+ All Categories
Home > Documents > PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 9 febbraio 1990, n....

PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 9 febbraio 1990, n....

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: duongkhanh
View: 222 times
Download: 4 times
Share this document with a friend
3
sezione lavoro; sentenza 9 febbraio 1990, n. 941; Pres. D'Alberto, Est. M. De Luca, P.M. Gazzara (concl. conf.); Soc. Consulta finanziaria (Avv. Prosperetti, Perletti) c. Neri. Conferma Trib. Milano 8 novembre 1986 Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1991), pp. 2841/2842-2843/2844 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23185686 . Accessed: 24/06/2014 22:08 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.109.12 on Tue, 24 Jun 2014 22:08:20 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 9 febbraio 1990, n. 941; Pres. D'Alberto, Est. M. De Luca, P.M. Gazzara (concl. conf.); Soc. Consulta

sezione lavoro; sentenza 9 febbraio 1990, n. 941; Pres. D'Alberto, Est. M. De Luca, P.M. Gazzara(concl. conf.); Soc. Consulta finanziaria (Avv. Prosperetti, Perletti) c. Neri. Conferma Trib.Milano 8 novembre 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 2841/2842-2843/2844Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185686 .

Accessed: 24/06/2014 22:08

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 195.78.109.12 on Tue, 24 Jun 2014 22:08:20 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 9 febbraio 1990, n. 941; Pres. D'Alberto, Est. M. De Luca, P.M. Gazzara (concl. conf.); Soc. Consulta

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I requisiti soggettivi richiesti dalla legge per il conseguimento della pensione indiretta (per quella di reversibilità non sorge

problema alcuno, perché essa deriva dalla posizione già di pen sionato del capo di famiglia deceduto) sono gli stessi richiesti

dalla legge per l'attribuzione del diritto alla pensione di invali

dità o vecchiaia, solo che a quest'ultimi eventi si sostituisce quello della morte dell'assicurato. La ragione di tale disciplina unitaria

dipende dal fatto che l'assicurazione obbligatoria ha la funzio

ne di tutelare i soggetti protetti in una situazione di bisogno, che nel caso dell'invalidità deriva da uno stato patologico che

riduce notevolmente la capacità di guadagno dell'assicurato, nel

caso della vecchiaia deriva dal raggiungimento di una certa età

e nel caso della pensione ai superstiti coincide con la morte del

capofamiglia. Su questi principi non vi è disaccordo alcuno in dottrina e

giurisprudenza. La particolarità del caso in esame è costituita dal fatto che

l'art. 18 1. 22 luglio 1966 n. 613 ha per un periodo transitorio

stabilito un'anzianità assicurativa e una contribuzione inferiore

a quella di 15 anni e di 180 contributi mensili, prevista per la

pensione di vecchiaia in regime normale.

Detta legge (come altre precedenti che avevano istituito una

previdenza per categorie prima non protette: vedi, ad es., la

1. 4 luglio 1959 n. 463 per gli artigiani), nell'estendere ai com

mercianti e ai loro familiari coadiutori l'assicurazione obbliga toria per la validità, la vecchiaia e i superstiti, si è dovuto porre il problema della situazione in cui, nel primo quindicennio di

applicazione della legge, si sarebbero venuti a trovare quei lavo

ratori autonomi, che, essendo già in età avanzata al momento

dell'istituzione dell'assicurazione, non avrebbero mai potuto rag

giungere l'anzianità assicurativa e il requisito contributivo mini

mi previsti in regime normale per ottenere la pensione di vec

chiaia. Se non fossero state previste particolari agevolazioni, tali soggetti non solo sarebbero rimasti privi di qualsiasi assi

stenza nel momento del bisogno (e ciò in violazione della tutela

garantita dall'art. 38 Cost.), ma avrebbero dovuto per sovrap

più versare i contributi a fondo perduto senza il corrispettivo di alcuna prestazione previdenziale.

Per evitare questi gravi inconvenienti l'art. 18 sopracitato pre vedeva a favore dei commercianti, che avessero compiuto l'età

pensionabile (65 anni se uomini e 60 anni se donne) fra il 1°

gennaio 1966 e il 31 dicembre 1979 e fossero stati iscritti inin

terrottamente e continuativamente fin dal dicembre 1963 negli elenchi nominativi per l'assicurazione malattia (requisito questo che nella specie non viene in discussione) una riduzione dell'an

zianità assicurativa e del requisito contributivo, rapportandoli al momento di inizio dell'obbligo di versamento dei contributi,

obbligo che, pur istituito dalla 1. 22 luglio 1966 n. 613, retroagi va dal 1° gennaio 1965 (art. 39). Si stabiliva cosi che coloro

che compivano l'età pensionabile nel 1966 (dopo un anno cioè

di versamento di contributi) conseguivano il diritto alla pensio ne di vecchiaia, se risultavano versati 12 contributi mensili: per

gli anni successivi il numero dei contributi mensili, richiesti per il conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia, aumen

tava di 12 unità mensili per ogni anno, sino ad arrivare al rag

giungimento del requisito di 15 anni di contribuzione e di assi

curazione, previsti dal regime normale, per coloro che avessero

raggiunto l'età pensionabile dopo il 31 dicembre 1979.

L'art. 18 nulla dice per quanto riguarda la pensione ai super

stiti, ma da ciò non può ricavarsi, come vuole l'Inps, il princi

pio secondo il quale per la pensione indiretta continua ad appli carsi il regime normale della sussistenza dei requisiti soggettivi richiesti dalla legge per l'invalidità o la vecchiaia, innanzitutto

perché almeno nei primi anni di regime transitorio sarebbe sta

to soppresso il diritto alla pensione indiretta e sarebbe rimasto

senza adeguata protezione lo stato di bisogno dei superstiti del

commerciante deceduto prima del raggiungimento dell'età pen sionabile (il che farebbe fondatamente dubitare della costituzio

nalità di una norma siffatta) e in secondo luogo perché questo sarebbe l'unico caso in cui il parallelismo della disciplina delle

varie forme di assicurazione obbligatoria verrebbe meno, senza

che vi sia traccia alcuna nella norma di una volontà in questo senso del legislatore.

Né vale invocare, come fa l'Inps, la giurisprudenza di questa

corte, che ha in relazione all'art. 18 negato in due casi la pen sione di reversibilità (vedi Cass. 8 gennaio 1980, n. 157, cit.,

e 22 agosto 1981, n. 4972, id., Rep. 1981, voce cit., n. 584):

Il Foro Italiano — 1991.

tali decisioni, infatti, hanno al contrario ribadito il principio

che, proprio per il parallelismo esistente tra requisiti contributi

vi ed assicurativi richiesti dalla legge per il sorgere del diritto

al verificarsi del rischio di morte e i requisiti assicurativi e con

tributivi necessari per il sorgere del diritto al verificarsi degli altri due rischi (invalidità e vecchiaia), non può negarsi la pen sione ai superstiti quando spetti il diritto alla pensione diretta, ma hanno escluso nei casi presi in considerazione il diritto alla

pensione indiretta perché nessuno di quegli assicurati deceduti, se fossero rimasti in vita, avrebbero compiuto l'età pensionabile nell'arco di tempo dal 1° gennaio 1966 al 31 dicembre 1979.

E non vi è dubbio che in tali ipotesi, poiché per la pensione di vecchiaia si applicava il regime normale dell'anzianità contri

butiva di 15 anni e del versamento di 180 contributi mensili, non poteva essere concessa la pensione indiretta in presenza di

requisiti inferiori a quelli richiesti dalla legge per la pensione diretta di vecchiaia (o di invalidità).

Ben diverso è il caso in esame, in cui l'assicurato Baldini Um

berto era deceduto il 24 gennaio 1968, e avrebbe compiuto l'età

pensionabile (65 anni) nel 1969 e cioè nel periodo transitorio

previsto dall'art. 18.

Ora, se per i commercianti che raggiungono l'età pensionabi le nel regime transitorio erano richiesti per la pensione di vec

chiaia requisiti di assicurazione e di contribuzione ridotti, pro

prio per i principi più volte accennati di parallelismo fra pensio ne diretta ed indiretta anche per quest'ultima deve ritenersi

sufficiente che al momento della morte (che sostituisce per la

pensione ai superstiti l'evento del sopraggiungimento dell'età pen sionabile per la pensione diretta), sussistessero gli stessi requisiti in misura ridotta.

Né è fondato il rilievo contenuto nella sentenza impugnata secondo il quale in tale ipotesi avrebbero dovuto sussistere i

requisiti contributivi previsti dall'art. 18 per l'anno in cui sareb

be stata raggiunta l'età pensionabile (nella specie 48 contributi

previsti per il 1969, anno in cui sarebbero stati raggiunti i 65

anni, rispetto ai 37 esistenti nel gennaio 1968 al momento della

morte) perché, essendo stata la misura di detti contributi gra duata nel tempo, come si è detto, in relazione all'entrata in

vigore dell'obbligo contributivo previsto dalla nuova legge, nes

sun assicurato avrebbe potuto possedere un numero di contri

buti superiore a quello previsto dall'art. 18 per l'anno in cui

si era verificato l'evento protetto, per cui l'interpretazione data

alla norma dal tribunale comporterebbe in pratica l'impossibili tà del conseguimento del diritto alla pensione indiretta e sareb

be in contrasto con l'esigenza di tutela delle situazioni di biso

gno, garantita dall'art. 38 Cost.

La sentenza impugnata va dunque cassata e la causa va rin

viata per nuovo esame al Tribunale di Pesaro, il quale dovrà

uniformarsi al seguente principio di diritto:

«Nel caso di decesso degli assicurati, che avrebbero raggiunto l'età pensionabile nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1966

e il 31 dicembre 1979, spetta la pensione indiretta ai superstiti se al momento della morte sussistevano i requisiti contributivi

previsti dall'art. 18 1. 22 luglio 1966 n. 613 per il conseguimento in tale momento della pensione di vecchiaia».

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 febbraio

1990, n. 941; Pres. D'Alberto, Est. M. De Luca, P.M. Gaz

zara (conci, conf.); Soc. Consulta finanziaria (Avv. Prospe

retti, Perletti) c. Neri. Conferma Trib. Milano 8 novembre

1986.

Lavoro (rapporto) — Licenziamento a causa di matrimonio —

Ristrutturazione di una «divisione» dell'impresa — Ipotesi di

cessazione dell'attività dell'azienda — Insussistenza (L. 9 gen

naio 1963 n. 7, divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio e modifiche alla 1. 26 agosto 1950 n.

860, tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri, art.

1; 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, tutela delle lavoratrici madri, art. 2).

This content downloaded from 195.78.109.12 on Tue, 24 Jun 2014 22:08:20 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezione lavoro; sentenza 9 febbraio 1990, n. 941; Pres. D'Alberto, Est. M. De Luca, P.M. Gazzara (concl. conf.); Soc. Consulta

2843 PARTE PRIMA 2844

Al fine di escludere la presunzione di illegittimità del licenzia mento di una lavoratrice, disposto entro un anno dalle pub blicazioni del matrimonio, non è sufficiente l'allegazione di

una (presunta) ristrutturazione con chiusura di una «divisio

ne» dell'impresa, non integrando quest'ultima la «cessazione

dell'attività dell'azienda», prevista dall'art. 2, 3° comma, l.

1204/71, e non avendo l'impresa dimostrato l'impossibilità di utilizzare la lavoratrice in un altro reparto. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Mila

no, in funzione di giudice del lavoro, Angela Neri conveniva

in giudizio la Consulta finanziaria s.p.a., sua datrice di lavoro,

per sentire dichiarare la nullità (ai sensi dell'art. 1 1. 7/63) del

licenziamento, intimatole dalla convenuta dopo la richiesta (e

l'affissione) delle pubblicazioni di matrimonio dell'attrice e, per

l'effetto, ottenere pronunce conseguenziali (reintegratorie e ri

sarcitorie). Nel contraddittorio delle parti, il pretore adito dichiarava la

nullità del licenziamento e condannava la convenuta al paga mento delle retribuzioni arretrate con sentenza dell'11 aprile 1985,

che, a seguito di gravame della società soccombente, veniva con

fermata dal Tribunale di Milano, con la sentenza ora denunciata.

Osservava, infatti, il giudice d'appello:

a) il licenziamento in questione, intimato dopo la richiesta

di pubblicazioni di matrimonio della lavoratrice, cade nel perio do di divieto (di cui all'art. 1 1. 7/63);

b) peraltro, il licenziamento non è legittimato (ai sensi del

l'art. 2, 3° comma, 1. 1204/71, che ha sostituito il 2° comma

dell'art. 3 1. 860/50) da «cessazione dell'attività dell'azienda cui

(la lavoratrice) è addetta»;

c) infatti, non integra cessazione dell'attività dell'azienda la

dedotta «ristrutturazione... con la chiusura di una divisione»

dell'impresa del datore, che non esclude l'utilizzazione della la

voratrice stessa;

d) peraltro, «l'eliminazione del settore» non sussiste effetti

vamente avendo la società provveduto a successive assunzioni

nelle stesse mansioni della Neri.

Avverso la sentenza d'appello la società soccombente propo ne ricorso per cassazione, affidato a tre motivi ed illustrato da

memoria. L'intimata non si è costituita nel presente giudizio di cassazione.

(1) La sentenza si iscrive in un orientamento sostanzialmente consoli dato sui principi di cui alla massima.

V. nello stesso senso nella giurisprudenza di legittimità: Cass. 24 aprile 1990, n. 3431, Foro it., Rep. 1990, voce Lavoro (rapporto), n. 1175; 19 dicembre 1986, n. 7752, id., Rep. 1986, voce cit., n. 2212; 24 otto bre 1986, n. 6236, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2600; 16 novembre 1985, n. 5647, id., Rep. 1986, voce cit., n. 2217, le ultime tre menzionate in motivazione; 14 dicembre 1983, n. 7384, id., Rep. 1983, voce cit., n. 2362; 26 marzo 1982, n. 1897, ibid., n. 2363 (e Riv. it. dir. lav., 1983, II, 91, con nota di Mazziotti); 11 dicembre 1982, n. 6806, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 1795.

Nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Monza 9 marzo 1990, id., Rep. 1990, voce cit., n. 1770; Pret. Udine 26 marzo 1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2617; Pret. Como 23 giugno 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 2342; Trib. Latina 15 novembre 1982, id., Rep. 1984, voce

cit., n. 2045; Pret. Milano 17 marzo 1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 2375.

Per alcune pronunce più specifiche, v. Trib. Torino 20 luglio 1989, id., Rep. 1990, voce cit., n. 1776, che ha ritenuto che la perdita di un appalto di lavori di pulizia costituisse cessazione di attività per un'im

presa del settore; Pret. Firenze 20 gennaio 1990, ibid., n. 1777, secondo cui il trasferimento di agenzia da un agente ad un altro non costituisce cessazione di attività; Pret. Firenze 22 agosto 1986, id., Rep. 1987, voce

cit., n. 2441, che ha ritenuto che ai fini della realizzazione della fatti

specie dell'ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice era stata assunta non è sufficiente adibirla di fatto al compimento della

prestazione poi cessata, occorrendo provare che proprio per svolgere quella prestazione la dipendente era stata assunta; Pret. Torino 29 otto bre 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 2366, che equipara il fallimento alla cessazione totale; Pret. Chieri 12 dicembre 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 1869, che si è espressa più genericamente nel senso che è solo la cessazione di attività del datore di lavoro a consentire il licen ziamento.

In ordine alla sanzione per il licenziamento della lavoratrice nel pe riodo di divieto, v., per l'inefficacia, Cass., sez. un., 21 agosto 1990, n. 8535, id., 1990, I, 2481 e, per la nullità, Corte cost., 8 febbraio

1991, n. 61, id., 1991, I, 697, con richiami e osservazioni di Amoroso.

Il Foro Italiano — 1991.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo del ricor

so, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di leg

ge (art. 1 1. 7/63 in relazione all'art. 2, 3° comma, lett. b, 1.

1204/71) nonché vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), la società ricorrente censura la sentenza impugnata per avere

negato che la dedotta chiusura della divisione, alla quale era

addetta la lavoratrice, costituisca «cessazione dell'attività del

l'azienda», legittimante il licenziamento, sebbene fosse, tra l'al

tro, idonea a giustificare il licenziamento collettivo della stessa

lavoratrice.

Con il secondo motivo, denunciando gli stessi vizi, la ricor

rente censura la medesima statuizione della sentenza impugnata

per avere negato che, a legittimare il licenziamento, fosse suffi

ciente la cessazione anche del solo ramo di attività aziendale, cui era addetta la lavoratrice.

Con il terzo motivo denunciando gli stessi vizi, la ricorrente

censura la sentenza impugnata per avere negato la dedotta ri

strutturazione aziendale, sebbene questa risultasse dagli atti di

causa e, peraltro, non rilevasse, in contrario, la circostanza che,

dopo la ristrutturazione, la società abbia assunto altri dipendenti. Il ricorso non è fondato.

2. - La sentenza impugnata — con accertamento di fatto in

censurabile in sede di legittimità, perché sorretto da motivazio

ne «conforme ed immune da vizi (accertamento col quale la

ricorrente inammissibilmente contrappone con il terzo motivo

una diversa valutazione delle risultanze di cause) — nega la sus

sistenza della ristrutturazione aziendale, che è stata addotta a

motivazione del licenziamento, di cui si discute.

Tuttavia la presunzione legale (art. 1 1. 9 gennaio 1963 n.

7) che il licenziamento stesso sia stato disposto «a causa di ma

trimonio» — in quanto intimato dopo la richiesta (e l'affissio

ne) delle pubblicazioni relative (sullo specifico punto, vedi, da

ultimo, Cass. 1651/88, Foro it., Rep. 1988, voce Lavoro (rap

porto), n. 2115) — non può ritenersi vinta dalla dedotta ristrut

turazione aziendale (sul punto, vedi, per tutte: Cass. 7752, 6236/86 e 5647/85, id., Rep. 1986, voce cit., nn. 2212, 2213,

2217; 389/83, id., Rep. 1983, voce cit., n. 2373; 192/73, id., 1973, I, 648).

È ben vero, infatti, che quella presunzione non ha carattere

assoluto, ma può essere vinta, tuttavia, soltanto dalla prova della sussistenza di una delle «cause» di licenziamento tassativa

mente elencate (nell'ultimo comma del citato art. 1 1. 7/63: vedi

Cass. 389/83, cit.). Ora — tra le «cause» legittimanti il licenziamento nel periodo

di divieto (dalla richiesta di pubblicazioni, appunto, ad un anno

dalla celebrazione del matrimonio: v. Cass. 3110/73, id., Rep.

1973, voce cit., n. 341) — è compresa anche la «cessazione del

l'attività dell'azienda» (art. 1 cit., in relazione all'art. 3, lett.

b, 1. n. 1204 del 1971, che ha sostituito il richiamato art. 3

1. 860/50, sulla tutela delle lavoratrici madri), che, da un lato, «non è equiparabile» alla fattispecie legittimante il licenziamen

to collettivo per riduzione del personale (v. Cass. 6236/86, cit.) e, dall'altro, può consistere anche nella cessazione di attività

del solo ramo aziendale al quale la lavoratrice fosse addetta

(vedi Cass. 5647/85, cit. e 7752/86, cit.). In quest'ultimo caso, tuttavia, il datore di lavoro deve prova

re, altresì', l'impossibilità di utilizzare la lavoratrice, licenziata

nel periodo di divieto, in altri rami dell'azienda (vedi Cass.

5647/85 e 7752/86, cit.). La sentenza impugnata si è uniformata a tali principi di dirit

to — oltreché adottare il ricordato accertamento di fatto che,

per quanto si è detto, ha carattere assorbente — e non merita,

quindi, le censure che le vengono mosse dalla ricorrente.

Il ricorso, pertanto, va integralmente rigettato.

This content downloaded from 195.78.109.12 on Tue, 24 Jun 2014 22:08:20 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended