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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 6 marzo 1990, n....

Date post: 30-Jan-2017
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sezione lavoro; sentenza 6 marzo 1990, n. 1742; Pres. Menichino, Est. M. De Luca, P.M. Tridico (concl. conf.); Martini (Avv. Pini, Bussa) c. Soc. Superga (Avv. Werthmuller). Cassa Trib. Torino 25 luglio 1986 Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1990), pp. 1163/1164-1165/1166 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23184617 . Accessed: 28/06/2014 15:44 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.115 on Sat, 28 Jun 2014 15:44:47 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 6 marzo 1990, n. 1742; Pres. Menichino, Est. M. De Luca, P.M. Tridico (concl. conf.); Martini (Avv.

sezione lavoro; sentenza 6 marzo 1990, n. 1742; Pres. Menichino, Est. M. De Luca, P.M. Tridico(concl. conf.); Martini (Avv. Pini, Bussa) c. Soc. Superga (Avv. Werthmuller). Cassa Trib. Torino25 luglio 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 1163/1164-1165/1166Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184617 .

Accessed: 28/06/2014 15:44

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1163 PARTE PRIMA

al livello di rumorosità ed all'intensità dei traumi acustici even tualmente prodotti dal funzionamento dei mulini a sfere.

Allo stesso giudice di rinvio, che si designa nel Tribunale di Asti, viene rimessa, a norma dell'art. 385, ultimo comma, c.p.c., la statuizione in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 6 marzo 1990, n. 1742; Pres. Menichino, Est. M. De Luca, P.M. Tri dico (conci, conf.); Martini (Aw. Pini, Bussa) c. Soc. Superga (Avv. Werthmuller). Cassa Trib. Torino 25 luglio 1986.

Lavoro (rapporto) — Lavoratrici — Prolungamento del rapporto di lavoro ai limiti di età fissati per gli uomini — Opzione — Necessità — Esclusione (L. 9 dicembre 1987 n. 903, parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, art. 4).

Non è subordinata all'esercizio dell'opzione da parte della lavo ratrice — benché questa sia in possesso dei requisiti per conse

guire (o, addirittura, abbia conseguito effettivamente) la pen sione di vecchiaia — la prosecuzione del rapporto di lavoro fino agli stessi limiti di età lavorativa fissati per gli uomini, con le pregresse garanzie di stabilità previste per il rapporto stesso. (1)

Motivi della decisione. — (Omissis). 2.1. - Con l'unico motivo del ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 4 1. 9 dicembre 1977 n. 903, 6 d.l. 22 dicembre 1981 n. 791, convertito nella 1. 26 febbraio 1982 n. 54, 1 1. 31 maggio 1984 n. 153, 11 disp. sulla legge in generale), in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., Cecilia Martini censura la sentenza im

pugnata per avere ritenuto che la propria «opzione» (ai sensi del citato art. 4 1. n. 903 del 1977) — per la prosecuzione del dedotto rapporto di lavoro, con le stesse garanzie di stabilità (di cui alla 1. 15 luglio 1966 n. 604 e successive modifiche ed integrazione, in deroga all'art. 11 della stessa legge), fino allo stesso limite di età previsto per gli uomini — non impedisse, tuttavia, il reces so ad nutum del datore di lavoro (ed attuale resistente) a seguito dell'entrata in vigore della successiva disposizione (art. 1, 4° com ma, 1. 193/84, cit.), che ha «sospeso» (per i lavoratori, di cui agli art. 16, 17 e 18 1. 23 aprile 1981 n. 155) l'applicazione

(1) La sentenza costituisce sviluppo coerente, quanto vincolato, di Cor te cost. n. 498 del 27 aprile 1988 (Foro it., 1988, I, 1769, con nota di richiami), della quale sottolinea l'attitudine a superare i dubbi insorti nel l'interpretazione di Corte cost. 137/86, id., 1986, I, 1749, con nota di richiami.

Pertanto, appare ingiustificato il clamore che la sentenza in rassegna ha suscitato nella stampa non specializzata: «E cosi il giudice ha dettato legge» (Corriere della Sera del 17 maggio 1990), «Ermellini invadenti» (Il Mondo del 26 marzo 1990).

Maggiore aderenza alla realtà rivelano altri titoli: «La Cassazione riba disce la parità di trattamento», «Pensione a 60 anni per uomini e donne» (Il sole - 24 ore del 13 marzo 1990).

La recente affermazione dell'esistenza, nel nostro ordinamento, di un principio generale di parità di trattamento in materia di lavoro (vedi Cass. nn. 947 e 1888 del 1990, Foro it., 1990, I, 826) sembra assorbire, tutta via, il principio (parità uomo-donna) enunciato dalla sentenza in rassegna.

Sulla parità uomo-donna nell'ordinamento comunitario, vedi i riferi menti, di cui alle note di richiami a Corte cost. 498/88 e 137/86, cit. Adde, Corte giust. 17 ottobre 1989, causa 109/88, che sarà riportata in un prossimo fascicolo.

«Pari opportunità nel diritto del lavoro nelle prospettive del mercato unico europeo»: è, questo, il tema del convegno nazionale — organizzato dalla provincia di Parma e dal Centro di parità in collaborazione con il Centro studi di diritto del lavoro «Domenico Napoletano» (Parma, 6-7 aprile 1990 — con relazioni di T. Treu e M.V. Ballestrero, «testimo nianze di D. Beretta, A. d'Harmant Francois e C. Passalacqua e «tavola rotonda», presieduta da M. De Luca, con la partecipazione di esponenti politici.

Il Foro Italiano — 1990.

del citato art. 4 1. n. 903 del 1977 (oltreché del pure citato art. 6 d.l. 796/81, convertito nella 1. 54/82).

Invero, la disposizione sopravvenuta (art. 2. 1. 193/84, cit.) non riguarda, ad avviso della ricorrente, le «opzioni» esercitate, come nella specie, prima della sua entrata in vigore, con la conse

guenza che il dedotto rapporto di lavoro è proseguito con le stes se garanzie di «stabilità» per esso previste, che sono incompatibi li con il recesso ad nutum del datore di lavoro (ed attuale resi

stente), di cui si discute.

Il ricorso è fondato.

2.2. - La Corte costituzionale (con sentenza n. 137 del 18 giu gno 1986, Foro it., 1986, I, 1749) ha dichiarato «l'illegittimità costituzionale dell'art. 111. 15 luglio 1966 n. 604, degli art. 9 r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, convertito in 1. 6 luglio 1939 n. 1272, modificato dall'art. 2 1. 4 aprile 1952 n. 218, 15 d.l.c.p.s. 16

luglio 1947 n. 708, 16 1. 4 dicembre 1956 n. 1450, nella parte in cui prevedono il conseguimento della pensione di vecchiaia e, quindi, il licenziamento della donna lavoratrice per detto motivo, al compimento del cinquantacinquesimo anno di età, anziché al

compimento del sessantesimo anno come per l'uomo». La formulazione del dispositivo riportato ha fatto sorgere, im

mediatamente, le questioni se — in base all'interpretazione «com

plessiva» ed al principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, sancito (art. 27, 1° comma, 1. 11 marzo 1953 n.

87) anche per i giudizi di legittimità costituzionale in via inciden tale (vedi, per tutte, Corte cost. 80/87, id., 1988, I, 1764; 239/84, id., 1984, I, 2397; Cass., sez. un., n. 9302/87, id., 1988, I, 791; 4823/87, id., 1987, I, 2031, anche in motivazione, e sez. I n.

5822/81, id., Rep. 1981, voce Corte costituzionale, n. 24) — la sentenza della Corte costituzionale riguardasse — oltreché l'art. 11 1. n. 604 del 1966, che era stato denunciato dalle ordinanze di rimessione (rese in giudizi nei quali era stato ritenuto inappli cabile, ratione temporis, il citato art. 4 1. 903/77, come sottolinea — in motivazione — la stessa sentenza della corte) — anche le

disposizioni in tema di età pensionabile, espressamente menzio nate nel dispositivo (per la soluzione negativa della questione, vedi, tuttavia, la delibera consiliare dell'Inps 10 ottobre 1986), e, per quel che qui interessa, soprattutto se la sentenza stessa

«(abbia) reso... inutile e superfluo il diritto di opzione, ricono sciuto alla donna dall'art. 4 1. 9 dicembre 1977 n. 903, posto che il di lei licenziamento al cinquantacinquesimo anno di età è di per sé senz'altro illegittimo» (siccome ritiene Cass. 749/87, id., 1988, I, 1769; in senso contrario, vedi Cass., ord. 592/87, id., Rep, 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 503, che ha sollevato

questione di legittimità costituzionale, appunto, dell'art. 4 1.

903/77). Le questioni prospettate — attinenti alla individuazione delle

disposizioni investite dalla sentenza della Corte costituzionale (n. 137/86, cit.) e, perciò, espunte dall'ordinamento — risultano su perate, a seguito della successiva decisione della stessa corte in tervenuta nelle more della pubblicazione della presente sentenza (sent. n. 498 del 27 aprile 1988, id., 1988,1, 1769), che ha dichia rato l'illegittimità costituzionale, proprio, dell'art. 4 1. n. 903 del 1977, «nella parte in cui subordina il diritto delle lavoratrici, in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia, di continuare a prestare la loro opera (con le medesime garanzie di stabilità) fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini ..., all'esercizio di un'opzione in tal senso, da comunicare al datore di lavoro non oltre la data di maturazione dei» predetti requisiti».

La sentenza 498/88, infatti, non solo suppone che la disposi zione dichiarata incostituzionale (art. 4 1. 903/77) non fosse stata già investita dalla sentenza precedente (n. 137/86, cit.) — della quale, tuttavia, ribadisce (ed estende alla «fattispecie», conside

rata) la ratio decidendi — ma esplicitamente precisa, altresì, che la declaratoria di incostituzionalità, pronunciata da entrambe le sentenze, non incide sul «diritto della donna a conseguire la pen sione di vecchiaia al cinquantacinquesimo anno di età».

La parificazione, che ne risulta, della sola «età lavorativa» di uomini e donne — prescindendo dall'esercizio dell'«opzione» in tal senso da parte delle donne — non solo priva di «efficacia» (ex art. 136 Cost.) la disposizione dichiarata incostituzionale (art. 4 1. 903/77), che prevede quella «opzione», ma, all'evidenza, non consente di attribuire qualsiasi significato ed effetto utile alla di

sposizione successiva (art. 1, 4° comma, 1. 193/84), che ne «so spende» l'applicazione, supponendone la vigenza (nonché, sia detto per inciso, alla successiva abrogazione, con effetto ex tunc, di quest'ultima disposizione — limitatamente alle «... parole 'e l'art.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

4 1. 9 dicembre 1977 n. 903' ...» — che è stata disposta dall'art.

5, 3° comma, d.l. 30 dicembre 1987 n. 536, convertito, con mo

difiche, nella 1. 28 febbraio 1988 n. 48). In dipendenza della sua «efficacia retroattiva», salva l'intangi

bilità delle situazioni giuridiche ormai definite (in tal senso, vedi,

per tutte, Cass. n. 1860/83, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1635; 4719/83, id., 1984, I, 99; 1568/85, id., Rep. 1985, voce Corte costituzionale, n. 58; 2748, 3487, 7120/86, id., Rep. 1986, voce

Previdenza sociale, nn. 1032, 1031, 1017) la sentenza più recente

della Corte costituzionale (n. 498/88), infatti, ha espunto dall'or

dinamento, fin dalla sua entrata in vigore, la disposizione dichia

rata incostituzionale (art. 4 1. 903/77) ed ha privato cosi, ab ori

gine, del suo presupposto indifettibile la disposizione successiva

(art. 1, 4° comma, 1. 193/84), nella parte in cui ne ha «sospeso»

l'applicazione (esula, invece, dalla presente controversia, benché

risulti invocato dalla ricorrente, l'art. 5 d.l. 791/81 conv. in 1.

54/82, che introduce il pensionamento «posticipato», per il con

seguimento della massima anzianità contributiva da parte di la

voratori, di entrambi i sessi, in possesso dei requisiti per la pen sione di vecchiaia, e che risulta investito dalla «sospensione» del

l'applicazione, disposta dallo stesso art. 1, 4° comma, 1. 93/84:

sul punto vedi, tuttavia, Corte cost. 956/88, con riferimento alla

prima delle disposizioni citate e, — per problemi relativi, analo

ghi a quelli discussi nel presente giudizio — vedi Cass. 955/88,

id., Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 481). Tanto basta, ad avviso della corte, per negare la legittimità,

affermata invece dalla sentenza impugnata, del recesso ad nutum

del datore di lavoro (ed attuale resistente), di cui si discute.

Tale recesso, infatti, suppone, che la prosecuzione del dedotto

rapporto di lavoro fosse subordinata all'esercizio dell'«opzione»

(di cui all'art. 4 1. 903/77), da parte della lavoratrice (ed attuale

ricorrente), e riposa, essenzialmente, sulla «sospensione», dell'ap

plicazione (anche) della disposizione, che prevede quella «opzio ne» (ai sensi dell'art. 1, 4° comma, 1. 193/84).

La sopravvenuta «inefficacia», sin dalla sua entrata in vigore, della disposizione che precede l'opzione (art. 4 1. 903/77) — a

seguito della declaratoria di incostituzionalità (con sentenza n.

498/88 della Corte costituzionale) — e la conseguente «caduca

zione» della disposizione successiva (art. 1, 4° comma, 1. 193/84), che la suppone, comportino, invece, che la prosecuzione del de

dotto rapporto di lavoro, la garanzia di «stabilità» per esso pre vista (ai sensi della 1. 604/66 e successive modifiche ed integrazio ni in deroga all'art. 11 della stessa legge), fino ai medesimi limiti di «età lavorativa» stabiliti dagli uomini, prescinda dall'esercizio

dell'«opzione. in tal senso da parte della lavoratrice (ed attuale

ricorrente).

L'impugnazione tempestiva del recesso, poi, ne preclude la «de

finitività» e, con essa, la «salvezza», che ne conseguirebbe dalla

«efficacia retroattiva» della sentenza (n. 498/88) della Corte co

stituzionale.

3. - Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impu

gnata dev'essere cassata con rinvio ad altro giudice d'appello,

designato in dispositivo, perché proceda al riesame della contro

versia, uniformandosi al principio di diritto seguente: «Non è subordinata all'esercizio dell'«opzione» della lavoratri

ce ed attuale ricorrente, benché sia in possesso dei requisiti per

conseguire (o, addirittura, consegua effettivamente) la pensione di vecchiaia, la prosecuzione del dedotto rapporto di lavoro —

con le garanzie di «stabilità» per esso previste (dalla 1. 604/66

e successive modifiche ed integrazioni, in deroga all'art. 11 della

stessa legge) — fino agli stessi limiti di età lavorativa previsti

per gli uomini».

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile: sentenza 2 marzo

1990, n. 1652: Pres. Bologna, Est. Senofonte, P.M. Marti

nelli (conci, conf.); Fabbrucci (Aw. Badalucco, Russo) c.

Pasta (Aw. De Sanctis). Cassa App. Firenze 6 luglio 1988.

Matrimonio — Divorzio — Assegno — Determinazione — Crite

ri (L. 1° dicembre 1980 n. 898, disciplina dei casi di sciogli mento del matrimonio, art. 5: 1. 6 marzo 1987 n. 74, nuove

norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio,

art. 10).

Nel giudizio per l'attribuzione dell'assegno di divorzio, la valuta

zione relativa all'adeguatezza dei mezzi economici di cui dispo

II Foro Italiano — 1990.

ne il richiedente deve essere compiuta con riferimento non al

tenore di vita da lui goduto durante il matrimonio, ma ad un

modello di vita economicamente autonomo e dignitoso, quale, nei casi singoli, configurato dalla coscienza sociale. (1)

(1) Con il principio di diritto enunciato in massima, la Cassazione prende le distanze dal suo recente precedente, 17 marzo 1989, n. 1322, Foro it., 1989, I, 2512, con ulteriori riferimenti e nota di Quadri, La natura

dell'assegno di divorzio dopo la riforma, pur riconoscendo la validità di larga parte della motivazione che aderisce alla tesi della natura essen zialmente assistenziale dell'assegno di divorzio.

Il nucleo della decisione riportata è individuabile nella considerazione secondo la quale «l'autonomia economica (o il suo contrario) del richie dente... assume un ruolo decisivo, nel senso che l'altro coniuge è tenuto ad 'aiutarlo' solo se egli non sia economicamente indipendente e nei limi

ti, quindi, in cui l'aiuto si renda necessario per sopperire alla carenza dei mezzi conseguente alla dissoluzione del matrimonio». In tal senso, il risultato della «rimeditazione del problema» (cosi, testualmente, la sen tenza in epigrafe), è la recisione, anche sul piano del quantum, di ogni legame con una parte della giurisprudenza di legittimità anteriore all'en trata in vigore della legge di riforma, che intendeva la determinazione della misura dell'assegno «in modo che, valutato ogni altro elemento, il coniuge che ne ha diritto possa mantenere il tenore di vita di cui avreb be goduto se fosse proseguito il rapporto coniugale» (fra le tante Cass. 28 ottobre 1986, n. 6312, id., 1987, I, 467). La corte conferisce altresì il placet più autorevole ad una tendenza interpretativa della nuova disci

plina dell'assegno già emersa presso talune corti di merito. Infatti, Trib. Milano 27 gennaio 1988, Dir. famiglia, 1988, 1050, ha affermato che «il coniuge più debole non potrà pretendere di vedersi garantito lo stesso

regime economico di vita avuto durante il perdurare del vincolo matrimo niale» e Trib. Salerno 16 febbraio 1989 (inedita, ma menzionata da Qua dri, cit., 2518, nota 37) ha affermato che l'«adeguatezza non va né riferi ta ad un assoluto stato di bisogno, né ad un mero squilibrio tra la situa zione economica del matrimonio e quella conseguente allo scioglimento o alla cessazione».

In dottrina, l'interpretazione accolta ora dalla Cassazione trova ampio consenso. V. Bruscuglia e Giusti, in Commentario alla riforma del di

vorzio, Milano, 1987, 79; Macario, in Nuove leggi civ., 1987, 902; Bar

bara, Il divorzio dopo la seconda riforma, Bologna, 1988, 97 s.; Lumi

noso, La riforma del divorzio: profili di diritto sostanziale, in Dir. fami glia, 1988, 455; Bin, I rapporti di famiglia, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1989, 325.

In senso contrario, si segnala la tesi di Quadri, ribadita anche di re

cente in nota a Cass. 1322/89, cit., spec. col. 2520, il quale ritiene che «la più ovvia (e piana) lettura della disposizione vigente risulta, allora, inevitabilmente quella che collega strettamente (...) i criteri elencati nella sua prima parte (...), attraverso la relativa valutazione da operare alla luce della 'durata del matrimonio', con l'adeguatezza dei mezzi disponi bili».L'adeguatezza va quindi determinata, secondo l'autore, «proprio sulla base dell'applicazione ponderata dei vari criteri accennati» (dello stesso

a., cfr. già La nuova legge sul divorzio, Napoli, 1987, I, 33 s. e in Nuova

giur. civ., 1988, I, 601). Solo una breve considerazione sulla portata del decisum. I dubbi che

potrebbero ancora essere sollevati nei confronti della tesi fatta propria dalla Cassazione, nel punto in cui stabilisce il presupposto dell'attribuzio

ne dell'assegno nell'«impossibilità del richiedente di condurre con i pro pri mezzi un'esistenza economicamente autonoma e dignitosa», riguarde rebbero, a questo punto, soltanto la correttezza dell'applicazione giudi ziale del criterio di adeguatezza cosi delineato, se è vero — come afferma

la corte — che l'apprezzamento debba effettuarsi «alla stregua delle indi cazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza col lettiva». In altri termini, se non travisiamo il messaggio sostanziale della

sentenza, il coniuge più debole deve essere sostenuto dall'altro — in no me del principio, da tutti condiviso, della solidarietà «postconiugale» —

in modo che gli siano garantiti quei mezzi economici tali da renderlo

autonomo e, soprattutto, capace di mantenere la propria individualità

e di sviluppare la personalità nell'ambito del lavoro professionale e/o

casalingo (cfr., in tal senso, Macario, cit., 900). Nei termini della tutela costituzionale dei diritti dell'individuo, la rea

lizzazione della personalità non è necessariamente collegata al manteni

mento del ménage coniugale per almeno due ordini di ragioni. Innanzi

tutto, perché, normalmente, la cessazione della comunione di vita non

lascia inalterate le effettive capacità economiche di nessuno dei due ex

coniugi comportando, quasi di necessità, il ridimensionamento del tenore

di vita di entrambi; pertanto, la garanzia della conservazione dello status

economico per uno di loro comporterebbe un ingiusto depauperamento dell'altro.

Inoltre, non sempre il ménage coniugale rappresenta la compiuta rea

lizzazione della personalità dei coniugi, in relazione — è ovvio — alle

concrete possibilità economiche della famiglia, ed anzi può darsi l'ipotesi in cui la mancata corrispondenza del tenore di vita coniugale alle effettive

possibilità economiche della famiglia abbia contribuito significativamente alla cessazione della comunione materiale e spirituale.

La conseguenza è che la garanzia, per il coniuge più debole, di conser

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