sezione lavoro; sentenza 6 maggio 1991, n. 4947; Pres. Onnis, Est. Genghini, P.M. Dettori(concl. conf.); Ferrari ed altri (Avv. Marini, Rosso) c. Azienda trasporti municipali di Milano;Azienda trasporti municipali di Milano (Avv. Urbani, Fabbri) c. Ferrari ed altri. ConfermaTrib. Milano 25 settembre 1987Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 2781/2782-2787/2788Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185673 .
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2781 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2782
sociale». Si deve, pertanto, escludere «l'esistenza di un nesso
sinallagmatico tra contributi e prestazioni previdenziali, perché la contribuzione è configurata come mezzo finanziario necessa
rio per l'assolvimento dei compiti di tutela affidati all'ente pre videnziale ed è posto a carico di tutti gli iscritti in ragione della
loro capacità contributiva generica (desunta dall'effettivo eser
cizio professionale) e specifica (ricavata dal reddito dichiarato
ai fini dell'Irpef), mentre il relativo gettito è destinato all'eroga zione delle prestazioni previdenziali in favore di tutti coloro che
vengono a trovarsi nelle condizioni di bisogno previste dalla
legge, nel quadro di una partecipazione solidaristica di ogni iscrit
to all'attività di previdenza svolta dalla cassa».
c) Nel sistema della legge, peraltro, «la solidarietà del grup
po si concilia con le esigenze del singolo», in rapporto agli one
ri contributivi dal medesimo sostenuti, essendo previsto dall'art.
20, 1° comma, 1. n. 6 del 1981 che il professionista iscritto
obbligatoriamente alla cassa, ove cessi dall'iscrizione senza aver
maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione, ha
diritto di ottenere il rimborso dei contributi soggettivi e degli eventuali contributi individuali previsti dalla precedente legisla
zione, con l'interesse legale dal 1 ° gennaio successivo ai relativi
pagamenti (diritto che, a norma del 2° comma dello stesso arti
colo, spetta agli eredi dell'iscritto che non abbiano titolo alla
pensione indiretta). Le considerazioni innanzi riassunte, che questo collegio pie
namente condivide, appaiono già sufficienti a dimostrare l'in
fondatezza delle doglianze dei ricorrenti ed a giustificarne il
rigetto. Non è tuttavia superfluo aggiungere, con riferimento alle ar
gomentazioni svolte sub b) e e), che le sezioni unite di questa
corte, con la sentenza n. 124 del 12 gennaio 1988 (id., 1988,
I, 3353), hanno ribadito, in relazione al sistema di previdenza forense e richiamando le pronunzie della Corte costituzionale
in materia, «il carattere solidaristico (sia pure di categoria) del
la pensione forense», «accentuato» dalla 1. 20 settembre 1980
n. 576, escludendo «qualsiasi rapporto di proporzionalità del
trattamento previdenziale con i contributi versati».
Come già si è detto, tale principio è da ritenersi estensibile
alle analoghe forme di previdenza per gli esercenti professioni intellettuali ed in particolare a quella gestita dalla cassa resi
stente, sicché — come ha esattamente rilevato il Tribunale di
Lucca — «ogni sospetto di contrasto» della normativa di cui
agli art. 20 e 21 1. n. 6 del 1981 con gli art. 3 e 53 Cost, è
manifestamente privo di consistenza e di fondatezza.
In conclusione, l'impugnata sentenza si sottrae alle censure
formulate dai ricorrenti e va tenuta ferma, essendosi il giudice
d'appello sostanzialmente uniformato all'insegnamento delle se
zioni unite di questa Suprema corte.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 6 maggio
1991, n. 4947; Pres. Onnis, Est. Genghini, P.M. Dettori
(conci, conf.); Ferrari ed altri (Aw. Marini, Rosso) c. Azienda
trasporti municipali di Milano; Azienda trasporti municipali di Milano (Avv. Urbani, Fabbri) c. Ferrari ed altri. Confer ma Trib. Milano 25 settembre 1987.
Lavoro (rapporto) — Scatti di anzianità — Computabilità degli
aumenti dell'indennità di contingenza — Disciplina collettiva
peggiorativa — Disposizione di diritti quesiti — Esclusione (Cod. civ., art. 2077; 1. 31 marzo 1977 n. 91, conversione
in legge, con modificazioni, del d.l. 1° febbraio 1977 n. 12,
art. unico).
Nell'ipotesi di successione di contratti collettivi nel tempo, le
precedenti disposizioni non si incorporano nel contenuto dei
contratti individuali dando luogo a diritti quesiti sottratti al
potere dispositivo dei sindacati, sicché la nuova regolamenta
zione, anche se meno favorevole, si sostituisce integralmente
Il Foro Italiano — 1991.
alla precedente (principio affermato in relazione agli accordi
sindacali del 13 luglio 1978 e 12 marzo 1980 che, intervenuti
a modifica della preesistente e più favorevole disciplina col
lettiva, hanno introdotto per i dipendenti delle aziende muni
cipalizzate un sistema di computo degli scatti di anzianità ba
sato, anziché sull'intera contingenza maturata successivamen
te al 1° febbraio 1977, su una somma convenzionale di importo
inferiore). (1)
Motivi della decisione. — I ricorsi devono essere riuniti ai
sensi dell'art. 335 c.p.c. Con l'unico mezzo i ricorrenti si dolgono per la violazione
e falsa applicazione dell'art. 2 1. 31 marzo 1977 n. 91 in relazio
ne anche agli art. 2077, 1322 e 1372 c.c. (art. 360, nn. 3 e 5,
c.p.c.) in quanto il trattamento dei lavoratori doveva ritenersi
acquisito e non poteva essere modificato in peius dall'accordo
13 luglio 1978, il quale, essendo transattivo, avrebbe richiesto
un espresso conferimento di potere da parte dei lavoratori, nel
caso insussistente; inoltre il tribunale aveva omesso di conside
rare che l'azienda non aveva computato l'indennità di contin
genza maturata successivamente al 1981 negli aumenti periodi
ci, tenendo conto che non si trattava di «ricalcolo», bensì di
(1) Sul problema della correlazione tra la normativa introdotta dal d.l. 12/77 e la normativa contrattuale concernente l'incidenza della con
tingenza sugli scatti di anzianità, la Cassazione (sent. 21 gennaio 1987, n. 537, Foro it., 1988, I, 526, con nota di richiami di P. Lambertucci), si era in precedenza pronunciata in senso difforme: sul presupposto che l'art. 2 d.l. 12/77 non vietasse né il calcolo né il ricalcolo degli aumenti di contingenza sugli scatti di anzianità, ma unicamente le c.d.
scale mobili anomale, aveva concluso che l'accordo transattivo del lu
glio 1978 «non poteva, essendo intervenuto tra le associazioni sindacali, far venir meno il già maturato diritto dei singoli alla percezione di quanto dovuto secondo le norme del contratto collettivo recepite nei contratti
individuali», non in quanto diritto acquisito in forza della precedente contrattazione, dato che questo «riguarda la possibilità che determinate
situazioni possono avere sotto il vigore di una normativa nuova gli ef
fetti giuridici, non ancora conseguiti, previsti dalla normativa abroga ta» ma in quanto «adempimento di obblighi già perfezionati sotto il
vigore di questa». Nel senso, sostenuto da Cass. 4947/91 in epigrafe e dalla identica
Cass. 2 marzo 1991, n. 2198 (est. Genghini), che l'incidenza della con
tingenza sugli scatti di anzianità deve essere affermata nei soli limiti
in cui la contrattazione collettiva lo consente, giacché il disposto del
l'art. 2 cit., pur non introducendo un divieto legale di computo, non
avrebbe intaccato l'autonomia contrattuale delle parti stipulanti nella
disciplina dell'istituto, cfr. invece Trib. Prato 29 ottobre 1986, id., Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 1232 e Riv. it. dir. lav., 1987, II,
656, con nota di R. Romei, Ancora in tema di incidenza della scala
mobile sugli scatti di anzianità, che ha di conseguenza escluso — sicco
me legittima modifica di un preesistente assetto negoziale — il carattere
transattivo, e l'efficacia dispositiva, dell'accordo interconfederale del
13 luglio 1978. Sul principio della legittimità del computo della contingenza matura
ta dopo il 1° febbraio 1977 nella base di calcolo degli scatti di anziani
tà, sempre che gli effetti della variazione della contingenza non venga no calcolati in difformità della normativa operante nel settore dell'in
dustria, v., tra le decisioni più recenti, Trib. Milano 1° luglio 1989, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 1149; Pret. Firenze 9 giugno 1988,
ibid., n. 1150, secondo una lettura della norma dell'art. 2 d.l. 12/77
condivisa dalla stessa Corte di cassazione: oltre alla già citata Cass.
526/87, si vedano Cass. 4 ottobre 1989, n. 3985, id., Rep. 1989, voce
cit., n. 1406; 23 novembre 1988, n. 6309, id., Rep. 1988, voce cit., n. 1216; 25 luglio 1987, n. 6469, id., Rep. 1987, voce cit., n. 1851.
Proprio sulla illegittimità del trattamento differenziato che era venu
to in tal modo a determinarsi tra il settore dell'industria e quello del
commercio, ove risultava vulnerata la possibilità per l'autonomia collet
tiva di disporre l'indicizzazione di determinati elementi accessori della
retribuzione, la Corte costituzionale (sent. 26 marzo 1991, n. 124, id.,
1991, I, 1333, con nota di richiami di G. Amoroso) ha fondato la pro nuncia di incostituzionalità, sopravvenuta dal 28 febbraio 1986, del
l'art. 2 d.l. n. 12 del 1977. Per altri riferimenti sulle caratteristiche del
l'attuale meccanismo di rivalutazione della retribuzione, cfr. la nota
di richiami a Pret. Napoli 12 dicembre 1990, ibid., 2593.
Sulla tematica generale dei limiti alla modificabilità (in peius) delle
discipline contrattuali nelle vicende di successione temporale delle fonti
collettive, e sulla conservazione dei diritti quesiti, oltre a Cass. 11 no
vembre 1988, n. 6116, id., 1989, I, 2270, richiamata in motivazione,
cfr., sempre sul problema specifico della modificabilità in peius dei trat
tamenti collettivi per i lavoratori cessati dal servizio, Cass. 3 febbraio
1989, n. 677, ibid., 2832, ed ivi ulteriori riferimenti.
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2783 PARTE PRIMA 2784
«calcolo», in base all'accordo del 1980, cosi come non era pre cluso dalla legge del 1977.
Con il ricorso incidentale condizionato, primo mezzo, si cen
sura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli art.
414, 420, 421 e 112 c.p.c. (art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.), per non aver escluso espressamente che potesse richiedersi il «calco
lo» degli scatti maturati alla stregua delle variazioni di contin
genza successive al 1° gennaio 1980, trattandosi di domanda
per un verso nuova e per altro verso inammissibile; con il secondo motivo del ricorso incidentale la ricorrente si
duole per violazione degli art. 100 e 112 c.p.c. (art. 360, nn.
3 e 5, c.p.c.), per non aver pronunciato la sentenza in ordine
alla eccepita mancanza di interesse di tutti i ricorrenti che al
1° gennaio 1980, avevano esaurito il numero degli scatti con
trattualmente maturabili secondo l'accordo 12 marzo 1980; con il terzo mezzo l'azienda impugna la sentenza per non
essersi pronunciata sul carattere di globale miglior favore del
ccnl del 1980 (art. 360, n. 5, c.p.c.); con il quarto motivo si censura la sentenza per violazione
e falsa applicazione dell'art. 2, 1° comma, ultima parte, d.l.
n. 12 del 1977, perché, indipendentemente dalla contrattazione
collettiva, l'incidenza dei punti di contingenza sugli aumenti pe riodici di anzianità era esclusa dal cit. art. 2, che trovava poi
accoglimento nei diversi contratti collettivi; con il quinto motivo, si chiede l'annullamento per violazione
del cit. art. 2 sotto altro profilo e per difetto di motivazione
(art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) atteso che la citata norma, come
eccepito in appello, non consentiva il conglobamento nella re
tribuzione o «ricalcoli» previsti in tempi differenti; con il sesto ed ultimo mezzo si censura la sentenza per viola
zione e falsa applicazione dell'art. 5 ter d.l. 10 novembre 1978
n. 702 convertito con modifiche con 1. 8 gennaio 1979 n. 3
(art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), poiché, non solo non esisteva una
norma contrattuale che prevedesse il richiesto trattamento eco
nomico, ma questo, in quanto «aggiuntivo», era vietato ad una
azienda municipalizzata come l'Atm
Preliminarmente, occorre esaminare la questione sollevata dal
ricorrente incidentale relativa all'inammissibilità del ricorso prin
cipale «per difetto di valida delega» tenuto conto della generici tà e del fatto che è contenuta in un foglio separato ancorché
unito al testo da punti metallici.
La questione è infondata. La circostanza che il rilevante nu
mero dei ricorrenti abbia comportato la necessità di contenere
le firme in un foglio separato, non escude l'unitarietà concet
tuale dell'atto, desumibile dalla intestazione del ricorso conte
nente gli stessi nominativi dei firmatari, dall'unione del testo
del ricorso delle firme autenticate dal difensore con i punti me
tallici anzidetti e da un timbro dell'ufficiale giudiziario impres so attraverso le parti cosi' unite.
Il ricorso principale è infondato. Gli argomenti posti a soste
gno delle tesi del ricorrente, possono sintetizzarsi cosi:
a) gli accordi 13 luglio 1978 e 12 marzo 1980 costituivano
obiettiva modifica in peggio di condizioni economiche che già erano entrate a far parte del patrimonio dei lavoratori e delle
quali le associazioni sindacali non potevano disporre in man
canza di specifico mandato; con la conseguenza dell'inapplica bilità di detti accordi, tenuto conto del loro valore transattivo;
b) la domanda era stata erroneamente interpretata, posto che
non si chiedeva il ricalcolo degli scatti di contingenza, non con
sentito dalla 1. n. 91 del 1977, ma il calcolo dell'indennità di
contingenza maturata nel frattempo sugli scatti di anzianità, co
sì come consentito dalla 1. n. 91 cit. e «siccome acquisizione economica paficamente entrata nel loro patrimonio».
Tali argomentazioni, tenuto conto della connessione tra loro
esistente e che si articola fondamentalmente intorno all'affer
mazione che la disciplina contrattuale, in virtù della quale la
domanda era stata respinta, integrava una inammissibile modi
ficazione in peius, possono esaminarsi congiuntamente.
Qualche conforto all'interpretazione data dal tribunale alla 1. n. 91 del 1977, può trarsi dai lavori parlamentari, seduta del
30 marzo 1977 in sede di discussione del disegno di legge di
conversione, con modificazioni, del d.l. 1° febbraio 1977 n. 12, allorché è stato esplicitamente affermato: «questo provvedimento riflette le intese intercorse tra le confederazioni sindacali dei
lavoratori e la Confindustria, senza vulnerare la sfera contrat
tuale delle parti sociali. L'art. 1 esclude la computabilità degli aumenti della contingenza posteriori al 31 gennaio 1977, ai fini
Il Foro Italiano — 1991.
del calcolo dell'indennità di anzianità mentre l'art. 2 abolisce
i meccanismi di contingenza percentualizzati ed anomali, po nendosi come momento di razionalizzazione del settore, nel senso
di creare un sistema unico. In forza dell'art. 2, infatti, non po tranno più verificarsi in futuro le forme di conglobamento dei
miglioramenti della scala mobile nelle retribuzioni, come avve
niva in vari settori».
Il rappresentante del governo in sede di replica ebbe a preci
sare, con riguardo all'art. 2 1. cit., che detta norma era articola
ta in tre proposizioni: la prima «diretta a ricondurre alla disci
plina contrattuale prevista per il settore dell'industria tutti i mi
glioramenti retributivi collegati alla variazione dell'indice del costo
della vita, che risultino superiori a quelli vigenti in questo setto
re, lasciando invece invariati quelli che hanno una dinamica ad
essi inferiore. La seconda proposizione giuridica (i detti miglio ramenti non possono essere conglobati nella retribuzione, né
possono dar luogo a ricalcoli previsti in tempi differiti) vuole
eliminare gli effetti cosiddetti perversi della contingenza attra
verso il divieto di conglobamento immediato nella retribuzione
delle indennità di contingenza e il divieto di eventuali ricalcoli
previsti in tempi differiti che attuino a fine anno il medesimo
conglobamento. La terza proposizione (inoltre gli effetti della
variazione del costo della vita o di altra forma di indicizzazione
su qualsiasi elemento della retribuzione non possono essere com
putati in difformità della normativa prevalente . . .) tende ad
eliminare l'indicizzazione di altri elementi della retribuzione, la
cui normativa non può essere difforme da quella prevalente pre vista dagli accordi interconfederali nei confronti del settore in
dustriale, giudicata al momento il massimo che possa essere tol
lerato dal sistema economico». Si deve ricordare che in detta
seduta un emendamento (n. 2.5) che tendeva in pratica ad eli
minare tutti gli effetti dell'art. 2 ed in particolare l'esclusione
dell'indennità di contingenza del ricalcolo previsto in tempi dif
feriti (che si risolveva in una eliminazione dei possibili effetti
sugli scatti di anzianità), era stato respinto. Del pari, un ordine
del giorno interpretativo dell'art. 2 nel senso dell'applicabilità del ricalcolo in istituti sui quali avviene immediatamente e non
per conglobamento, e tra questi gli scatti di anzianità, veniva
ritirato.
Si deve osservare che l'espressione «né possono dare luogo a ricalcoli in tempi differiti» introdotta in sede di conversione, teneva conto del fatto ben noto che, fra i ricalcoli in tempi differiti cui può dar luogo un aumento di contingenza, i più noti alla pratica sindacale erano proprio quelli con i quali si
computa l'incidenza della contingenza sugli scatti di anzianità.
Si deve ancora ricordare che a chiarimento della portata tassati
va dell'art. 2, il successivo art. 4 afferma: «È abrogata ogni
disposizione in contrasto con le norme contenute nel presente decreto, le norme regolamentari e le clausole contrattuali che
dispongono in contrasto col presente decreto sono nulle di
diritto».
Come noto sull'interpretazione della legge sorgeva controver
sia tra le parti sociali con particolare riferimento proprio al ri
calcolo degli aumenti periodici di anzianità, e si addiveniva co
si, da parte della Cispel e delle organizzazioni sindacali, al cita
to accordo del 13 luglio 1978, il quale escludeva il ricalcolo
degli aumenti periodici di anzianità sull'indennità di contingen za maturata nell'anno precedente a partire dal 31 dicembre 1977
e, a compensazione, un'erogazione mensile, si precisava in det
to accordo che gli aumenti periodici di anzianità che mature ranno dal 1° gennaio 1978 in poi, verranno calcolati, oltre che
sulla retribuzione minima base contrattuale, e sulla contingenza non conglobata maturata fino al 1° novembre 1976 compreso, anche sull'importo convenzionale di lire 50.000
Successivamente, con l'accordo 12 marzo 1980, si addiveniva ad una trasformazione dell'istituto degli aumenti periodici di
anzianità trasferendo nella retribuzione conglobata l'importo di
due aumenti periodici pari al dieci per cento della retribuzione minima conglobata di ciascun livello in atto al 1° gennaio 1978 e sulla somma convenzionale di lire 50.000; il numero degli scatti
era ridotto da otto a sei.
Le questioni di legittimità costituzionale sollevate sulla 1. n. 91 anche con riferimento agli art. 36 e 39 Cost, erano respinte dalla Corte costituzionale con la sentenza del 30 luglio 1980, n. 141 (Foro it., 1980, I, 2641). Con la sentenza n. 142 (ibid), in pari data, riguardante la 1. n. 91 e la sua incidenza sull'in
dennità di anzianità, la corte riteneva che, a tre anni dall'ap provazione della legge, la progressiva esclusione dal computo
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dell'indennità del punto di contingenza risultava ancora compa
tibile con l'art. 36 Cost.; rilevava, peraltro, come in futuro,
in mancanza di congrue compensanzioni mediante interventi legis
lativi, si potrebbe determinare un contrasto con gli art. 3 e 36
Cost, ed anche con l'art. 38 stante la progressività del computo
di tale indennità. Recentemente con la sentenza 23 giugno 1988,
n. 697 (id., Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 1612) la Cor
te costituzionale ha ribadito il giudizio di infondatezza delle que
stioni sollevate anche con riguardo all'art. 4 1. n. 91, che, come
si è visto, sancisce la nullità delle clausole contrattuali difformi.
Questa corte, più volte ha ribadito che le funzioni specifiche
riconosciute dall'ordinamento delle associazioni sindacali consi
stono — come emerge dalle varie norme che (senza tuttavia darne
la disciplina prevista dall'art. 39 Cost.) fanno ad esse riferimen
to — nella stipula di contrati collettivi aventi efficacia obbliga
toria per tutti gli appartenenti e nello svolgimento, in favore
degli stessi, di opera di promozione civile, sostegno nelle riven
dicazioni ed assistenza nelle controversie, senza che possa confi
gurarsi una legittimazione delle stesse associazioni a rinunciare,
transigere o conciliare diritti soggettivi (ancorché acquisiti dai
singoli lavoratori in forza di rapporti giuridici convenuti sulla
base dei contratti collettivi), in difetto di espressa previsione
normativa in tal senso e comunque di uno specifico mandato
dei singoli associati (cfr., tra le altre, sent. nn. 1185 del 1979,
non massimata; 155 del 1980, id., Rep. 1980, voce cit., n. 385;
1482 del 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 2313; 4280 del 1982, id., Rep. 1983, voce Lavoro (contratto), n. 87; 1140 del 1983,
ibid., voce Lavoro (rapporto), n. 975; 1577 del 1985, id., Rep.
1985, voce cit., n. 927). Ma non vi è contrasto tra questo principio e quello, parimen
ti enunziato da questa corte nelle sentenze n. 2479 del 1978 (id.,
1978, I, 2185) e n. 4490 del 1979 (sic), secondo le quali, in tema di successione di contratti collettivi, il lavoratore non può
invocare un diritto acquisito in forza della precedente contratta
zione. Poiché è, invero, evidente che una cosa è l'indisponibili
tà da parte del sindacato di diritti soggettivi perfetti nascenti
in capo al lavoratore, dalla vigenza del ccnl che li contempla,
ed altra è la pretesa, da parte del lavoratore, di mantenere defi
nitivamente acquisito nel suo patrimonio giuridico un diritto
nato bensì da una norma collettiva, ma che non trova più in
questa supporto, una volta che essa è stata caducata o sostituita
da una sopravveniente contrattazione collettiva (cfr., da ultimo,
sent. n. 5592 del 1986, id., Rep. 1986, voce Sindacati, n. 40).
Ciò vale anche in caso di rinnovo anticipato del contratto
collettivo, cosi come ha esattamente affermato l'impugnata sen
tenza. Le disposizioni dei contratti collettivi — ha ritenuto il
tribunale in conformità a quanto questa corte ha già avuto oc
casione di affermare (vedi, per tutte, le sentenze 4517/86, id.,
1987, I, 510; 4423/84, id., Rep. 1984, voce Lavoro (contratto),
nn. 30, 66) — non si incorporano nel contenuto dei contratti
individuali, dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere di
spositivo dei sindacati, ma invece operano dall'esterno su singo
li rapporti di lavoro come fonte eteronoma di regolamento, con
corrente con la fonte individuale, sicché, nell'ipotesi di succes
sione fra contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono
suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamen
to più favorevole, che riguarda, appunto, il rapporto tra con
tratto collettivo ed individuale (art. 2077 c.c.; vedi per tutte,
Cass. nn. 2032 del 1988, id., Rep. 1988, voce Lavoro (rappor
to), n. 1257; 2021 del 1988, ibid., voce Lavoro (contratto), n.
53; 7673 del 1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 66), restando
la conservazione di quel contratto affidato all'autonomia con
trattuale delle parti collettive stipulanti, che possono prevederla
con apposita clausola di salvaguardia.
Si tratta di principi affermati già in epoca remota da questa
Suprema corte (sent. 19 luglio 1952, n. 2271, id., Rep. 1952,
voce Lavoro (rapporto), n. 114), allorché riteneva che a norma
dell'art. 2077 c.c. le clausole dei contratti individuali più favo
revoli ai lavoratori prevalgono su quelle del contratto collettivo;
ma, quando ad una regolamentazione di carattere generale per
gli appartenenti ad una determinata categoria di lavoratori (nel
le specie si trattava del regolamento generale del Monte dei pe
gni di Milano) se ne sostituisce un'altra, parimenti di carattere
generale, con un contratto collettivo concordato tra le categorie
interessate, le clausole di quest'ultimo, siano o no più favorevo
li, si sostuiscono alle precedenti.
Né tale principio subisce deroga nell'ipotesi in cui il contratto
li Foro Italiano — 1991.
individuale di lavoro richiami espressamente il contratto collet
tivo, quale fonte di disciplina del rapporto, ove non ricorra l'i
potesi — nella specie neanche prospettata — di ricezione del
contratto collettivo richiamato, dovendosi distinguere, quanto
agli effetti, il semplice richiamo da un richiamo ricettivo.
Peraltro il concorso-conflitto tra contratti collettivi di diverso
livello (o ambito) — secondo l'insegnamento più recente di que
sta corte (vedi, per tutte, le sentenze 4517/86, cit.; 4758/87,
id., Rep. 1987, voce Lavoro (contratto), n. 59; 5267/87, ibid.,
n. 58; 1147/88, id., Rep. 1988, voce cit., n. 57; 1759/88, ibid., n. 56) — è affidato non già a criteri predeterminati di generale
applicazione, ma al regolamento delle stesse fonti concorrenti
(e potenzialmente configgenti) dell'autonomia collettiva, la cui
interpretazione sistematica — svolta, eventualmente, anche alla
luce delle norme (statutarie o, comunque, organizzatorie) attri
butive della «competenza» delle divese istanze sindacali (v. Cass.
1445/86, id., 1987, I, 511) — è riservata al giudice di merito
e può essere censurato, in sede di legittimità, soltanto per viola
zione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (art. 1362
ss. c.c.) o per vizio di motivazione (art. 360, n. 5, c.p.c.).
Non ignora questo collegio che recentemente è sorto un con
trasto interpretativo tra le motivazioni delle sentenze 16 gennaio
1986, n. 260 (id., 1986, I, 931), 27 gennaio 1988, n. 689 (id., Rep. 1989, voce cit., n. 54), e quella della sentenza 11 novem
bre 1988, n. 6116 (id., 1989, I, 2270) avendo quest'ultima affer
mato che in difetto di specifico mandato, o di successiva ade
sione o ratifica, degli interessati, il contratto collettivo non può
incidere su diritti sorti, a favore delle parti del rapporto di lavo
ro, in virtù di un precedente contratto collettivo, per l'avvenuto
perfezionamento delle fattispecie costitutive ad essi corrispon
denti o comunque per effetto di prestazioni eseguite, come il
diritto ad una determinata pensione integrativa aziendale, sorto
alla cessazione del rapporto, alla stregua della disciplina all'e
poca vigente, e correlato all'attività lavorativa svolta.
Diversamente, avevano invece ritenuto le precedenti sentenze
che, essendo la disciplina collettiva modificabile (anche in peius)
per i lavoratori da altra successiva, le modifiche di un accordo
aziendale, ancorché peggiorative per i lavoratori cessati dal ser
vizio, sono — in mancanza di diversa previsione contrattuale
— vincolanti anche per questi ultimi, senza che riguardo ad
essi possa porsi una questione di legittimazione delle associazio
ni sindacali ad assumere la rappresentanza, atteso che il succes
sivo accordo sindacale concerne prestazioni dovute ai lavoratori
nel periodo posteriore alla cessazione del servizio e non la cate
goria dei lavoratori pensionati in quanto tali.
Ma tale contrasto non appare strettamente riguardare la ma
teria oggetto del presente ricorso, atteso che, pur avendo ri
guardo alla modificabilità in peius con norma collettiva di un
precedente trattamento retributivo, nell'ambito dell'autonomia
sindacale, tuttavia appare focalizzato su fattispecie diverse, nel
le quali era rilevante l'effetto di modificazione del trattamento
in epoca successiva alla cessazione del rapporto di lavoro.
Per la giurisprudenza meno recente di questa corte si ricorda
no le sentenze 18 luglio 1963, n. 1962, (id., 1964, I, 134), 24
maggio 1960, n. 1336 (id., 1960, I, 1963), 8 maggio 1968, n.
1410 (id., 1968, I, 1427), 11 marzo 1970, n. 631 (id., Rep. 1970, voce cit., nn. 31, 35), 16 ottobre 1973, n. 2600 (id., Rep. 1973,
voce cit., nn. 17, 20); anche se talora la dottrina accoglieva
favorevolmente tali decisioni con la precisazione che le modifi
che peggiorative fossero limitate ai rapporti futuri, si deve tut
tavia considerare come in quegli anni, proprio con le sentenze
indicate, si affermava la derogabilità in peius dei contratti cor
porativi, riconoscendo la funzione normativa del contratto col
lettivo e la sua preminenza rispetto al contratto individuale e
la sostanziale equiparazione dei due diversi contratti collettivi
per costituire regolamentazioni generali dei rapporti di lavoro;
si riteneva cosi che il contratto collettivo di diritto comune rien
trasse fra le «successive modifiche» che l'art. 43 d.l. lgt. n. 369
del 1944 prevedeva quale causa di cessazione dell'ultrattività del
contratto corporativo e di sostituzione o modificazione di que
sto. Osservava a questo riguardo un'autorevole dottrina che la
norma dell'art. 43 sarebbe stata superflua, se «le successive mo
difiche» fossero solo migliorative, non essendo minimamente
in dubbio una derogabilità in melius che corrisponde alla fun
zione stessa dei contratti collettivi. È noto che la norma (cit.
art. 43) ha superato il vaglio di costituzionalità della Corte co
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2787 PARTE PRIMA 2788
stituzionale (sent. n. 1 del 12 febbraio 1963, id., 1963, I, 398)
specificamente per insussistenza di contrasto con l'art. 39, oltre
che con l'art. 41 Cost.
A questo riguardo è stato autorevolmente affermato che i
contratti collettivi producono i loro effetti direttamente sui rap
porti intercorrenti tra ciascun lavoratore ed il datore di lavoro
e sono, pertanto, in vigore malgrado difformi pattuizioni indi
viduali (clausole di salvaguardia, trattamenti caratterizzati dal
Vintuitus personae, ecc.); ciò proprio in quanto la disciplina
degli interessi collettivi in questa materia rientra nella specifica
competenza delle associazioni che tutelano tali interessi e che
si propongono come titolari degli stessi; la contrattazione indi
viduale, evidentemente, eccede la disponibilità di quegli interes
si. È appena il caso di osservare che la stessa durata di un con
tratto collettivo rientra tra gli elementi disponibili da parte del
sindacato, atteso che allo stesso è rimessa la valutazione «col
lettiva» della persistente corrispondenza della norma collettiva
agli interessi dei lavoratori associati, e, mutata la situazione con
tingente rispetto al momento della conclusione del contratto in
vigore, ben può farsi a meno di conservarlo, laddove il nuovo
contratto può risultare «peggiorativo» in alcuni aspetti, ma evi
dentemente rispetto ad una situazione preesistente, mentre la
nuova disciplina è corrispondente agli interessi degli associati
rispetto a quella sopravvenuta, tanto è vero che soltanto ove
la nuova contrattazione risultasse in violazione dell'art. 36 Cost. — ipotesi questa, tuttavia, di ben rara evenienza, dovedosi, pe
raltro, escludere la coincidenza automatica tra trattamento col
lettivo e minimo costituzionalmente garantito — potrebbe per dere il suo carattere normativo; d'altra parte, almeno di regola, la valutazione secondo la quale il nuovo trattamento è «peggio
rativo», è fatta seguendo parametri esclusivamente monetari, laddove evidentemente la ricontrattazione di quelle condizioni
specifiche viene fatta secondo una valutazione — che non può che essere «collettiva» — di altri rilevanti fattori economici e
sociali (innanzi tutto tasso di disoccupazione, sviluppo delle aree
depresse, deflazione economica, lavoro femminile e minorile, fiscalizzazione degli oneri sociali e legislazione sociale, concor
renza internazionale, recessione economica, ecc.). È poi appena il caso di ricordare che una siffatta ricontrattazione si risolve
in una tutela per i lavoratori associati, in quanto abbia caratte
ristiche di effettività ed affidabilità tali, da potersi sulla medesi
ma fondare la programmazione di settore e, talora, di azienda — se di grandi dimensioni — cosi come non avverrebbe se la
nuova contrattazione non avesse efficacia generale e fosse su
bordinata ad una adesione individuale o alla mancata proposi zione di ricorsi. Ne discende che anche sotto questo aspetto vi
è coincidenza tra la natura normativa del contratto e le finalità
che sono proprie della contrattazione collettiva.
Riservata al giudice di merito è la verifica dell'esistenza e l'in
terpretazione di eventuali «clausole di salvaguardia», che — in
deroga alla nuova disciplina contrattuale collettiva introdotta
contestualmente — facciano espressamente salvi i trattamenti
pregressi più favorevoli, che si incorporano, talora, nel conte
nuto del contratto di determinati dipendenti (vedi, per tutte, Cass. 7483/86, id., 1988, I, 527; 8458/87, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 834; 2032/88, id., Rep. 1988, voce cit., n. 1257). La sentenza impugnata si è unoformata ai principi di diritto enunciati, senza incorrere in vizi denunciabili in sede
di legittimità. Muovendo dall'incensurata interpretazione del
l'accordo interconfederale 17 luglio 1978, il tribunale ha ritenu
to, infatti, che lo stesso accordo, derogando in peius rispetto alla normativa collettiva preesistente ha introdotto, appunto, il divieto sia di «ricalcolo degli aumenti periodici di anzianità», che di computo della «contingenza non conglobata» per il pe riodo successivo al 1° febbraio 1977.
La prospettazione fatta per la prima volta nel ricorso della invalidità dell'accordo in data 13 luglio 1978, in quanto a con tenuto transattivo senza che all'uopo i sindacati avessero avuto
specifico mandato dai lavoratori ricorrenti, introduce un argo mento nuovo, e, pertanto, inammissibile, posto che, come rile vato dalla sentenza impugnata, in sede di appello esplicitamente i ricorrenti avevano escluso di impugnare gli accordi del 1978 e del 1980, ed avevano affermato anzi che la loro pretesa si
fondava proprio su tali accordi.
I diversi motivi del ricorso incidentale condizionato restano assorbiti dal rigetto del ricorso principale.
Il Foro Italiano — 1991.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 19 aprile
1991, n. 4233; Pres. Vela, Est. Borruso, P.M. Nicita (conci,
diff.); Proc. gen. Cass. c. Vacchio (Avv. Bellucci, Papa) e Proc. gen. app. Napoli. Conferma App. Napoli 3 ottobre
1988.
Matrimonio — Divorzio — Frovvedimento straniero — IX atura
amministrativa — Dichiarazione di efficacia in Italia — Am
missibilità (Cod. proc. civ., art. 797; 1. 10 giugno 1985 n.
301, adesione alla convenzione sul riconoscimento dei divorzi
e delle separazioni personali, adottata all'Aja il 1° giugno
1970, art. 1, 2).
In applicazione dell'art. 1 della convenzione dell'Aja del 1° giu
gno 1970, ratificata dall'Italia con I. 10 giugno 1985 n. 301, devono essere dichiarati efficaci in Italia anche i divorzi stra
nieri accordati con provvedimenti di natura amministrativa. (1)
(1) Con questa decisione la Cassazione, prendendo atto dell'adesione italiana alla convenzione dell'Aja del 1° giugno 1970 (ratificata, appun to, dall'Italia con 1. 10 giugno 1985 n. 301), sanziona definitivamente un ulteriore ridimensionamento dell'area dei provvedimenti stranieri di divorzio cui risulta precluso il riconoscimento di efficacia nel nostro paese.
Diffusa era, infatti, la tesi della non riconoscibilità dei divorzi accor dati all'estero con provvedimenti di natura amministrativa, almeno nei casi in cui simili atti non fosse possibile far rientrare in una delle cate
gorie per le quali è prevista l'attribuzione di efficacia ai sensi degli art. 796 ss. c.p.c., e, quindi, ove non assimilabili ad un atto di volontaria
giurisdizione, ovvero ad un atto contrattuale ricevuto da pubblico uffi ciale. In tal senso, cfr., ad es., Pau, Divorzio (dir. intemaz. privato e processuale), voce del Novissimo digesto, appendice, Torino, 1982, III, 117 e Carella, Il divorzio nel diritto intemazionale privato e pro cessuale italiano, in Riv. dir. internaz. privato e proc., 1988, 455.
Una simile tesi, del resto, aveva avuto l'avallo di Cass. 12 maggio 1979, n. 2727, Foro it., 1979, I, 1366, esplicita nel negare, anche sulla base della convenzione dell'Aja del 12 giugno 1902, l'efficacia nel no stro ordinamento ad ogni atto straniero di scioglimento del matrimonio non avente natura di sentenza o di provvedimento di volontaria giuris dizione.
È vero che non si era mancato di ritenere possibile la dichiarazione di efficacia di divorzi accordati con decreto reale danese, ma ciò pur sempre in dipendenza della relativa ipotizzata assimilazione, appunto, ad atti di volontaria giurisdizione (cfr. App. Genova 28 maggio 1976, id., Rep. 1977, voce Delibazione, n. 36, la cui motivazione si legge in Riv. dir. internaz. privato e proc., 1977, 407).
L'adesione italiana alla ricordata convenzione del 1970 ha, però, mu tato profondamente i termini della questione, dato che il suo art. 1 allude senz'altro al «riconoscimento, in uno Stato contraente, dei di vorzi e delle separazioni personali ottenute in un altro Stato contraente a seguito di una procedura giudiziaria o altra procedura ufficialmente riconosciuta in detto Stato e che vi abbiano effetto giuridico». E, di fronte ad un dettato cosi chiaro ed univoco, la Cassazione non può far altro che considerare ormai improponibile, almeno sotto il profilo della natura dell'atto, qualsiasi dubbio circa la possibilità di dichiarare l'efficacia in Italia di divorzi ottenuti in via amministrativa, ove simili
procedure siano previste dall'ordinamento competente, indipendentemen te, insomma, dalla necessità della relativa assimilazione a provvedimen ti di volontaria giurisdizione.
Tale conclusione (per la quale v. già Quadri, Divorzio (dir. civ. e
internaz.), voce del Digesto privato, Torino, 1990, VI, 565, e Carella, op. cit., 461) risulta ovviamente obbligata in relazione ai divorzi pro nunciati dagli organi amministrativi di uno Stato anch'esso aderente
(come, appunto, nel caso di specie, la Danimarca, cui si riferisce la
fattispecie esaminata nella decisione in epigrafe) alla convenzione del
l'Aja del 1970. E se contro la possibilità di assumerla (almeno de iure
condito) quale soluzione generale (valida, cioè, indipendentemente dal l'adesione o meno alla convenzione dello Stato in cui è accordato il divorzio da riconoscere) depone indubbiamente il carattere derogatorio della ricordata clausola convenzionale rispetto alle statuizioni del codice di procedura civile, c'è da chiedersi se a favore di una diversa conclu sione non potrebbe giocare la stessa logica (ispirata a considerazioni di evidente opportunità, onde evitare diversità di trattamento in una materia tanto delicata) che ha condotto la recente giurisprudenza (e ci si riferisce, in particolare, a Cass. 10 novembre 1989, n. 4769, Foro it., Rep. 1989, voce Matrimonio, n. 184, nella motivazione in Nuova
giur. civ., 1990, I, 585, nonché a Cass. 19 aprile 1991, n. 4235 e 21 settembre 1990, n. 9627, Foro it., 1991, I, 2396) ad estendere al di là degli Stati aderenti alla predetta convenzione la peculiare conforma
zione, delineata nel relativo art. 10, della nozione di ordine pubblico applicabile in sede di delibazione dei provvedimenti stranieri di divor zio. [E. Quadri]
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