriore requisito attitudinale, da accen
tarsi in forma sperimentale (ad esempio con esami, prove) o in
modo presunto (ad esempio con partecipazione a corsi di forma
zione, con avvicendamenti determinati e branche o settori lavo
rativi). Il problema assume poi un profilo peculiare quando, come nel
la specie, si tratti di progressione ai cui fini per contratto colletti
vo (nella specie l'accordo aziendale 27 novembre 1974) sono stabiliti
«tempi propedeutici» nell'ambito di ciascuna «fascia» (sei mesi
per la promozione dalla categoria C/2 alla C/1; due anni e sei
mesi dalla C/1 alla C/S; quattro anni dalla C/S alla B/2), con
l'ulteriore specificazione che «l'acquisizione del livello retributivo
di C/S e di B/2 sarà inoltre subordinata alla frequenza con par
tecipazione attiva di un corso di formazione professionale le cui
modalità di impostazione e di esecuzione verranno concordate fra
le parti firmatarie del presente regolamento». Il tribunale, trattando tale punto particolare, ha sostanzialmente
concluso che, non essendo stata attuata la riserva relativa all'or
ganizzazione dei corsi di formazione, le parti avevano ricondotto
la progressione al mero decorso del tempo, con la conseguente
piena operatività della norma a favore della lavoratrice-madre.
La conclusione del tribunale trova conferma (e, al contrario, trova smentita la tesi della Acea circa l'onere probatorio della
non attuazione dei corsi e circa la ricostruzione della volontà dei
contraenti) nel rilievo che la previsione contrattuale (che nel qua dro dell'art. 3 1. 903/77 avrebbe dovuto completare la previsione della norma di legge) è di per se stessa monca, in quanto, pro
spettando solo come futura e non già come in atto l'istituzione
e il funzionamento dei corsi di formazione, non consente il raf
fronto fra la fattispecie astratta e la situazione concreta, se non
per constatare che dei due elementi ipotizzabili (anzianità ed atti
tudine specifica da desumere implicitamente dalla partecipazione al corso) il primo sussiste (dato che è pacifica fra le parti l'anzia
nità ex art. 3 in relazione ai «tempi propedeutici» contrattuali), mentre il secondo elemento è al di fuori della norma, perché non
risulta ancora integrata la disposizione di legge con una previsio ne contrattuale completa e praticabile.
Il Foro Italiano — 1988.
Nell'operazione giuridica di raccordo fra la norma e il fatto
è in gioco, insomma, il momento normativo, la cui incompiutez za non può che ricadere a danno della parte che sulla norma
(incompleta) fonda la propria pretesa od eccezione. In tale situa
zione appare fuori luogo l'impostazione del problema — data
col secondo e col terzo motivo del ricorso — in termini di oneri
probatori e di scorretta interpretazione del contratto: in altre pa role la convenuta ed attuale ricorrente Acea fonda la sua eccezio
ne sull'assunto indimostrato di una pattuizione contrattuale
completa ed operante al fine di realizzare l'ipotesi derogativa astrat
ta che l'art. 3 1. 903/77 apporta alla regola dell'anzianità efficace
per la progressione nella carriera.
Il ricorso dev'essere pertanto rigettato.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 3 feb
braio 1988, n. 1073; Pres. Sandulli, Est. Chiavelli, P. M.
Di Renzo (conci, diff.); Sovrano militare ordine di Malta (Avv. A. Marini) c. Grisi (Avv. Spagnuolo). Regolamento preventi vo di giurisdizione.
Giurisdizione civile — Rapporto di lavoro dipendente con il So
vrano militare ordine di Malta — Giurisdizione italiana (Cod.
proc. civ., art. 4, 386, 409).
È sottoposta alla giurisdizione italiana la controversia promossa da lavoratore dipendente del Sovrano militare ordine di Malta
che assuma di aver espletato funzioni di dirigente d'azienda
in una tenuta agricola appartenente all'ordine, in quanto trat
tasi di attività di gestione per la produzione di un reddito di
impresa, allo scopo mediato di utilizzazione per i suoi fini isti
tuzionali. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 15 lu
glio 1987, n. 6172; Pres. Brancaccio, Est. Caturani, P. M.
Sgroi V. (conci, conf.); Panattoni (Avv. E. Russo) c. Repub blica federale di Germania; Repubblica federale di Germania
(Avv. Beiardinelli) c. Panattoni. Conferma Trib. Roma 8 apri le 1978.
Giurisdizione civile — Dipendenti di Stati ed enti pubblici stra
nieri — Controversie — Giurisdizione italiana — Esclusione
(Cost., art. 10; cod. proc. civ., art. 4, 386, 409).
La controversia concernente il rapporto di impiego di un cittadi
no italiano che abbia svolto mansioni di usciere di cancelleria
alle dipendenze dell'ambasciata della Repubblica federale di Ger
mania presso la Santa Sede è sottratta alla giurisdizione italia
na, per lo stabile inserimento del dipendente nell'organizzazione istituzionale dello Stato estero ai fini da questo perseguiti. (2)
(1-3) Giurisprudenza costante: sui limiti della giurisdizione italiana per la cognizione dei rapporti di lavoro presso sedi di organismi esteri in
Italia, v. Cass. 3 febbraio 1986, n. 666 e 17 gennaio 1986, n. 283, Foro
it., 1986, I, 598, con nota di richiami, cui adde Cass. 15 luglio 1987, n. 6171, id., Mass., 1043 (che ha escluso l'immunità giurisdizionale allor
ché lo Stato estero agisca con strumenti privatistici dell'ordinamento in
terno per l'acquisizione del godimento di un immobile in Italia); Cass.
12 gennaio 1987, n. 110, ibid., 21 (che ha affermato la sussistenza della
giurisdizione italiana per la cognizione di controversia promossa da un
giornalista addetto alla sede romana dell'ente di telediffusione della Re
pubblica federale tedesca in quanto le parti avevano espressamente previ sto l'assoggettamento del rapporto alla disciplina privatistica dell'ordinamento italiano in tema di lavoro subordinato); per precedenti
specifici sulle fattispecie all'esame dei collegi, v. copiosi richiami nelle sen
tenze 6172/87 e 6100/87 in epigrafe; sull'ordine di Malta, cfr. Gazzoni, Ordine di Malta, voce dell' Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 1981, XXXI, 1; Cansacchi, L'ordine di Malta nella recente giurisprudenza ita
liana, in Giur. it., 1981, IV, 217; Monaco, Osservazioni sulla condizione
giurìdica internazionale dell'ordine di Malta, in Riv. dir. internaz., 1981,
14; Gazzoni, L'ordine di Malta, Giuffrè, Milano, 1979; Paone, Ordine
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