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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 26 novembre 1987, n....

Date post: 30-Jan-2017
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sezione lavoro; sentenza 26 novembre 1987, n. 8753; Pres. Zappulli, Est. Giustiniani, P. M. Visalli (concl. conf.); Inpdai (Avv. Capaccioli, Di Pasquale) c. Pontani (Avv. Ciabattini, Proverbio). Conferma Trib. Milano 27 marzo 1985 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 205/206-209/210 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183750 . Accessed: 25/06/2014 07:00 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.109 on Wed, 25 Jun 2014 07:00:59 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 26 novembre 1987, n. 8753; Pres. Zappulli, Est. Giustiniani, P. M.Visalli (concl. conf.); Inpdai (Avv. Capaccioli, Di Pasquale) c. Pontani (Avv. Ciabattini,Proverbio). Conferma Trib. Milano 27 marzo 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 205/206-209/210Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183750 .

Accessed: 25/06/2014 07:00

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

no, in quanto già decisa negativamente dalla sentenza di primo

grado, non impugnata sul punto. Osserva questa corte che la sentenza di primo grado aveva ac

cennato alla natura pubblicistica del concordato come ostativa

all'applicazione della normativa sull'equo canone, ma, al tempo stesso e contraddittoriamente, aveva ritenuto che il liquidatore avesse i poteri di locare l'immobile sotto il profilo privatistico e di invitare di conseguenza il conduttore all'esercizio del diritto

di prelazione. In sede di appello contro la decisione di primo grado gli attuali

ricorrenti si limitarono a criticare la sentenza laddove riteneva

esistente il potere del commissario liquidatore di addivenire a con

trattazione consensuale privata. In considerazione del contenuto della prima decisione, non sem

bra che si sia formato un giudicato interno sulla questione attual

mente riproposta dai ricorrenti, che, pur nella contraddittoria

enunciazione della sentenza impugnata, non erano tuttavia rima

sti soccombenti sul punto della controversia, altrimenti risolta.

Ciò posto, deve però rilevarsi che non esattamente viene invo

cata l'analogia fra l'ipotesi di fallimento del locatore e la situa

zione di concordato preventivo. Mentre, infatti, per la prima

l'attività svolta dagli organi fallimentari è diretta a finalità pub

blicistiche e non può soffrire impedimenti da norme regolanti rap

porti privatistici, diverso è il caso del concordato preventivo, che

importa una situazione di origine convenzionale, che non esclude

la libera determinazione del proprietario di addivenire al trasferi

mento dell'immobile sotto il profilo privatistico, attraverso il li

quidatore, nell'osservanza delle norme regolanti l'istituto della

prelazione commerciale.

Deve quindi essere rigettato il ricorso.

II

Svolgimento del processo. — In data 25 giugno 1980 i coniugi

Falcina Francesco e Piergrossi Fernanda, conduttori di un locale

sito in Brescia, adibito a bar, convenivano in giudizio Spalinger

Mario e Ferdinando, dinanzi al Tribunale di Brescia, e — pre

messo che Ghidini Giulia, proprietaria dell'intero edificio e loca

trice del vano, senza provvedere alla comunicazione di cui all'art.

38 1. n. 392 del 1978, aveva venduto l'intero edificio agli Spalin

ger; e che intendevano esercitare il diritto di riscatto ai sensi e

per gli effetti di cui all'art. 39 di detta normativa — chiedevano

che il giudice adito disponesse il trasferimento a loro favore del

l'ambiente locato, al prezzo di lire 15.000.000, o di altra somma

ritenuta congrua. I convenuti opponevano di aver proceduto ad una permuta e

il tribunale rigettava la domanda sul rilievo che il riscatto trovava

applicazione nella sola ipotesi di «compravendita» dell'immobile

locato; il successivo 21 febbraio 1983 la Corte d'appello di Bre

scia, giudicando sulla impugnazione del Bini, confermava la deci

sione di primo grado. Contro la sentenza i Falcina hanno proposto ricorso, deducen

do un motivo articolato in una serie di argomentazioni, contesta

te dagli Spalinger nel controricorso.

Motivi della decisione. — Il ricorso, nell'assumere l'avvenuta

violazione degli art. 38 e 39 della normativa sull'equo canone

(1. n. 392 del 1978), addebita alla corte di Brescia di non aver

considerato che anche la permuta è un contratto a titolo oneroso,

come tale rientrante nelle previsioni di dette norme, le quali ap

punto prevedono l'esercizio della prelazione e del riscatto in oc

casione dei trasferimenti a titolo oneroso, senza porre altri limiti,

onde non si giustifica l'interpretazione restrittiva data dalla nor

ma nella sentenza.

La censura è infondata. L'art. 38 1. n. 392 del 1978, dopo

aver premesso al 1° comma che il diritto di prelazione può essere

esercitato nell'ipotesi di trasferimento a «titolo oneroso» dell'im

mobile locato, al 2° comma, nel prescrivere le formalità necessa

rie per il valido esercizio del diritto, si riferisce esclusivamente

alla «compravendita», termine questo che trova riscontro nel 4°

comma, allorché vengono disciplinate le modalità per il versa

mento del «prezzo di acquisto».

Trattasi di termini di chiaro significato, i quali indicano l'in tento di restringere l'ambito della prelazione, e quindi del corre

lativo riscatto, alle ipotesi di vendita dell'immobile locato.

Il Foro Italiano — 1989.

Va aggiunto che gli istituti della prelazione e del riscatto costi

tuiscono limitazioni delle facoltà del proprietario, normalmente

nel pieno diritto di disporre liberamente dei propri beni; di conse

guenza non sono ipotizzabili interpretazioni analogiche od esten

sive del testo di legge. Cosi delimitato l'ambito di applicazione delle norme sulla pre

lazione e sul riscatto, ogni altra questione dedotta nel ricorso va

ritenuta assorbita, non senza rilevare, come giustamente osserva

l'impugnata sentenza, che in ogni caso, nell'ipotesi di permuta, il conduttore non potrebbe mai offrire condizioni «eguali» a quelle offerte dal terzo permutante, non essendo in grado di offrire il

bene da costui dato in cambio, per la semplice ragione che di

quel bene egli non è proprietario: e l'art. 38 invece prescrive che

il conduttore deve offrire «condizioni eguali a quelle comuni

categli». All'ulteriore argomentazione contenuta nel ricorso, secondo la

quale nel contratto di permuta era stata prevista la corresponsio ne di un conguaglio in danaro, bene fungibile, va contrapposto che — secondo la ricostruzione insindacabilmente operata dai giu dici del merito — nell'intento delle parti il motivo essenziale del

negozio era costituito dal reciproco trasferimento della proprietà

di immobili (una vecchia costruzione sita al centro della città in

cambio di altro edificio costruito in zona periferica) mentre il

ricorso al conguaglio (ammontante a soli trenta milioni di fronte

ad un valore complessivo di lire 200.000.000) costituiva un mero

rimedio per ovviare alla differenza di valore, non idoneo, per

la sua marginalità, a modificare la natura e la disciplina del con

tratto, quindi delle sue conseguenze. Per le ragioni esposte, il ricorso va rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 26 novem

bre 1987, n. 8753; Pres. Zappulli, Est. Giustiniani, P. M.

Visalli (conci, conf.); Inpdai (Avv. Capaccioli, Di Pasquale)

c. Pontani (Aw. Ciabattini, Proverbio). Conferma Trib. Mi

lano 27 marzo 1985.

Previdenza sociale — Pensione privilegiata per invalidità contrat

ta a causa di servizio — Cumulabilità con altre pensioni (L.

30 aprile 1969 n. 153, revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale, art. 49).

La pensione privilegiata per invalidità contratta durante il servi

zio militare (nella specie: durante il servizio di leva nella polizia

di Stato) è cumulabile con altri trattamenti pensionistici. (1)

Motivi della decisione. — Con il primo motivo l'Inpdai denun

zia violazione dell'art. 49, 2° comma, 1. 153/69, della 1. 322/58

(art. 360, n. 3 c.p.c.), nonché omessa motivazione (art. 360, n.

5, c.p.c.). L'Inpdai sostiene che erroneamente il Tribunale di Milano ha

escluso la natura previdenziale della pensione privilegiata per l'in

validità contratta a causa di servizio, come goduta dal Pontani,

attribuendo ad essa esclusivamente carattere indennitario.

Ad avviso dell'istituto, il fine indennitario, che pure in essa

è indubbiamente presente, non può, viceversa, modificarne la na

tura, perché anche la pensione privilegiata trova il suo indefetti

(1) La sentenza esclude il carattere previdenziale della pensione c.d.

«di privilegio», ritenendo che essa si qualifica per il fine risarcitorio di

una infermità contratta per causa di servizio e non per quello, previden

ziale, di temperare la diminuita capacità di guadagno del lavoratore, ri

sultante, ai fini della pensione di invalidità, da un accertamento medico

ma non necessariamente legata da un nesso eziologico alla causa di lavo

ro. Cfr., in termini, Cass. 9 maggio 1983, n. 3168, Foro it., Rep. 1983,

voce Previdenza sociale, n. 312.

Sul cumulo di trattamenti, v., da ultimo, Cass. 2 marzo 1987, n. 2208,

id., 1988, I, 1654, con nota di richiami.

Sull'art. 49 1. 153 del 1969, v. inoltre Corte cost. 9 giugno 1977, n.

113, id., 1977, I, 2101, con nota di richiami, e, nella giurisprudenza di

merito, Trib. Padova 17 aprile 1972, id., 1972, I, 2658, con nota di ri

chiami.

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PARTE PRIMA

bile presupposto nel rapporto di dipendenza e l'infermità deter

mina soltanto un aumento del quantum, senza che in essa trovi

ingresso alcuna vera istanza risarcitoria. Altrettanto erroneo è,

secondo l'Inpdai, quanto asserito dal tribunale circa la mancanza

di contribuzione, atteso che lo Stato, nel momento in cui è dato

re di lavoro, è anche assicuratore e quindi non vi è nella specie il materiale trasferimento dei contributi del datore di lavoro al

l'assicuratore.

Sostiene, quindi l'Inpdai che il periodo de quo, avendo già da

to luogo a trattamento pensionistico, non può essere considerato

utile ai fini del diritto e della determinazione della pensione nel

l'assicurazione generale obbligatoria, altrimenti darebbe luogo ad

una duplicazione di prestazioni. Con il secondo motivo l'Inpdai denunzia «violazione a falsa

applicazione della 1. 322/58 (art. 360, n. 3, c.p.c.), motivazione

insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della contro

versia».

Assume che il tribunale, attribuita alla pensione privilegiata del

Pontani natura risarcitoria, avrebbe dovuto quanto meno acco

gliere il secondo motivo di appello di esso istituto, concernente

l'applicazione della 1. 322/58, mentre i giudici di appello si erano

limitati ad affermare che il servizio di polizia prestato dal Ponta

ni non prevedeva una copertura assicurativa e che, pertanto, non

sussisteva alcuna posizione previdenziale da iscrivere ai sensi del

la citata 1. 322.

Entrambi i motivi di ricorso non sono fondati. Quanto al pri mo va affermato che l'art. 49 1. 30 aprile 1969 n. 153 recita te

stualmente: «i periodi di servizio militare e quelli equiparati... sono considerati utili a richiesta dell'interessato ai fini del diritto

e della determinazione della misura della pensione dell'assicura

zione generale obbligatoria per la invalidità , la vecchiaia e i su

perstiti, anche se tali periodi eccedono la durata del servizio di

leva e gli assicurati anteriormente all'inizio dei servizi predetti non possano far valere periodi di iscrizione nell'assicurazione

predetta». Al 2° comma soggiunge: «La disposizione di cui al precedente

comma non si applica nei confronti di coloro che abbiano presta

to o prestino servizio militare di carriera e nei confronti di coloro

in cui favore il periodo di servizio militare o assimilato sia stato

o possa venir riconosciuto ai fini di altro trattamento pensionisti

co sostitutivo dell'assicurazione generale obbligatoria».

Orbene, è dato rilevare che mentre il Pontani invoca a soste

gno della domanda il 10 comma dell'art. 49, pacificamente appli

cabile all'Inpdai ex art. 7 1. 15 marzo 1973 n. 144, secondo la

quale i periodi di servizio militare, cui è certamente riconducibi

le il servizio prestato nel corpo guardia di p.s., sono considerati

utili ai fini della determinazione della misura della pensione di

vecchiaia — come esattamente posto in luce dal tribunale — l'Inp

dai invoca il 2° comma del medesimo art. 49, in base al quale il computo non è consentito ove lo stesso periodo sia stato rico

nosciuto utile ai fini di altro trattamento pensionistico sostitutivo

dell'assicurazione generale obbligatoria. In particolare, l'Inpdai sostiene che la «pensione di privilegio»

goduta dal Pantani deve essere considerata assimilabile alla pen sione di invalidità, e tale da costituire per l'appunto un tratta

mento pensionistico sostitutivo.

Va osservato a tal uopo che il Tribunale di Milano ha eviden

ziato essere stata la suddetta pensione del Pontani posta a carico

della amministrazione di appartenenza (ministero dell'interno) e

rilasciata in stretta ed inequivoca connessione con l'invalidità con

tratta per causa di servizio, come risultava chiaramente dalla do

cumentazione esibita e non contestata, sicché il trattamento in

esame non poteva in alcun modo essere assimilato alla pensione di invalidità e costituire un trattamento pensionistico sostitutivo.

Il convincimento del tribunale può senz'altro essere condiviso, in quanto basato su una logica interpretazione della normativa

vigente. Nella fattispecie non sussiste il paventato timore che lo

stesso periodo venga considerato due volte ai fini pensionisitici.

Invero, come in genere è compatibile e quindi cumulabile con

trattamenti previdenziali la rendita per infortunio sul lavoro cor

risposta dall'Inail (vedi Cass. 18 luglio 1985, n. 4237, Foro it.,

Rep. 1985, voce Infortuni sul lavoro, n. 249), a maggior ragione deve ritenersi compatibile e cumulabile con altri trattamenti pen sionisitici la pensione privilegiata per invalidità contratta durante

il servizio militare (nel caso di specie contratta durante il servizio

di leva nella polizia di Stato). Trattasi in entrambi i casi di

Il Foro Italiano — 1989.

rendita che ha natura risarcitoria, ovvero, quanto meno, con pe

culiari caratteri, indennitaria e non già previdenziale come erro

neamente sostiente l'Inpdai.

Infatti, mentre nella pensione normale è il rapporto di lavoro,

ovvero il servizio prestato che rappresenta l'elemento costitutivo

del diritto, non solo sotto il profilo della determinazione quanti

tativa, ma anche sotto quello dei presupposti di insorgenza, nella

pensione privilegiata preminente rilievo viene dalla dottrina attri

buito, almeno sotto il profilo dell'insorgenza del diritto, alla cau

sa di servizio, intesa come elemento generatore della inabilità

assoluta, ovvero della diminuzione della capacità lavorativa del

dipendente o anche della di lui morte. Conseguentemente, anche

se — giusta l'evoluzione della giurisprudenza della Corte dei con

ti in materia — la predisposizione organica e costituzionale del

soggetto a contrarre l'infermità non è più di ostacolo al ricono

scimento del trattamento pensionistico privilegiato, allorché ven

ga però provato che il servizio ha aggravato o accelerato il decorso

della malattia di cui il dipendente era latente portatore, l'elemen

to qualificante della pensione privilegiata resta pur sempre, a norma

dell'art. 64 del t.u. sulle pensioni, quello in base al quale «le

infermità e le lesioni si considerano dipendenti da fatti di servizio

solo quando questi ne sono stati la causa, ovvero concausa effi

ciente e determinante».

E «fatti di servizio» sono quelli «derivanti dall'adempimento

di obblighi di servizio». Ciò posto, è evidente che, attesa la natura di una tale «pensio

ne di privilegio», essa non può essere assimilabile o assimilata — come sostiene invece l'Inpdai — alla pensione di invalidità,

che ha caratteristiche del tutto diverse.

La pensione privilegiata ha, per incontestabili ragioni di giusti

zia, la sua giustificazione e ragione d'essere nell'infermità con

tratta «per causa di servizio»; essa è legata cioè al servizio militare

prestato da stretto nesso eziologico, qualunque sia la durata del

servizio e la natura di esso (anche se non di ruolo, ovvero anche

non obbligatorio) e viene liquidata in base a particolari tabelle;

la pensione di invalidità, viceversa, è il risultato di un accerta

mento medico-legale circa la sussistenza o meno, in concreto, della

riduzione della capacità di guadagno del lavoratore, ma essa, pur

presupponendo l'esistenza del rapporto di lavoro, del relativo re

quisito contributivo, del superamento della soglia legale di invali

dità, non pone l'invalidità stessa in stretto nesso di derivazione

eziologica con il lavoro svolto, nel senso che non è richiesto che

l'infermità sia stata «causata» dall'attività lavorativa ma che si

sia verificata durante il rapporto di lavoro (art. 10 r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636).

Da qui la diversa natura delle due pensioni: risarcitoria quella

privilegiata; predivenziale quella derivata da invalidità permanente.

Pertanto, non potendo, per le suesposte considerazioni, essere

ritenuta la pensione privilegiata goduta dal Pontani «trattamento

pensionistico sostitutivo della assicurazione generale obbligatoria», come tale — ai sensi del 2° comma del citato art. 49 1. 153/69 — ostativa del computo del periodo del servizio militare prestato in polizia ai fini del diritto a pensione, va affermata nella fatti

specie l'applicabilità del 1° comma del menzionato art. 49.

Gli allievi guardia di p.s. arruolati in forza della 1. 1126/51 — come il Pontani — non fruivano dello status di pubblici di

pendenti ed il loro servizio non era considerato utile ai fini della

pensione. Ed è per porre rimedio a tanto che l'art. 49, 1° com

ma, 1. n. 153 del 1969 ha disposto che anche di tale servizio si

tenga conto ai fini del diritto e della determinazione della misura

della pensione. Il primo motivo di ricorso dell'Inpdai va, dunque, respinto.

Quanto al secondo motivo va osservato che l'art, unico 1. 2

aprile 1958 n. 322 recita testualmente: «In favore dei lavoratori

iscritti a forme obbligatorie di previdenza sostitutive dell'assicu

razione per invalidità, la vecchiaia e i superstiti o ad altri tratta

menti di previdenza che abbiano dato titolo all'esclusione di detta

assicurazione, dev'essere provveduto.... alla costituzione, per il

corrispondente periodo di iscrizione, della posizione assicurativa

nell'assicurazione obbligatoria... mediante versamento dei contri

buti determinati secondo le norme della predetta assicurazione».

Orbene, come esattamente evidenziato dal tribunale, in forza

della citata disposizione di legge, è possibile costituire una posi zione assicurativa nell'assicurazione generale obbligatoria mediante

il versamento dei contributi da parte dei lavoratori iscritti a for

me obbligatorie di previdenza; nel caso di specie, invece, il servi

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

zio in polizia prestato dal Pontani non prevedeva alcuna copertu ra assicurativa; conseguentemente non sussisteva e non sussiste alcuna posizione previdenziale da iscrivere ai sensi della citata 1. n. 322 del 1958.

Né tale legge poteva, comunque, essere applicata retroattiva

mente per situazioni già venute a consolidarsi prima della sua

emanazione, come nel caso di specie, avendo il Pontani termina to il periodo di servizio militare a fine ottobre 1956, giusta quan to accertato dai giudici di merito.

Anche il secondo motivo di ricorso va, perciò, respinto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 7 marzo

1987, n. 2420; Pres. Vela, Est. Carucci, P. M. Zema (conci,

conf.); Inail (Aw. Mancini, Lamanna) c. Sorci (Avv. Roc

ceiaa). Cassa Trib. Palermo 26 maggio 1983.

Infortuni sul lavoro — Prescrizione — Interruzione — Risarci

mento danni da reato — Responsabilità civile — Sentenza di

accoglimento della Corte costituzionale (Cost., art. 3, 136; cod.

civ., art. 2947; r.d. 17 agosto 1935 n. 1765, assicurazione ob

bligatoria degli infortuni sul lavoro, art. 4; 1. 11 marzo 1953

n. 87, norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte

ccostituzionale, art. 27; d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, t.u. del

le disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infor

tuni sul lavoro e le malattie professionali, art. 10, 11, 112).

A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 9

marzo 1967 che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 10 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 (anche) nella parte relativa alla possibi lità del giudice civile di accertare la natura di fatto-reato del

l'infortunio sul lavoro solo nell'ipotesi di avvenuta pronuncia di. sentenza di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia e non anche nell'ipotesi di estinzione del reato

per prescrizione, la prescrizione triennale cui, ai sensi dell'ulti

mo comma dell'art. 112 del citato decreto (che richiama la nor

ma dichiarata parzialmente incostituzionale), è soggetta l'azione

di regresso dell'Inail, decorre, anche nell'ipotesi dell'estinzione

del reato per prescrizione, dalla relativa sentenza di proscio

glimento. (1)

(1) Conf. Cass. 2 aprile 1987, n. 3189, Foro it., Rep. 1987, voce Infor tuni sul lavoro, n. 261, che, nell'interpretare l'ultimo comma dell'art. 112 d.p.r. 1124/65, distingue tra termine triennale di decadenza per la domanda del lavoratore infortunato (o dei suoi superstiti) volta a conse

guire la condanna del datore di lavoro all'integrale risarcimento del dan

no, e termine, anch'esso triennale, ma di prescrizione, per l'esercizio da

parte dell'Inail dell'azione di regresso nei confronti del datore di lavoro.

Sulla natura prescrizionale o decadenziale di tale ultimo termine la giu

risprudenza non è costante. Cfr., nel primo senso, Cass. 9 aprile 1987, n. 3526, ibid., n. 260; 23 giugno 1986, n. 4175, ibid., n. 255; 25 marzo

1986, n. 2133, id., Rep. 1986, voce cit., n. 269; Trib. Savona 11 novem bre 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 258 (e in Dir. e pratica assic., 1987, 113, con nota di A.G.B. Rosso); Pret. Grosseto 23 dicembre 1985, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n, 254; Pret. Roma 24 giugno 1985, ibid., n. 270; nel secondo senso si vedano: Cass. 29 gennaio 1985, n. 502, ibid., n. 267; Pret. Lodi 16 settembre 1985, id., Rep. 1987, voce cit., n. 269.

Anche sul termine a quo di decorrenza della prescrizione la giurispru denza non è unitaria. Nel senso che, ove la sentenza penale dichiari estin to per prescrizione il reato (nella fattispecie si trattava di derubricazione

del titolo del reato contestato) l'azione di risarcimento sia esercitabile

nei termini ordinari di prescrizione decorrenti dalla pubblicazione della

sentenza penale, v. Cass. 17 maggio 1985, n. 3013, id., 1986, I, 159, con nota di richiami.

In dottrina, sulla responsabilità del datore di lavoro in materia di in

fortunistica, v. S. Ghimpu, La responsabilità del datore di lavoro in ma

teria di infortuni sul lavoro, in Informazione prev., 1987, 9; A. Pignataro,

Responsabilità civile del datore di lavoro ai sensi dell'art. 10 t.u. n. 1124

del 1965, in Riv. infortuni, 1984, II, 120; G. Marando, Problemi vecchi

e nuovi in tema di responsabilità del datore di lavoro per infortunio sul

lavoro: prescrizione e decadenza; il fatto-reato perseguibile d'ufficio e

la legge n. 689/81, in Resp. civ., 1984, 593.

Più in particolare, sulla prescrizione dell'azione civile per il risarcimen

to del danno: F. Pontonio, Della decorrenza della prescrizione civile nel

II Foro Italiano — 1989.

Svolgimento del processo. — Il 4 luglio 1972 Francesco Di Maio, lavorando alle dipendenze di Antonio Sorci quale carpentiere nel

la costruzione di un edificio, precipitava dalla quarta elevazione

fuori terra riportando gravi lesioni. Per l'infortunio l'Inail eroga va le prestazioni di legge. Il processo penale a carico del Sorci,

imputato di lesioni colpose per aver omesso l'installazione del

parapetto dell'impalcatura e per non aver dato al Di Maio la

prescritta cintura di sicurezza, era definito con sentenza del 12

febbraio 1981 della Corte di cassazione, dichiarativa dell'estinzio

ne del reato per prescrizione. Con ricorso al Pretore del Lavoro di Palermo depositato il 12

marzo 1982 l'Inail agiva in regresso contro il Sorci, ai sensi degli art. 10 e 11 t.u. 30 giugno 1965 n. 1124, per conseguire il rimbor

so delle prestazioni in lire 90.729.000. Con sentenza del 7 ottobre

1982 il Pretore, disattendendo l'eccezione di prescrizione e quelle di merito sollevate dal Sorci e ritenendo altresì infondata una

eccezione di illegittimità costituzionale, accoglieva la domanda del

l'Inail. Proponeva appello il Sorci, deducendo cinque motivi di rifor

ma, il primo dei quali concernente la già sollevata questione di

legittimità costituzionale degli art. 10 e 11 del citato testo unico

(in relazione all'art. 3 Cost.), nella parte in cui modificavano il

regime della prescrizione civile, stabilendo — a seguito della sen

tenza della Corte costituzionale n. 22 del 1967 (Foro it., 1967,

I, 683) — che anche per l'ipotesi di estinzione del reato per pre scrizione il termine della prescrizione civile decorresse dalla sen

tenza penale relativa.

Con sentenza del 19 settembre 1983 il Tribunale di Palermo

rigettava la domanda dell'Inail, dichiarando prescritta l'azione

di regresso. Assumeva il tribunale che con l'innovazione aggiun tiva apportata all'art. 10 del testo unico dalla sentenza 9 marzo

1967, n. 22, dichiarativa della illegittimità costituzionale di detto

articolo nella parte in cui non considerava anche l'ipotesi di pre scrizione del reato (accanto a quelle della morte dell'imputato e dell'amnistia), si era determinata una discrasia nel regime della

prescrizione civile, che mentre per l'art. 2947 c.c. viene solo fatta

coincidere con quella stabilita per il reato, senza effetti sull'inizio

della sua decorrenza (invece spostata in avanti quando si tratti

di reato estinto per amnistia o morte dell'imputato), per l'art.

10 come sopra modificato viene invece irrazionalmente trattata

alla stessa stregua di queste ultime ipotesi, in violazione del prin

cipio di uguaglianza. Superava tuttavia il tribunale l'insortogli

sospetto di incostituzionalità della norma nel testo cosi risultante,

interpretandola «nel senso che il meccanismo di protrazione della

azione di regresso e della relativa prescrizione operi se ed in quanto

l'Inail, pendente il procedimento penale, abbia compiuto atti in

terruttivi», interpretazione che si imponeva come quella che ri

conciliava la norma stessa col principio costituzionale di

uguaglianza e con la regola generale del codice civile. Non aven

do l'Inail posto in essere atti interruttivi (all'infuori della richie

sta di pagamento del 6 febbraio 1973), la prescrizione era

l'ipotesi di reato perseguibile su querela di parte, in Dir. e pratica assic., 1987, 249; G.P. Vianello, Il regime della prescrizione del diritto dell'as sicurato datore di lavoro nell'assicurazione della responsabilità civile ver so l'infortunato, o i suoi eredi, e verso le ragioni di rivalsa dell'ente

previdenziale infortuni (Inail), id., 1986, 134; M. Persiani, Rischio pro fessionale e regresso dell'Inail, in Mass. giur. lav., 1986, 571; V. Varese, Il regime della prescrizione nell'assicurazione sociale contro i rischi pro fessionali, in Riv. giur. lav., 1985, III, 249; D. Ferrato, Sulla prescrizio ne del diritto ai danni da reato prescritto, in Arch, lav., 1985, 1981.

La sentenza della Corte costituzionale n. 22/67, richiamata in motiva

zione, avendo sancito l'illegittimità dell'art. 10 d.p.r. 1124/65 «nella par te in cui»..., è da annoverare fra le sentenze accoglimento parziale di

tipo additivo. Sulla natura e gli effetti di tali sentenze si vedano in gene rale le più recenti rassegne curate per questa rivista da Pizzorusso. In

particolare L'attività della Corte costituzionale nella sessione 1986-87, in

Foro it., 1987, V, 449. Dello stesso autore si veda lo scritto Las senten

cias «manipulativas» del Tribunal Constitucional italiano, in AA. VV., El Tribunal Constitutional, Madrid, 1981, I, 257-293, nonché F. Rubio

Llorente, Constitutional jurisdiction as law-making, in AA. VV., Law

in the making: a comparative survey, Springer, Berlin, 1988, 156, spec. 174. Per ulteriori riferimenti, v. P. Faizea, In tema di sentenze di acogli meato parziale, in Giur. costit., 1986, I, 2600 ss.; L. Elia, Le sentenze additive e la più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in Scritti

in onore di V. Crisafulli, Padova, 1985, I, 299.

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