Sezione lavoro; sentenza 10 aprile 1978, n. 1680; Pres. Siniscalchi, Est. O. Fanelli, P. M. Silocchi(concl. conf.); Soc. Madone (Avv. Muciaccia) c. Fumagalli (Avv. Angelini). Conferma Trib.Bergamo 19 settembre 1974Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1980), pp. 225/226-229/230Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171853 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
È noto che, in base al coordinato disposto degli art. 108 1. fall,
e 574 e 586 cod. proc. civ., la vendita degli immobili facenti
parte dell'attività fallimentare va fatta all'incanto (o senza in
canto) e che, dovendo la vendita fallimentare inquadrarsi nella
più ampia categoria della vendita giudiziale o forzata discipli nata nei suoi effetti dagli art. 2919 segg. cod. civ., il trasferi
mento dei beni del fallito ha luogo coattivamente nell'ambito
del procedimento di esecuzione concorsuale ed in virtù di un
provvedimento giurisdizionale, quale è il decreto di trasferi
mento dell'immobile espropriato, che il giudice delegato pronun cia in favore dell'aggiudicatario a norma dei citati art. 586 cod.
proc. civ. e 108 1. fall.; onde, fino a quando non venga pro nunciato il detto decreto di trasferimento, il giudice delegato ha, a norma dell'art. 108, 3° comma, 1. fall., il potere di sospendere il procedimento di vendita qualora, in base al suo discrezionale
apprezzamento, ritenga che il prezzo offerto sia notevolmente in
feriore a quello giusto.
Per modo che i problemi da risolvere nel presente dibattito
giudiziale sono: a) se i principi enunciati trovino applicazione in ordine alla vendita fallimentare di un complesso aziendale,
comprendente soltanto beni mobili; b) se, nell'ipotesi di una sif
fatta vendita, l'effetto traslativo della proprietà conseguente al
l'aggiudicazione costituisca un ostacolo insuperabile all'esercizio, da parte del giudice delegato, del potere di sospensione della
vendita ex art. 108, 3" comma, 1. fall, (impedendo l'esistenza del
l'atto di aggiudicazione, astrattamente idoneo a produrre con ef
fetto immediato il trasferimento della proprietà del bene, l'ado
zione del provvedimento di sospensione, avente come necessario
presupposto l'appartenenza del bene all'attivo fallimentare).
Ai fini della disamina dei delineati quesiti occorre muovere
dai principi ispiratori ed informatori della procedura fallimen
tare ed in particolare dal canone fondamentale, secondo cui la
vendita fallimentare deve essere, nell'interesse della massa dei
creditori, in ogni caso improntata al soddisfacimento dell'esi
genza, di rilevanza pubblicistica, di ottenere il maggior ricavato
dalla realizzazione dell'attività fallimentare.
Allo scopo di conseguire detta finalità, il giudice delegato —
investito, nella fase di liquidazione dell'attivo fallimentare, degli
stessi poteri del giudice dell'esecuzione — può seguire la proce dura più opportuna e più idonea a raggiungere il descritto ri
sultato (nei limiti della tutela delle posizioni soggettive stabi
liti dal codice di procedura civile: art. 105 1. fall.).
Nella vendita mobiliare non può, quindi, escludersi in asso
luto l'applicabilità di procedure proprie della vendita immobi
liare (cfr., in tal senso, in generale, Cass. 12 marzo 1974, n. 653,
id., Rep. 1974, voce Fallimento, n. 253; 8 luglio 1968, n. 2339,
id., Rep. 1968, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecu
niarie, n. 30, e per la vendita per persona da nominare: sent. 28
febbraio 1947, n. 293, id., 1947, I, 439).
Nel caso di specie — riguardando la vendita fallimentare
l'alienazione di un complesso aziendale, non ricomprendente beni
immobili e soggetta, quindi, alla procedura della vendita mobi
liare — dal giudice delegato, in considerazione ed in vista della
finalità del maggior rendimento della liquidazione dell'attivo del
fallimento voluta dalla legge fallimentare, è stato adottato, at
traverso il versamento non immediato del prezzo, previsto dal
l'art. 585, 1° comma, cod. proc. civ. (con l'assegnazione all'aggiu dicatario di un termine utile di quaranta giorni dall'incanto) (an ziché mediante il pagamento contestuale in contanti prescritto dall'art. 540, 1° comma, cod. proc. civ.), un momento della pro cedura della vendita immobiliare, la quale ha, poi, trovato nella
specie ulteriore applicazione attraverso la richiesta di esibizione
dei certificati di pubblicità, relativi ai diritti sui beni immate
riali (marchi e brevetti) compresi nella vendita, avanzata dalla
società aggiudicataria, e ciò mediante l'applicazione dell'art. 567, 2" comma, cod. proc. civ., il quale richiede per il trasferimento
del bene immobile (oltre alla produzione dell'estratto catastale
e delle mappe censuarie) l'esibizione dei certificati di pubblicità immobiliare.
Peraltro — poiché l'adozione delle forme più opportune per il conseguimento della primaria ed essenziale esigenza del falli
mento non può giungere alla totale disapplicazione delle norme
sulla esecuzione forzata, si che il provvedimento di sospensione della vendita ex art. 108, 3° comma, 1. fall, non può essere preso né nell'ipotesi in cui si sia verificato l'effetto traslativo della ven
dita né in quella in cui nell'ambito della procedura seguita il
trasferimento non possa essere più impedito — deve ritenersi
che — ammessa l'esperibilità nella vendita fallimentare della pro cedura della vendita immobiliare — non possa esercitarsi la fa
coltà prevista dall'art. 108, 3° comma, 1. fall, in deroga all'art.
584, 1° comma, cod. proc. civ., il quale impone che il cosiddetto
aumento di sesto (offerta di un prezzo superiore di un sesto a
Il Foro Italiano — 1980 — Parte I-15.
quello raggiunto nell'incanto) sia fatto nel termine di dieci
giorni. Per modo che — pur ammettendosi che la vendita possa es
sere sospesa anche dopo il verbale di aggiudicazione e prima del versamento del prezzo — non può ritenersi che tale sospen sione possa essere giustificata da una offerta di acquisto ad un
prezzo superiore di un sesto a quello raggiunto con l'incanto che
pervenga dopo il decorso del termine di dieci giorni. E — dovendo la posizione dell'aggiudicatario essere conside
rata subordinata soltanto all'avverarsi di un tale evento sospen sivamente previsto e dell'esperimento della procedura conseguen ziale — deve escludersi che l'offerta di aumento (nella misura del sesto) del prezzo raggiunto nell'incanto, presentata dopo la scadenza del termine di dieci giorni (come nel caso di specie, in cui l'offerta in aumento è stata fatta il ventesimo giorno dopo l'incanto), possa essere posta a fondamento del provvedimento di sospensione della vendita ex art. 108, 3° comma, 1. fall.
Pertanto, deve concludersi nel senso che, ove nella vendita fallimentare mobiliare sia adottata dal giudice delegato la pro cedura della vendita immobiliare, attraverso il ricorso alle mo dalità procedurali del versamento del prezzo di acquisto (a di stanza di tempo dall'incanto, nel termine fissato con l'ordinanza che dispone la vendita, anziché in contanti, contestualmente al
l'aggiudicazione) e della produzione dei certificati di pubblicità dei diritti trasferiti — il provvedimento di sospensione della ven
dita, emesso dal giudice delegato ex art. 108, 3° comma, 1. fall,
dopo l'aggiudicazione e prima del versamento del prezzo, a se
guito dell'offerta di aumento del sesto del prezzo di vendita rag giunto nell'incanto, presentata dall'offerente aumentatario tardi vamente (e cioè dopo il decorso del termine di dieci giorni dal l'incanto previsto dall'art. 584, 1° comma, cod. proc. civ.), non
può ritenersi legittimo — non valendo detta offerta tardiva a
giustificare il provvedimento di sospensione, quando si sia già verificato il definitivo trasferimento del bene venduto o quando, nella dinamica della procedura intrapresa, il trasferimento non
possa più essere impedito. Anche il terzo motivo è, quindi, da disattendere. In definitiva, il ricorso va rigettato. Ricorrono giusti motivi per procedere alla compensazione fra
le parti delle spese della presente fase processuale. Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 10 aprile 1978, n. 1680; Pres. Siniscalchi, Est. O. Fanelli, P. M. Si locchi (conci, conf.); Soc. Madone (Aw. Muciaccia) c. Fu
magalli (Aw. Angelini). Conferma Trib. Bergamo 19 settem bre 1974.
Provvedimenti d'urgenza — Limiti di applicabilità — Giudizio — Giudice competente (Cod. proc. civ., art. 700, 702).
L'irritualità o illegittimità del provvedimento d'urgenza di cui all'art. 700 cod. proc. civ. può essere fatta valere soltanto nel successivo giudizio di merito; pertanto, qualora il lavoratore
licenziato, dopo aver ottenuto un provvedimento d'urgenza per la reintegra nel posto di lavoro, non eseguito dal datore di
lavoro, ottenga ingiunzione per il pagamento della retribuzio
ne, nel procedimento di opposizione all'ingiunzione non pos sono essere dedotte le questioni riguardanti la ritualità e le
gittimità del provvedimento d'urgenza (nella motivazione si spe cifica che la pendenza del giudizio di merito rispetto al quale il provvedimento d'urgenza è strumentale, poteva determinare la sospensione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto sulla base del provvedimento d'urgenza, e il rigetto con sentenza passata in giudicato del diritto fatto valere in
via d'urgenza poteva dare luogo ad eccezione in senso proprio di giudicato). (1)
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Luciano Fuma
galli, dipendente della s.p.a. Madone, impugnava davanti al
Pretore di Bergamo il licenziamento intimatogli, e, in corso di
(1) In senso conforme (menzionata in motivazione) CaSs. 3 luglio 1977, n. 3050 (Foro it., Rep. 1977, voce Provvedimenti d'urgenza, n. 25, e per esteso in Giust. civ., 1977, I, 1460) resa in un procedi mento fra le stesse parti, nonché (menzionata in motivazione') Cass. 26 ottobre 1968, n. 3596, Foro it., 1969, il, 1260, con ampia nota di richiami.
V. inoltre, per l'inappellabilità del provvedimento d'urgenza, Cass. 15 febbraio 1978, n. 712, id., 1978, I, 1456, con ampia nota di ri chiami di A. Lener.
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227 PARTE PRIMA 228
causa, chiedeva la reintegrazione nel posto di lavoro ex art.
700 cod. proc. civile.
Il pretore, con provvedimento del 13 febbraio 1973, ordinava
la chiesta reintegrazione e, con successivo provvedimento del
19 novembre 1973, disponeva che, in difetto di reintegrazione, la soc. Madone dovesse corrispondere al Fumagalli le retribu
zioni spettantigli in forza del rapporto di lavoro fino alla data
della riammissione dello stesso al suo posto di lavoro.
Su ricorso del Fumagalli il Pretore di Bergamo emetteva, in
data 15 giugno e 7 novembre 1973, due decreti ingiuntivi con
i quali, sulla base della ordinanza 13 febbraio 1973 (di rein
tegrazione del Fumagalli nel posto di lavoro ex art. 700 cod.
proc. civ.), condannava la soc. Madone al pagamento della
complessiva somma di lire 86.597 per retribuzioni.
Contro tali due decreti ingiuntivi proponeva opposizione la
ingiunta società, sostenendo che la procedura monitoria non
era esperibile ed il decreto era nullo perché: 1) essendo stato
posto a base dell'ingiunzione opposta il provvedimento preto rile 13 febbraio 1973, che si limitava ad ordinare la reintegra
zione, il Fumagalli, di fronte al rifiuto della società datrice di
lavoro di riassumerlo aveva soltanto il diritto al risarcimento
del danno e non anche quello alla retribuzione; 2) il provvedi mento su cui si fondava il decreto ingiuntivo non conteneva
alcun ordine di corrispondere la retribuzione in caso di inot
temperanza all'ordine di reintegrazione; 3) non esisteva la pro va scritta richiesta dalla legge per la emanazione di decreto in
giuntivo, in quanto il menzionato provvedimento d'urgenza non
recava alcun ordine di pagamento di somme di denaro, né pos sedeva il requisito della liquidità.
Essendo nelle more del giudizio di opposizione entrata in vi
gore la nuova legge (n. 533/73) sulle controversie di lavoro, il
Pretore di Bergamo pronunciava ordinanza di fissazione della
udienza di discussione per l'8 marzo 1974, fissando termine pe rentorio ex art. 426 e 420 cod. proc. civ. alla soc. Madone al
l'I 1 febbraio 1974 e al Fumagalli sino al 28 febbraio 1974 per l'eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposi to di memorie e documenti in cancelleria.
All'udienza dell'8 marzo il pretore, ritenuto necessario dare
termine per note difensive, le fissava al 18 marzo 1974 e rin
viava la discussione all'I 1 aprile 1974.
La soc. Madone non depositava alcuna memoria né entro
il primo né entro il secondo termine, ma, in sede di discus
sione della causa alla udienza dell'I 1 aprile, richiamando le
conclusioni già formulate nell'atto introduttivo, deduceva altre
sì l'inapplicabilità dell'art. 700 cod. proc. civ., come stabilito
dal Tribunale di Bergamo con sent. 4 aprile 1974.
11 pretore respingeva l'opposizione con sent. 11-18 aprile 1974, contro la quale appellava la soc. Madone deducendo la inap
plicabilità alla specie della procedura ex art. 700, con conse
guente revoca dei decreti ingiuntivi opposti. Il Tribunale di Bergamo con sentenza 20 giugno-19 settem
bre 1974 dichiarava inammissibile l'appello ex art. 437, 2° com
ma, cod. proc. civ., ritenendolo fondato su eccezione del tutto
nuova, che non aveva formato oggetto neppure di generica contestazione nel giudizio di primo grado. Osservava il tribu
nale che, contrariamente all'assunto dell'appellante, il motivo
posto a fondamento dell'appello costituiva eccezione (e non
mera argomentazione) nuova, non essendo mai stato adombra
to, fra i motivi di opposizione alla ingiunzione, quello della
pretesa inapplicabilità dei provvedimenti d'urgenza in materia
di diritti derivanti da rapporti di lavoro; e che non poteva quel motivo ravvisarsi proposto in primo grado mediante la men
zione della sentenza di esso tribunale in data 4 aprile 1974, che detta applicabilità avrebbe escluso, essendo avvenuto sol
tanto alla udienza di discussione, quindi tardivamente e senza
che su di esso potesse ritenersi accettato il contraddittorio. Il
tribunale riteneva, infine, manifestamente infondata la eccezione
di illegittimità costituzionale dell'art. 437 cod. proc. civ. per violazione degli art. 3 e 24 Cost., in relazione all'art. 345 cod.
proc. civile.
Avverso questa decisione ricorre per tre motivi la soc. Ma
done, resiste con controricorso il Fumagalli. Motivi della decisione. — Con il primo motivo di ricorso la
soc. Madone, denunciando falsa applicazione degli art. 112 e 437 cod. proc. civ., deduce che il tribunale ha errato nel qua lificare come eccezione in senso tecnico la deduzione formulata
dalla appellante, con la quale aveva prospettato che ai diritti
derivanti dal rapporto di lavoro subordinato non è applicabile l'art. 700 cod. proc. civile.
Il prospettare che una norma di legge non è applicabile, non costituisce — secondo la ricorrente società — un'eccezione nel
senso di cui all'art. 112 cod. proc. civ., ma è questione rileva bile di ufficio sulla quale il tribunale comunque si sarebbe do
vuto pronunciare, avendosi eccezione in senso proprio nell'ipo tesi in cui si contesti la efficacia di fatti posti a fondamento
dell'azione e non quando si indicano norme di diritto che il
giudice è tenuto comunque ad applicare.
Col secondo motivo, denunciandosi violazione dell'art. 184
cod. proc. civ. e vizio di motivazione, si deduce che, anche am
messo che quella di cui al precedente mezzo costituisce ecce
zione in senso proprio, su di essa, in quanto proposta nella
udienza di discussione davanti al pretore senza che nulla in contrario il Fumagalli avesse obiettato, era stato accettato il
contraddittorio, ma il tribunale si era limitato ad osservare che
della questione era stata fatta menzione soltanto in sede di di
scussione.
I due motivi, che conviene esaminare congiuntamente, sono
infondati, per una ragione che precede nell'ordine logico le que stioni con essi proposte, e che le assorbono.
Invero, non è tanto della natura o meno di eccezione in senso
proprio della questione concernente l'ammissibilità, nella specie, del ricorso alla procedura di urgenza, che deve discutersi, quan to del se tale questione possa autonomamente essere esami
nata in un giudizio diverso da quello che ne costituisce la sede
propria, vale a dire dal giudizio di merito nel corso del quale il provvedimento d'urgenza è stato reso, o che deve seguirne necessariamente l'emissione se disposta prima del suo inizio.
I provvedimenti d'urgenza, previsti dagli art. 700 e 702 cod.
proc. civ., sono diretti ad assicurare provvisoriamente, e, quin di, con funzione cautelare, attraverso una tutela giurisdizionalè
preventiva e autonoma, gli effetti della successiva decisione di
merito, affinché la futura pronunzia del giudice non resti pre giudicata dal tempo necessario ad attuarla.
Da tale carattere di strumentalità deriva che la sorte di detti
provvedimenti dipende strettamente da quella del giudizio di merito nel corso del quale sono pronunciati o che, se non an cora iniziato, deve necessariamente essere instaurato in termine
perentorio dalla loro pronuncia, e che essi, pertanto, perdurano sino a quando sono sostituiti, e perciò assorbiti, dalla sentenza
passata in giudicato che accerti l'esistenza del diritto a cautela del quale sono stati emessi, oppure vengano senz'altro meno se dalla sentenza sia esclusa la esistenza del diritto.
Ne discende che non v'è altro giudizio per discutere della ritualità dei provvedimenti di urgenza, che quello di merito che è destinato ad assorbirli.
È, invero, principio di carattere generale che la illegittimità di un provvedimento del giudice per violazione di norma pro cessuale non può, di regola, essere fatta valere che con gli stessi mezzi con cui possono esser fatti valere tutti gli altri vizi dello stesso provvedimento che attengono alla violazione di nor me di carattere sostanziale.
A questo principio (che per la sentenza trova specifica espres sione nell'art. 161 cod. proc. civ.) non si sottraggono i provvedi menti ex art. 700, onde, poiché per essi le questioni che atten
gono al merito non possono essere sollevate che nel relativo giu dizio, già pendente ovvero da iniziare nel termine all'uopo fis sato dal pretore, in esso medesimo (che ne assorbe ogni altro sulla loro legittimità e ritualità, non essendo concepibile né am missibile un giudizio di convalida: Cass. 24 giugno 1976, n.
2379, Foro it., Rep. 1976, voce Provvedimenti d'urgenza, n. 30; 8 luglio 1974, n. 1995, id., Rep. 1974, voce cit., nn. 17, 34; ov vero una autonoma impugnazione del provvedimento di urgenza; Cass. 28 aprile 1976, n. 1494, id., Rep. 1976, voce cit., n. 29; 3 maggio 1967, n. 829, id., 1967, I, 906; 13 agosto 1965, n.
1941, id., Rep. 1965, voce cit., n. 20; 27 marzo 1965, n. 531, ibid., n. 21; 29 ottobre 1963, n. 2854, id., Rep. 1963, voce cit., nn. 14, 15) devono essere fatti valere anche tutti gli eventuali vizi di ordine formale e processuale.
Sicché, detti vizi non possono essere dedotti in sede di oppo sizione a decreto ingiuntivo emanato sulla base del o in rela
zione al provvedimento d'urgenza (Cass. 26 ottobre 1968, n.
3596, id., 1969, I, 1260, e, in procedimento fra le stesse parti e
concernenti questioni analoghe a quelle di cui al ricorso in esa
me, Cass. 8 luglio 1977, n. 3050, id., Rep. 1977, voce cit., n.
25), come, invece, si pretendeva di fare nella specie, in cui,
appunto, si voleva discutere della applicabilità o meno della
procedura d'urgenza per ottenere la sollecita reintegrazione nel
posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, nel giudi zio di opposizione al decreto ingiuntivo di pagamento delle re tribuzioni emanato sulla base del provvedimento d'urgenza. Al
l'uopo soccorrendo, se mai, come già si è detto, l'istituto della
sospensione (art. 295 cod. proc. civ.) del processo (di opposi zione) in attesa della definizione della pregiudiziale costituita dal giudizio di merito nel quale si contesti la legittimità del ri
corso alla procedura d'urgenza.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La riprova di quanto sin qui osservato si ha proprio dal
comportamento processuale del ricorrente, il quale, col terzo
motivo, denunciando violazione dell'art. 702 cod. proc. civ. in
relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., lamenta che la im
pugnata sentenza avrebbe dovuto rigettare la opposizione a de
creto ingiuntivo, avendo questo la propria matrice nel provve dimento d'urgenza dichiarato inefficace dal tribunale con sen
tenza 2 maggio 1974 da esso ricorrente richiamata in sede di
discussione della causa di appello.
Peraltro, in detta udienza, tenutasi (come è dato riscontrare
dall'esame del fascicolo d'ufficio) il 20 giugno 1974, non risulta
effettuato alcun richiamo alla sentenza pronunciata il 2 maggio 1974. L'appellante, invero, si limitò: 1) a riaffermare la non
novità dell'eccezione di inapplicabilità dell'art. 702; 2) ad os
servare che « nel verbale del processo di primo grado si era
fatta espressa menzione della sentenza 4 aprile 1974 di codesto
tribunale e sul punto l'avversario aveva accettato il contraddit
torio »; 3) a sollevare eccezione di illegittimità costituzionale
dell'art. 437 cod. proc. civ. in riferimento agli art. 3 e 24 Cost.
Se un riferimento c'è nelle sopra riportate deduzioni, esso
non è alla sentenza menzionata nel ricorso.
Sentenza che, viceversa, solo in questa sede (in palese con
trasto con quanto disposto dall'art. 372 cod. proc. civ.) il ricor
rente ha inammissibilmente esibito, mentre ben avrebbe avuto
modo di farlo nella udienza del 20 giugno, dato che sia il
dispositivo, che è del 2 maggio, sia la sentenza, che risulta de
positata il 29 maggio 1974, sono anteriori a quella data.
Ché se, poi, quella eventuale esibizione avesse dovuto essere
considerata tardiva, a se stesso l'attuale ricorrente — che ben
conosceva, per averla esso stesso proposto, la pendenza nel giu dizio di merito della questione relativa alla ammissibilità della
procedura d'urgenza — avrebbe dovuto imputare di non aver
chiesto la sospensione del giudizio di opposizione in attesa del
la definizione di detto giudizio di merito.
Tutto ciò, da un lato, comporta la infondatezza del mezzo in
esame, dall'altro comprova che, sia pure attraverso l'inesatto
richiamo di cui si è detto, lo stesso ricorrente mostrava di ben
rendersi conto che la illegittimità del provvedimento d'urgenza
poteva farsi valere solo nel relativo giudizio di merito, e, in
quello di opposizione a ingiunzione, solo mediante richiamo
alla sentenza che definiva quel giudizio; da che deriva, ove oc
corresse, altresì la conseguenza che detta questione formava per ciò oggetto di una eccezione in senso proprio; eccezione di
giudicato, ove quella sentenza già fosse rivestita della relativa
efficacia; ovvero, in ogni caso, eccezione avente per oggetto l'esistenza o meno di un presupposto del giudizio di opposi zione ad ingiunzione, esterno rispetto ad esso e potenzialmente idoneo a paralizzare l'azione in quel giudizio esperita.
Sicché, anche alla stregua della impostazione cui sono infor
mati, i primi due motivi risultano infondati. (Omissis) Il ricorso va dunque respinto. Si ritiene equo compensare fra
le parti le spese processuali. Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 14 mar
zo 1978, n. 1294; Pres. Sbrocca, Est. Lo Surdo, P. M. Raja
(conci, conf.); Lanzi (Avv. Mattiello, G. Marino) c. Di Vicca
ro (Avv. Jannarieli.0). Cassa Trib. Foggia 13 marzo 1974.
Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie — Espropriazio ne mobiliare — Creditore ipotecario — Intervento — Ammis
sibilità (Cod. civ., art. 2740, 2910, 2911).
Il creditore ipotecario può intervenire nell'espropriazione mobi
liare promossa da altro creditore, senza sottoporre a pignora mento anche gli immobili gravati dall'ipoteca. (1)
(1) Questione nuova. La motivazione della sentenza si diffonde sul problema, che non
veniva in questione nella concreta controversia, del potere del cre
ditore ipotecario di procedere a pignoramento mobiliare senza avere
assoggettato ad esecuzione gli immobili gravati da ipoteca, e lo ri
solve affermativamente. In senso contrario v. invece Trib. Camerino
2 aprile 1971, Foro it., Rep. 1973, voce Esecuzione forzata per obbli
gazioni pecuniarie, n. 16, che ha dichiarato nullo un pignoramento mobiliare eseguito ad istanza di creditore ipotecario.
La dottrina scorre piuttosto frettolosamente sulla formulazione del
l'art. 2911 cod. civ., senza evidenziare le differenze lessicali — sulle
quali la sentenza si sofferma — nelle previsioni concernenti il cre
ditore pignoratizio (che non può « pignorare altri beni ») e il credi tore ipotecario (che non può « pignorare altri immobili »), ed affer mando genericamente che per la norma citata « non si può dare ini
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con ricorso
in data 9 luglio 1971 diretto al Pretore di Foggia Giuseppe Di
Viccaro, premesso che Fausto Lanzi, suo creditore in virtù di
decreto ingiuntivo, era intervenuto nella procedura esecutiva
mobiliare pendente a carico di esso ricorrente presso la pre
tura; che l'intervento non doveva ritenersi consentito dal mo
mento che il Lanzi aveva già provveduto ad iscrivere ipoteca
giudiziale sulla base dello stesso decreto ingiuntivo su beni, tra l'altro, di valore di gran lunga superiore al credito; ciò
premesso il Di Viccaro proponeva opposizione chiedendo la
sospensione della vendita con i conseguenziali provvedimenti. Il pretore sospendeva l'esecuzione, ma, nelle more del giudi
zio, il Di Viccaro provvedeva al pagamento di quanto dovuto
al Lanzi.
Lo stesso pretore, peraltro, dovendo deliberare in ordine al
regolamento delle spese, osservava che, ai sensi dell'art. 2911 cod.
civ., quando i beni mobili sono gravati da pegno e gli immo
bili da ipoteca, tali beni vanno, in ogni caso, pignorati insieme
a quelli non vincolati dalle suddette garanzie, perché — sotto
lineava — sarebbe vessatorio per il debitore il fatto che il cre
ditore agisca esecutivamente su beni liberi e conservi, nel con
tempo, le garanzie destinate precipuamente alla soddisfazione
di quanto dovuto.
Da ciò il pretore argomentava che, se i beni ipotecati o sog
getti a pegno soddisfano, da soli, le ragioni creditorie, è del
tutto ultroneo il pignoramento di beni sovrabbondanti e, quindi,
deve trovare applicazione l'art. 496 cod. proc. civ. che prevede la riduzione del pignoramento.
Ciò posto, con sentenza del 9 dicembre 1972, dichiarava ces
sata la materia del contendere e compensava interamente tra le
parti le spese del giudizio. La sentenza veniva gravata d'appello dal Lanzi dinanzi al
Tribunale di Foggia con atto del 13 febbraio 1973 con il quale
chiedeva che, in riforma della decisione impugnata, il Di Vic
caro fosse condannato alle spese del doppio grado, ritenendo in
giusta la compensazione operata dal primo giudice.
Il Di Viccaro resisteva al gravame e proponeva appello in
cidentale chiedendo, a sua volta, la condanna dell'appellante al
le spese di entrambi i gradi del giudizio, nonché al risarcimento
dei danni da responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc. civ.
Il tribunale adito riteneva esatta la motivazione della senten
za impugnata, considerando che la possibilità per il creditore
procedente di estendere, indifferentemente, l'esecuzione a beni
mobili o immobili non compresi nella garanzia reale significava
giustificare ogni indiscriminata e vessatoria aggressione del pa trimonio del debitore, con violazione del disposto dell'art. 2911
cod. civile.
Quindi, con sentenza del 13 marzo 1974, in parziale accogli mento dell'appello incidentale, condannava il Lanzi al rimbor
so delle spese del doppio grado, rigettando la richiesta di danni
ex art. 96 proposta dal Di Viccaro e dichiarando assorbito l'ap
pello principale. Avverso questa pronuncia il Lanzi ha proposto ricorso per
cassazione deducendo due motivi di annullamento. Resiste il
Di Viccaro con controricorso illustrato da memoria.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo del ricorso il
Lanzi denuncia la violazione e la falsa applicazione degli art.
2740, 2910 e 2911 cod. civ. in relazione agli art. 483, 486, 558
del codice di rito, deducendo che, erroneamente, il giudice d'ap
pello ha ritenuto che il limite stabilito dall'art. 2911, 1° com
ma, nei confronti del creditore ipotecario di non pignorare altri
immobili del debitore se non sottoponga a pignoramento i beni
gravati da ipoteca, sia applicabile, per analogia, all'esecuzione
mobiliare. Più precisamente, assume il ricorrente che, secondo
l'inaccettabile principio accolto dalla decisione impugnata, non
sarebbe consentito al creditore medesimo di pignorare né gli immobili e neanche i beni mobili del creditore ove egli non si
avvalga anche dell'azione esecutiva sugli immobili vincolati. So
stiene, quindi, in primis, che il giudice del merito, dall'enuncia
zione di tale criterio esegetico dell'art. 2911, ha tratto l'erronea
conseguenza che la possibilità per il creditore di estendere l'ese
cuzione ad altri beni immobili o mobili non vincolati da di
ritti di prelazione significherebbe giustificare ogni indiscrimina
ta e vessatoria aggressione del debitore.
Il ricorrente sottolinea, in secondo luogo, con riferimento al
la fattispecie, che l'ipoteca sui beni del Di Viccaro non eccedeva
il valore del credito e che, in ogni caso, non avendo egli com
zio all'espropriazione di beni non ipotecati da parte del creditore che abbia ipoteca su altri beni, se non si pignorino anche questi ultimi»: cosi Andrioli, Commento, 1957, IIP, 223 s.; analogamente Micheli, Dell'esecuzione forzata2, in Commentario, a cura di Scialoja e Bran
ca, 1964, sub art. 2911, 27 s.
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