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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 27 febbraio 1990, n....

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Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 27 febbraio 1990, n. 1530; Pres. Sandulli, Est. Farinaro, P.M. Visalli (concl. conf.); Lucchi (Avv.

sezione lavoro; sentenza 27 febbraio 1990, n. 1530; Pres. Sandulli, Est. Farinaro, P.M. Visalli(concl. conf.); Lucchi (Avv. Novelli) c. Inps (Avv. Belloni, Vario, Ausenda). Cassa Trib. Modena 7aprile 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 2209/2210-2219/2220Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184794 .

Accessed: 24/06/2014 21:53

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

gamento del premio supplementare al mero esercizio di lavora zioni tabellate e quindi alla medesima situazione che fondava tanto

l'obbligo del datore di lavoro di corrispondere il premio normale

quanto la copertura assicurativa dei dipendenti rispetto al rischio di asbestosi (e silicosi).

Il ricorso è fondato. Questa corte, invero, con la sentenza n. 321/86 (Foro it., Rep. 1986, voce Infortuni sul lavoro, n. 387) ha già precisato che il premio supplementare, stabilito dall'art. 153 t.u. 1124/65 (cosi come modificato dall'art. 10 1. 780/75) a carico dei datori di lavoro che svolgono le lavorazioni previste nell'allegato n. 8, è dovuto soltanto se risulti accertato in concre to che, a causa dell'effettuazione delle anzidette lavorazioni ta bellate, si verifichi nell'ambiente di lavoro una dispersione di sili ce libera o di amianto in concentrazione non inferiore a quella normalmente idonea a determinare, per il personale addetto, il rischio effettivo (e non già presunto) di contrarre la silicosi o

l'asbestosi, atteso che l'art. 153 cit. — prescrivendo che il premio suddetto sia quantificato in ragione dell'incidenza percentuale dei salari specifici percepiti dagli operai esposti al rischio concreto delle malattie suddette rispetto al complesso delle retribuzioni cor

risposte a tutti gli operai dell'azienda — non si limita a stabilire il criterio di massima per la determinazione del premio supple mentare ma introduce anche, in relazione all'obbligo di corri

spondere il premio stesso, una condizione limitativa analoga a

quella cui era subordinata, vigente l'art. 143 t.u., l'applicazione dell'intera normativa sull'assicurazione contro la silicosi e l'asbe stosi. Si che, a seguito della ricordata modifica dell'art. 153 t.u., la legge viene a regolare diversamente la sfera di operatività della tutela assicurativa, fondata sulla presunzione assoluta di deriva zione causale della tecnopatia dallo svolgimento dell'attività ta

bellata, e l'obbligo del pagamento del premio supplementare, su bordinato all'accertamento dell'esistenza di un rischio effettivo nell'ambiente di lavoro.

Tali principi, ribaditi con la successiva sentenza n. 2230/86 (ibid., n. 385), ed altre ancora sino alla recente Cass. 4072/88 (id., Rep. 1988, voce cit., n. 293), sono stati disattesi dal Tribunale di Ca sale Monferrato che, nella sentenza impugnata, ha collegato l'ob

bligo di pagamento del premio supplementare al mero svolgimen to di una lavorazione tabellata, negando che condizione del sor

gere di un tale obbligo sia l'esistenza di un rischio «concreto» di asbestosi derivante dall'esposizione dei lavoratori ad inalazio ne di amianto in concentrazione tale da determinare il rischio.

Pertanto, il ricorso dev'essere accolto e l'impugnata sentenza deve essere cassata con rinvio della causa al Tribunale di Alessan dria che riesaminerà l'appello della società Eternit attenendosi al

seguente principio di diritto: «Il premio supplementare di cui all'art. 153 t.u. 1124/65 (cosi

come modificato dall'art. 10 1. 780/75) è dovuto dai datori di lavori che svolgono le lavorazioni previste nell'allegato n. 8 al citato t.u. soltanto ove risulti accertato in concreto che, a causa dell'effettuazione delle anzidette lavorazioni, si verifichi nell'am biente di lavoro una dispersione di amianto (o di silice libera) in concentrazione non inferiore a quella normalmente idonea a determinare per il personale addetto il rischio effettivo (e non soltanto presunto) di contrarre asbestosi (o silicosi)».

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 27 febbraio

1990, n. 1530; Pres. Sanduiai, Est. Farinaro, P.M. Visaili

(conci, conf.); Lucchi (Aw. Novelli) c. Inps (Aw. Belloni, Vario, Ausenda). Cassa Trib. Modena 7 aprile 1982.

Invalidi di guerra, del lavoro e per servizio — Invalidi civili ultra

sessantacinquenni — Diritto alla pensione sociale c.d. sostituti va della pensione di inabilità civile — Limiti (L. 30 aprile 1969 n. 153, revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in ma teria di sicurezza sociale, art. 26; 1. 30 marzo 1971 n. 118, con versione in legge del d.l. 30 gennaio 1971 n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili, art. 19; 1. 18 dicembre

Il Foro Italiano — 1990.

1973 n. 854, modalità di erogazione degli assegni, delle pensio ni ed indennità di accompagnamento a favore dei sordomuti, dei ciechi civili e dei mutilati ed invalidi civili, art. 10, 11; d.l. 9 dicembre 1987 n. 495, interpretazione autentica degli art. 10 e 11 1. 18 dicembre 1973 n. 854 e dell'art. 1 1. 11 febbraio 1980 n. 18, in materia di assistenza ai sordomuti ed ai mutilati ed invalidi civili ultrasessantacinquenni, art. 1; 1. 21 marzo 1988 n. 93 conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 8 feb braio 1988 n. 25, recante norme in materia di assistenza ai sor

domuti, ai mutilati ultrasessantacinquenni, art. unico).

Gli invalidi civili già titolari di pensione di invalidità civile, ai sensi dell'art. 19 l. 30 marzo 1971 n. 118, sono ammessi al

godimento della pensione sociale dopo il compimento del ses

santacinquesimo anno di età, ferme restando le stesse condizio ni di reddito previste per la liquidazione della pensione di inva

lidità, della quale viene assicurata la continuità di erogazione sotto la forma della pensione sociale; ove, invece, il trattamen to di invalidità civile non preesiste al compimento del sessanta

cinquesimo anno di età, l'ammissione al godimento della pen sione sociale implica la sussistenza dei criteri propri di questa, ivi compresi i più onerosi limiti di reddito, rispetto a quelli propri dell'invalidità civile; tuttavia, per la sanatoria degli ef fetti del d.l. n. 495 del 1987 operata dalla l. n. 93 del 1988 di conversione, con modifiche, del d.l. n. 25 del 1988, a chi abbia presentato la domanda dopo il compimento del sessanta

cinquesimo anno di età compete la pensione sociale sostitutiva

dell'assegno di inabilità civile sulla base dei requisiti di reddito propri di tale ultima provvidenza. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 giugno 1989, n. 2808; Pres. Buccarelli, Est. Micali, P.M. La Valva

(conci, conf.); Min. interno c. Dolmi (Aw. Giannetta). Cassa Trib. Brescia 25 novembre 1986.

Invalidi di guerra, del lavoro e per servizio — Invalidi civili ultra

sessantacinquenni — Diritto alla pensione sociale c.d. sostituti va della pensione di inabilità — Insussistenza (L. 30 aprile 1969 n. 153, art. 26; 1. 30 marzo 1971 n. 118, art. 19; 1. 18 dicembre 1973 n. 854, art. 10, 11; 1. 9 dicembre 1987 n. 495, art. 1; 1. 21 marzo 1988 n. 93, art. unico).

Poiché ai sensi dell'art. 111. 18 dicembre 1973 n. 854 agli inabili al lavoro al compimento del sessantacinquesimo anno di età non compete più la pensione di inabilità civile ma solo quella sociale, a maggior ragione chi ne faccia richiesta dopo il com

pimento del sessantacinquesimo anno può conseguire la sola

pensione sociale sul presupposto della sussistenza dei limiti di reddito propri di tale provvidenza. (2)

(1-3) La complessa questione degli invalidi civili ultrasessantacinqufenni (oggi ex novo regolamentata dal d.leg. 23 novembre 1988 n. 509) è af frontata per la prima volta ed antiteticamente risolta dalla Suprema corte con le due pronunce che si riportano.

Tutto ha avuto origine da un intervento in sede penale del giudice istrut tore presso il Tribunale di Rieti del 5 dicembre 1986 che ha segnato una svolta rispetto alla prassi consolidata dei comitati presso la prefettura di attribuire la pensione di inabilità (trasformata in pensione sociale a carico dell'Inps ex art. 19 1. n. 118 del 1971) anche a chi avesse presenta to la domanda dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età e sui presupposti di reddito previsti dalla disciplina della pensione di in validità civile e non su quelli previsti per la pensione sociale ordinaria; ed il problema si era posto in concreto nella giurisprudenza di merito allorché i limiti di reddito, in origine identici per l'attribuzione della pen sione sociale e di quella di inabilità civile, sono stati diversificati (art. 1 1. n. 20 del 1977 ed art. 14 septies 1. n. 33 del 1980) e notevolmente aumentati per il diritto alla seconda prestazione.

Tale scollatura (che secondo Corte cost. 7 luglio 1988, n. 769, Foro it., 1989, I, 2353, con nota di richiami, necessita di un intervento di omo

geneizzazione da parte del legislatore) ha sollecitato recenti provvedimen ti legislativi fino all'integrale riforma operata con il d.leg. n. 509 del 1988 che, apertis verbis, esclude che agli ultrasessantacinquenni invalidi

possa essere attribuita la pensione di invalidità civile. Con il d.l. n. 495 del 9 dicembre 1987 si era stabilito chiaramente che gli invalidi anche se riconosciuti tali a seguito di presentazione della domanda dopo il com pimento del sessantacinquesimo anno di età erano ammessi al godimento della pensione sociale sostitutiva; tale decreto non è stato convertito ed

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2211 PARTE PRIMA 2212

Ill

PRETURA DI PISA; sentenza 10 aprile 1990; Giud. Nisticò; Cionini (Aw. Sampieri) c. Inps (Avv. Pinto, Perani) e Min.

interno.

Invalidi di guerra, del lavoro e per servizio — Invalidi civili ultra

sessantacinquenni — Diritto alla pensione sociale c.d. sostituti

va della pensione di inabilità civile — Limiti (L. 30 aprile 1969 n. 153, art. 26; 1. 30 marzo 1971 n. 118, art. 19; 1. 18 dicembre

1973 n. 854, art. 10, 11; d.l. 9 dicembre 1987 n. 495, art. 1; 1. 21 marzo 1988 n. 93, art. unico; d.leg. 23 novembre 1988

n. 509, norme per la revisione delle categorie delle minorazioni

e malattie invalidanti, nonché dei benefici previsti dalla legis lazione vigente per le medesime categorie, ai sensi dell'art. 2, 1° comma, 1. 26 luglio 1988 n. 291).

Per effetto della perdurante efficacia del d.l. n. 495 del 1987,

non convertito in legge ma richiamato dall'art. 1, 2° comma,

l. n. 93 del 1988 di conversione, con modificazioni, del d.l.

n. 25 del 1988, agli invalidi civili assoluti ultrasessantacinquen ni che abbiano presentato la domanda amministrativa prima dell'entrata in vigore del d.leg. n. 509 del 1988 compete la pen sione sociale sostitutiva sul presupposto dei requisiti di reddito

previsti per la concessione della pensione di invalidità civile. (3)

in suo luogo è stato emanato il d.l. 8 febbraio 1988 n. 25 che, nel testo risultante dalla conversione, si limitava ad autorizzare l'Inps a pagare le pensioni sociali sostitutive di quelle di inabilità in favore degli ultrases

santacinquenni solo se già liquidate e quindi di quelle la cui erogazione era stata sospesa dall'istituto previdenziale in seguito alla vicenda penale cui più su si è fatto riferimento. Nel convertire in legge il decreto n. 25 (1- n. 93 del 1988) il legislatore ha stabilito che restavano validi gli atti ed i provvedimenti adottati ed erano fatti salvi gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti sulla base del d.l. 9 dicembre 1987 n. 495.

Mentre, ora, di tali interventi legislativi non tiene assolutamente conto Cass. 2808/89, è proprio sul «ripescaggio» del d.l. n. 495 operato dalla 1. n. 93 del 1988 che fanno leva Cass. n. 1530 del 1990 e Pret. Pisa

10 aprile 1990 per addivenire alla conclusione che, quantomeno nella fa scia di operatività cronologica del d.l. n. 495 (che è norma di interpreta zione autentica degli art. 10 e 11 1. n. 854 del 1973 e come tale retroatti

va), la pensione sociale sostitutiva di quella di inabilità civile debba essere

corrisposta a chi abbia presentato la domanda dopo il compimento del

sessantacinquesimo anno di età e sul presupposto di reddito previsto per le provvidenze in favore degli invalidi civili (con identica motivazione, v., in termini, Pret. Camerino 27 maggio 1989, Informazioneprev., 1989, 1278 e Pret. Parma 24 luglio 1989, Dir. e pratica lav., 1989, 2897, non ché Pret. Firenze 18 maggio 1989, Toscana lav. giur., 1990, 149 e Trib. Firenze 27 ottobre 1989, ibid., 152; con motivazione diversa, v. Pret. Pisa 13 dicembre 1988, id., 1989, 126; contra, Pret. Pistoia 4 aprile 1989, ibid., nonché Pret. Ferrara 21 giugno 1988, Foro it., Rep. 1988, voce

Previdenza sociale, n. 924 e Trib. Pescara 18 settembre 1987, ibid., n.

923; v. anche Pret. Bergamo 5 giugno 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1002, secondo cui per gli invalidi ultrasessantacinquenni deve tenersi conto dei requisiti di reddito previsti per la pensione sociale ordinaria; contra, Pret. Bergamo 22 dicembre 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 861).

In argomento, v., da ultimo, Cass. 15 luglio 1987, n. 6192, id., 1988, I, 2984, secondo cui è ammissibile l'azione di mero accertamento rivolta alla sola condizione di inabilità totale che, indipendentemente dai requisi ti economici, conferisce lo status di invalidità civile; contra, Cass. 14

gennaio 1988, n. 240, ibid., 2983, con nota di richiami di V. Ferrari; v. anche Cass. 15 febbraio 1988, n. 1628, id., Rep. 1988, voce Invalidi di guerra, n. 18, nonché Cass. 19 febbraio 1988, n. 1757, ibid., n. 17, che hanno ritenuto che nel caso di esito negativo in fase di accertamento

sanitario, il richiedente la pensione di inabilità civile non è tenuto ad attivare l'ulteriore fase amministrativa, ma può richiedere in sede giudi ziaria l'accertamento del suo diritto alla prestazione assistenziale, che gli è stata rifiutata, competendo al giudice l'accertamento non solo dei re

quisiti di natura sanitaria ma anche quello concernente gli altri requisiti di natura economica e quindi il diritto alla prestazione assistenziale.

Per la non computabilità della rendita Inail ai fini della determinazione del reddito per la concessione della pensione di inabilità civile, v. Pret. Pisa 11 ottobre 1988, Toscana lav. giur., 1988, 1074 e v. pure, sulla no zione di reddito per la concessione della pensione di invalidità civile, Pret. Pisa 9 febbraio 1988, Foro it., Rep. 1988, voce Cieco, n. 4. Sui limiti di reddito per l'assegno di accompagnamento agli invalidi civili assoluti, v. Trib. Firenze 5 gennaio 1989, Toscana giur. lav., 1989, 522.

Da ultimo, sollecitata da Pret. Pisa, ord. 25 ottobre 1988, id., 1988, 1071, v. Corte cost. 22 giugno 1989, n. 346, Giust. civ., 1989, I, 1767 e Giur. it., 1990, I, 1, 18, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli art. 1, 1° comma, 1. 11 febbraio 1980 n. 18 e 2, 4° comma, 1. 30 marzo 1971 n. 118, nella parte in cui esclude che ad

11 Foro Italiano — 1990.

I

Svolgimento del processo. — Felicita Lucchi, in Balestrazzi,

nata il 21 gennaio 1910, con ricorso, in data 13 giugno 1980,

al Pretore di Modena — premesso: 1) che la prefettura di Mode

na, con provvedimento 15 dicembre 1977, le aveva respinto la

domanda per l'assegnazione della pensione .d'inabilità civile, per il solo fatto del superamento del sessantacinquesimo anno di età,

pur ricorrendo gli altri requisiti dell'invalidità totale, accertata

dalla competente commissione sanitaria provinciale e dell'entità

del reddito; 2) che, successivamente, l'Inps di Modena le aveva

rigettato la domanda, proposta il 31 dicembre 1977, tendente ad

ottenere la pensione sociale, che ai sensi dell'art. 19 1. 20 marzo

1971 n. 118, affermava spettarle in sostituzione della pensione

d'invalidità, fermo il requisito del limite reddituale di questa, nel quale il suo reddito rientrava, a nulla rilevando che lo stesso su

perasse quello, massimo diverso, consentito per l'attribuzione della

pensione sociale — chiedeva, previo ordine al ministero dell'in

terno di trasmettere all'Inps la documentazione relativa all'accer

tato suo stato d'invalidità, la condanna alternativa dell'Inps o

del ministero dell'interno a corrispondere la pensione sociale ov

vero il trattamento previdenziale equivalente; in subordine, pro

spettava il dubbio di costituzionalità dell'art. 19 1. 30 marzo 1971

n. 118 per disparità di trattamento tra cittadini bisognosi ultra

sessantacinquenni, distinguendo, ai fini della «pensione sociale»,

tra chi avesse già in godimento quella d'invalidità civile, tramu

tandola senz'altro in pensione sociale e chi, bisognoso ed invali

do non l'avesse, assoggettandolo a più rigorose condizioni, quan to al limite reddituale per beneficiare della pensione sociale.

Si opponevano i convenuti Inps e ministero dell'interno.

L'adito pretore, con sentenza 24 ottobre - 15 dicembre 1980,

respingeva la domanda.

L'appello della Lucchi, proposto soltanto nei confronti dell'Inps,

per la concessione della pensione sociale, veniva rigettata dal Tri

bunale di Modena, con sentenza 7 aprile - 15 maggio 1982. Rile

vava il tribunale che sia la pensione d'invalidità civile, di cui al

l'art. 12 1. 118/71, sia l'assegno mensile d'invalidità, di cui al

l'art. 13, sono riconosciuti soltanto a coloro la cui età sia compresa fra i diciotto ed i sessantacinque anni; raggiunto il sessantacin

quesimo anno l'unica prestazione riconosciuta ai mutilati ed in

validi civili è la «pensione sociale», che, secondo l'art. 19 della

detta legge sostituisce entrambi i detti benefici. Senonché la legge richiede quale imprescindibile presupposto per l'ottenimento del

la pensione sociale una posizione reddituale assai ridotta sia rela

tivamente al beneficiario che al coniuge (art. 26 1. 30 aprile 1969

n. 153, da ultimo art. 14 septies introdotto nel d.l. 30 dicembre

1979 dalla 1. 29 febbraio 1980 n. 33), reddito inferiore a quello ostativo del conseguimento delle prestazioni assistenziali per gli invalidi civili (1. 21 febbraio 1977 n. 29). A nulla rileva — prose gue il tribunale — che la pensione sociale sia attribuita a coloro

che precedentemente fruivano delle prestazioni assistenziali per

gli invalidi civili, d'ufficio dall'Inps a seguito di comunicazione

dei nominativi da parte della prefettura, non essendo tale comu

nicazione vincolante, in quanto l'Inps è tenuta sempre a control

lare la sussistenza dei requisiti per l'attribuzione di tale pensione. D'altra parte, la pensione sociale al raggiungimento del sessanta

cinquesimo anno di età è beneficio spettante sia a coloro che in

precedenza erano invalidi assoluti sia a coloro che avevano capa cità lavorativa ridotta oltre i due terzi, il che vale a far ritenere

l'impossibilità di conseguire, dopo il raggiungimento della detta

età, la pensione d'inabilità, restando cosi inammissibile un prete so tramutamento del beneficio in quello di pensione sociale.

integrare lo stato di totale invalidità per il diritto all'indennità di accom

pagnamento possa concorrere, con altre menomazioni, la cecità parziale. In dottrina: Pittau, Gli invalidi civili ultrasessantacinquenni, in Dir.

e pratica lav., 1988, 75; Id., La pensione sociale ai sordomuti e agli inva

lidi civili ultrasessantacinquenni. Collegamento tra i diversi spezzoni della

normativa assistenziale, in Prev. soc., 1987, 1227; Saja, Pensione sociale e prestazione agli invalidi civili: un coordinamento difficile, in Informa zione prev., 1988, 1427; Piccinino, Le controversie in materia di presta zioni per gli invalidi civili, in Riv. it. dir. lav., 1986, II, 863; Cinelli, Tutela degli anziani e degli inabili al lavoro, disciplina della pensione sociale, principio di parità e prassi amministrativa, id., 1984, II, 286; Bartalena, Qualche approfondimento in tema di limiti di reddito per la pensione ai ciechi civili, in Toscana lav. giur., 1988, 749.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il tribunale riteneva, altresì', manifestamente infondata la que stione di legittimità costituzionale dell'art. 19 1. 118/71.

Ricorre la Lucchi con due motivi. L'Inps ha depositato soltan

to la procura alle liti.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo la ricorrente

denunzia la violazione degli art. 19 1. 30 marzo 1971 n. 118 e

26 1. 30 aprile 1969 n. 153 (ai sensi dell'art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.); ella sostiene che il tribunale ha violato l'art. 19 1. 118/71

che configura la pensione sociale dell'invalido civile come diritto autonomo alla pensione sociale in sostituzione della pensione d'in

validità civile «al compimento della età di sessantacinque anni»;

quindi, indipendentemente dalla posizione reddituale richiesta per l'attribuzione della pensione sociale ordinaria.

Tale convincimento lo si ricava, a dire della ricorrente, oltre

che dall'intenzione del legislatore, dalla formulazione letterale del

richiamato art. 19 1. 118/71.

L'intenzione del legislatore è stata indubbiamente quella di con

vertire il titolo della pensione di invalidità civile a carico dello Stato in pensione sociale a carico della collettività (attraverso la

gestione Inps), alle stesse condizioni reddituali attributive del di

ritto alla pensione d'invalidità.

Tale interpretazione troverebbe conferma nel 2° comma del

l'art. 19 1. 118/71 che, in considerazione di una differenza di

lire 6.000 mensili (nell'epoca intercorrente fra l'importo della pen sione sociale) pone tale differenza a carico del ministero del

l'interno.

Né un'interpretazione difforme potrebbe essere dedotta (sem

pre secondo la ricorrente) dalla circostanza che, nella specie, ella

avesse superato il sessantacinquesimo anno di età.

E ciò perché la «sostituzione» della pensione sociale a quella d'invalidità civile opererebbe per tutti gli ultrasessantacinquenni, rimanendo del tutto indifferente la circostanza d'ordine materiale

che essi fossero già in godimento della pensione d'invalidità civi

le, ovvero fosse stato loro riconosciuto, come era stato ricono

sciuto a favore di essa Lucchi, il diritto alla pensione d'invalidità, alla cui realizzazione ostava solamente il superamento del limite

di età. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli

art. 19 1. 118/71 e 26 1. 153/69 nonché dell'art. 23 1. 11 marzo

1953 n. 87 perché il tribunale ha ritenuto infondata l'eccezione

di illegittimità costituzionale del citato art. 19 per contrasto con

gli art. 3 e 38 Cost. Ella, pertanto, precisa che, ove non fosse

seguita l'interpretazione sostenuta nel primo motivo del ricorso, dovrebbe ritenersi non manifestamente infondata la questione di

legittimità costituzionale dell'art. 19 medesimo, sia in quanto viola

la par condicio civium, ingiustificatamente diversificando, ai fini

della pensione d'invalidità civile, la condizione dei cittadini infe riori ai sessantacinque anni di età da quelli di età superiori, sia,

soprattutto, lasciando privo di «assistenza sociale» il cittadino

«sprovvisto dei mezzi necessari» nel verificarsi della sua condi

zione di maggior bisogno per effetto del raggiungimento di un'e

tà avanzata.

Essi vanno esaminati congiuntamente. Orbene, si deve subito

rilevare che la questione di costituzionalità prospettata dalla ri

corrente risulta dichiarata inammissibile dalla Corte costituziona

le con sentenza 7 luglio 1988, n. 769 (Foro it., 1989, I, 2353)

perché, nonostante la comune natura assistenziale della pensione sociale e dei trattamenti per gli invalidi civili, non può estendersi

a quella la disciplina sui più elevati limiti di reddito prevista per i secondi, in ragione della natura derogatoria ed eccezionale della

medesima, insuscettibile come tale di essere assunta quale tertium

comparationis. È il caso di premettere poi che con la 1. n. 153 del 1969 il

legislatore ha per la prima volta garantito il diritto al consegui mento di una pensione sociale ai cittadini residenti che risultino

sprovvisti di reddito ed abbiano superato la soglia del sessanta

cinquesimo anno di età. Poi, per circoscrivere l'erogazione di tale

trattamento assistenziale ai soggetti versanti in effettive condizio

ni di bisogno, da un lato se ne è prevista l'incompatibilità (o

comunque l'incumulabilità) con altre prestazioni sociali e dall'al

tro sono stabiliti precisi limiti reddituali. In particolare, con l'art, 3 1. n. 114 del 1974 (che ha sostituito l'originario testo dell'art.

261. n. 153 del 1969) sono stati fissati limiti differenziali a secon da che si tratti di reddito individuale ovvero di soggetto coniuga

to, da cumulare col coniuge; limiti successivamente sempre più man mano elevati.

D'altro canto, con la 1. 30 marzo 1971 n. 118, il legislatore ha provveduto in ordine alla condizione del cittadino inabile al

Il Foro Italiano — 1990.

lavoro, disponendo la corresponsione di una pensione al total

mente inabile e di un assegno mensile a chi versi in condizioni

di incollocabilità al lavoro ed abbia ridotta in misura superiore a due terzi la capacità lavorativa (art. 12 e 13). Tali prestazioni sono erogate ai cittadini di età compresa tra il diciottesimo ed

il sessantacinquesimo anno di età, al compimento della quale è

prevista la loro automatica trasformazione della pensione sociale

(art. 19); e, correlativamente, nei medesimi art. 12 e 13 è previsto che le condizioni economiche richieste per la corresponsione della

pensione o dell'assegno siano identiche a quelle stabilite per l'at

tribuzione della pensione sociale.

Tale scelta legislativa di parificazione dei limiti di reddito è stata poi confermata tanto con la 1. n. 114 del 1974 (art. 8) quan to con la 1. n. 160 del 1975 (art. 3 e 7). Ma da essa il legislatore si è discostato: in un primo momento, per i soli invalidi civili assoluti, prevedendo in favore di essi il raddoppio del limite di

reddito vigente in via generale (art. 1 1. n. 20 del 1977); successi

vamente, elevandolo ulteriormente per costoro ed aumentandolo

in misura consistente pur se diversa, per gli invalidi civili parziali

(art. 14 septies 1. n. 33 del 1980). Da tale excursus emerge che l'art. 19 1. 30 marzo 1971 n. 118

dispone l'ammissione degli invalidi civili senz'altro al godimento della pensione sociale al compimento del sessantacinquesimo an

no di età, previa comunicazione da parte della prefettura all'Inps della necessaria documentazione, prescindendo completamente dal

l'accertamento da parte dell'istituto della rivalutazione della posi zione patrimoniale della persona che fino al sessantacinquesimo anno di età era stato titolare della pensione d'invalidità, in quan to tale condizione è sufficiente presupposto per l'erogazione della

pensione sociale.

La diversa prospettazione (sostenuta dal tribunale) di una valu

tazione autonoma da parte dell'Inps delle condizioni economiche

deU'invalido, in vista dell'ammissione alla pensione sociale, avreb

be, invece, postulato il riferimento inequivoco al procedimento di rivalutazione, oltre che la definizione del termine d'inizio del

procedimento in modo da evitare soluzioni di continuità nell'ero

gazione dei trattamenti pensionistici e la disciplina puntuale del

l'eventuale istruttoria soprattutto in vista dell'onere di provare l'entità della situazione patrimoniale della persona alla quale ero

gare la pensione sociale. Ma l'art. 19 suddetto collega in modo

diretto il compimento del sessantacinquesimo anno di età, da parte del titolare della pensione di invalidità civile, e l'ammissione al

godimento della pensione sociale.

Una diversa interpretazione, tale da determinare la cessazione

del trattamento pensionistico di invalidità senza che ad esso fac

cia seguito l'erogazione della pensione sociale, sarebbe incoerente

con l'ordinamento costituzionale (art. 3, 38 Cost.), dato che il

superamento dell'età non costituisce superamento dell'invalidità, sul cui presupposto fu liquidata la pensione d'invalidità, costitui

sce semmai un aggravio. Del resto, l'art. 19, 2° comma, 1. 20 marzo 1971 n. 118 dispo

ne nel senso della permanenza della somma corrispondente al trat

tamento economico d'invalidità, se quest'ultima è superiore alla

pensione sociale e ciò si spiega con la diversità fra i trattamenti

suindicati (art. 26 1. 30 aprile 1969 n. 156; art. 12 1. 30 marzo

1971 n. 118) e con l'esigenza di evitare una diversità di tratta

mento nei confronti di una stessa persona, affetta da invalidità,

per il solo fatto del compimento del sessantacinquesimo anno di

età. In effetti, l'ammissione al godimento della pensione sociale

risponde non tanto ad un'esigenza di riesame della posizione pen sionistica d'invalidità, quanto all'opportunità di risolvere un pro blema di imputazione di spesa, come conseguenza della distribu

zione dell'onere finanziario connesso alla pensione d'invalidità

ed a quella sociale, rispettivamente a carico del ministero dell'In

terno e dell'Inps (1. 27 luglio 1965 art. 2). In conclusione, gli invalidi, già titolari di pensione d'invalidità

civile, ai sensi dell'art. 19 1. 30 marzo 1971 n. 118, sono ammessi

al godimento della pensione sociale dopo il compimento del ses

santacinquesimo anno di età, ferme restando le stesse condizioni

di reddito previste per la liquidazione della stessa pensione d'in

validità, della quale viene assicurata la continuità dell'erogazio

ne, sotto la forma della pensione sociale. Ove, invece, il tratta

mento d'invalidità civile non preesista al compimento del sessan

tacinquesimo anno di età, l'ammissione al godimento della pensione sociale implica la sussistenza dei criteri propri di questa ivi com

presi i più onerosi limiti di reddito, rispetto a quelli propri del l'invalidità civile.

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2215 PARTE PRIMA 2216

La vicenda del problema in questione, nelle more del presente giudizio, si è arricchita, oltre che dell'intervento della Corte co

stituzionale suddetto (sent. 7 luglio 1988, n. 769, id., 1989, I,

2353), di una nuova tappa legislativa (non conclusiva), provocata dalla sconfessione da parte del Consiglio di Stato (v. parere sez. I n. 463 del 3 aprile 1987) di una prassi amministrativa, invalsa ad iniziativa del ministero dell'interno, di riconoscimento dell'in

validità civile agli ultrasessantacinquenni e quindi di attribuzione ai medesimi della pensione sociale sulla base dei più elevati limiti

di reddito previsti per gli invalidi. Il governo allora propose, col d.l. 9 dicembre 1987 n. 495,

di legittimare la suddetta prassi amministrativa attraverso una nor ma mirante a sancire la riconoscibilità dell'«invalidità civile an

che agli ultrasessantacinquenni e l'attribuzione a costoro della pen sione sociale in base ai limiti di reddito previsti per gli invalidi civili; ma tale decreto non fu convertito in legge.

Col nuovo d.l. 8 febbraio 1988 n. 25, poi, il governo ha propo sto l'attribuzione della pensione sociale ai soggetti riconosciuti

invalidi dopo i sessantacinque anni e fruenti di redditi superiori ai limiti per essa previsti, limitatamente: a) a coloro cui detta

pensione fosse stata già liquidata dall'Inps, ma non pagata per il superamento del limite reddituale; b) a coloro, cui, comunque, la condizione d'invalido civile fosse già stata riconosciuta alla

data di entrata in vigore del decreto.

Con la 1. n. 93 del 1988 il parlamento ha però convertito il

detto decreto solo in riferimento alla categoria sub a), salva la

sanatoria degli effetti del d.l. n. 495 del 1987.

Siffatta normativa (derogativa nella parte e convertita, andata a regime, rispetto alla precedente più sopra interpretata) e, pale semente, interpretativa degli art. 10 e 11 1. 18 dicembre 1973 n.

854 (relativi alla sostituzione della pensione d'invalidità in quella

sociale) ed incidente retroattivamente sulle situazioni pregresse è

tale da esplicare i suoi effetti anche a favore della Lucchi, previa accertamenti di fatto sulla posizione amministrativa della stessa

presso l'Inps (essa percepì' per un certo periodo la pensione socia le sia pure sub condicioné).

In conclusione, si deve accogliere il ricorso per quanto di ra

gione; e si deve cassare l'impugnata sentenza, con rinvio della

causa, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, ad

altro tribunale che si designa in quello di Bologna.

II

Svolgimento del processo. — Il Tribunale di Brescia, con sen

tenza in data 25 novembre 1986, riformava la decisione adottata

da quel pretore nella controversia vertente tra Attilio Dalmi ed il ministero dell'interno, sui rilievi seguenti: 1) che l'attore, ultra

sessantacinquenne, aveva chiesto invano al ministero dell'interno

la concessione della pensione d'inabilità di cui all'art. 12 1. 30 marzo 1971 n. 118; 2) che, per contro, egli aveva diritto alla

liquidazione della pensione suddetta nonostante la sua età, sia

perché la norma sopra citata pone un limite minimo di età alla concessione della pensione d'inabilità e non già un limite massi

mo, sia ancora perché non può esser ritenuta influente, sul pun to, la norma di cui all'art. 19 della medesima legge, dal momento che essa, pur prevedendo la sostituzione della pensione d'inabili tà con la pensione sociale per gli ultrasessantacinquenni di cui all'art. 26 1. 30 aprile 1969 n. 153, lascia tuttavia a carico del

ministero dell'interno il pagamento della differenza della somma di lire 6.000, onde deve ritenersi che gli ultrasessantacinquenni inabili al lavoro hanno diritto alla corresponsione della pensione d'inabilità a carico del ministero suddetto con la maggiorazione già indicata.

Da qui il ricorso ed il controricorso.

Motivi della decisione. — Il ministero ricorrente, con l'unico motivo di cassazione proposto, deducendo violazione e falsa ap plicazione degli art. 12, 13 e 19 1. 30 marzo 1971 n. 118, dell'art. I 1. 11 febbraio 1980 n. 18 e dell'art. 26 1. 30 aprile 1969 n.

153, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., ha sostenuto che il tribunale aveva errato nell'aver interpretato il combinato di

sposto degli art. 12 e 19 1. 30 marzo 1971 n. 118 nel senso suddetto. Il giudice a quo, per contro, avrebbe dovuto ritenere che le

condiciones iuris per la concessione della pensione d'inabilità di cui all'art. 12 1. 30 marzo 1971 n. 118, e quelle della pensione sociale di cui all'art. 26 1. 30 aprile 1969 n. 153 sono del tutto

II Foro Italiano — 1990.

diverse, perché la prima provvidenza è rivolta in favore degli ina

bili incapaci assolutamente di procurarsi un reddito con la loro

attività lavorativa, mentre la seconda è ordinata al sostentamento

dei cittadini ultrasessantacinquenni non abbienti, ritenuti inido

nei ex lege a provvedere ai loro bisogni con lo svolgimento di

un'attività lavorativa.

L'attore, pertanto, avendo già compiuto l'età suddetta al mo

mento della proposizione della domanda volta ad ottenere la con

cessione della pensione d'invalidità aveva diritto soltanto all'ero

gazione della pensione sociale, onde il ministero degli interni non

aveva alcun obbligo di corrispondergli né la pensione d'invalidi

tà, né la differenza di lire 6.000 posta a suo carico dall'art. 19

1. 30 marzo 1971 n. 118, nel caso in cui il beneficiario della pen sione d'inabilità avesse compiuto poi il sessantacinquesimo anno

di età. La doglianza è fondata. Argomento decisivo in favore della

tesi sostenuta dal ministero ricorrente dev'esser tratta dalla nor

ma di cui all'art. II 1. 18 dicembre 1973 n. 854, che dispone che:

«in sostituzione della pensione o dell'assegno di cui all'art. 12

e 13 1. 30 marzo 1971 n. 118 i mutilati ed invalidi sono ammessi

dal primo giorno del mese successivo al compimento dell'età di

sessantacinque anni, su comunicazione del ministero dell'interno

all'Inps, da effettuarsi sei mesi prima del cennato termine, al go dimento della pensione sociale a carico del fondo di cui all'art.

26 1. 30 aprile 1969 n. 153». Or non v'è dubbio che se gli inabili al lavoro, al compimento

dell'età di sessantacinque anni, non hanno più diritto alla pensio ne d'inabilità bensì a quella sociale, a maggior ragione gli ultra

sessantacinquenni possono ottenere soltanto la pensione sociale

e non più quella d'inabilità di cui all'art. 12 1. 30 marzo 1971

n. 118. La norma sopravvenuta di cui all'art. 11 1. 18 dicembre 1973

n. 854, infatti, essendo incompatibile con quella di cui all'art.

19 1. 118/71 (da cui il tribunale traeva argomento alla sua tesi) ha abrogato quest'ultima, ex art. 15 preleggi.

Dev'esser posto in rilievo, infine, che le preoccupazioni d'inco

stituzionalità che il tribunale si era prospettato, erano inconsi

stenti, cosi come ha posto in rilievo la Corte costituzionale con

la sentenza n. 769 del 7 luglio 1988 (Foro it., 1989, I, 2353). Da quanto fin qui esposto consegue che il ricorso è fondato

e dev'essere accolto, onde la sentenza impugnata dev'essere cas

sata e la causa rinviata per nuovo esame ad altro giudice di meri

to, che si adeguerà al principio di diritto suddetto.

Ili

Motivi della decisione. — 1. - L'unico problema di diritto dalla

cui soluzione dipende l'esito della presente controversia riguarda l'esatta interpretazione del regime assistenziale applicabile agli as

sistiti ritenuti invalidi civili dopo il compimento del sessantacin

quesimo anno di età o che per il riconoscimento dell'invalidità civile abbiano presentato domanda dopo i sessantacinque anni.

La questione non è nuova e, come è noto, agli inizi degli anni '80 aveva trovato soluzioni di segno opposto in sede giudiziaria, fino ad assumere toni decisamente clamorosi in seguito ad una

pronuncia resa in sede penale dal giudice istruttore presso il Tri

bunale di Rieti (n. 248/86 r.g. del 5 dicembre 1986) con la quale si era finito per paralizzare il meccanismo di erogazione della

pensione di invalidità civile agli ultrasessantacinquenni che il mi

nistero dell'interno riconosceva (e l'inps corrispondeva) anche a

chi avesse presentato la domanda dopo il compimento del sessan

tacinquesimo anno.

È opinione di questo giudice (per altro già espressa in numerosi

analoghi procedimenti: per tutti v. Pret. Pisa 13 dicembre 1988, Toscana lav. giur., 1989, 126) che nella vigenza della legge fon

damentale n. 118 del 1971 l'erogazione della prestazione all'inva

lido tale ritenuto dopo i sessantacinque anni corrispondesse ad

un'esatta interpretazione della disciplina legislativa. Ed infatti, l'art. 19 1. n. 118 prevedeva che all'invalido civile

tale riconosciuto prima del compimento del sessantacinquesimo anno venisse corrisposta, in luogo della pensione o dell'assegno di cui agli art. 12 e 13 ed al compimento del sessantacinquesimo anno, la pensione sociale (c.d. sostitutiva) a carico del fondo di

cui all'art. 26 1. 30 aprile 1969 n. 153.

Non vi poteva essere dubbio, poi, che il titolo per il godimento

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

della pensione sociale sostitutiva fosse quello originario e che tro vava fondamento nel riconoscimento dei presupposti medico-legali e reddituali per le provvidenze in favore degli invalidi civili, ciò

rimanendo confermato non solo da un parere reso dal Consiglio di Stato (463/87) nel quale si puntualizzava come la sostituzione

della pensione di invalidità civile con quella sociale comportasse una mera diversa imputazione di spesa, ma anche da un dato

testuale (art. 19, 2° comma, cit.) e cioè dalla previsione legis lativa di un onere residuo a carico del ministero dell'interno per la differenza fra l'importo della pensione sociale e quello della

pensione di invalidità (previsione, peraltro, ripetuta al 3° comma

dell'art. 8 d.leg. 23 novembre 1988 n. 509, che ha introdotto, come meglio si dirà, un nuovo regime per gli ultrasessantacin

quenni). Da quanto fin qui affermato si ricava agevolmente il principio

secondo il quale, vigendo la 1. n. 118, il nostro ordinamento pre vedeva e tutelava l'ipotesi dell'invalido civile ultrasessantacinquenne distinta da quella del pensionato sociale, le due relative provvi denze assistenziali trovando titolo in situazioni e ragioni di tutela

distinte (di tal che all'invalido ultrasessantacinquenne, tale rico

nosciuto prima del compimento del sessantacinquesimo anno, la

pensione sociale sostitutiva veniva corrisposta e mantenuta sulla

base dei requisiti reddituali previsti dalla 1. n. 118 e non sulla

base di quelli diversi previsti per la pensione sociale). A tali argomentazioni di ordine logico e sistematico se ne ag

giungevano altre di carattere testuale: ed infatti, mentre l'art. 13

1. n. 118 prevedeva la corresponsione di un assegno ai c.d. invali

di parziali «di età compresa fra il diciottesimo ed il sessantacin

quesimo anno», l'art. 12, che riguardava l'ipotesi dell'invalidità

assoluta (come è nel caso che ci occupa), si riferiva agli invalidi civili «di età superiore agli anni diciotto», senza indicare il limite

massimo di età, con ciò confermando che le prestazioni assisten

ziali in favore degli invalidi assoluti erano dovute anche se si trat

tava di assistiti che avevano superato il sessantacinquesimo anno

di età. Questo giudice, poi, aveva ancora ritenuto (v. Pret. Pisa 13

dicembre 1988, cit.) che una diversa interpretazione, tale da ne

gare il diritto alla pensione di invalidità a chi l'avesse richiesta

dopo il sessantacinquesimo anno, avrebbe comportato rilevanti

problemi di costituzionalità dell'assetto legislativo, per l'evidente

minor tutela apprestata a soggetti maggiormente abbisognevoli di assistenza (e cioè agli inabili ultrasessantacinquenni) rispetto ad altri che, pur avendo superato il sessantacinquesimo anno di

età e senza essere inabili, godevano di una diversa prestazione di natura assistenziale (pensione sociale).

E dunque nel regime della 1. n. 118 la pensione di invalidità

civile era dovuta anche a chi ne avesse fatto richiesta dopo il

sessantacinquesimo anno di età.

Apparenti problemi pone la legislazione successiva. Una scorsa

veloce degli interventi legislativi successivi alla 1. n. 118, con rife

rimento alla disciplina degli ultrasessantacinquenni, dimostra che

il nostro legislatore sul punto non ha avuto le idee chiare.

Si rinviene un d.l. 9 dicembre 1987 n. 495 di interpretazione autentica degli art. 10 e 11 1. 18 dicembre 1973 n. 854 il quale affermava che le norme autenticamente interpretate andavano in

tese nel senso che «i sordomuti ed i mutilati ed invalidi civili, anche se siano stati riconosciuti tali a seguito di istanza presenta ta alle apposite commissioni sanitarie dopo il compimento del

sessantacinquesimo anno di età sono ammessi al godimento della

pensione sociale...». La questione sembrava risolta, ma il decreto

n. 495 non è stato convertito ed in sua vece è stato emanato

il d.l. 8 febbraio 1988 n. 25, il quale, al 1° comma dell'art. 1,

prevedeva che l'Inps era autorizzato «a corrispondere le presta zioni già liquidate in favore dei mutilati, invalidi civili e sordo muti anche se riconosciuti tali dopo il compimento del sessanta

cinquesimo anno di età».

Tale decreto, di non semplice interpretazione, è stato converti

to in 1. 21 marzo 1988 n. 93 che ha soppresso i commi 2 e 3

dell'art. 1 e stabilito che restavano «validi gli atti ed i provvedi menti adottati» ed erano fatti salvi «gli effetti prodotti ed i rap

porti giuridici sorti sulla base del d.l. 9 dicembre 1987 n. 495». Con il «ripescaggio» del d.l. n. 495 operato dalla 1. n. 93 perde

di significato il problema dell'esatta interpretazione del disposto dell'art. 1, 1° comma, d. leg. n. 25 (se cioè si trattasse di una

sanatoria per le richieste in corso e sospese nella sola erogazione da parte dell'Inps o se contenesse il principio secondo cui anche

agli invalidi ultrasessantacinquenni che comunque avessero pre

II Foro Italiano — 1990.

sentato la domanda competessero le prestazioni): ed infatti la sal vezza dei rapporti giuridici sorti sulla base del d.leg. n. 495, che era norma di interpretazione autentica e quindi retroattiva, ha finito per far ricadere sotto la previsione normativa del decreto

legge non convertito tutti i rapporti assistenziali tra soggetti ul

trasessantacinquenni e l'Inps fino all'entrata in vigore del d.leg. 23 novembre 1988 n. 509 che ha diversamente regolato la materia

(cosi, fra le altre, Pret. Camerino 27 maggio 1989, Informazione

prev., 1989, 1278 e Pret. Parma 24 luglio 1989, Dir. e pratica lav., 1989, 2897).

In tal modo, sul piano testuale, può ricavarsi il principio se

condo cui per effetto della perdurante efficacia del d.leg. n. 495

non convertito in legge, ma richiamato dall'art. 1, 2° comma, 1. 93/88 di conversione con mod. del d.l. n. 25 del 1988, agli invalidi civili che abbiano presentato la domanda amministrativa

prima dell'entrata in vigore del d.leg. n. 509 del 1988 competono le prestazioni assistenziali sul presupposto dei requisiti reddituali

previsti per la concessione della pensione di inabilità civile. E per

completezza occorrerà solo ribadire che il regime del d.l. n. 495

troverà applicazione cronologicamente dall'entrata in vigore della 1. n. 854 del 1973 (di cui ha autenticamente interpretato due nor

me, e quindi con effetto retroattivo) fino all'entrata in vigore del nuovo regime introdotto dal d.leg. n. 509/88; e che infine, come fa Pret. Camerino 27 maggio 1989, cit., «la norma di inter

pretazione autentica di cui al combinato disposto dell'art. 1 d.l.

495/87 e dell'art. 1. n. 93 del 1988 assume l'epoca di presentazio ne dell'istanza e non già quella di riconoscimento dell'invalidità

nella sua relazione con le condizioni di età del soggetto» e che

quindi «la 1. 93/88 non solo autorizza l'Inps a corrispondere le

prestazioni già riconosciute e liquidate (ossia fa salvi gli atti ed

i provvedimenti già adottati) ma obbliga altresì' l'istituto a corri

spondere le prestazioni non riconosciute né liquidate ma richieste

entro il citato termine (n.d.r.: fino all'entrata in vigore del d.leg. n. 509), laddove appunto riconosce i rapporti sorti e con essi

il particolare tipo di assistenza economica».

Il quadro normativo si completa, infine, con il già citato d.leg. n. 509 che all'art. 8 esclude, questa volta apertis verbis, che la

pensione di invalidità civile possa essere corrisposta a chi abbia

fatto domanda dopo il compimento del sessantacinquesimo anno

di età. La nuova disciplina non detta norme di interpretazione auten

tica né prevede alcun regime transitorio e dunque, per essere chia

ramente innovativa, non può trovare applicazione se non per le

richieste inoltrate dopo la sua entrata in vigore. Ciò risponde ad

un principio elementare del nostro ordinamento secondo il quale «la legge non dispone che per l'avvenire» (art. 11 disp. prel. c.c.) e consolidato nella giurisprudenza di legittimità (fra le molte v.

soprattutto ed in motivazione Cass. 22 gennaio 1981, n. 520, Fo

ro it., Rep. 1981, voce Previdenza sociale, n. 138, nonché Cass., sez. un., 20 gennaio 1970, n. 112, id., Rep. 1970, voce Legge, n. 41 e n. 2743 del 1975, id., Rep. 1975, voce cit., n. 33).

Affermati i principi di cui sopra, si dirà ancora che le ragioni concrete del sorgere del problema fin qui trattato, in realtà, deri

vano tutte dal diverso presupposto reddituale che, identico in ori

gine, si è andato con il tempo differenziando: ed infatti, mentre

per aver diritto alla pensione sociale occorre far riferimento ad un reddito (cumulato con quello del coniuge) estremamente con

tenuto, per la pensione di invalidità civile i limiti di reddito indi

viduale son diventati (art. 14 septies 1. n. 33 del 1980) di gran

lunga superiori. Sollecitata dal Pretore di Parma, la Corte costi

tuzionale (sentenza 22 giugno 1988, n. 769, id., 1989, I, 2353) ha ritenuto di demandare al legislatore il compito di omogeneiz zare per le due prestazioni il requisito del reddito e questo sem

brerebbe argomento a favore di chi sostiene la tesi dell'esclusione

dal diritto alla pensione di invalidità civile per gli ultrasessanta

cinquenni. Questo giudice, tuttavia, ritiene che il medesimo argo mento rappresenti una conferma dei principi fin qui sostenuti,

poiché la circostanza che per chi sia invalido sia previsto un tetto

di reddito superiore e di una certa consistenza è indicativa della

maggior tutela che a quest'ultimo deve competere rispetto all'ul

trasessantacinquenne indigente ma non invalido. E tutto ciò nel

mentre sollecita ad individuare la ratio della tutela in favore degli invalidi nel ristoro del danno alla salute in sé (che prescinde, cioè, dall'attenuata capacità di procurarsi un reddito), in linea con i

principi di cui all'art. 32 Cost, nella sua interpretazione più at

tuale e nel significato che oggi è doveroso attribuire in un ordina

mento progredito, al tempo stesso segnala, nella presente contro

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2219 PARTE PRIMA 2220

versia solo sul piano teorico, rilevanti questioni di legittimità co

stituzionale dell'art. 8 da ultimo cit. nella parte in cui esclude

il diritto alla pensione di invalidità civile per gli ultrasessantacin quenni, proprio con riferimento all'art. 32 Cost, (ed anche con

riferimento all'art. 3 Cost, per la disparità di trattamento fra chi

ha consolidato l'invalidità prima del sessantacinquesimo anno e

chi, invece, invalido sia diventato dopo i sessantacinque anni, il primo mantenendo le provvidenze anche in presenza di redditi

apprezzabili ed il secondo solo se titolare del minor reddito previ sto per la concessione della pensione sociale).

2) Ritenuto il diritto della ricorrente alla pensione di invalidità

civile c.d. trasformata ai sensi dell'art. 19 1. n. 118 e succ. mod., occorrerà individuare chi, fra l'Inps ed il ministero convenuto, sia passivamente legittimato nella presente controversia.

È opinione di questo giudice che il ministero dell'interno non

possa ritenersi parte nel rapporto assistenziale dedotto in giudi zio: ed infatti obbligato alla richiesta prestazione, ai sensi del

l'art. 19 cit. è solo l'Inps, mentre il comitato istituito presso la

prefettura svolge un ruolo meramente istruttorio, rendendo un

parere obbligatorio e vincolante nei confronti dell'ente erogatore. A ben guardare tale ricostruzione è esattamente identica allo sche

ma procedurale che la 1. 36/74 prevede per la ricostruzione previ denziale di chi sia stato licenziato in ragione del suo impegno

politico o sindacale: anche in tal caso la domanda dell'assicurato

è rivolta ed istruita da una commissione ministeriale istituita a

livello provinciale, che rende un parere obbligatorio e vincolante

all'Inps, il quale provvede alle conseguenti erogazioni. Ebbene, chi scrive aveva sempre ritenuto, ed anche da ultimo la Corte

di cassazione, che, nell'ipotesi che per analogia con la nostra si

riporta, passivamente legittimato fosse l'Inps e non il ministero

del lavoro e della previdenza sociale (Cass., sez. un., 22 aprile

1988, n. 3129, id., Rep. 1988, voce Previdenza sociale, n. 1056; Pret. Pisa 24 giugno 1986, Toscana lav. giur., 1987, 139).

Ritiene, pertanto, questo giudice di dover dichiarare il difetto

di legittimazione passiva del ministero dell'interno. (Omissis)

Consegue, pertanto, l'accoglimento del ricorso con la condan

na dell'Inps a corrispondere alla ricorrente la pensione di invali

dità trasformata in pensione sociale ex art. 19 1. n. 118 cit. con

la decorrenza di legge ed il pagamento dei ratei arretrati maggio rati della rivalutazione monetaria e degli interessi sulla somma

rivalutata. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 15 febbraio

1990, n. 1133; Pres. Menichino, Est. De Rosa, P.M. La Val va (conci, conf.); Marcon (Avv. Silenzi, Cristallini) c. Inps;

Inps (Aw. Chiabrera, Sacerdoti) c. Marcon. Cassa Trib. Ro

ma 21 giugno 1986.

Danni in materia civile — Obbligazioni pecuniarie — Crediti pre videnziali — Interessi sulle somme rivalutate — Esclusione (Cod.

civ., art. 1224). Danni in materia civile — Obbligazioni pecuniarie — Pregiudizio

da svalutazione — Fattispecie (Cod. civ., art. 1224).

Va rigettato il ricorso del pensionato che lamenti la mancata cor

responsione degli interessi legali sugli importi liquidati a titolo

di rivalutazione per il tardivo pagamento dei ratei di pensione. (1) Va cassata la sentenza d'appello che, nel computare il danno da

tardivo adempimento di obbligazioni pecuniarie, abbia omesso

di considerare, nonostante la sollecitazione di parte, l'ulteriore

pregiudizio da svalutazione determinatosi tra la proposizione della domanda e la pubblicazione della sentenza. (2)

(1-2) Sul primo punto, va rilevata la 'spaccatura' in seno alla stessa sezione lavoro, che con l'odierna pronuncia si allinea all'orientamento ribadito da Cass., sez. un., 1° dicembre 1989, n. 5299 (Foro it., 1990, I, 427, con note di Pardolesi e di Majo), mentre — nemmeno a dirlo, in altra composizione — aveva sollevato nuova questione di legittimità costituzionale in merito all'impraticabilità del cumulo di interessi e svalu tazione con ord. 7 febbraio 1990, n. 74 (ibid.).

Il Foro Italiano — 1990.

Svolgimento del processo. — Con ricorso 21 novembre 1982, Marcon Romolo, ex dipendente Inps — premesso che il Tar La

zio, con sentenza 421 del 15 maggio 1978 aveva riconosciuto il

suo diritto a percepire integralmente e cumulativamente sia il trat

tamento di pensione previsto per il personale Inps che quello di

pensione di invalidità a carico dell'a.g.o. e che l'istituto gli aveva

in data 20 novembre 1978 corrisposto ratei arretrati in misura

inferiore al dovuto e comunque senza interessi né rivalutazione — adiva il Pretore di Roma per sentir condannare l'Inps al paga mento delle seguenti somme: a) lire 1.775.605 per differenza pen sione non corrisposta, con rivalutazione ed interessi; b) lire

8.875.897 per rivalutazione monetaria alla data del 2 novembre

1978 sui ratei differenze pensioni già corrisposti; c) lire 2.936.985

Il principio richiamato dalla seconda massima costituisce applicazione, in materia di obbligazioni pecuniarie, di una direttiva di carattere genera le, per la quale v. Cass. 29 aprile 1982, n. 2710, id., Rep. 1982, voce Danni civili, n. 156; 19 luglio 1982, n. 4214, id., Rep. 1983, voce cit., n. 160; 1° settembre 1982, n. 4778, ibid., n. 221 (tutte menzionate in

motivazione); di recente, con riferimento al danno extracontrattuale, cfr. Cass. 8 marzo 1988, n. 2351, id., Rep. 1988, voce cit., n. 201.

* * *

L'indennizzo del mero lucro cessante, come criterio generale di risarci mento del danno da mora nelle obbligazioni pecuniarie.

1. - La decisione in rassegna è in linea con l'orientamento ora divenuto

giustamente dominante e che è stato autorevolmente confermato dalla recente sentenza 5299/89 delle sezioni unite civili. Esso correttamente esclude che si possano cumulare gli interessi legali e l'intero tasso di rivalutazione

per risarcire il danno da mora nelle obbligazioni pecuniarie. La pronuncia delle sezioni unite civili merita particolare attenzione per

ché ha avuto riguardo al caso emblematico di un modesto consumatore

(nella specie, un pensionato) che avrebbe verosimilmente speso in beni di consumo i ratei di pensione (se li avesse ricevuti puntualmente). Il

ragionamento della corte, sotto un certo punto di vista, non fa una grin za. Non può ipotizzarsi che quel pensionato avrebbe ad un tempo speso quel danaro in beni di consumo, cosi da fruire della rivalutazione, e per altro verso lo avrebbe anche risparmiato, cosi da beneficiare degli interes si. Ove infatti si assuma che avrebbe risparmiato quel danaro, cosi da ottenere il compenso per il risparmio (cioè gli interessi), dovrà anche ipo tizzarsi che lo avrebbe poi normalmente speso in beni di consumo, al livello però dei nuovi e maggiori prezzi del differito momento del consumo.

Ovviamente, questo discorso, se vale per il pensionato, vale in via di massima per tutti. Infatti, obbedisce a criteri elementari ed ineludibili di logica economica, che resta — a ben vedere — l'unico strumento cui affidarsi per individuare la situazione in cui il creditore si sarebbe trova

to, se l'obbligazione fosse stata tempestivamente adempiuta (Differenz theorié).

Il quod plerumque accidit non consente di ritenere che il creditore, in genere, avrebbe nel medesimo tempo speso e risparmiato l'importo dovuto se lo avesse ricevuto a tempo. Quanto dire che il quod interest non può essere identificato insieme nella rivalutazione dell'importo e nel l'interesse monetario (1): non può cumularsi qui il danno emergente con il lucro cessante (2).

L'ipotizzabilità di un danno emergente (per la perdita del potere di

acquisto della moneta) è esclusa dal principio nominalistico contemplato dall'art. 1277 c.c., che viene troppo sovente ignorato, senza alcuna ragio ne. L'ipotesi normalmente configurabile di danno da inadempienza di

un'obbligazione che abbia per oggetto una somma di danaro, avente cor so legale (sia essa liquida dall'origine o da liquidarsi in seguito), è costi

(1) Nello stesso senso, Cass. 14 gennaio 1988, n. 260, Foro it., 1988, I, 384 e con nota di Valcavi, ibid., 2318. Il danno emergente potrebbe essere ipotizzato solo laddove venga dimostrato dal creditore di avere dovuto mutuare il danaro e cioè come costo di rimpiazzo. In questo caso, tuttavia, non viene indennizzato il lucro cessante. Il cumulo di danno

emergente e lucro cessante appare invece ipotizzabile solo con riguardo ad uno straniero che lamenti anche il ribasso di cambio della nostra mo neta ex art. 1278 c.c. rispetto alla propria. Sul punto, v. Valcavi, id., 1989, I, 1210.

(2) Sull'art. 1224, 2° comma, c.c. ed i rimedi alla svalutazione: Cass. 4 luglio 1979, n. 3776, Foro it., 1979, I, 2622, con nota di Pardolesi; 5 aprile 1986, n. 2368, id., 1986, I, 1265, con note di Pardolesi e Ama tucci, 1540, con nota di Valcavi e 3034, con nota di Quadri, in dottri na: Nicolò, id., 1944-1946, IV, 41 ss.; Pardolesi, id., 1986, I, 1265; Amatucci, id., 1979, I, 1987; Bianca, in Giur. it., 1979, IV, 129; Ber nardi, in Riv. dir. civ., 1984, II, 445; Caffé, in Foro it., 1979, I, 1985; di Majo, in Giur. it., 1979, I, 1, 193; Inzitari, id., 1986, I, 1, 1161; Trabucchi, in Riv. dir. civ., 1980, II, 195; Trimarchi, Svalutazione mo netaria e ritardo nell'adempimento delle obbligazioni pecuniarie, Milano, 1983.

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