sezione lavoro; sentenza 26 novembre 1987, n. 8753; Pres. Zappulli, Est. Giustiniani, P. M.Visalli (concl. conf.); Inpdai (Avv. Capaccioli, Di Pasquale) c. Pontani (Avv. Ciabattini,Proverbio). Conferma Trib. Milano 27 marzo 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 205/206-209/210Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183750 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
no, in quanto già decisa negativamente dalla sentenza di primo
grado, non impugnata sul punto. Osserva questa corte che la sentenza di primo grado aveva ac
cennato alla natura pubblicistica del concordato come ostativa
all'applicazione della normativa sull'equo canone, ma, al tempo stesso e contraddittoriamente, aveva ritenuto che il liquidatore avesse i poteri di locare l'immobile sotto il profilo privatistico e di invitare di conseguenza il conduttore all'esercizio del diritto
di prelazione. In sede di appello contro la decisione di primo grado gli attuali
ricorrenti si limitarono a criticare la sentenza laddove riteneva
esistente il potere del commissario liquidatore di addivenire a con
trattazione consensuale privata. In considerazione del contenuto della prima decisione, non sem
bra che si sia formato un giudicato interno sulla questione attual
mente riproposta dai ricorrenti, che, pur nella contraddittoria
enunciazione della sentenza impugnata, non erano tuttavia rima
sti soccombenti sul punto della controversia, altrimenti risolta.
Ciò posto, deve però rilevarsi che non esattamente viene invo
cata l'analogia fra l'ipotesi di fallimento del locatore e la situa
zione di concordato preventivo. Mentre, infatti, per la prima
l'attività svolta dagli organi fallimentari è diretta a finalità pub
blicistiche e non può soffrire impedimenti da norme regolanti rap
porti privatistici, diverso è il caso del concordato preventivo, che
importa una situazione di origine convenzionale, che non esclude
la libera determinazione del proprietario di addivenire al trasferi
mento dell'immobile sotto il profilo privatistico, attraverso il li
quidatore, nell'osservanza delle norme regolanti l'istituto della
prelazione commerciale.
Deve quindi essere rigettato il ricorso.
II
Svolgimento del processo. — In data 25 giugno 1980 i coniugi
Falcina Francesco e Piergrossi Fernanda, conduttori di un locale
sito in Brescia, adibito a bar, convenivano in giudizio Spalinger
Mario e Ferdinando, dinanzi al Tribunale di Brescia, e — pre
messo che Ghidini Giulia, proprietaria dell'intero edificio e loca
trice del vano, senza provvedere alla comunicazione di cui all'art.
38 1. n. 392 del 1978, aveva venduto l'intero edificio agli Spalin
ger; e che intendevano esercitare il diritto di riscatto ai sensi e
per gli effetti di cui all'art. 39 di detta normativa — chiedevano
che il giudice adito disponesse il trasferimento a loro favore del
l'ambiente locato, al prezzo di lire 15.000.000, o di altra somma
ritenuta congrua. I convenuti opponevano di aver proceduto ad una permuta e
il tribunale rigettava la domanda sul rilievo che il riscatto trovava
applicazione nella sola ipotesi di «compravendita» dell'immobile
locato; il successivo 21 febbraio 1983 la Corte d'appello di Bre
scia, giudicando sulla impugnazione del Bini, confermava la deci
sione di primo grado. Contro la sentenza i Falcina hanno proposto ricorso, deducen
do un motivo articolato in una serie di argomentazioni, contesta
te dagli Spalinger nel controricorso.
Motivi della decisione. — Il ricorso, nell'assumere l'avvenuta
violazione degli art. 38 e 39 della normativa sull'equo canone
(1. n. 392 del 1978), addebita alla corte di Brescia di non aver
considerato che anche la permuta è un contratto a titolo oneroso,
come tale rientrante nelle previsioni di dette norme, le quali ap
punto prevedono l'esercizio della prelazione e del riscatto in oc
casione dei trasferimenti a titolo oneroso, senza porre altri limiti,
onde non si giustifica l'interpretazione restrittiva data dalla nor
ma nella sentenza.
La censura è infondata. L'art. 38 1. n. 392 del 1978, dopo
aver premesso al 1° comma che il diritto di prelazione può essere
esercitato nell'ipotesi di trasferimento a «titolo oneroso» dell'im
mobile locato, al 2° comma, nel prescrivere le formalità necessa
rie per il valido esercizio del diritto, si riferisce esclusivamente
alla «compravendita», termine questo che trova riscontro nel 4°
comma, allorché vengono disciplinate le modalità per il versa
mento del «prezzo di acquisto».
Trattasi di termini di chiaro significato, i quali indicano l'in tento di restringere l'ambito della prelazione, e quindi del corre
lativo riscatto, alle ipotesi di vendita dell'immobile locato.
Il Foro Italiano — 1989.
Va aggiunto che gli istituti della prelazione e del riscatto costi
tuiscono limitazioni delle facoltà del proprietario, normalmente
nel pieno diritto di disporre liberamente dei propri beni; di conse
guenza non sono ipotizzabili interpretazioni analogiche od esten
sive del testo di legge. Cosi delimitato l'ambito di applicazione delle norme sulla pre
lazione e sul riscatto, ogni altra questione dedotta nel ricorso va
ritenuta assorbita, non senza rilevare, come giustamente osserva
l'impugnata sentenza, che in ogni caso, nell'ipotesi di permuta, il conduttore non potrebbe mai offrire condizioni «eguali» a quelle offerte dal terzo permutante, non essendo in grado di offrire il
bene da costui dato in cambio, per la semplice ragione che di
quel bene egli non è proprietario: e l'art. 38 invece prescrive che
il conduttore deve offrire «condizioni eguali a quelle comuni
categli». All'ulteriore argomentazione contenuta nel ricorso, secondo la
quale nel contratto di permuta era stata prevista la corresponsio ne di un conguaglio in danaro, bene fungibile, va contrapposto che — secondo la ricostruzione insindacabilmente operata dai giu dici del merito — nell'intento delle parti il motivo essenziale del
negozio era costituito dal reciproco trasferimento della proprietà
di immobili (una vecchia costruzione sita al centro della città in
cambio di altro edificio costruito in zona periferica) mentre il
ricorso al conguaglio (ammontante a soli trenta milioni di fronte
ad un valore complessivo di lire 200.000.000) costituiva un mero
rimedio per ovviare alla differenza di valore, non idoneo, per
la sua marginalità, a modificare la natura e la disciplina del con
tratto, quindi delle sue conseguenze. Per le ragioni esposte, il ricorso va rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 26 novem
bre 1987, n. 8753; Pres. Zappulli, Est. Giustiniani, P. M.
Visalli (conci, conf.); Inpdai (Avv. Capaccioli, Di Pasquale)
c. Pontani (Aw. Ciabattini, Proverbio). Conferma Trib. Mi
lano 27 marzo 1985.
Previdenza sociale — Pensione privilegiata per invalidità contrat
ta a causa di servizio — Cumulabilità con altre pensioni (L.
30 aprile 1969 n. 153, revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale, art. 49).
La pensione privilegiata per invalidità contratta durante il servi
zio militare (nella specie: durante il servizio di leva nella polizia
di Stato) è cumulabile con altri trattamenti pensionistici. (1)
Motivi della decisione. — Con il primo motivo l'Inpdai denun
zia violazione dell'art. 49, 2° comma, 1. 153/69, della 1. 322/58
(art. 360, n. 3 c.p.c.), nonché omessa motivazione (art. 360, n.
5, c.p.c.). L'Inpdai sostiene che erroneamente il Tribunale di Milano ha
escluso la natura previdenziale della pensione privilegiata per l'in
validità contratta a causa di servizio, come goduta dal Pontani,
attribuendo ad essa esclusivamente carattere indennitario.
Ad avviso dell'istituto, il fine indennitario, che pure in essa
è indubbiamente presente, non può, viceversa, modificarne la na
tura, perché anche la pensione privilegiata trova il suo indefetti
(1) La sentenza esclude il carattere previdenziale della pensione c.d.
«di privilegio», ritenendo che essa si qualifica per il fine risarcitorio di
una infermità contratta per causa di servizio e non per quello, previden
ziale, di temperare la diminuita capacità di guadagno del lavoratore, ri
sultante, ai fini della pensione di invalidità, da un accertamento medico
ma non necessariamente legata da un nesso eziologico alla causa di lavo
ro. Cfr., in termini, Cass. 9 maggio 1983, n. 3168, Foro it., Rep. 1983,
voce Previdenza sociale, n. 312.
Sul cumulo di trattamenti, v., da ultimo, Cass. 2 marzo 1987, n. 2208,
id., 1988, I, 1654, con nota di richiami.
Sull'art. 49 1. 153 del 1969, v. inoltre Corte cost. 9 giugno 1977, n.
113, id., 1977, I, 2101, con nota di richiami, e, nella giurisprudenza di
merito, Trib. Padova 17 aprile 1972, id., 1972, I, 2658, con nota di ri
chiami.
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PARTE PRIMA
bile presupposto nel rapporto di dipendenza e l'infermità deter
mina soltanto un aumento del quantum, senza che in essa trovi
ingresso alcuna vera istanza risarcitoria. Altrettanto erroneo è,
secondo l'Inpdai, quanto asserito dal tribunale circa la mancanza
di contribuzione, atteso che lo Stato, nel momento in cui è dato
re di lavoro, è anche assicuratore e quindi non vi è nella specie il materiale trasferimento dei contributi del datore di lavoro al
l'assicuratore.
Sostiene, quindi l'Inpdai che il periodo de quo, avendo già da
to luogo a trattamento pensionistico, non può essere considerato
utile ai fini del diritto e della determinazione della pensione nel
l'assicurazione generale obbligatoria, altrimenti darebbe luogo ad
una duplicazione di prestazioni. Con il secondo motivo l'Inpdai denunzia «violazione a falsa
applicazione della 1. 322/58 (art. 360, n. 3, c.p.c.), motivazione
insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della contro
versia».
Assume che il tribunale, attribuita alla pensione privilegiata del
Pontani natura risarcitoria, avrebbe dovuto quanto meno acco
gliere il secondo motivo di appello di esso istituto, concernente
l'applicazione della 1. 322/58, mentre i giudici di appello si erano
limitati ad affermare che il servizio di polizia prestato dal Ponta
ni non prevedeva una copertura assicurativa e che, pertanto, non
sussisteva alcuna posizione previdenziale da iscrivere ai sensi del
la citata 1. 322.
Entrambi i motivi di ricorso non sono fondati. Quanto al pri mo va affermato che l'art. 49 1. 30 aprile 1969 n. 153 recita te
stualmente: «i periodi di servizio militare e quelli equiparati... sono considerati utili a richiesta dell'interessato ai fini del diritto
e della determinazione della misura della pensione dell'assicura
zione generale obbligatoria per la invalidità , la vecchiaia e i su
perstiti, anche se tali periodi eccedono la durata del servizio di
leva e gli assicurati anteriormente all'inizio dei servizi predetti non possano far valere periodi di iscrizione nell'assicurazione
predetta». Al 2° comma soggiunge: «La disposizione di cui al precedente
comma non si applica nei confronti di coloro che abbiano presta
to o prestino servizio militare di carriera e nei confronti di coloro
in cui favore il periodo di servizio militare o assimilato sia stato
o possa venir riconosciuto ai fini di altro trattamento pensionisti
co sostitutivo dell'assicurazione generale obbligatoria».
Orbene, è dato rilevare che mentre il Pontani invoca a soste
gno della domanda il 10 comma dell'art. 49, pacificamente appli
cabile all'Inpdai ex art. 7 1. 15 marzo 1973 n. 144, secondo la
quale i periodi di servizio militare, cui è certamente riconducibi
le il servizio prestato nel corpo guardia di p.s., sono considerati
utili ai fini della determinazione della misura della pensione di
vecchiaia — come esattamente posto in luce dal tribunale — l'Inp
dai invoca il 2° comma del medesimo art. 49, in base al quale il computo non è consentito ove lo stesso periodo sia stato rico
nosciuto utile ai fini di altro trattamento pensionistico sostitutivo
dell'assicurazione generale obbligatoria. In particolare, l'Inpdai sostiene che la «pensione di privilegio»
goduta dal Pantani deve essere considerata assimilabile alla pen sione di invalidità, e tale da costituire per l'appunto un tratta
mento pensionistico sostitutivo.
Va osservato a tal uopo che il Tribunale di Milano ha eviden
ziato essere stata la suddetta pensione del Pontani posta a carico
della amministrazione di appartenenza (ministero dell'interno) e
rilasciata in stretta ed inequivoca connessione con l'invalidità con
tratta per causa di servizio, come risultava chiaramente dalla do
cumentazione esibita e non contestata, sicché il trattamento in
esame non poteva in alcun modo essere assimilato alla pensione di invalidità e costituire un trattamento pensionistico sostitutivo.
Il convincimento del tribunale può senz'altro essere condiviso, in quanto basato su una logica interpretazione della normativa
vigente. Nella fattispecie non sussiste il paventato timore che lo
stesso periodo venga considerato due volte ai fini pensionisitici.
Invero, come in genere è compatibile e quindi cumulabile con
trattamenti previdenziali la rendita per infortunio sul lavoro cor
risposta dall'Inail (vedi Cass. 18 luglio 1985, n. 4237, Foro it.,
Rep. 1985, voce Infortuni sul lavoro, n. 249), a maggior ragione deve ritenersi compatibile e cumulabile con altri trattamenti pen sionisitici la pensione privilegiata per invalidità contratta durante
il servizio militare (nel caso di specie contratta durante il servizio
di leva nella polizia di Stato). Trattasi in entrambi i casi di
Il Foro Italiano — 1989.
rendita che ha natura risarcitoria, ovvero, quanto meno, con pe
culiari caratteri, indennitaria e non già previdenziale come erro
neamente sostiente l'Inpdai.
Infatti, mentre nella pensione normale è il rapporto di lavoro,
ovvero il servizio prestato che rappresenta l'elemento costitutivo
del diritto, non solo sotto il profilo della determinazione quanti
tativa, ma anche sotto quello dei presupposti di insorgenza, nella
pensione privilegiata preminente rilievo viene dalla dottrina attri
buito, almeno sotto il profilo dell'insorgenza del diritto, alla cau
sa di servizio, intesa come elemento generatore della inabilità
assoluta, ovvero della diminuzione della capacità lavorativa del
dipendente o anche della di lui morte. Conseguentemente, anche
se — giusta l'evoluzione della giurisprudenza della Corte dei con
ti in materia — la predisposizione organica e costituzionale del
soggetto a contrarre l'infermità non è più di ostacolo al ricono
scimento del trattamento pensionistico privilegiato, allorché ven
ga però provato che il servizio ha aggravato o accelerato il decorso
della malattia di cui il dipendente era latente portatore, l'elemen
to qualificante della pensione privilegiata resta pur sempre, a norma
dell'art. 64 del t.u. sulle pensioni, quello in base al quale «le
infermità e le lesioni si considerano dipendenti da fatti di servizio
solo quando questi ne sono stati la causa, ovvero concausa effi
ciente e determinante».
E «fatti di servizio» sono quelli «derivanti dall'adempimento
di obblighi di servizio». Ciò posto, è evidente che, attesa la natura di una tale «pensio
ne di privilegio», essa non può essere assimilabile o assimilata — come sostiene invece l'Inpdai — alla pensione di invalidità,
che ha caratteristiche del tutto diverse.
La pensione privilegiata ha, per incontestabili ragioni di giusti
zia, la sua giustificazione e ragione d'essere nell'infermità con
tratta «per causa di servizio»; essa è legata cioè al servizio militare
prestato da stretto nesso eziologico, qualunque sia la durata del
servizio e la natura di esso (anche se non di ruolo, ovvero anche
non obbligatorio) e viene liquidata in base a particolari tabelle;
la pensione di invalidità, viceversa, è il risultato di un accerta
mento medico-legale circa la sussistenza o meno, in concreto, della
riduzione della capacità di guadagno del lavoratore, ma essa, pur
presupponendo l'esistenza del rapporto di lavoro, del relativo re
quisito contributivo, del superamento della soglia legale di invali
dità, non pone l'invalidità stessa in stretto nesso di derivazione
eziologica con il lavoro svolto, nel senso che non è richiesto che
l'infermità sia stata «causata» dall'attività lavorativa ma che si
sia verificata durante il rapporto di lavoro (art. 10 r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636).
Da qui la diversa natura delle due pensioni: risarcitoria quella
privilegiata; predivenziale quella derivata da invalidità permanente.
Pertanto, non potendo, per le suesposte considerazioni, essere
ritenuta la pensione privilegiata goduta dal Pontani «trattamento
pensionistico sostitutivo della assicurazione generale obbligatoria», come tale — ai sensi del 2° comma del citato art. 49 1. 153/69 — ostativa del computo del periodo del servizio militare prestato in polizia ai fini del diritto a pensione, va affermata nella fatti
specie l'applicabilità del 1° comma del menzionato art. 49.
Gli allievi guardia di p.s. arruolati in forza della 1. 1126/51 — come il Pontani — non fruivano dello status di pubblici di
pendenti ed il loro servizio non era considerato utile ai fini della
pensione. Ed è per porre rimedio a tanto che l'art. 49, 1° com
ma, 1. n. 153 del 1969 ha disposto che anche di tale servizio si
tenga conto ai fini del diritto e della determinazione della misura
della pensione. Il primo motivo di ricorso dell'Inpdai va, dunque, respinto.
Quanto al secondo motivo va osservato che l'art, unico 1. 2
aprile 1958 n. 322 recita testualmente: «In favore dei lavoratori
iscritti a forme obbligatorie di previdenza sostitutive dell'assicu
razione per invalidità, la vecchiaia e i superstiti o ad altri tratta
menti di previdenza che abbiano dato titolo all'esclusione di detta
assicurazione, dev'essere provveduto.... alla costituzione, per il
corrispondente periodo di iscrizione, della posizione assicurativa
nell'assicurazione obbligatoria... mediante versamento dei contri
buti determinati secondo le norme della predetta assicurazione».
Orbene, come esattamente evidenziato dal tribunale, in forza
della citata disposizione di legge, è possibile costituire una posi zione assicurativa nell'assicurazione generale obbligatoria mediante
il versamento dei contributi da parte dei lavoratori iscritti a for
me obbligatorie di previdenza; nel caso di specie, invece, il servi
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
zio in polizia prestato dal Pontani non prevedeva alcuna copertu ra assicurativa; conseguentemente non sussisteva e non sussiste alcuna posizione previdenziale da iscrivere ai sensi della citata 1. n. 322 del 1958.
Né tale legge poteva, comunque, essere applicata retroattiva
mente per situazioni già venute a consolidarsi prima della sua
emanazione, come nel caso di specie, avendo il Pontani termina to il periodo di servizio militare a fine ottobre 1956, giusta quan to accertato dai giudici di merito.
Anche il secondo motivo di ricorso va, perciò, respinto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 7 marzo
1987, n. 2420; Pres. Vela, Est. Carucci, P. M. Zema (conci,
conf.); Inail (Aw. Mancini, Lamanna) c. Sorci (Avv. Roc
ceiaa). Cassa Trib. Palermo 26 maggio 1983.
Infortuni sul lavoro — Prescrizione — Interruzione — Risarci
mento danni da reato — Responsabilità civile — Sentenza di
accoglimento della Corte costituzionale (Cost., art. 3, 136; cod.
civ., art. 2947; r.d. 17 agosto 1935 n. 1765, assicurazione ob
bligatoria degli infortuni sul lavoro, art. 4; 1. 11 marzo 1953
n. 87, norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
ccostituzionale, art. 27; d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, t.u. del
le disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infor
tuni sul lavoro e le malattie professionali, art. 10, 11, 112).
A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 9
marzo 1967 che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 10 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 (anche) nella parte relativa alla possibi lità del giudice civile di accertare la natura di fatto-reato del
l'infortunio sul lavoro solo nell'ipotesi di avvenuta pronuncia di. sentenza di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia e non anche nell'ipotesi di estinzione del reato
per prescrizione, la prescrizione triennale cui, ai sensi dell'ulti
mo comma dell'art. 112 del citato decreto (che richiama la nor
ma dichiarata parzialmente incostituzionale), è soggetta l'azione
di regresso dell'Inail, decorre, anche nell'ipotesi dell'estinzione
del reato per prescrizione, dalla relativa sentenza di proscio
glimento. (1)
(1) Conf. Cass. 2 aprile 1987, n. 3189, Foro it., Rep. 1987, voce Infor tuni sul lavoro, n. 261, che, nell'interpretare l'ultimo comma dell'art. 112 d.p.r. 1124/65, distingue tra termine triennale di decadenza per la domanda del lavoratore infortunato (o dei suoi superstiti) volta a conse
guire la condanna del datore di lavoro all'integrale risarcimento del dan
no, e termine, anch'esso triennale, ma di prescrizione, per l'esercizio da
parte dell'Inail dell'azione di regresso nei confronti del datore di lavoro.
Sulla natura prescrizionale o decadenziale di tale ultimo termine la giu
risprudenza non è costante. Cfr., nel primo senso, Cass. 9 aprile 1987, n. 3526, ibid., n. 260; 23 giugno 1986, n. 4175, ibid., n. 255; 25 marzo
1986, n. 2133, id., Rep. 1986, voce cit., n. 269; Trib. Savona 11 novem bre 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 258 (e in Dir. e pratica assic., 1987, 113, con nota di A.G.B. Rosso); Pret. Grosseto 23 dicembre 1985, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n, 254; Pret. Roma 24 giugno 1985, ibid., n. 270; nel secondo senso si vedano: Cass. 29 gennaio 1985, n. 502, ibid., n. 267; Pret. Lodi 16 settembre 1985, id., Rep. 1987, voce cit., n. 269.
Anche sul termine a quo di decorrenza della prescrizione la giurispru denza non è unitaria. Nel senso che, ove la sentenza penale dichiari estin to per prescrizione il reato (nella fattispecie si trattava di derubricazione
del titolo del reato contestato) l'azione di risarcimento sia esercitabile
nei termini ordinari di prescrizione decorrenti dalla pubblicazione della
sentenza penale, v. Cass. 17 maggio 1985, n. 3013, id., 1986, I, 159, con nota di richiami.
In dottrina, sulla responsabilità del datore di lavoro in materia di in
fortunistica, v. S. Ghimpu, La responsabilità del datore di lavoro in ma
teria di infortuni sul lavoro, in Informazione prev., 1987, 9; A. Pignataro,
Responsabilità civile del datore di lavoro ai sensi dell'art. 10 t.u. n. 1124
del 1965, in Riv. infortuni, 1984, II, 120; G. Marando, Problemi vecchi
e nuovi in tema di responsabilità del datore di lavoro per infortunio sul
lavoro: prescrizione e decadenza; il fatto-reato perseguibile d'ufficio e
la legge n. 689/81, in Resp. civ., 1984, 593.
Più in particolare, sulla prescrizione dell'azione civile per il risarcimen
to del danno: F. Pontonio, Della decorrenza della prescrizione civile nel
II Foro Italiano — 1989.
Svolgimento del processo. — Il 4 luglio 1972 Francesco Di Maio, lavorando alle dipendenze di Antonio Sorci quale carpentiere nel
la costruzione di un edificio, precipitava dalla quarta elevazione
fuori terra riportando gravi lesioni. Per l'infortunio l'Inail eroga va le prestazioni di legge. Il processo penale a carico del Sorci,
imputato di lesioni colpose per aver omesso l'installazione del
parapetto dell'impalcatura e per non aver dato al Di Maio la
prescritta cintura di sicurezza, era definito con sentenza del 12
febbraio 1981 della Corte di cassazione, dichiarativa dell'estinzio
ne del reato per prescrizione. Con ricorso al Pretore del Lavoro di Palermo depositato il 12
marzo 1982 l'Inail agiva in regresso contro il Sorci, ai sensi degli art. 10 e 11 t.u. 30 giugno 1965 n. 1124, per conseguire il rimbor
so delle prestazioni in lire 90.729.000. Con sentenza del 7 ottobre
1982 il Pretore, disattendendo l'eccezione di prescrizione e quelle di merito sollevate dal Sorci e ritenendo altresì infondata una
eccezione di illegittimità costituzionale, accoglieva la domanda del
l'Inail. Proponeva appello il Sorci, deducendo cinque motivi di rifor
ma, il primo dei quali concernente la già sollevata questione di
legittimità costituzionale degli art. 10 e 11 del citato testo unico
(in relazione all'art. 3 Cost.), nella parte in cui modificavano il
regime della prescrizione civile, stabilendo — a seguito della sen
tenza della Corte costituzionale n. 22 del 1967 (Foro it., 1967,
I, 683) — che anche per l'ipotesi di estinzione del reato per pre scrizione il termine della prescrizione civile decorresse dalla sen
tenza penale relativa.
Con sentenza del 19 settembre 1983 il Tribunale di Palermo
rigettava la domanda dell'Inail, dichiarando prescritta l'azione
di regresso. Assumeva il tribunale che con l'innovazione aggiun tiva apportata all'art. 10 del testo unico dalla sentenza 9 marzo
1967, n. 22, dichiarativa della illegittimità costituzionale di detto
articolo nella parte in cui non considerava anche l'ipotesi di pre scrizione del reato (accanto a quelle della morte dell'imputato e dell'amnistia), si era determinata una discrasia nel regime della
prescrizione civile, che mentre per l'art. 2947 c.c. viene solo fatta
coincidere con quella stabilita per il reato, senza effetti sull'inizio
della sua decorrenza (invece spostata in avanti quando si tratti
di reato estinto per amnistia o morte dell'imputato), per l'art.
10 come sopra modificato viene invece irrazionalmente trattata
alla stessa stregua di queste ultime ipotesi, in violazione del prin
cipio di uguaglianza. Superava tuttavia il tribunale l'insortogli
sospetto di incostituzionalità della norma nel testo cosi risultante,
interpretandola «nel senso che il meccanismo di protrazione della
azione di regresso e della relativa prescrizione operi se ed in quanto
l'Inail, pendente il procedimento penale, abbia compiuto atti in
terruttivi», interpretazione che si imponeva come quella che ri
conciliava la norma stessa col principio costituzionale di
uguaglianza e con la regola generale del codice civile. Non aven
do l'Inail posto in essere atti interruttivi (all'infuori della richie
sta di pagamento del 6 febbraio 1973), la prescrizione era
l'ipotesi di reato perseguibile su querela di parte, in Dir. e pratica assic., 1987, 249; G.P. Vianello, Il regime della prescrizione del diritto dell'as sicurato datore di lavoro nell'assicurazione della responsabilità civile ver so l'infortunato, o i suoi eredi, e verso le ragioni di rivalsa dell'ente
previdenziale infortuni (Inail), id., 1986, 134; M. Persiani, Rischio pro fessionale e regresso dell'Inail, in Mass. giur. lav., 1986, 571; V. Varese, Il regime della prescrizione nell'assicurazione sociale contro i rischi pro fessionali, in Riv. giur. lav., 1985, III, 249; D. Ferrato, Sulla prescrizio ne del diritto ai danni da reato prescritto, in Arch, lav., 1985, 1981.
La sentenza della Corte costituzionale n. 22/67, richiamata in motiva
zione, avendo sancito l'illegittimità dell'art. 10 d.p.r. 1124/65 «nella par te in cui»..., è da annoverare fra le sentenze accoglimento parziale di
tipo additivo. Sulla natura e gli effetti di tali sentenze si vedano in gene rale le più recenti rassegne curate per questa rivista da Pizzorusso. In
particolare L'attività della Corte costituzionale nella sessione 1986-87, in
Foro it., 1987, V, 449. Dello stesso autore si veda lo scritto Las senten
cias «manipulativas» del Tribunal Constitucional italiano, in AA. VV., El Tribunal Constitutional, Madrid, 1981, I, 257-293, nonché F. Rubio
Llorente, Constitutional jurisdiction as law-making, in AA. VV., Law
in the making: a comparative survey, Springer, Berlin, 1988, 156, spec. 174. Per ulteriori riferimenti, v. P. Faizea, In tema di sentenze di acogli meato parziale, in Giur. costit., 1986, I, 2600 ss.; L. Elia, Le sentenze additive e la più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in Scritti
in onore di V. Crisafulli, Padova, 1985, I, 299.
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