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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 15 ottobre 1991, n....

Date post: 31-Jan-2017
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sezione lavoro; sentenza 15 ottobre 1991, n. 10829; Pres. Benanti, Est. M. De Luca, P.M. Chirico (concl. parz. diff.); Alesi e altri (Avv. Ventura) c. Soc. Italgas ed altri (Avv. Hernandez, Grasselli). Cassa Trib. Roma 9 dicembre 1988 Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1991), pp. 3031/3032-3037/3038 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23185714 . Accessed: 28/06/2014 15:35 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.97 on Sat, 28 Jun 2014 15:35:43 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 15 ottobre 1991, n. 10829; Pres. Benanti, Est. M. De Luca, P.M. Chirico(concl. parz. diff.); Alesi e altri (Avv. Ventura) c. Soc. Italgas ed altri (Avv. Hernandez,Grasselli). Cassa Trib. Roma 9 dicembre 1988Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 3031/3032-3037/3038Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185714 .

Accessed: 28/06/2014 15:35

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3031 PARTE PRIMA 3032

normativa da cui tale regime deriva, soprattutto perché essa com

porta l'assoggettamento di formazioni sociali, che si costitui scono sul sostrato di una confessione religiosa, alla penetrante ingerenza di organi dello Stato; il che, inoltre, rispetto alle altre

religioni, costituisce una palese discriminazione che contrasta con il principio di uguaglianza, con quello della libertà religiosa e con quello dell'autonomia delle confessioni religiose.

Tale discriminazione — conseguente al carattere pubblicistico impresso alla personalità giuridica dal complesso delle norme denunciate — sia che si manifesti in una penetrante ingerenza nel modo di essere e nelle attività delle comunità israelitiche, sia che si manifesti, reciprocamente, nell'attribuzione di poteri autoritativi che sono propri degli enti pubblici, si pone altresì in contrasto con il principio di laicità dello Stato perché, come è stato già affermato dalla corte (sent. n. 203 del 1989, id., 1989, I, 1333), questo «implica . . . garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale». Invece un regime cosi speciale —

relativo ad istituzioni che trovano la loro ragion d'essere nel fattore religioso — sia esso di favore o di sfavore o contempo raneamente, come nella specie, nell'uno e nell'altro senso, fa venir meno proprio tale garanzia.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti mità costituzionle degli art. 1, 2, 3, 15 e 16 (recte: 17), 18, 19, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 56, 57, 58, r.d. 30 ottobre 1930 n. 1731 (norme sulle comunità israelitiche e sulla unione delle comunità medesime), questione sollevata dalla Corte di cassa

zione, sezione unite civili, con ordinanza emessa l'8 giugno 1989.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 15 otto bre 1991, n. 10829; Pres. Benanti, Est. M. De Luca, P.M. Chirico (conci, parz. diff.); Alesi e altri (Avv. Ventura) c. Soc. Italgas ed altri (Aw. Hernandez, Grasselli). Cassa Trib. Roma 9 dicembre 1988.

CORTE DI CASSAZIONE;

Lavoro (rapporto) — Trasferimento d'azienda — Cessione del

pacchetto azionario — Configurabilità — Esclusione (Cod.

civ., art. 2112).

La cessione del pacchetto azionario non comporta sostituzione della persona dell'imprenditore — ma soltanto modifiche nel la titolarità delle azioni dell'unica società — e, come tale, non configura trasferimento d'azienda (ai sensi e per gli ef fetti dell'art. 2112 c.c.). (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 10 agosto 1991, n. 8761; Pres. Menichino, Est. Alvaro, P.M. Marto ne (conci, diff.); Soc. Mmp e T (Avv. Perone, Ficalora)

(1) Non constano precedenti specifici sul problema concernente la configurabilità come trasferimento d'azienda (ai sensi e per gli effetti dell'art. 2112 c.c.) della cessione del pacchetto azionario.

Tuttavia, la distinzione tra i due concetti (trasferimento d'azienda, appunto, e cessione del pacchetto azionario) risulta enunciata — sia pure a fini diversi — da Cass. 1836/74 (Foro it., 1975, I, 2795).

Sul piano dell'interpretazione della disciplina collettiva, si colloca, invece, il problema — affrontato dalle altre due sentenze in rassegna (8761/91, 1098/91) — concernente la riconducibilità della cessione di pacchetto azionario della società datrice di lavoro alla nozione, appun to, «contrattuale» di trasferimento della proprietà dell'azienda, al fine dell'insorgenza del diritto all'indennità sostitutiva del preavviso, con trattualmente previsto a favore del dirigente dimissionario in dipenden za di quella vicenda societaria.

Il Foro Italiano — 1991.

c. Saccenti (Avv. Magrini). Conferma Trib. Milano 31 mag gio 1988.

Lavoro (rapporto) — Dirigenti di aziende commerciali — Disci

plina collettiva — Cessione del pacchetto azionario — Confi

gurabilità del trasferimento d'azienda — Interpretazione del la disciplina collettiva da parte del giudice di merito — Incen

surabilità (Cod. civ., art. 1362, 2112; cod. proc. civ., art. 360).

Non viola i canoni legali di ermeneutica contrattuale il giudice del merito, che — ricorrendo ai criteri sussidiari di interpreta zione, a fronte del tenore letterale non chiaro né univoco del la clausola di contratto collettivo di diritto comune (nella spe cie, art. 17 ccnl 12 luglio 1984 per i dirigenti di aziende com

merciali) — configuri la cessione del pacchetto azionario della

società da trice di lavoro come trasferimento della proprietà dell'azienda, al fine dell'insorgenza del diritto all'indennità sostitutiva del preavviso, contrattualmente previsto a favore del dirigente che si dimetta in dipendenza di quella vicenda

societaria. (2)

III

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 5 febbraio

1991, n. 1098; Pres. Nocella, Est. De Rosa, P.M. Tridico

(conci, conf.); Soc. Viva (Avv. Irace) c. Righetti (Avv. Gon

dolini, D'Angelantonio). Cassa Trib. Milano 20 febbraio 1988.

Lavoro (rapporto) — Dirigenti di aziende commerciali — Disci

plina collettiva — Cessione del pacchetto azionario — Confi

gurabilità del trasferimento d'azienda — Interpretazione del la disciplina collettiva da parte del giudice di merito — Viola

zione di canoni legali di ermeneutica contrattuale —

Censurabilità in sede di legittimità (Cod. civ., art. 1362, 2112; cod. proc. civ., art. 360).

Viola i canoni legali di ermeneutica contrattuale il giudice di

merito, che — discostandosi dal chiaro ed univoco tenore let

terale della clausola di contratto collettivo di diritto comune

(nella specie, art. 17 ccnl 12 luglio 1984 per i dirigenti di aziende

commerciali) — configuri la cessione del pacchetto azionario

della società datrice di lavoro come trasferimento della pro prietà dell'azienda, al fine dell'insorgenza del diritto all'in

dennità sostitutiva del preavviso, contrattualmente previsto a

favore del dirigente che si dimetta in dipendenza di quella vicenda societaria. (3)

(2-3) Il diverso apprezzamento — su chiarezza ed univocità della clau sola contrattuale considerata (art. 17 ccnl 12 luglio 1984 per i dirigenti di aziende commerciali) — sorregge le contrastanti decisioni della Corte di cassazione (8761/91 e 1098/91, in epigrafe), in relazione alla medesi ma interpretazione di quella clausola da parte dei giudici di merito.

Entrambe le sentenze muovono, infatti, dai principi di diritto — che possono considerarsi ius receptum nella giurisprudenza di legittimità (vedi, per tutte — oltre la giurisprudenza citata nelle sentenze in epigrafe —

Cass., sez. un., 1891/89 ed altre coeve, Foro it., Rep. 1989, voce Lavo ro (rapporto), n. 2074, riportata — limitatamente ad altra parte — in Foro it., 1989, I, 2490; 668/90, 11228/90, id., Rep. 1990, voce cit., nn. 2027, 2028) — secondo cui l'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è riservata ai giudici di merito, ma può essere censu rata in sede di legittimità (oltre che per vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. anche) per violazione dei canoni legali di er meneutica contrattuale (art. 1362 ss. c.c.), tra i quali il criterio dell'in terpretazione letterale ha carattere prioritario — con riferimento a quei contratti — e non consente il ricorso a criteri sussidiari, nel caso in cui ne risulti, appunto, chiaro ed univoco il tenore letterale.

In senso conforme alla più recente delle due sentenze in epigrafe (8761/91), v. Cass. 2009/88 (id., Rep. 1988, voce cit., n. 739, e per esteso in Notiziario giuriaprudenza lav., 1988, 400).

Sulla questione — concernente la riconducibilità della cessione di pac chetto azionario della società datrice di lavoro alla nozione «contrat tuale» di trasferimento della proprietà dell'azienda, al fine dell'insor

genza del diritto all'indennità sostitutiva del preavviso, contrattualmen te previsto a favore del dirigente dimissionario in dipendenza di tale vicenda societaria — v. Trib. Milano 6 aprile 1989, Foro it., 1990, I, 621, con nota di richiami.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I

Motivi della decisione. — (Omissis). Con il secondo motivo, denunciando violazione degli art. 2112, e 2362 c.c. nonché vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), i ricorrenti censura no la sentenza impugnata per avere negato che «l'acquisizione della totalità delle quote di una società non è altro che uno

dei modi con i quali l'azienda che fa capo, appunto, alla società

può essere trasferita ad un terzo». (Omissis) 3. - Infondato è, invece, il secondo motivo del ricorso.

Al di fuori dell'ipotesi di interposizione in mere prestazioni di lavoro (vietata dall'art. 1 1. 1369/60) — nella specie esclusa

dal tribunale, con statuizione passata in giudicato — la pretesa unitarietà dei dedotti rapporti di lavoro subordinati — intercor

si, prima, con la s.p.a. Carbonifera Progas (ora denominata

s.p.a. Gas energia) e, successivamente, con la s.p.a. Italgas —

non può trovare, infatti, giuridico fondamento nella mera cir

costanza che il datore di lavoro successivo (s.p.a. Italgas) fosse

unico azionista della precedente società datrice di lavoro (s.p.a. Carbonifera Progas).

La concentrazione delle azioni di una società nelle mani di

un unico socio — che può essere anche una società per azioni — comporta (ai sensi dell'art. 2362 c.c.) soltanto la responsabi lità illimitata del socio unico azionista, per il caso di insolvenza

della società partecipata (in tal senso, vedi per tutte, Cass., sez.

un., 1088/86, Foro it., Rep. 1986, voce Società, nn. 311, 316;

6594/81, id., 1982, I, 2411; 7064/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 549; 3266/86, id., Rep. 1986, voce cit., n. 315; 2879/85,

id., Rep. 1985, voce cit., n. 516; 1636/84, id., Rep. 1984, voce

cit., n. 587; 7152/83, id., Rep. 1983, voce cit., nn. 384, 388;

6712/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 285; 6560/82, ibid., voce

Lavoro (rapporto), n. 1617; 5143/82, id., 1982, I, 2410), allo

scopo di evitare l'utilizzazione della società di capitali, da parte di un unico soggetto, come mezzo per sottrarre il proprio patri monio alla responsabilità per obbligazioni contratte nel suo in

teresse (v. per tutte, Cass. 6594/81, 3266/86, cit.). Tuttavia sia la previsione, che la ratio della responsabilità

illimitata dell'unico azionista, ne suppongono la soggettività —

separata ed autonoma — rispetto alla società.

Peraltro, il trasferimento del pacchetto azionario non com

porta, di per sé, il trasferimento d'azienda (ai sensi e per gli effetti dell'art. 2112 c.c., ora «novellato» dall'art. 47 1. 428/90,

inapplicabile, ratione temporis, alla dedotta fattispecie).

Lungi dal comportare il trasferimento, appunto, della titola

rità dell'azienda (o di parte di essa) da un soggetto ad un altro

(vedi, per tutte Cass. 1963/90, id., Rep. 1990, voce cit., n. 1570;

4815/88, id., 1989, I, 1176; 1829/86, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1956; 2008/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1867; 4132/84,

id., Rep. 1984, voce cit., nn. 1809-1811), il trasferimento del

pacchetto azionario, infatti, comporta soltanto modifiche con

cernenti la titolarità delle azioni dell'unica società (affatto di

versa è l'ipotesi del conferimento — che comporta il trasferi

mento — di azienda «individuale» a favore di una società, per

gli effetti di cui all'art. 2112 c.c.: vedi Cass. 1963/90, cit.).

(Omissis)

II

Diritto. — Con il primo motivo, deducendo violazione e fal

sa applicazione degli art. 1362, 1363, 2082, 2555 c.c. nonché

112, 414, 437 c.p.c. in relazione all'art. 17 ccnl dirigenti di aziende

commerciali, premesso che il tribunale ha deciso la controversia

sulle basi di un testo dell'art. 17 diverso da quello descritto

nel ricorso introduttivo dell'attore, la ricorrente sostiene che il

giudice dell'appello ha dato un'interpretazione della norma pat tizia che esula dal primario significato letterale del testo e con

trasta con la comune intenzione delle parti poiché è palese dalla

univoca lettura della disposizione che il presupposto delle di

missioni anticipate (e qualificate) risiedeva nel trasferimento della

proprietà dell'azienda come complesso di beni materiali ed im

materiali organizzati per l'esercizio dell'impresa (art. 2555 c.c.) e non delle azioni (titoli di credito che trasferiscano la qualità di socio e lasciano immutata la struttura unitaria del complesso

aziendale) né si sono verificate le altre ipotesi tassative della

concentrazione, fusione e scorporo.

Il Foro Italiano — 1991.

Con il secondo motivo, assumendo quindi violazione dell'art.

1363 c.c. in relazione agli art. 17 e 20 ccnl dirigenti aziende

commerciali, sostiene la società ricorrente che il tribunale, so

vrapponendo un significato più lato al testo della norma in di

scussione e non considerando la disposizione del successivo art.

20, ha dilatato e stravolto il significato della norma contrattua le e cosi parificato il trasferimento di azienda a mutamento del

la maggioranza azionaria.

Infine, col terzo mezzo, la ricorrente censura omessa, insuffi

ciente motivazione su punto decisivo nonché violazione e falsa

applicazione di norme di diritto in ordine al rigetto della ricon

venzionale volta a conseguire dal dirigente dimissionario l'in

dennità di preavviso e la restituzione dell'indebito prescelto (ar retrati, retribuzione residuale marzo 1986) imputando al tribu

nale l'ingiustificato ricorso alle volontà della società di gratificare il dipendente con un trattamento di miglior favore.

Osserva la corte che in sostanza con il primo e con il secondo

motivo si imputa alla gravata sentenza una palese violazione

delle regole di ermeneutica contrattuale (1362, 1363 c.c.) sotto

il duplice profilo che il tribunale avrebbe amplificato e stravol

to il significato dell'art. 17 ccnl dei dirigenti di aziende com

merciali con il quale le parti contraenti hanno inteso riconosce

re al dirigente il diritto di «dimissioni privilegiate» indennizza

bili solo per l'ipotesi di trasferimento di azienda e non per il

mutamento della titolarità delle azioni; e comunque interpreta to la norma senza il doveroso collegamento con quella successi

va dell'art. 20 stesso contratto collettivo.

Per tal modo l'evidente connessione delle tematiche sottopo ste all'esame della corte ne impone la trattazione unitaria.

In sede pregiudiziale la società ricorrente contesta al giudice

dell'appello di aver fondato il proprio convincimento sopra il

testo di una norma contrattuale diversa da quella riferita dal

l'attore nel primitivo ricorso al pretore. Si duole insomma la ricorrente che il tribunale, dovendo enu

cleare la norma positiva vigente al momento delle dimissioni

(10 marzo 1986), non abbia tenuto conto del testo del contratto

collettivo 1981/1983 siccome espressamente posto a base della

rivendicazione ma abbia fatto riferimento al testo dell'accordo

collettivo successivo 1984/1986.

E da un tale sviamento la società ne farebbe discendere la

violazione degli art. 112, 414, 437 c.p.c. sulla corrispondenza tra il «chiesto ed il pronunciato e sulla immodificabilità» della

domanda di appello. Tale prospettazione è però infondata in tesi e comunque irri

levante.

Infondata poiché, al di là del mero riferimento di parte, dal

contesto dell'attività che precede la lite è di tutta evidenza che

le parti fanno riferimento al testo del 1984; irrilevante perché dovendo il giudice del merito applicare la norma vigente al mo

mento delle dimissioni non poteva che tener conto della norma

in vigore.

Correttamente dunque il tribunale ha fatto ricorso al conte

nuto dell'art. 17 ccnl risultante dalla modifica consensualmente

apportata dai contraenti nel 1984 e riportata nell'esposizione del fatto.

Comunque, indipendentemente dall'erronea allegazione del

contenuto del negozio da cui scaturisce la causa petendi, rientra

nel potere e dovere del giudice del merito di disapplicare la nor

ma contrattuale decaduta e decidere la lite secondo quella vi

gente e come tale solamente vincolante secondo il testo che già fa parte del processo.

Ciò premesso, passando all'esame delle altre doglianze è allo

ra di tutta evidenza che il giudice del merito non ha eluso l'in

terpretazione letterale del testo normativo in discussione e so

vrapposto la propria soggettiva opinione all'effettiva volontà

delle parti; ma, in conformità del precetto del 1° comma del

l'art. 1362 c.c., ha constatato l'insufficienza del significato let

terale dell'art. 17 e la necessità sussidiaria interpretativa di mi

rare a tener conto della ratio, e dello scopo perseguito dalle

parti; ovvero di non limitarsi al senso letterale delle parole non

univoco, ma di accertare la comune intenzione dei contraenti

secondo l'indirizzo ormai costante di questa Corte suprema (sez. un. 4635/88, Foro it., Rep. 1988, voce Sanitario, n. 79; sez.

lav. 5288/88, ibid., voce Lavoro (rapporto), n. 2389; 5296/88,

ibid., voce Contratto in genere, n. 304; 127/89, id., Rep. 1989,

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3035 PARTE PRIMA 3036

voce Lavoro (rapporto), n. 2084), sull'interpretazione di dispo sizioni negoziali dei contratti collettivi di diritto comune.

In tal senso va infatti letto il passo della decisione impugnata sul «divieto» della sola interpretazione letterale, come dovere di non fermarsi alla lettera del contratto, quando non consente scelta inequivoca, ma di identificare l'obiettivo di tutelare cui miravano le organizzazioni sindacali al momento della nuova codificazione dei rapporti.

Pertanto, valutando proprio la diversità modificatrice del 2°

comma dell'art. 17 ccnl del 1984, il tribunale ha accertato che la norma attribuisce al dirigente il diritto di dimettersi o di otte nere un indennizzo tutte le volte che ricorra, oltre la classica

ipotesi di cui all'art. 2112 c.c. del trasferimento della proprietà, un tal mutamento nella conduzione dell'azienda (2° comma del l'art. 17) che produca un'alterazione del rapporto di fiducia che non gli consente la prosecuzione della specifica collaborazione che necessariamente deve intercorrere tra chi è preposto alla

responsabile conduzione dell'impresa ed il titolare della stessa; e tale mutamento organico nella conduzione dell'azienda è stata riscontrata nel trasferimento della maggioranza del pacchetto azionario ad una diversa società (Ars Astrea) con conseguente cambiamento dei vertici imprenditoriali, del consiglio di ammi nistrazione e della denominazione sociale (da s.p.a. Motivatio a s.p.a. Mmp e T).

Invero, con tali modificazioni nell'assetto proprietario si è verificata un'indubbia alternanza di vertici societari in grado di disarticolare all'interno gli aspetti acquisiti assai più della fusione o dell'incorporazione.

Ovvero al giudice del merito non sfugge che la proprietà del l'azienda appartiene ad una s.p.a. e che il trasferimento delle

azioni, come titoli di credito, non implica trasferimento dell'a zienda in senso formale; ma, siccome il rapporto di fiducia del

dirigente deve intercorrere «con persone fisiche e progetti indu striali più che con soggetti giuridici» che possono essere divenu ti «irriconoscibili» nei contenuti, nonostante il permanere del titolo legale, nella fattispecie razionalmente e giustificativamen te è stata ravvisata una situazione di fatto in tutto assimilabile alle condizioni che secondo l'art. 17 citato consentono l'eserci zio delle «dimissioni privilegiate».

Alla luce di tale opera di interpretazione della norma, e di lettura del fatto storico verificatosi nell'ambito societario con riflessi sul rapporto di lavoro dell'attore, e del rigore logico della motivazione, non è ravvisabile quel distorto uso dei mezzi ermeneutici censurato dalla ricorrente né la violazione degli art.

2112, 2082, 2555 c.c., il cui contenuto resta fuori dalle conclu sioni della prevista sentenza incentrata nell'individuazione del

significato sostanziale del rapporto tra le parti con riferimento al patto collettivo contenuto nel riferito art. 17 ccnl.

Del resto, quando si prospetta la possibilità di un risultato

interpretativo diverso ma le regole ermeneutiche e l'obbligo di dare la spiegazione del ragionamento sulle fonti del convinci mento sono state rispettate, il controllo di legittimità non può che risolversi nel rigetto della doglianza giacché alla Corte su

prema la legge del rito non conferisce un potere di riesame e rivalutazione del merito (Cass. 1061/86, id., 1987, I, 1558; 1379/89 e 33/89, id., Rep. 1989, voce cit., nn. 2082, 2085); le scelte e le ragioni poste a base del convincimento del giudice dell'appello sul contenuto della norma del contratto collettivo

postcorporativo constituiscono insomma una res facti insinda cabile in Cassazione ove non sussistono vizi logici o errori di diritto.

Piuttosto, si può comunque aggiungere che nella specie de dotta l'interprete non era tanto tenuto a verificare se l'art. 17 ccnl contenesse una compiuta elencazione dei casi di trasferi mento della proprietà dell'azienda quanto a controllare se fosse mutata la situazione aziendale, in cui era tenuto ad operare il

dirigente, di tale portata da giustificare la scelta di recedere dal

rapporto; ovvero, a verificare quali effetti modificatori si fosse ro prodotti all'interno dell'azienda da provocare la rottura del

rapporto fiduciario.

La normativa collettiva in questione è mirata alla tutela delle condizioni di lavoro del dipendente dirigente e se essa consente il recesso nel caso di condizionamenti esterni che comunque si

ripercuotono all'interno dell'impresa, l'interprete di fronte alla domanda ed alla sua causa petendi doveva esaminare non solo se si fosse verificato una specifica e tassativa ipotesi di cui al 1° comma (fusione, concentrazione, trasferimento di proprie

II Foro Italiano — 1991.

tà), ma se in conseguenza di fatti analoghi, o assimilabili, le

ripercussioni giustificassero la caduta soggettiva del rapporto; sicché la centralità dell'indagine otteneva non tanto alla nozio ne di trasferimento di azienda, quanto al rapporto di lavoro o carattere tipicamente fiduciario del contratto di prestazione di opera subordinata ed alla tutela della professionalità del pre posto alla direzione.

Cosi osservando, parimenti infondata è la doglianza della ri

corrente che prospetta la violazione dell'art. 1363 c.c. per avere il tribunale, nella sua ricerca della comune intenzione delle parti omesso di vagliare la portata del contenuto del successivo art. 20 del ccnl in parola che funge da norma di chiusura sulla tute la del dirigente.

Disponendo l'art. 20 che il dirigente può risolvere anticipata mente il rapporto col diritto inoltre all'indennità sostitutiva del

preavviso quando in conseguenza della mutazione delle proprie mansioni si incida sulla sua posizione, è evidente che si versa in un contesto oggettivo diverso dal dedotto come causa giusti ficativa del recesso. Si tratta di una situazione di fatto non de dotta e diversa dalle ragioni di diritto apportate a sostegno del la domanda del pagamento del preavviso che può verificarsi anche quando resta immmutato l'assetto aziendale ed il cui man cato esame non rileva. (Omìssis)

III

Motivi della decisione. — Con il primo motivo di gravame deducendo (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) violazione degli art. 1362, 1371, 2112, 2501 ss. c.c. in relazione all'art. 17 ccnl dirigenti azienda commerciale 12 luglio 1984, la ricorrente si duole che il giudice d'appello abbia ritenuto di ricorrere a fonte sussidia ria d'interpretazione erroneamente opinando che il contenuto letterale della clausola non fosse, per la sua ambiguità, suffi

ciente ad evidenziare la comune volontà delle parti. Al contra

rio, l'interpretazione letterale della stessa — se condotta con riferimento sia alle categorie legali da ritenersi, per la qualità delle parti contraenti, indicate con appropriatezza giuridica che alla sua rubricazione — avrebbe dovuto indurre il giudice d'ap pello a limitare l'oggetto della clausola ai casi di trasferimento dell'azienda o a quelli di trasferimento della proprietà dell'a zienda medesima, in tale ipotesi comprendendo, con elencazio ne da ritenersi tassativa, quelle fattispecie (fusione, concentra

zione, scorporo) sussumibili nell'area del trasferimento della pro prietà di tutta o di parte dell'azienda in conseguenza dell'estinzione della persona giuridica titolare del diritto di pro prietà e di costituzione del nuovo ente imprenditoriale che ac

quistava il diritto medesimo. In tali fattispecie non rientrava, perciò, l'ipotesi, come quella di specie, connotata dalla perma nenza della proprietà in testa allo stesso soggetto e al mutamen

to, all'interno di questo, delle posizioni dei singoli soci conse

guenti al trasferimento, intervenuto fra loro o con terzi, delle

quote rappresentative delle porzioni di proprietà a ciascuno de

gli stessi spettante. Una tale interpretazione — si aggiunge —

era fuorviarne e inappagante rispetto al fine dichiarato della tutela del rapporto fiduciario imprenditore-dirigente, potendo tale fiducia essere scossa anche nell'ipotesi di sopravvenuto con trollo di fatto di un assetto proprietario rimasto immutato e, comunque, di mutamento del rapporto diretto fra il dirigente ed i soci ferma restando la (percentuale di) proprietà delle quo te sociali. Per di più — si conclude — essa si risolveva in un'i nammissibile intrusione del giudice nella sfera dell'autonomia

privata, del tutto ingiustificata in relazione al dichiarato fine di tutela del detto rapporto fiduciario perché l'eventuale com

pressione della posizione del dirigente trovava adeguata tutela nel recesso per giusta causa e ciò indipendentemente dal muta mento dell'assetto proprietario e degli organi sociali dell'impresa.

Con il secondo motivo di gravame, deducendo (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) violazione degli art. 1175, 1375, 1362, 1371 c.c. in relazione alla citata norma collettiva nonché vizio di motiva zione su punto decisivo della controversia, la ricorrente addebi ta al giudice di appello di avere, contraddittoriamente, interpre tato la clausola nel senso che fosse necessario, ai fini della legit timità del recesso, che il cambiamento dell'assetto proprietario dell'azienda fosse tale da intaccare nel dirigente il rapporto di fiducia e di positiva valutazione nei confronti dell'imprenditore e, poi, confutato l'osservazione della ricorrente sull'inesistenza

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Page 5: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 15 ottobre 1991, n. 10829; Pres. Benanti, Est. M. De Luca, P.M. Chirico (concl. parz. diff.); Alesi

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

di fatti idonei a produrre tale circostanza, affermando che era

rimessa all'autonoma valutazione del dirigente la sussistenza o

meno della sopravvenuta situazione di incompatibilità nella pro

secuzione del rapporto di lavoro.

I due motivi, che vanno congiuntamente esaminati per la loro

logico-giuridica connessione sono fondati.

II giudice d'appello — nell'assolvimento del proprio compito

istituzionale di interpretazione della norma collettiva — ha mo

strato di conoscere e condividere l'opinione, espressa da questa

corte (sez. un. 15 luglio 1988, n. 4635, Foro it., Rep. 1988,

voce Sanitario, n. 79), sull'inammissibilità di un'interpretazione della volontà dei contraenti diversa da quella letterale quando

questa risulti, con chiarezza ed univocità, dalle espressioni usa

te. Senonché, per interpretare la volontà comune delle parti se

condo una visione c.d. sostanziale della clausola, ha contestato

la chiarezza ed univocità delle espressioni adoperate dalla nor

ma collettiva osservando che le fattispecie — indicate, a suo

dire, in modo esemplificativo — di concentrazione, fusione e

scorporo non erano riconducibili all'ipotesi principale di trasfe

rimento di proprietà dell'azienda, l'unica che abilitava il diri

gente all'esercizio della facoltà di recesso, per cui occorreva ri

cavare aliunde gli elementi utili per desumere la comune inten

zione delle parti nella stipulazione della clausola.

L'opinione sulla non omologabilità delle ipotesi esemplifica

tivamente indicate in quella principale contrasta, però, con il

principio secondo cui la fattispecie del trasferimento d'azienda

si realizza in ogni vicenda in cui, restando inalterata la struttura

e l'organicità dell'azienda, muti soltanto il titolare qualunque sia il mezzo giuridico consensualmente adoperato (giurisprudenza

costante; per il caso di fusione ed incorporazione, cfr. rispetti

vamente sent. 4 aprile 1981, n. 1921, id., Rep. 1981, voce Lavo

ro (rapporto), n. 1431 e 22 febbraio 1983, n. 1317, id., Rep.

1983, voce cit., n. 633). Conseguentemente, il problema inter

pretativo da affrontare era quello del se l'espressione principale

adoperata (trasferimento di proprietà dell'azienda) fosse indica

tiva di una fattispecie giuridica ben precisata ovvero lasciasse

spazio per altre, e diverse, fattispecie. Nella soluzione di tale problema il giudice del merito è incor

so nell'errore di confondere gli istituti giuridici chiaramente in

dicati dalle parti pervenendo ad una loro scorretta applicazione,

rilevabile in questa sede per violazione della regola legale di

interpretazione delle espressioni giuridiche adoperate dalle parti

secondo il senso attribuitovi dal legislatore. Nella specie, era

rimasta inalterata la destinazione unitaria dei beni posti dall'im

prenditore a servizio dell'impresa (art. 2555), cosi come non

era mutata la titolarità dell'impresa medesima. La modificazio

ne afferiva invece alla distribuzione delle quote di partecipazio ne all'attività imprenditoriale, svolta in forma di società di ca

pitali, con un diverso assetto di posizioni creditorie (art. 2346

c.c.; sent. 6 aprile 1982, n. 2103, id., Rep. 1982, voce Società,

nn. 269-272) conseguenti alle rispettive dimissioni e assunzioni

dello status di socio dell'ente titolare dell'attività imprenditoria

le, al cui perseguimento erano destinati i beni aziendali, la cui

proprietà, ripetesi, non era stata mai trasferita.

La confusione tra i concetti giuridici di imprenditore e di azien

da, ben delineati nel nostro codice (per tutte: art. 2082, 2555

c.c.), ha condotto il giudice d'appello ad estendere l'ipotesi di

un trasferimento della proprietà dell'azienda a quella, tutta di

versa, di mutamento dell'assetto societario interno dell'ente im

prenditore cadendo nell'equivoco, comune ai resoconti crona

chistici, di considerare che «compra» la società — e quindi i

beni oggetto della relativa attività commerciale — chi divenga

azionista, di maggioranza, della società medesima. Cosi ragio

nando, egli ha obliato che, anche nel caso di unico azionista

di una società di capitali, si verifica soltanto la conseguenza

di una responsabilità illimitata di costui che si aggiunge a quella

della società, la cui personalità giuridica rimane distinta ed au

tonoma (arg. art. 2362 c.c.; cfr. anche sent. 9 dicembre 1982,

n. 6712, ibid., n. 284; 7 ottobre 1982, n. 5143, id., 1982,1, 2410). L'ipotesi delineata era, pertanto, ben diversa da quella chia

ramente prevista dalle parti e non può alle stesse farsi un adde

bito di equivocità, frutto soltanto di un'inesatta impostazione

giuridica dell'interprete. Non ignora la corte che altra pronuncia (sent. 25 febbraio

1988, n. 2009, id., Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 739)

ha ritenuto corretta una diversa interpretazione, in fattispecie

analoga a quella in esame, sottolineando l'importanza, ai fini

Il Foro Italiano — 1991.

dell'applicazione del giusto recesso del dirigente nell'ambito di

una immutata soggettività della società datrice di lavoro, di tras

ferimenti di quote o azioni sociali che determinino cambiamenti

nella titolarità dell'azienda sostanzialmente analoghi a quelli del

trasferimento della proprietà. Senonché, non si ritiene di condi

videre tale opinione per due considerazioni. La prima, di ordine

generale, è data dalla priorità, rispetto al senso letterale della

clausola, attribuita all'elemento dell'effettiva volontà delle parti

ma ciò senza la preventiva verifica, ritenuta necessaria dalla opi

nione di questa corte a sezioni unite, dell'ambiguità od oscurità

delle espressioni adoperate nella clausola medesima. La secon

da, di ordine particolare, è relativa alle espressioni «tenuto con

to delle particolari caratteristiche del rapporto dirigenziale» con

tenute nella clausola in quel caso interpretata (art. 13 ccnl 9

ottobre 1979 per i dirigenti di aziende industriali, poi trasfuso

nei successivi contratti fino a quello del 16 maggio 1985) che

hanno indotto il giudice del merito, e poi quello di legittimità, a desumere la volontà delle parti, consacrata nel testo, di rico

noscere l'esistenza di un particolare rapporto di fiducia che,

a sua volta, consentiva di individuare l'intento delle parti stesse

di non imporre al dirigente di rimanere nella società datrice di

lavoro quanto sostanziali cambiamenti dell'assetto societario in

cidessero sul rapporto fiduciario. Tali espressioni non si rinven

gono, invece, nel testo della clausola che regola la presente vi

cenda o, in ogni caso, non sono state utilizzate dal giudice d'ap

pello nell'interpretazione della clausola stessa.

Altrettanto fondato è il rilievo sulla contraddittorietà di mo

tivazione, consistente nel postulare dapprima come sufficiente

per il recesso del dirigente un mutamento dell'assetto proprieta rio idoneo ad intaccare il rapporto fudiciario — con evidente

richiamo, attraverso l'uso dell'espressione «tale», al requisito di un'idoneità obiettivamente accertabile con il ricorso al prin

cipio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto — e, subito dopo nell'esame del secondo motivo d'appello, af

fermare rimessa alla valutazione insindacabile di uno dei con

traenti il giudizio sull'idoneità della compagine societaria a por

re in pericolo la sua posizione professionale. Va soltanto ag

giunto che una tesi siffatta eccedeva la stessa prospettazione del lavoratore, il quale, con la domanda subordinata, aveva de

dotto l'esistenza di fatti sostanzianti, a suo avviso, una giusta

causa di recesso.

Va, pertanto, affermato il principio secondo cui l'ipotesi di

trasferimento della proprietà dell'azienda — la quale, secondo

l'art. 17 ccnl 12 luglio 1984 per i dirigenti di aziende commer

ciali, abilita gli stessi al recesso con diritto all'indennità con

diritto di preavviso — non comprende, per la chiara formula

zione della clausola che non consente il ricorso ad elementi sus

sidiari interpretativi, quella di mutamento dell'assetto azionario

della socità titolare dell'attività imprenditoriale, al cui esercizio

è destinato il complesso dei beni aziendali.

Ad esso si atterrà il giudice di rinvio, designato come in di

spositivo, cui, cassata la pronuncia impugnata, la causa va ri

messa per nuovo esame.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 7 ottobre

1991, n. 10453; Pres. ed est. Menichino, Rei. Onnis, P.M.

Leo (conci, conf.); Rai-Radiotelevisione italiana (Aw. Chi

losi) c. Triumbari (Avv. Assennato). Cassa Trib. Potenza

22 luglio 1989.

Cosa giudicata in materia civile — Opposizione all'esecuzione — Deducibilità di fatti non dedotti tramite appello — Am

missibilità — Fattispecie di licenziamento (Cod. civ., art. 2909;

cod. proc. civ., art. 324, 615; 1. 20 maggio 1970 n. 300, nor

me sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della li

bertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro

e norme sul collocamento, art. 18).

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