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sezione lavoro; sentenza 9 febbraio 1990, n. 941; Pres. D'Alberto, Est. M. De Luca, P.M. Gazzara(concl. conf.); Soc. Consulta finanziaria (Avv. Prosperetti, Perletti) c. Neri. Conferma Trib.Milano 8 novembre 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 2841/2842-2843/2844Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185686 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I requisiti soggettivi richiesti dalla legge per il conseguimento della pensione indiretta (per quella di reversibilità non sorge
problema alcuno, perché essa deriva dalla posizione già di pen sionato del capo di famiglia deceduto) sono gli stessi richiesti
dalla legge per l'attribuzione del diritto alla pensione di invali
dità o vecchiaia, solo che a quest'ultimi eventi si sostituisce quello della morte dell'assicurato. La ragione di tale disciplina unitaria
dipende dal fatto che l'assicurazione obbligatoria ha la funzio
ne di tutelare i soggetti protetti in una situazione di bisogno, che nel caso dell'invalidità deriva da uno stato patologico che
riduce notevolmente la capacità di guadagno dell'assicurato, nel
caso della vecchiaia deriva dal raggiungimento di una certa età
e nel caso della pensione ai superstiti coincide con la morte del
capofamiglia. Su questi principi non vi è disaccordo alcuno in dottrina e
giurisprudenza. La particolarità del caso in esame è costituita dal fatto che
l'art. 18 1. 22 luglio 1966 n. 613 ha per un periodo transitorio
stabilito un'anzianità assicurativa e una contribuzione inferiore
a quella di 15 anni e di 180 contributi mensili, prevista per la
pensione di vecchiaia in regime normale.
Detta legge (come altre precedenti che avevano istituito una
previdenza per categorie prima non protette: vedi, ad es., la
1. 4 luglio 1959 n. 463 per gli artigiani), nell'estendere ai com
mercianti e ai loro familiari coadiutori l'assicurazione obbliga toria per la validità, la vecchiaia e i superstiti, si è dovuto porre il problema della situazione in cui, nel primo quindicennio di
applicazione della legge, si sarebbero venuti a trovare quei lavo
ratori autonomi, che, essendo già in età avanzata al momento
dell'istituzione dell'assicurazione, non avrebbero mai potuto rag
giungere l'anzianità assicurativa e il requisito contributivo mini
mi previsti in regime normale per ottenere la pensione di vec
chiaia. Se non fossero state previste particolari agevolazioni, tali soggetti non solo sarebbero rimasti privi di qualsiasi assi
stenza nel momento del bisogno (e ciò in violazione della tutela
garantita dall'art. 38 Cost.), ma avrebbero dovuto per sovrap
più versare i contributi a fondo perduto senza il corrispettivo di alcuna prestazione previdenziale.
Per evitare questi gravi inconvenienti l'art. 18 sopracitato pre vedeva a favore dei commercianti, che avessero compiuto l'età
pensionabile (65 anni se uomini e 60 anni se donne) fra il 1°
gennaio 1966 e il 31 dicembre 1979 e fossero stati iscritti inin
terrottamente e continuativamente fin dal dicembre 1963 negli elenchi nominativi per l'assicurazione malattia (requisito questo che nella specie non viene in discussione) una riduzione dell'an
zianità assicurativa e del requisito contributivo, rapportandoli al momento di inizio dell'obbligo di versamento dei contributi,
obbligo che, pur istituito dalla 1. 22 luglio 1966 n. 613, retroagi va dal 1° gennaio 1965 (art. 39). Si stabiliva cosi che coloro
che compivano l'età pensionabile nel 1966 (dopo un anno cioè
di versamento di contributi) conseguivano il diritto alla pensio ne di vecchiaia, se risultavano versati 12 contributi mensili: per
gli anni successivi il numero dei contributi mensili, richiesti per il conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia, aumen
tava di 12 unità mensili per ogni anno, sino ad arrivare al rag
giungimento del requisito di 15 anni di contribuzione e di assi
curazione, previsti dal regime normale, per coloro che avessero
raggiunto l'età pensionabile dopo il 31 dicembre 1979.
L'art. 18 nulla dice per quanto riguarda la pensione ai super
stiti, ma da ciò non può ricavarsi, come vuole l'Inps, il princi
pio secondo il quale per la pensione indiretta continua ad appli carsi il regime normale della sussistenza dei requisiti soggettivi richiesti dalla legge per l'invalidità o la vecchiaia, innanzitutto
perché almeno nei primi anni di regime transitorio sarebbe sta
to soppresso il diritto alla pensione indiretta e sarebbe rimasto
senza adeguata protezione lo stato di bisogno dei superstiti del
commerciante deceduto prima del raggiungimento dell'età pen sionabile (il che farebbe fondatamente dubitare della costituzio
nalità di una norma siffatta) e in secondo luogo perché questo sarebbe l'unico caso in cui il parallelismo della disciplina delle
varie forme di assicurazione obbligatoria verrebbe meno, senza
che vi sia traccia alcuna nella norma di una volontà in questo senso del legislatore.
Né vale invocare, come fa l'Inps, la giurisprudenza di questa
corte, che ha in relazione all'art. 18 negato in due casi la pen sione di reversibilità (vedi Cass. 8 gennaio 1980, n. 157, cit.,
e 22 agosto 1981, n. 4972, id., Rep. 1981, voce cit., n. 584):
Il Foro Italiano — 1991.
tali decisioni, infatti, hanno al contrario ribadito il principio
che, proprio per il parallelismo esistente tra requisiti contributi
vi ed assicurativi richiesti dalla legge per il sorgere del diritto
al verificarsi del rischio di morte e i requisiti assicurativi e con
tributivi necessari per il sorgere del diritto al verificarsi degli altri due rischi (invalidità e vecchiaia), non può negarsi la pen sione ai superstiti quando spetti il diritto alla pensione diretta, ma hanno escluso nei casi presi in considerazione il diritto alla
pensione indiretta perché nessuno di quegli assicurati deceduti, se fossero rimasti in vita, avrebbero compiuto l'età pensionabile nell'arco di tempo dal 1° gennaio 1966 al 31 dicembre 1979.
E non vi è dubbio che in tali ipotesi, poiché per la pensione di vecchiaia si applicava il regime normale dell'anzianità contri
butiva di 15 anni e del versamento di 180 contributi mensili, non poteva essere concessa la pensione indiretta in presenza di
requisiti inferiori a quelli richiesti dalla legge per la pensione diretta di vecchiaia (o di invalidità).
Ben diverso è il caso in esame, in cui l'assicurato Baldini Um
berto era deceduto il 24 gennaio 1968, e avrebbe compiuto l'età
pensionabile (65 anni) nel 1969 e cioè nel periodo transitorio
previsto dall'art. 18.
Ora, se per i commercianti che raggiungono l'età pensionabi le nel regime transitorio erano richiesti per la pensione di vec
chiaia requisiti di assicurazione e di contribuzione ridotti, pro
prio per i principi più volte accennati di parallelismo fra pensio ne diretta ed indiretta anche per quest'ultima deve ritenersi
sufficiente che al momento della morte (che sostituisce per la
pensione ai superstiti l'evento del sopraggiungimento dell'età pen sionabile per la pensione diretta), sussistessero gli stessi requisiti in misura ridotta.
Né è fondato il rilievo contenuto nella sentenza impugnata secondo il quale in tale ipotesi avrebbero dovuto sussistere i
requisiti contributivi previsti dall'art. 18 per l'anno in cui sareb
be stata raggiunta l'età pensionabile (nella specie 48 contributi
previsti per il 1969, anno in cui sarebbero stati raggiunti i 65
anni, rispetto ai 37 esistenti nel gennaio 1968 al momento della
morte) perché, essendo stata la misura di detti contributi gra duata nel tempo, come si è detto, in relazione all'entrata in
vigore dell'obbligo contributivo previsto dalla nuova legge, nes
sun assicurato avrebbe potuto possedere un numero di contri
buti superiore a quello previsto dall'art. 18 per l'anno in cui
si era verificato l'evento protetto, per cui l'interpretazione data
alla norma dal tribunale comporterebbe in pratica l'impossibili tà del conseguimento del diritto alla pensione indiretta e sareb
be in contrasto con l'esigenza di tutela delle situazioni di biso
gno, garantita dall'art. 38 Cost.
La sentenza impugnata va dunque cassata e la causa va rin
viata per nuovo esame al Tribunale di Pesaro, il quale dovrà
uniformarsi al seguente principio di diritto:
«Nel caso di decesso degli assicurati, che avrebbero raggiunto l'età pensionabile nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1966
e il 31 dicembre 1979, spetta la pensione indiretta ai superstiti se al momento della morte sussistevano i requisiti contributivi
previsti dall'art. 18 1. 22 luglio 1966 n. 613 per il conseguimento in tale momento della pensione di vecchiaia».
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 febbraio
1990, n. 941; Pres. D'Alberto, Est. M. De Luca, P.M. Gaz
zara (conci, conf.); Soc. Consulta finanziaria (Avv. Prospe
retti, Perletti) c. Neri. Conferma Trib. Milano 8 novembre
1986.
Lavoro (rapporto) — Licenziamento a causa di matrimonio —
Ristrutturazione di una «divisione» dell'impresa — Ipotesi di
cessazione dell'attività dell'azienda — Insussistenza (L. 9 gen
naio 1963 n. 7, divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio e modifiche alla 1. 26 agosto 1950 n.
860, tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri, art.
1; 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, tutela delle lavoratrici madri, art. 2).
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2843 PARTE PRIMA 2844
Al fine di escludere la presunzione di illegittimità del licenzia mento di una lavoratrice, disposto entro un anno dalle pub blicazioni del matrimonio, non è sufficiente l'allegazione di
una (presunta) ristrutturazione con chiusura di una «divisio
ne» dell'impresa, non integrando quest'ultima la «cessazione
dell'attività dell'azienda», prevista dall'art. 2, 3° comma, l.
1204/71, e non avendo l'impresa dimostrato l'impossibilità di utilizzare la lavoratrice in un altro reparto. (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Mila
no, in funzione di giudice del lavoro, Angela Neri conveniva
in giudizio la Consulta finanziaria s.p.a., sua datrice di lavoro,
per sentire dichiarare la nullità (ai sensi dell'art. 1 1. 7/63) del
licenziamento, intimatole dalla convenuta dopo la richiesta (e
l'affissione) delle pubblicazioni di matrimonio dell'attrice e, per
l'effetto, ottenere pronunce conseguenziali (reintegratorie e ri
sarcitorie). Nel contraddittorio delle parti, il pretore adito dichiarava la
nullità del licenziamento e condannava la convenuta al paga mento delle retribuzioni arretrate con sentenza dell'11 aprile 1985,
che, a seguito di gravame della società soccombente, veniva con
fermata dal Tribunale di Milano, con la sentenza ora denunciata.
Osservava, infatti, il giudice d'appello:
a) il licenziamento in questione, intimato dopo la richiesta
di pubblicazioni di matrimonio della lavoratrice, cade nel perio do di divieto (di cui all'art. 1 1. 7/63);
b) peraltro, il licenziamento non è legittimato (ai sensi del
l'art. 2, 3° comma, 1. 1204/71, che ha sostituito il 2° comma
dell'art. 3 1. 860/50) da «cessazione dell'attività dell'azienda cui
(la lavoratrice) è addetta»;
c) infatti, non integra cessazione dell'attività dell'azienda la
dedotta «ristrutturazione... con la chiusura di una divisione»
dell'impresa del datore, che non esclude l'utilizzazione della la
voratrice stessa;
d) peraltro, «l'eliminazione del settore» non sussiste effetti
vamente avendo la società provveduto a successive assunzioni
nelle stesse mansioni della Neri.
Avverso la sentenza d'appello la società soccombente propo ne ricorso per cassazione, affidato a tre motivi ed illustrato da
memoria. L'intimata non si è costituita nel presente giudizio di cassazione.
(1) La sentenza si iscrive in un orientamento sostanzialmente consoli dato sui principi di cui alla massima.
V. nello stesso senso nella giurisprudenza di legittimità: Cass. 24 aprile 1990, n. 3431, Foro it., Rep. 1990, voce Lavoro (rapporto), n. 1175; 19 dicembre 1986, n. 7752, id., Rep. 1986, voce cit., n. 2212; 24 otto bre 1986, n. 6236, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2600; 16 novembre 1985, n. 5647, id., Rep. 1986, voce cit., n. 2217, le ultime tre menzionate in motivazione; 14 dicembre 1983, n. 7384, id., Rep. 1983, voce cit., n. 2362; 26 marzo 1982, n. 1897, ibid., n. 2363 (e Riv. it. dir. lav., 1983, II, 91, con nota di Mazziotti); 11 dicembre 1982, n. 6806, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 1795.
Nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Monza 9 marzo 1990, id., Rep. 1990, voce cit., n. 1770; Pret. Udine 26 marzo 1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2617; Pret. Como 23 giugno 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 2342; Trib. Latina 15 novembre 1982, id., Rep. 1984, voce
cit., n. 2045; Pret. Milano 17 marzo 1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 2375.
Per alcune pronunce più specifiche, v. Trib. Torino 20 luglio 1989, id., Rep. 1990, voce cit., n. 1776, che ha ritenuto che la perdita di un appalto di lavori di pulizia costituisse cessazione di attività per un'im
presa del settore; Pret. Firenze 20 gennaio 1990, ibid., n. 1777, secondo cui il trasferimento di agenzia da un agente ad un altro non costituisce cessazione di attività; Pret. Firenze 22 agosto 1986, id., Rep. 1987, voce
cit., n. 2441, che ha ritenuto che ai fini della realizzazione della fatti
specie dell'ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice era stata assunta non è sufficiente adibirla di fatto al compimento della
prestazione poi cessata, occorrendo provare che proprio per svolgere quella prestazione la dipendente era stata assunta; Pret. Torino 29 otto bre 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 2366, che equipara il fallimento alla cessazione totale; Pret. Chieri 12 dicembre 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 1869, che si è espressa più genericamente nel senso che è solo la cessazione di attività del datore di lavoro a consentire il licen ziamento.
In ordine alla sanzione per il licenziamento della lavoratrice nel pe riodo di divieto, v., per l'inefficacia, Cass., sez. un., 21 agosto 1990, n. 8535, id., 1990, I, 2481 e, per la nullità, Corte cost., 8 febbraio
1991, n. 61, id., 1991, I, 697, con richiami e osservazioni di Amoroso.
Il Foro Italiano — 1991.
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo del ricor
so, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di leg
ge (art. 1 1. 7/63 in relazione all'art. 2, 3° comma, lett. b, 1.
1204/71) nonché vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), la società ricorrente censura la sentenza impugnata per avere
negato che la dedotta chiusura della divisione, alla quale era
addetta la lavoratrice, costituisca «cessazione dell'attività del
l'azienda», legittimante il licenziamento, sebbene fosse, tra l'al
tro, idonea a giustificare il licenziamento collettivo della stessa
lavoratrice.
Con il secondo motivo, denunciando gli stessi vizi, la ricor
rente censura la medesima statuizione della sentenza impugnata
per avere negato che, a legittimare il licenziamento, fosse suffi
ciente la cessazione anche del solo ramo di attività aziendale, cui era addetta la lavoratrice.
Con il terzo motivo denunciando gli stessi vizi, la ricorrente
censura la sentenza impugnata per avere negato la dedotta ri
strutturazione aziendale, sebbene questa risultasse dagli atti di
causa e, peraltro, non rilevasse, in contrario, la circostanza che,
dopo la ristrutturazione, la società abbia assunto altri dipendenti. Il ricorso non è fondato.
2. - La sentenza impugnata — con accertamento di fatto in
censurabile in sede di legittimità, perché sorretto da motivazio
ne «conforme ed immune da vizi (accertamento col quale la
ricorrente inammissibilmente contrappone con il terzo motivo
una diversa valutazione delle risultanze di cause) — nega la sus
sistenza della ristrutturazione aziendale, che è stata addotta a
motivazione del licenziamento, di cui si discute.
Tuttavia la presunzione legale (art. 1 1. 9 gennaio 1963 n.
7) che il licenziamento stesso sia stato disposto «a causa di ma
trimonio» — in quanto intimato dopo la richiesta (e l'affissio
ne) delle pubblicazioni relative (sullo specifico punto, vedi, da
ultimo, Cass. 1651/88, Foro it., Rep. 1988, voce Lavoro (rap
porto), n. 2115) — non può ritenersi vinta dalla dedotta ristrut
turazione aziendale (sul punto, vedi, per tutte: Cass. 7752, 6236/86 e 5647/85, id., Rep. 1986, voce cit., nn. 2212, 2213,
2217; 389/83, id., Rep. 1983, voce cit., n. 2373; 192/73, id., 1973, I, 648).
È ben vero, infatti, che quella presunzione non ha carattere
assoluto, ma può essere vinta, tuttavia, soltanto dalla prova della sussistenza di una delle «cause» di licenziamento tassativa
mente elencate (nell'ultimo comma del citato art. 1 1. 7/63: vedi
Cass. 389/83, cit.). Ora — tra le «cause» legittimanti il licenziamento nel periodo
di divieto (dalla richiesta di pubblicazioni, appunto, ad un anno
dalla celebrazione del matrimonio: v. Cass. 3110/73, id., Rep.
1973, voce cit., n. 341) — è compresa anche la «cessazione del
l'attività dell'azienda» (art. 1 cit., in relazione all'art. 3, lett.
b, 1. n. 1204 del 1971, che ha sostituito il richiamato art. 3
1. 860/50, sulla tutela delle lavoratrici madri), che, da un lato, «non è equiparabile» alla fattispecie legittimante il licenziamen
to collettivo per riduzione del personale (v. Cass. 6236/86, cit.) e, dall'altro, può consistere anche nella cessazione di attività
del solo ramo aziendale al quale la lavoratrice fosse addetta
(vedi Cass. 5647/85, cit. e 7752/86, cit.). In quest'ultimo caso, tuttavia, il datore di lavoro deve prova
re, altresì', l'impossibilità di utilizzare la lavoratrice, licenziata
nel periodo di divieto, in altri rami dell'azienda (vedi Cass.
5647/85 e 7752/86, cit.). La sentenza impugnata si è uniformata a tali principi di dirit
to — oltreché adottare il ricordato accertamento di fatto che,
per quanto si è detto, ha carattere assorbente — e non merita,
quindi, le censure che le vengono mosse dalla ricorrente.
Il ricorso, pertanto, va integralmente rigettato.
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