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sezione lavoro; sentenza 2 febbraio 1990, n. 707; Pres. Zappulli, Est. Genghini, P.M. Gazzara(concl. conf.); Fabi ed altri (Avv. Agostini, Vitali) c. Cassa di risparmio di Vigevano; Cassa dirisparmio di Vigevano (Avv. Moscarini) c. Fabi ed altri. Conferma Trib. Vigevano 17 ottobre1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 2577/2578-2581/2582Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184857 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di dilazionare la data della esecuzione, e la dilazione e la sospen sione degli sfratti legislativamente disposti, abbiano di fatto reso
giuridicamente irrilevante il mancato rilascio dell'immobile da parte
del conduttore alle scadenze convenzionali o a quelle autoritati
vamente stabilite in sede di proroga legale delle locazioni, non
essendo praticamente coercibili i rilasci a dette scadenze. Ma il
ragionamento del tribunale, che perviene sostanzialmente ad una
interpretatio abrogans (quanto meno parziale) dell'art. 1591 c.c.,
non può essere condiviso. È vero infatti che l'art. 56 1. n. 392
ed eventuali ulteriori provvedimenti legislativi, determinanti il dif
ferimento dell'esecuzione (art. 7 d.l. 30 dicembre 1988 n. 551),
possono di fatto rendere incoercibile — per un determinato pe riodo di tempo — l'esecuzione dello sfratto, e quindi consentire
la permanenza del conduttore nell'immobile; ciò non esclude pe
raltro che, essendo il conduttore in mora nella restituzione del
l'immobile, dopo la scadenza della locazione, egli sia tenuto non
solo al pagamento del corrispettivo convenuto fino alla riconse
gna, ma anche a risarcire il maggior danno di cui all'art. 1591
c.c. Il conduttore è tenuto insomma all'adempimento della ricon
segna dell'immobile alla scadenza della locazione e se, invece di
provvedere alla riconsegna, intende avvalersi del differimento del
l'esecuzione forzata (eventuale, e conseguente al mancato volon
tario rilascio dell'immobile alla scadenza), è tenuto a sopportare
le conseguenze del danno che con il suo comportamento, contra
rio alle scadenze della locazione, convenzionali o legali, ha posto
in essere. Di ciò è conferma proprio in quei provvedimenti legi
slativi, che o hanno indicato le obbligazioni a carico del condut
tore fino alla data fissata per l'esecuzione dello sfratto e durante
il periodo di proroga del medesimo (art. 36 1. 23 maggio 1950
n. 253, sostituito dall'art. 4 1. 26 novembre 1969 n. 833), o hanno
determinato autoritativamente il corrispettivo dovuto dopo l'e
missione del provvedimento di rilascio (art. 4 d.l. 30 gennaio 1979
n. 21, convertito nella 1. 31 marzo 1979 n. 93), o hanno addirittu
ra legislativamente determinato la somma dovuta ai sensi dell'art.
1591 c.c., per il periodo di sospensione dell'esecuzione di senten
ze di condanna al rilascio di immobili urbani adibiti ad una delle
attività indicate dall'art. 27 1. 392/78 o di altri provvedimenti
esecutivi (art. 7, 2° comma, d.l. 30 dicembre 1988 n. 551, con
vertito nella 1. 21 febbraio 1989 n. 61). Alla stegua delle esposte
considerazioni deve, pertanto, concludersi che dal complessivo esa
me della legislazione in materia di differimento delle esecuzioni
dei provvedimenti di rilascio degli immobili si evince che, pur
non essendo ravvisabile una precisa e costante mens legis, in te
ma di ulteriore danno ex art. 1591 c.c., non può affermarsi che
il permanere del conduttore nell'immobile fino all'esecuzione del
lo sfratto renda il medesimo immune da conseguenze ulteriori
(oltre il pagamento del corrispettivo pattuito). Di tal che, come
richiesto dall'appellante incidentale, va affermata la responsabili
tà del conduttore per danni ulteriori ex art. 1591 c.c., in sede
di condanna generica, salva poi la competenza dell'ulteriore giu
dizio di liquidazione di accertare se in concreto, ed in relazione
alla particolare fattispecie, tali danni ed in quale misura sussista
no (anche in relazione a quanto dedotto nel separato giudizio
dal danneggiato).
Qui va solo affermato che il mancato rilascio dell'immobile
alla scadenza di legge — in presenza di differimenti dell'esecuzio
ne forzata — non esclude la potenzialità del comportamento del
conduttore di cagionare maggior danno risarcibile ex art. 1591
c.c. Tale orientamento è del resto conforme ad una consolidata
giurisprudenza del giudice di legittimità in tema di condanna ge
nerica del conduttore al maggior danno di cui all'art. 1591 c.c.
(Cass. 27 agosto 1984, n. 4707, id., Rep. 1984, voce cit., n. 467;
13 giugno 1980, n. 3770, id., Rep. 1980, voce cit., n. 172; 13
ottobre 1978, n. 4608, id., Rep. 1978, voce cit., n. 65; 6 maggio
1978, n. 2193, ibid., n. 64). (Omissis)
Il Foro Italiano — 1990 — Parte I-49.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 2 febbraio
1990, n. 707; Pres. Zappulli, Est. Genghini, P.M. Gazzara
(conci, conf.); Fabi ed altri (Aw. Agostini, Vitali) c. Cassa
di risparmio di Vigevano; Cassa di risparmio di Vigevano (Aw.
Moscarini) c. Fabi ed altri. Conferma Trib. Vigevano 17 otto
bre 1981.
Casse di risparmio — Contratto collettivo di lavoro — Necessità
di nulla osta della Banca d'Italia — Esclusione (R.d.l. 12 ago sto 1937 n. 1757, revoca del divieto di inquadramento sindaca
le delle casse di risparmio e degli enti equiparati, art. 2). Lavoro (rapporto) — Premio di rendimento — Natura giuridica
— Elemento retributivo integrativo non obbligatorio.
Per effetto di Corte cost. 24 marzo 1988, n. 330, che ha dichiara
to l'illegittimità dell'art. 2 r.d.l. 12 agosto 1937 n. 1757, deve
escludersi la necessità di subordinare l'efficacia dei contratti
collettivi stipulati dalle casse di risparmio al preventivo nulla
osta della Banca d'Italia. (1)
(1) I. - La Cassazione ha deciso la fattispecie sottoposta al suo esame alla stregua della sentenza con la quale la Corte costituzionale (riportata in Foro it., 1988, I, 1785, con nota di Mazzotta, ed altresì in Dir. lav., 1988, II, 203, con nota di Mazzella), si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 r.d.l. 1757/37, in riferimento agli art. 3, 36, 39 Cost., sollevata dalla stessa Corte di cassazione con l'ordi
nanza dell'11 aprile 1986, n. 432 (Foro it., 1986, I, 2178, ed altresì' in
Risparmio, 1986, 775, con nota di Genghini; Giust. civ., 1987, I, 410, con nota di Vallebona, Il nulla osta della Banca d'Italia per i contratti collettivi delle casse di risparmio: problemi di costituzionalità; Banca, borsa,
ecc., 1987, II, 568, con nota di Tosi, I controlli sulla contrattazione col
lettiva degli enti pubblici economici-, Riv. giur. lav., 1987, II, 201, con nota di Santucci, Problemi di costituzionalità in materia di contrattazio ne collettiva delle casse di risparmio), e dalla Pretura di Venezia con
l'ordinanza del 29 aprile 1985 (Foro it., Rep. 1986, voce Casse di rispar mio, n. 14).
La Corte costituzionale, con la decisione citata, ha rilevato la non con
formità dell'art. 2 r.d.l. 1757/37 con i principi dell'ordinamento costitu
zionale vigente, in quanto «si pone in stridente contrasto con la garanzia dell'autonomia contrattuale collettiva e della più generale libertà sindaca
le, garantita dall'art. 39 Cost.». Si è segnato in tal modo il momento
conclusivo della dibattuta questione circa la sopravvivenza e la legittimità dell'art. 2 r.d.l. 1757/37, specie dopo la soppressione dell'ordinamento
corporativo. Può risultare utile indicare sinteticamente i punti salienti di questa pro
blematica. Con il r.d.l. 1757/37, convertito nella 1. 16 giugno 1938 n. 1207, venne
revocato il divieto di inquadramento sindacale per le casse di risparmio e gli enti equiparati, stabilendosi altresì, a parziale contemperamento del
la riconosciuta libertà di azione sindacale, la previsione di un controllo
preventivo da parte dell'autorità amministrativa a cui subordinare l'ese
cuzione della regolamentazione contrattuale dei rapporti di lavoro. Se
nell'immediato periodo post-corporativo le parti sociali si mostrarono con
cordi nel riconoscere piena validità alla norma limitativa della loro capa cità contrattuale, a partire dal 1968 la situazione mutò radicalmente. Al
l'atteggiamento dell'Acri, ferma nel pretendere l'inserimento nel testo con
trattuale della clausola che condizionava l'efficacia del contratto collettivo
al previo nulla osta della Banca d'Italia, si è contrapposto il dissenso
delle organizzazioni sindacali in ordine all'operatività dell'art. 2 r.d.l.
1757/37, manifestato in calce al contratto stesso. La questione è giunta cosi al vaglio della magistratura che ha dato, peraltro, risposte non
univoche. La giurisprudenza di legittimità si è orientata nel senso di ritenere la
persistente vigenza del nulla osta, limitandone tuttavia l'ambito di appli cazione ai soli contratti collettivi di lavoro, con esclusione di quelli indivi
duali: v. Cass. 28 ottobre 1983, n. 6414, id., Rep. 1984, voce Lavoro
(rapporto), n. 1091; 22 aprile 1975, n. 1571, id., 1975, I, 1962.
Il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi al riguardo, ha negato che l'art. 2 r.d.l. 1757/37 possa considerarsi tacitamente abrogato in se
guito alla soppressione dell'ordinamento corporativo e ne ha affermato
la coerenza con l'ordinamento legislativo vigente, in quanto inteso ad
assicurare una forma di controllo sull'esercizio della funzione creditizia
a tutela dei risparmiatori: v. Cons. Stato, sez. III, 9 febbraio 1982, n.
1264/81, id., Rep. 1984, voce cit., nn. 377, 378; 12 giugno 1968, n. 751,
id.. Rep. 1969, voce Cassa di risparmio, n. 6.
L'implicita abrogazione dell'art. 2 r.d.l. 1757/37 è stata, invece, soste
nuta dalla giurisprudenza di merito che ne ha sottolineato l'intima con
nessione con i principi dell'ordinamento corporativo e l'assenza di ogni
ratio, giustificativa nell'attuale sistema di libertà sindacale: v. Pret. Vene
zia 25 gennaio 1980, id., Rep. 1981, voce Lavoro (contratto), n. 19 e
Dir. lav., 1981, II, 7, con nota adesiva di De Cristofaro, Contrattazione
collettiva e nulla osta della Banca d'Italia: il problema delle casse di ri
sparmio e degli enti equiparati; Trib. Rimini 20 dicembre 1974, Foro
it., 1975, I, 1962.
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2579 PARTE PRIMA 2580
Non può riconoscersi il carattere dell'obbligatorietà ai premi di
rendimento, trattandosi di elementi integrativi della retribuzio
ne di natura straordinaria ed eccezionale la cui concessione al
personale dipendente particolarmente meritevole è rimessa alla
facoltà discrezionale dell'azienda. (2)
Svolgimento del processo. — Con atti notificati il 29 gennaio
1980, il 31 gennaio 1980 ed il 6 febbraio 1980 la Fabi in persona del segretario provinciale Cocchetti Luigi, nonché questi e Silvio
Cotta in proprio, la Falcri, in persona dei segretari responsabili, nonché Giuseppe Rubini, Enrico Pisani, Caterina Viglio, Giusep
pe Omodei Zorini, Silvana Ferrari, Lucia Cottino e Paolo Papia ni in proprio, e inoltre Bricchetti Giovanni quale interveniente
volontario, e la Fidac in persona del segretario provinciale Luigi
Dallavalle, ed infine la ras della Fidac, in persona di Ornella Mo
ro, e Jeva Costantino in proprio, ricorrevano al Pretore di Vige vano chiedendo che, accertata e dichiarata l'avvenuta abrogazio
ne dell'art. 2 r.d.l. n. 1757 del 1937, dichiarasse la Cassa di ri
sparmio di Vigevano tenuta ad eseguire ed applicare ex tunc —
cioè dal 16 dicembre 1978 — il contratto integrativo aziendale,
indipendentemente dal nulla osta della Banca d'Italia; in subordi
ne che, ritenuta rilevante la questione di legittimità costituzionale
della detta norma, per contrasto con gli art. 3 e 39 Cost., sospen desse i giudizi e trasmettesse gli atti alla Corte costituzionale.
I ricorrenti sostenevano che essendo stato siglato il contratto
integrativo aziendale tra la cassa ed i rappresentanti sindacali dei
lavoratori, pur subordinando l'art. 31 del citato contratto la sua
efficacia al nulla osta della Banca d'Italia, le organizzazioni sin
dacali avevano manifestato in calce al contratto il loro dissenso
e che, pertanto, essendo stato il contratto approvato dall'Acri
(Associazione casse di risparmio italiane) ed avendo accertato la
Cassa di risparmio di Vigevano la sopportabilità dell'onere, non
si giustificava la persistente disapplicazione del contratto con con
seguente ritardo delle promozioni e della corresponsione di mag
giorazioni sul rimborso spese per uso dell'auto.
Instauratosi il contraddittorio, la cassa affermava la validità
dell'art. 2 r.d.l. n. 1757 e chiedeva il rigetto della domanda.
È importante precisare che l'analogo nulla osta, previsto dall'art. 3
1. 1303/38, per i contratti collettivi conclusi dagli enti pubblici economici
operanti nel settore, è stato giudicato dalla Suprema corte inammissibile
alla luce dell'art. 39 Cost., e, pertanto, tacitamente abrogato: v. Cass. 2 luglio 1958, n. 2362, id., 1959, I, 987; 31 luglio 1958, n. 2811, id.,
Rep. 1958, voce Municipalizzazione dei pubblici servizi, n. 21 e Riv. dir.
lav., 1959, II, 434, con nota di Richard, Divagazioni in tema di nulla osta ministeriale per l'applicazione di contratti collettivi agli enti pubblici economici.
II. - In dottrina, si sono registrati, di recente, una serie di interventi
che con argomentazioni diverse hanno tentato di fornire un'interpretazio ne dell'art. 2 r.d.l. 1757/37, tale da superarne le censure di incostituzio
nalità: v. Tosi, I controlli sulla contrattazione collettiva degli enti pubbli ci economici, cit., 573 ss.; Pera, Diritto del lavoro, 1984, 141; Carabel
u, Ghera, Rusciano, Contrattazione nelle casse di risparmio e nulla osta delia Banca d'Italia, in Giornale dir. lav., 1987, 771; Rusciano, L'auto nomia collettiva nel settore bancario, in Rass. economia, 1987, 190: l'au tore ritiene di poter escludere l'incompatibilità dell'art. 2 r.d.l. 1757/37
con l'art. 39 Cost., in ragione della considerazione che «il nulla osta si porrebbe come limite non tanto alla contrattazione come tale quanto piuttosto alla formazione della volontà contrattuale, interna alla parte datoriale». Ha espresso rilievi critici nei confronti di questa ricostruzione della norma, Vallebona, Il nulla osta della Banca d'Italia per i contratti collettivi delle casse di risparmio: problemi di costituzionalità, cit., 419.
(2) Relativamente al ricorso principale con il quale la Fabi e le altre
associazioni sindacali affermano l'obbligatorietà dei premi di rendimento
previsti dai ccnl, la Suprema corte ha ribadito la sua precedente giuris prudenza osservando che «il premio di operosità è un elemento retributi vo integrativo . . . concesso intuitu personae, in considerazione della per sona del lavoratore e dei suoi particolari meriti . . .», pertanto, esso co stituisce «una gratificazione facoltativa della cassa collegata ad un com
plesso di elementi di opportunità e di disponibilità, valutabili solo dal
consiglio di amministrazione». In tal senso, v. Cass. 12 aprile 1980, n. 2376, Foro it., Rep. 1981,
voce Lavoro (rapporto), n. 1307 e, indirettamente, Cass. 1° febbraio 1984, n. 781, id., Rep. 1984, voce cit., n. 1333.
Sulla nozione di premio di rendimento e sulla sua distinzione rispetto ad altre forme di gratificazioni, v. Guidotti, La retribuzione, in Nuovo trattato di diritto del lavoro diretto da Riva Sanseverino e Mazzoni
1971, II, 360-363.
li Foro Italiano — 1990.
Nelle more del giudizio con atto notificato F8 luglio 1980 Ru
bini Giuseppe e gli altri 125 dipendenti della cassa di risparmio indicati in epigrafe ricorrevano al pretore perché condannasse la
cassa di risparmio al pagamento di tutte le somme risultanti do
vute a seguito della validità dei contratti integrativi aziendali per
gli impiegati e per i funzionari.
Si costituiva la cassa di risparmio che resisteva anche a questa domanda.
Il pretore, disposta la riunione delle cause, con sentenza di
chiarava abrogato l'art. 2 cit. r.d.l. n. 1757 e condannava la cas
sa al pagamento in favore dei dipendneti ricorrenti delle somme
per ciascuno indicate a titolo di premio di rendimento a decorrere
dal 15 maggio 1980.
Contro questa sentenza proponeva ricorso la cassa sostenendo
sia il persistente vigore del citato art. 2, che la validità della clau
sola contrattuale che subordina al cennato nulla osta l'efficacia
del contratto; inoltre l'impossibilità di derogare alle norme del
ccnl e l'erronea applicazione dell'art. 2077 c.c. che si riferisce
solo ai contratti individuali, l'inapplicabilità dei benefici derivan ti dal ccnl del 12 luglio 1973 oltre il termine di proroga triennale
previsto nell'art. 135, e, comunque non oltre il 22 luglio 1976
data di stipulazione del nuovo ccnl, nonché l'irrilevanza della let
tera 2 settembre 1974 del presidente della cassa perché provenien te da organo incompetente e perché i premi di rendimento pote vano essere disciplinati solo dai contratti integrativi.
Si costituivano gli appellati che chiedevano la conferma della
sentenza impugnata. Il tribunale riteneva che l'art. 2 cit. r.d.l. n. 1757 dovesse rite
nersi abrogato e che, in ordine alla subordinazione dell'efficacia
del contratto aziendale, non potesse ritenersi essere intervenuto
l'accordo tra le parti; riteneva per contro non dovuto il premio di rendimento essendo rimesso alla facoltà del datore di lavoro
e non essendo applicabile l'art. 2077 c.c., e provenendo la lettera
invocata dai dipendenti a loro favore, dal presidente della cassa,
e, pertanto, da un organo incompetente e deliberare o concedere
gratifiche. Contro questa sentenza propongono ricorso per cassazione la
Fabi e le altre associazioni sindacali, oltre ai dipendenti della cas
sa di risparmio, con quattro diversi motivi; resiste la cassa con
controricorso illustrato da memoria anche per quanto concerne
il ricorso incidentale articolato in tre mezzi di annullamento; resi
stono i ricorrenti con controricorso al ricorso incidentale.
Motivi della decisione. — Con il primo mezzo i ricorrenti si
dolgono per la violazione e falsa applicazione dell'art. 1363 c.c.
(art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) per aver la impugnata sentenza negato il premio di rendimento trattandosi di una facoltà discrezionale
dell'azienda anche a seguito dei contratti integrativi, in realtà i
ccnl rimettono ai contratti integrativi la determinazione della mi
sura e dei criteri obiettivi, e da ciò consegue che tra le parti non
era controverso Van debeatur, rimettendo ai contratti integrativi i casi speciali in cui il premio di rendimento spetta e compete,
qualificando detto premio come retribuzione.
Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impu
gnata per violazione dell'art. 1367 c.c. (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.),
per aver adottato un'interpretazione del contratto nel senso che
le clausole riguardanti il premio di rendimento non avrebbero
alcun significato non avendo contenuto obbligatorio. Con il terzo mezzo i ricorrenti impugnano la sentenza per vio
lazione dell'art. 1366 c.c. (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), per aver
omesso di valutare il comportamento dell'azienda successivo al
l'accordo, avendo la stessa corrisposto il premio nel rispetto dei
criteri fissati dal contratto integrativo senza alcuna discriminazio
ne o ritardo.
Con il quarto ed ultimo motivo i ricorrenti affermano che la
sentenza ha violato l'art. 1362 c.c. (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.)
per aver interpretato il contratto adottando il senso letterale sen
za procedere ad una valutazione complessiva del testo contrattua
le, tenendo anche conto del comportamento delle parti, trascu
rando di considerare il chiaro contenuto obbligatorio del contrat
to e, in particolare, del contratto integrativo. Con il primo motivo del ricorso incidentale i resistenti impu
gnano la sentenza per violazione dell'art. 2 r.d. n. 1757 del 1937
erroneamente ritenuto abrogato ed invece da ritenere tuttora vi
gente; con il secondo motivo del ricorso incidentale si censura
la sentenza per aver ritenuto il citato art. 2 r.d. n. 1757 del 1937
in contrasto con l'art. 39 Cost.; con il terzo motivo ed ultimo
mezzo del ricorso incidentale si censura la sentenza per non aver
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
considerato che indipendente dall'essere ancora in vigore il cit.
art. 2 r.d.l. n. 1757 del 1937, l'efficacia del contratto doveva
essere comunque subordinata al nulla osta della Banca d'Italia
per essere ciò previsto da apposita clausola contrattuale, indipen dentemente da ogni riserva formulata dalle parti che avevano sot
toscritto il contratto nella sua interezza.
Data la manifesta rilevanza della questione di costituzionalità
dell'art. 2 r.d.l. n. 1757 del 1937, questo Supremo collegio con
ordinanza n. 187 dell'udienza del 1° luglio 1985 depositata I'll
aprile 1986, sospendeva il giudizio e disponeva la trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. La corte con sentenza n. 330
del 24 marzo 1988 (Foro it., 1988, I, 1785) dichiarava l'illegitti mità costituzionale dell'art. 2 r.d.l. 12 agosto 1937 n. 1757 con
vertito nella 1. 16 giugno 1938 n. 1207.
All'esito di tale pronuncia occorre, pertanto, decidere in ordi
ne ai ricorsi anzidetti che devono essere riuniti ai sensi dell'art.
335 c.p.c. E occorre logicamente esaminare innanzi tutto il ricorso inci
dentale che è infondato nei due primi motivi alla stregua della
pronuncia della Corte costituzionale, la quale ha ribadito la pre
gressa perdurante vigenza della norma impugnata, e, peraltro, ha affermato la sua connessione con l'orientamento corporativo e conseguentemente il suo contrasto con l'art. 39 Cost., consen
tendo all'autorità amministrativa di condizionare il libero espli carsi della volontà negoziale delle parti sindacali, senza essere fi
nalizzata alla tutela di altri interessi costituzionalmente rilevante, in contrasto «stridente», perciò, con la garanzia dell'autonomia
contrattuale collettiva e della più generale libertà sindacale.
In tal senso, evidentemente, è erronea la motivazione della sen
tenza impugnata che riteneva la norma in questione tacitamente
abrogata per incompatibilità, mentre in realtà l'annullamento è
avvenuto soltanto per effetto della sentenza della Corte costitu
zionale e cosi deve correggersi per questa parte, ai sensi dell'art.
384 c.p.c. Infondato a maggior ragione appare il terzo ed ultimo motivo
del ricorso incidentale atteso che la motivazione in ordine alla
insussistenza di un accordo tra le parti per ritenere l'efficacia del
contratto subordinata al nulla osta della Banca d'Italia, contiene
un accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità; ciò per tacere della circostanza che, in ogni caso, una clausola
del genere sarebbe stata contraria ad una norma interpretativa
(art. 39 Cost.) e, pertanto, affetta da nullità assoluta.
Per quanto attiene ai motivi del ricorso principale, essi, per la loro connessione, possono esaminarsi congiuntamente.
Questo Supremo collegio ha più volte affermato che il premio di operosità è un elemento retributivo integrativo che trova la
sua ragion d'essere nel rendimento del lavoratore e, più in gene
rale, nella sua produttività, sicché esso è concesso intuitu perso
nae, in considerazione della persona del lavoratore e dei suoi par ticolari meriti di laboriosità nell'organizzazione aziendale.
Pertanto, ove si accerti che le qualità di rendimento persistono nel caso di avanzamento del lavoratore ad una qualifica superio
re, è illegittimo l'assorbimento del menzionato emolumento nella
retribuzione corrispondente alla nuova qualifica, giacché, cosi ope
rando, si viene a neutralizzare la finalità che presiede alla conces
sione del premio. Ma poi, più specificamente, è stato ritenuto che gli emolumenti
corrisposti per compensare la maggiore attività dei dipendenti o
le gratifiche elargite in conseguenza di determinati avvenimenti
aziendali hanno carattere retributivo quando siano ricollegate ri
spettivamente ad una maggiore attività dei dipendenti, al rendi
mento dei medesimi ed al buon andamento dell'azienda (sent. 12 aprile 1980, n. 2360, id., Rep. 1981, voce Lavoro (rapporto), n. 1315).
Ma nel caso in esame, con un accertametno di fatto che, se
congruamente motivato, non è suscettibile di riesame in sede di
legittimità, il tribunale ha ritenuto che nei ccnl del 1976 e del
1978, rispettivamente per gli impiegati e per i funzionari delle
casse di risparmio, viene stabilito che, con identiche norme, il
personale particolarmente meritevole per rendimento e condotta,
potrà essere premiato con una speciale gratificazione o premio di rendiménto e che i criteri obiettivi e la misura di siffatto pre mio troveranno disciplina nei contratti integrativi aziendali. Co
me risulta evidente dalla lettera e dallo spirito delle norme in
esame, il premio di rendimento costituisce una facoltà della cassa
collegata ad un complesso di elementi di opportunità e di dispo
nibilità, valutabili solo dal consiglio di amministrazione.
li Foro Italiano — 1990.
La natura del premio non viene affatto mutata dai contratti
integrativi aziendali, i quali si limitano a stabilire l'entità pecu niaria della gratifica, il termine entro cui può essere erogata e
le categorie dei dipendenti che ne possano beneficiare. A tale pro
posito l'art. 13 contratto integrativo aziendale 16 dicembre 1978
(per i dipendenti) e l'art. 8 contratti integrativi aziendali, 25 mag
gio 1979 (per i funzionari) sono espliciti, in quanto dopo aver
richiamato le rispettive disposizioni dei ccnl, enunciano l'entità
del premio e i criteri in base ai quali può essere concesso, senza
nulla innovare in ordine alla natura di siffatta gratifica e alla
facoltatività della medesima. Trattandosi di mera facoltà, e non
avendo il contratto integrativo derogato ai rispettivi ccnl, il ri
chiamo dell'art. 2077 c.c. risulta fuori luogo. Si deve in realtà affermare che allorché la norma contrattuale
afferma, come nei diversi ccnl delle casse di risparmio, che i di
pendenti «potranno essere premiati» qualora si «distinguano in
particolar modo per capacità, rendimento e condotta» o abbiano
arrecato «un notevole giovamento all'istituto» o abbiano «lode
volmente disimpegnato un incarico di particolare importanza» o
siano «degni di speciale distinzione», la stessa utilizzazione di
espressioni verbali recanti la caratteristica costante della speciali
tà, della eccezionalità e della straordinarietà, è tale, salvo il con
corso di elementi contrari non dedotti nella specie, da escludere
logicamente una volontà di configurare il premio come obbliga torio erga omnes, ma sottolinea per contro la cennata caratteri
stica intrinseca di gratificazione facoltativa riservata a quelli che
il consiglio di amministrazione abbia individuato come meritevoli.
Né evidentemente la contrattazione aziendale può affermarsi
avere mutato tale caratteristica per aver soltanto individuato —
come previsto dai ccnl — la misura ed i criteri obiettivi, atteso
che l'autonomia privata ben può contenere entro limiti convenuti
tale discrezionalità facoltativa. Ed in tal senso appare del tutto
inconferente il richiamo fatto dal ricorrente alla qualificazione
«retribuzione» contenuta a questo riguardo nei contratti azienda
li, posto che, come si evince dalla lettura delle norme, la retribu
zione è invocata appunto come entità diversa dal premio al quale il medesimo deve essere ragguagliato secondo dati parametri. Ciò
vale anche per il richiamo generico al personale, posto che questo è richiamato ma per categorie negative di soggetti che sono esclu
si (es. assenti per un certo tempo) o per categorie limitative (es. che abbia superato il periodo di prova o abbia ottenuto una qua lifica minima).
Consegue a quanto esposto il rigetto di entrambi i ricorsi cosi
riuniti.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 22 gen naio 1990, n. 324; Pres. Tropea, Est. Patroni Griffi, P.M.
Leo (conci, conf.); Guarnieri (Aw. Craia) c. Bernetti (Avv.
Focaracci). Cassa App. Ancona 28 settembre 1983.
Contratti agrari — Affitto — Mancato mantenimento delle scor
te nel fondo — Conseguenze (Cod. civ., art. 1618, 1640, 1642,
1645; d.l. 5 aprile 1945 n. 157, proroga dei contratti agrari, art. 4).
Ai fini dell'accertamento della gravità dell'inadempimento del
l'affittuario, in relazione al mantenimento delle scorte vive (be stiame bovino) nel fondo, ed in particolare all'obbligo di im
piegare nel fondo il letame del bestiame, assume rilevanza l'ac
certamento della proprietà delle scorte, e se cioè queste siano
di proprietà dell'affittuario ovvero siano rimaste di proprietà del locatore: nel primo caso, ove l'affittuario alieni il bestiame,
occorre valutare se tale alienazione abbia fatto venir meno, ai
sensi dell'art. 1618 c.c., la destinazione, da parte dell'affittua rio stesso, dei mezzi necessari per la conduzione del fondo se
condo la buona tecnica agraria; nel secondo caso, ove si riten
ga che la somma pagata dall'affittuario per il bestiame all'ini
zio del rapporto sia stata data a titolo di garanzia, costituendo
le scorte la dotazione del fondo che deve essere mantenuta per tutta la durata del rapporto (art. 1640, 1° comma, e 1642 c.c.), occorre valutare se la loro asportazione produce una mo
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