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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 4 marzo 1989, n....

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sezione lavoro; sentenza 4 marzo 1989, n. 1208; Pres. Zappulli, Est. O. Fanelli, P.M. Tridico (concl. conf.); Enel (Avv. Gazzoni, Militto) c. Serretta (Avv. Laviano). Cassa App. Napoli 5 luglio 1975 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 2209/2210-2211/2212 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184098 . Accessed: 24/06/2014 22:26 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 194.29.185.25 on Tue, 24 Jun 2014 22:26:19 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 4 marzo 1989, n. 1208; Pres. Zappulli, Est. O. Fanelli, P.M. Tridico(concl. conf.); Enel (Avv. Gazzoni, Militto) c. Serretta (Avv. Laviano). Cassa App. Napoli 5 luglio1975Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 2209/2210-2211/2212Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184098 .

Accessed: 24/06/2014 22:26

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

compenso, perché entrambi hanno funzione remunerativa e la re

munerazione è da correlare non solo al costo, ma anche al rischio

che l'appaltatore deve sopportare per eseguire l'opera.

Infine, e per concludere, si deve aggiungere che a diverso avvi

so questo collegio non è indotto dalla recente sentenza — richia

mata in udienza dalla difesa della ricorrente — 9 maggio 1988,

n. 3923 (id., Mass., 574), con la quale la corte ha ritenuto che

poiché «il credito di valuta, nel caso di indennizzo (e tale è l'equo

compenso previsto dall'art. 1664, 2° comma, c.c.), sorge dopo

che la liquidazione è stata effettuata», «qualunque operazione a ciò precedente», e quindi anche la rivalutazione monetaria della

somma sborsata dall'appaltatore per maggiori oneri, non costi

tuisce violazione del principio nominalistico, perché «è semplice

mente volta a rendere 'equo' l'indennizzo predetto e perciò, in

definitiva, a far sorgere il credito di valuta».

Invero, se con queste'proposizioni si è inteso affermare che

nel procedere alla liquidazione equitativa di un credito di valuta

è consentito, proprio in omaggio all'equità, tener conto della sva

lutazione monetaria, si è enunciata una regola pratica — più che

un principio di diritto — sulla quale non ci si deve pronunciare

in questa sede, in quanto la ricorrente non si è doluta della liqui

dazione degli arbitri, ma pretende che essa, cosi come è stata

eseguita, venga rivalutata (e perciò non chiede neppure a questa

corte di occuparsi specificamente della data di costituzione del

credito).

Se, invece, si è voluto dire — come sembra dal brano sopra

riportato — che siccome il diritto all'equo compenso «sorge» —

ma forse è da leggere: «è esigibile» — dopo la liquidazione, lo

si deve rivalutare nel compiere tale operazione, il collegio è co

stretto a manifestare il proprio dissenso, sia per le considerazioni

inizialmente svolte in ordine al rapporto fra nascita e liquidazio

ne del credito di valuta, nonché alla portata dell'intervento deter

minativo del giudice; sia perché altra volta la corte ha esattamente

individuato in codesto intervento la contemporanea, ma pur sem

pre distinta presenza e di un accertamento retroattivo dell'avve

nuta relaizzazione dei presupposti costitutivi del diritto —

effettuazione di spese maggiori del previsto — e del momento

in cui questo diviene esigibile (v. Cass. 16 gennaio 1987, n. 292, id., Rep. 1987, voce cit., n. 51). (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 4 marzo

1989, n. 1208; Pres. Zappulli, Est. O. Fanelli, P.M. Tridico

(conci, conf.); Enel (Aw. Gazzoni, Militto) c. Serretta (Avv.

Laviano). Cassa App. Napoli 5 luglio 1975.

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Nuovo rito

del lavoro — Divieto di nuove eccezioni in appello — Deduci

bilità della eccezione di prescrizione (Cod. proc. ci v., art. 437;

1. 11 agosto 1973 n. 533, disciplina delle controversie indivi

duali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza

e di assistenza obbligatorie, art. 20).

Ove la controversia individuale di lavoro, introdotta in primo

grado davanti al tribunale, sia stata rimessa al collegio per la

decisione anteriormente all'entrata in vigore della l. 533/73,

alla parte non è preclusa la possibilità di proporre per la prima

volta in appello l'eccezione di prescrizione non sollevata in pri

mo grado. (1)

(1) Conf. Cass. 5 aprile 1979, n. 1983, Foro it., Rep. 1979, voce Lavo

ro e previdenza (controversie), n. 633; 13 giugno 1980, n. 3789, id., 1980,

I, 1867, con nota redazionale; 9 luglio 1982, n. 4101, id., Rep. 1982,

voce Contratti agrari, n. 335; 18 febbraio 1983, n. 1265, id., 1983, voce

Lavoro e previdenza (controversie), n. 550; in senso contrario, v. Cass.

6 febbraio 1984, n. 906, id., Rep. 1984 voce cit., n. 444.

La sentenza che si riporta chiude un giudizio di cassazione nel corso

del quale la corte, con ordinanza 8 marzo 1980, n. 141 (id., 1980, I,

1326, con nota di richiami), aveva sollevato questione di legittimità costi

li. Foro Italiano — 1989.

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato

il 29 dicembre 1969 Giovanni Serretta conveniva davanti al Tri

bunale di Napoli l'Enel, e premesso di essere stato assunto dalla

Selac il 16 luglio 1947, quale addetto al cambio delle lampade

dell'impianto pubblico d'illuminazione del comune di Gesualdo,

prima, e poi di Arzano, con un contratto impropriamente deno

minato di opera, in un primo tempo, e, poi, con contratto di

lavoro subordinato e di essere passato, allorché la Selac era stata

trasferita all'Enel, alle dipendenze di quest'ultima, restandovi fi

no al 1° ottobre 1969, chiedeva il riconoscimento del rapporto

di lavoro a partire dal 16 luglio 1947, e l'inquadramento nella

categoria CI spettantegli per le mansioni svolte, con attribuzione

della differenza retributiva.

tuzionale degli art. 437, 2° comma, c.p.c., e 20, 1° comma, 1. 11 agosto 1973 n. 533, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., poiché l'entrata in

vigore della 1. 533/73, dopo che la controversia individuale di lavoro sia

stata rimessa al collegio per la decisione, preclude alla parte di proporre in appello quelle eccezioni non sollevate in primo grado nella consapevo lezza di poterle far valere in fase di impugnazione alla stregua dell'art.

345 c.p.c. (sui problemi di legittimità costituzionale relativi ai predetti

articoli, derivanti dall'immediata applicabilità del nuovo rito del lavoro

alle controversie in corso al momento dell'entrata in vigore della 1. 533/73,

v., in dottrina, Denti-Simoneschi, Il nuovo processo del lavoro, Milano,

1974, 316 ss.). La Corte costituzionale, con sentenza interpretativa di rigetto 26 gen

naio 1988, n. 82 (Foro it., 1988, I, 3215, con nota di F. Donati), ha

dichiarato infondata la prospettata questione di costituzionalità, in quan to le norme sottoposte al suo esame vanno interpretate nel senso che

fuoriescono dall'ambito di applicazione del divieto dello ius novorum in

appello — introdotto dal nuovo rito del lavoro (art. 437, 2° comma c.p.c.) ed applicabile anche ai giudizi pendenti nel momento dell'entrata in vigo re della legge (art. 20, 1° comma, 1. cit.) — le controversie trattate e

definite in primo grado secondo il rito previgente (rito ordinario). La sentenza in rassegna si giustifica con la duplice considerazione che

l'art. 437, 2° comma, è necesariamente coordinato col regime di preclu sioni e decadenze stabilito relativamente al primo grado dall'art. 416 c.p.c.

(nel senso che il divieto di nuove eccezioni in seconde cure è conseguen

ziale alla sanzione della decadenza sancita da quest'ultima disposizione), e che l'art. 20, 1° comma, 1. cit., mentre statuisce l'immediata applicabi lità della nuova disciplina processuale ai rapporti pendenti (tempus regit

actus), non prevede la retroattiva applicazione delle stesse norme agli atti

e alle situazioni processuali esaurite (nel caso di specie lo ius novorum,

effetto giuridico già prodotto, secondo la corte, dalla sentenza conclusiva

del procedimento di primo grado). Le conclusioni cui è pervenuta la Cassazione mostrano la piena ed in

condizionata adesione della corte non solo all'interpretazione degli art.

437, 2° comma, c.p.c. e 20, 1° comma, 1. cit., adottando la quale la

Corte costituzionale ha respinto le predette censure di incostituzionalità

[interpretazione, peraltro, inizialmente respinta dalla Corte di cassazione

perché giudicata «vera e propria opera creativa» (ordinanza 8 marzo 1980), e successivamente posta dalla stessa corte a fondamento delle sentenze

sopra citate conformi alla decisione in rassegna], ma anche a quell'orien tamento giurisprudenziale assolutamente maggioritario, formatosi sulla

portata ed il campo di applicazione dell'art. 437, secondo cui il divieto

di nuove eccezioni in appello, seppur enunciato dalla norma in questione

con riferimento all'udienza di discussione, non può ritenersi applicabile solo a detta fase del processo di secondo grado, ma preclude anche (e a maggior ragione) la proponibilità di nuove eccezioni con l'atto intro

duttivo del giudizio di impugnazione [in questo senso, v. Cass. 4 luglio

1987, n. 5876, id., Rep. 1987, voce cit., n. 474; in dottrina v. le osserva

zioni di C.M. Barone in nota a Cass. 8 gennaio 1980, n. 144, id., 1980,

I, 1367; Id. (V. Andrioli, G. Pezzano, A. Proto Pisani), Le controver

sie in materia di lavoro2, Bologna-Roma, 1987, 868 ss. ed ivi indicazioni

sullo stato della giurisprudenza in materia; G. Pezzano, in nota a Cass.

5 febbraio 1980, n. 817, Foro it., 1980, I, 2217; contra Moscarini, «Ius

novorum» in appello e processo del lavoro, in Riv. giur. lav., 1981,1, 333],

Ed invero, se la corte nell'emanare la presente sentenza avesse ritenuto

che l'art. 437, 2° comma, non ha modificato il regime generale dello

ius novorum in appello (dettato dall'art. 345 c.p.c.) e che pertanto tale

disposizione non preclude la proponibilità di nuove eccezioni con l'atto

introduttivo del giudizio d'impugnazione, è fin troppo evidente che non

avrebbe avuto più alcun bisogno di interpretare (cosa che invece ha fatto)

le norme in esame in modo da escluderne l'applicabilità alle controversie

di lavoro rimesse al collegio per la decisione anteriormente al momento

dell'entrata in vigore della 1. 533/73: le parti di questi ultimi procedimen

ti, infatti, avrebbero comunque conservato la facoltà di proporre per la

prima volta in appello le eccezioni non sollevate in primo grado (nella

consapevolezza di poterle far valere in fase di impugnzione alla stregua

dell'art. 345 c.p.c.), e di conseguenza non avrebbero potuto subire alcuna

menomazione del loro diritto di difesa. [F. Simoncini]

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2211 PARTE PRIMA 2212

Il tribunale accoglieva la domanda con sentenza 31 maggio-28

giugno 1974, che su gravame dell'Enel veniva confermata dalla

Corte d'appello di Napoli con sentenza 5 luglio 1975.

Rileva anzitutto la corte che l'eccezione di prescrizione pro

spettata con il terzo motivo d'appello non poteva formare ogget to di esame, atteso il divieto di introduzione di eccezioni nuove

posto dall'art. 437 c.p.c. (Omissis) Avverso tale decisione ha proposto ricorso l'Enel per tre moti

vi; si è costituito con controricorso il Serretta.

Questa corte, con ordinanza 8 marzo 1980, n. 141 (Foro it.,

1980, I, 1326), ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità dell'art. 437, 2° comma, 1° inciso, c.p.c. e

dell'art. 20, 1° comma, 1. 11 agosto 1973 n. 533, in quanto pre cludono di proporre in appello eccezione non sollevata in primo

grado prima dell'entrata in vigore di detta legge. La Corte costituzionale ha deciso la questione con sentenza

26 gennaio 1988, n. 82 (id., 1988, I, 3215); dopo di che il ricorso è stato nuovamente fissato per la discussione.

Motivi della decisione. — (Omissis). Si deduce col terzo moti

vo che l'eccezione di prescrizione, non proposta fino all'udienza

del 1° marzo 1973, di rimessione della causa al collegio (antece dentemente, quindi, all'entrata in vigore della 1. n. 533 del 1973), non poteva più essere proposta nel corso del giudizio di primo

grado ai sensi degli art. 188, 189 e 190 c.p.c., onde l'Enel ben

poteva far valere, con l'atto di appello, come ha fatto, l'eccezio ne stessa, in quanto il divieto introdotto dall'art. 437 c.p.c. trova

il suo fondamento ed il suo presupposto nel disposto dell'art. 416 c.p.c., secondo il quale il convenuto deve proporre nella me

moria difensiva, «a pena di decadenza, le eventuali domande in

via riconvenzionale e le accezioni processuali e di merito che non siano rilevabili di ufficio»: il divieto, cioè, di nuove eccezioni in appello può trovare applicazione solo in quei giudizi nei quali era operante la preclusione di cui all'art. 416: cioè nei giudizi proposti prima della entrata in vigore della 1. 11 agosto 1973 n.

533, ovvero non pervenuti ancora, al subentrare di detta legge, alla fase decisoria.

Ritenere il contrario equivarrebbe a denegare ex post quel di

ritto di nuove eccezioni in appello in considerazione del quale la parte interessata legittimamente avesse omesso di far valere in primo grado tali eccezioni; e comporterebbe una palese quanto ingiustificata disparità della posizione delle parti nei giudizi pen denti all'atto dell'entrata in vigore della 1. 11 agosto 1973 n. 533 a seconda che i giudizi stessi si trovassero o meno in fase deciso ria. In altri termini, mentre ai sensi dell'art. 345 c.p.c. le parti possono proporre in appello nuove eccezioni e tale facoltà poteva legittimamente suggerire alla parte interessata di riservare al se condo grado la proposizione di una eccezione nuova anche se da essa già conosciuta e quindi suscettibile di essere proposta in

primo grado (con l'unica eventuale sanzione della condanna alle

spese), tale facoltà sarebbe stata definitivamente preclusa alle parti di un procedimento in materia di lavoro pervenuto alla fase deci soria prima dell'entrata in vigore della 1. n. 533 e, cioè, in un

periodo nel quale le parti potevano legittimamente scegliere tra la proposizione in primo grado o in appello di tale eccezione.

Diversamente, si porrebbe la questione di legittimità costituzio nale dell'art. 437 c.p.c., primo inciso del 2° comma, e del 1° comma dell'art. 20 1. n. 533: a) in rapporto all'art. 3 Cost, per l'ineguaglianza davanti alla legge dei soggetti di diritto coinvolti in procedimenti di lavoro non pervenuti alla fase decisoria al su bentro della legge n. 533 e dei soggetti di diritto coinvolti in pro cedimenti di lavoro già pervenuti alla fase decisoria dell'atto del

detto subentro; b) in rapporto all'art. 34 Cost., 1° e 2° comma. Il motivo è fondato. Con la innanzi richiamata sentenza n.

82 del 1988, resa sulla questione di costituzionalità sollevata nel

presente giudizio da questa corte, la Corte costituzionale ha rite nuto infondata la questione, ma in quanto le norme sottoposte al suo esame vanno interpretate nel senso che esse non pongono il divieto di proposizione di nuove eccezioni in appello ove il giu dizio di primo grado si sia svolto secondo il rito previgente.

Invero, ha osservato la corte, lo ius novorum consentito dal l'art. 345 c.p.c. va considerato nel caso in cui il procedimento di primo grado si sia svolto secondo il vecchio rito, come un effetto già prodotto dalla sentenza conclusiva di detto procedi mento, con la conseguenza che esso ius novorum risulta utilizza bile dalle parti nel giudizio di appello; dovendosi escludere che

Il Foro Italiano — 1989.

le parti di controversia di lavoro svoltasi in primo grado secondo

il rito previgente alla 1. n. 533 del 1973 risultino private di quelle facoltà che avevano legittimamente ritenuto di non esercitare du

rante detto grado di giudizio.

Interpretazione, quella adottata dal giudice delle leggi, che del

resto ha già trovato il consenso di questa corte, la quale con

le sentenze 5 aprile 1979, n. 1983 (id., Rep. 1979, voce Lavoro

e previdenza (controversie), n. 633) e 13 giugno 1980, n. 3789

(id., 1980, I, 1867) ha ritenuto che l'entrata in vigore della 1.

533/73 dopo che la controversia di lavoro, introdotta davanti al

tribunale, sia stata rimessa al collegio per la decisione, cioè —

come nella specie — successivamente all'udienza di precisazione delle conclusioni, non preclude alla parte di proporre per la pri ma volta in appello l'eccezione di prescrizione non sollevata (o, il che è lo stesso, tardivamente sollevata) in primo grado.

Invero, poiché la norma di cui all'art. 437 c.p.c. è coordinata

a quella di cui all'art. 416, 2° comma — la quale stabilisce che il convenuto nel giudizio di primo grado ha l'onere di proporre, a pena di decadenza, le proprie eccezioni nella memoria difensi

va; poiché dunque il divieto di cui all'art. 437 è conseguenziale alla sanzione della decadenza sancita dall'art. 416 per il mancato

adempimento in primo grado dell'onere ivi previsto; e poiché, infine, l'art. 20 della cit. legge in quale stabilisce l'applicabilità delle nuove norme del rito del lavoro anche ai giudizi in corso al momento della sua entrata in vigore, ma non prevede la re

troattiva applicabilità delle stese norme anche agli atti o alle si tuazioni processuali esaurite prima di tale entrata in vigore —

deve ritenersi che il divieto non è operante nel giudizio di appello nel caso in cui il giudizio di primo grado si sia interamente svolto

secondo il precedente rito.

Atteso che, dunque, nella specie il procedimento di primo gra do si è chiuso, con l'udienza di precisazione delle conclusioni (11 dicembre 1973), anteriormente alla entrata in vigore della nuova

disciplina delle controversie di lavoro (12 dicembre 1973, a nor

ma dell'art. 30 1. n. 533 del 1973), la parte non aveva perso la

facoltà, già acquisita alla stregua del rito previgente, di proporre nuove eccezioni in appello a norma dell'art. 345 c.p.c.

La censura va quindi accolta, con rinvio della causa ad altro

giudice, che farà applicazione del detto principio.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 2 marzo

1989, n. 1161; Pres. Bile, Est. Iannotta, P.M. Virgilio (conci, conf.); Comune di Lecce (Aw. Sticchi Damiani) c. Soc. Unio ne sportiva Lecce (Aw. Ferrante). Regolamento preventivo di giurisdizione.

Concessioni amministrative — Controversia su concessione di lo cale adibito a bar all'interno di uno stadio — Natura di bene

indisponibile — Giurisdizione amministrativa (Cod. cìv., art.

826; r.d. 2 febbraio 1939 n. 302, modificazioni alla 1. 21 giu gno 1928 n. 1580, che disciplina la costruzione dei campi spor tivi, art. 1; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione dei tribunali amministrativi regionali, art. 5).

Rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la controversia riguardante atti della pubblica amministrazione rivolti al recupero di un bene pubblico o di una parte di esso

(nella specie, un locale adibito a bar all'interno di uno stadio), il cui uso è oggetto di una concessione amministrativa. (1).

(1) Nulla quaestio sul punto, nella misura in cui la qualificazione, data all'oggetto della controversia, di bene pubblico, ai fini dell'applicazione dell'art. 5 1. 1034/71, scaturirebbe «dalla natura pubblica del bene stadio e dal carattere accessorio e strumentale del locale de quo rispetto all'atti vità svolta nell'impianto sportivo», come proposto dal ricorrente.

Le sezioni unite ricomprendono il bene stadio nella categoria «beni indisponibili», di cui all'art. 826, ultimo comma, c.c., nella sua qualità di bene destinato ad un pubblico servizio. La stessa qualificazione era

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