sezione lavoro; sentenza 17 novembre 1989, n. 4933; Pres. Antoci, Est. Nuovo, P. M. Golia(concl. conf.); Azienda municipalizzata acquedotto di Napoli (Avv. Rastrelli, Bassi) c. De Biase ealtri (Avv. Capecci, Ferrara). Conferma Trib. Napoli 23 settembre 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 497/498-501/502Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184510 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sisterebbe la stessa ratio, di carico eccedente nel complesso le mi
sure consentite, pur costituito da beni distinti e separati, ciascuno
dei quali non superiore a dette misure.
Si sostiene in proposito che l'intento del legislatore sarebbe quello di imporre l'autorizzazione, previo accertamento della compatibi lità del carico con le caratteristiche della strada, indipendente mente dalla composizione del carico, e non quello di agevolare 0 punire il trasporto a seconda della scomponibilità delle cose.
Sostiene, inoltre, la ricorrente che l'argomentazione tratta dal
l'asserita individuazione della violazione dell'art. 32 cod. strada
le, in alternativa a quella dell'art. 10, non avrebbe alcun significato
interpretativo della norma contestata, volta che la disciplina del
l'art. 32 concernerebbe l'eccedenza di sagoma dei veicoli, non
del carico dagli stessi trasportato.
D'altronde, si aggiunge, il d.m. 23 gennaio 1984 include nel
l'ambito dei trasporti eccezionali, richiedenti quindi l'autorizza
zione preventiva, anche il trasporto di autoveicoli (come tali
costituenti cose separate e non indivisibili), mentre il successivo
d.m. 27 febbraio 1985, che escludeva l'autorizzazione nel tras
porto di autoveicoli con sagoma longitudinale e globale del cari
co eccedente venti metri, non era ancora stato emesso alla data
della commessa infrazione (15 maggio 1984) ed era tutto da di
mostrare il suo carattere interpretativo della disciplina della cir
colazione stradale sul punto in contestazione.
Tanto premesso in ordine alle situazioni dedotte in controver
sia, occorre rilevare che la normativa richiamabile sui trasporti
eccezionali in ordine alla contestata infrazione, è costituita dal
l'art. 10 t.u. sulla circolazione stradale approvato con d.p.r. 15
giugno 1959 n. 393, cosi come innovato dalla 1. 10 febbraio 1982
n. 38, dall'art. 32 cod. stradale, dal d.m. 23 gennaio 1984, il
cui art. 2, recando disposizioni sui trasporti di autovetture e con
tainers, stabilisce che tali trasporti sono da qualificare ecceziona
li, e sono soggetti quindi all'obbligo della preventiva autorizzazione
degli enti proprietari della strada, entro i limiti massimi di metri
venti di lunghezza (e quindi, mancando la misura minima, oltre
1 diciotto metri di lunghezza previsti dall'art. 32 cod. stradale); il successivo art. 3 d.m. 27 febbraio 1985, infine, con cui tali
disposizioni sono state modificate nel senso che i trasporti ricor
dati, entro i limiti di metri venti di lunghezza, possono essere
eseguiti senza obbligo di autorizzazione.
Tale essendo il quadro normativo di riferimento, occorre do
mandarsi innanzi tutto quale sia la disciplina della legge fonda
mentale in ordine ai trasporti eccezionali, per poi valutarne la
compatibilità con le norme regolamentari di grado inferiore.
È innanzi tutto chiaro, e per di più incontroverso, che il dato
normativo letterale dell'art. 10, 1° comma, n. 1, d.p.r. 15 giugno
1959 n. 393, nel testo vigente il 15 maggio 1984, qualifica tras
porti eccezionali solo quelli (per quanto qui interessa) in cui le
cose trasportate siano costituite da beni indivisibili, secondo l'e
spressa descrizione del 3° comma dello stesso articolo, che ecce
dano i limiti dimensionali previsti dall'art. 32 cod. stradale (nella
specie i diciotto metri di lunghezza, secondo la previsione del 4°
comma dell'art. 32). Non interessano il caso di specie le ipotesi in cui le sagome di ingombro consentite siano superate dallo stes
so veicolo trasportatore, ovvero gli eccessi di peso. Prima di valutare se il dato normativo letterale debba essere
interpretato estensivamente con riferimento anche ai carichi di
cose divisibili, ciascuna delle quali non superiore alla sagoma di
ingombro consentita, secondo l'interpretazione suggerita dalla ri
corrente, occorre esaminare se questa ipotesi non sia già oggetto
di specifica previsione normativa. La norma che disciplina espres
samente la fattispecie ora esaminata, e più specificamente concer
nente il fatto oggetto di giudizio, esiste ed è costituita dal già
richiamato art. 32 cod. stradale, secondo le esatte indicazioni del
giudice di merito.
Ed invero, il 7° comma dell'articolo ora indicato sanziona
«chiunque circoli con veicolo che supera i limiti di sagoma o di
lunghezza stabiliti dal presente articolo». Per stabilire, quindi,
quali siano e come vadano determinati i limiti di sagoma o di
lunghezza, il cui superamento determina il contenuto della con
dotta sanzionata, occorre fare riferimento al 1° ed al 4° comma
del citato art. 32. 11 1° comma, però, determina la sagoma di
ingombro in altezza e larghezza facendo espresso riferimento al
veicolo «compreso il suo carico», e per uniformità di indirizzo
ed identità di ratio, deve ritenersi che anche i limiti in lunghezza
concernano il veicolo comprensivo del carico.
Se, quindi, i limiti dimensionali vengono indicati con riferi
II Foro Italiano — 1990.
mento ai veicoli comprensivi del carico, deve necessariamente de
dursi che la condotta sanzionata dal 7° comma dello stesso articolo, concernente la circolazione veicolare superante le misure come
sopra indicate e determinate (comprensive cioè del carico) ed i
cui elementi determinativi vanno ricercati proprio nei cennati com
mi 1° e 4° dello stesso articolo, non possa che riferirsi alla circo
lazione di veicoli la cui sagoma di ingombro, determinata dal
veicolo comprensivo del carico, ecceda le dimensioni stabilite in
altezza, larghezza e lunghezza, secondo il criterio indicato.
Se, quindi, l'ipotesi oggetto della presente disamina è oggetto di specifica norma sanzionatoria, diversa da quella dell'art. 10, deve altresì dedursi l'impossibilità di estendere ad essa, con pro cedimento interpretativo estensivo, la disciplina sanzionatoria del
l'art. 10, non avendo significato ricomprendere un unico fatto
sotto un duplice ordine di disposizioni sanzionatorie aventi un
unico indirizzo.
Inoltre, tra la fattispecie prevista dal dato normativo dell'art.
10 e quella oggetto di contestazione, potrebbe non sussistere quel l'identità di ratio sostenuta dalla ricorrente, volta che proprio in funzione dell'indivisibilità del carico e della non adattabilità
a situazioni contingenti che le condizioni della strada possono
richiedere, possono porsi nella circolazione esigenze di cautela pre ventiva (da accertarsi in fase autorizzati va), esigenze non necessa
riamente presenti quando il carico è suddiviso in cose ciascuna
delle quali non eccedenti i limiti dimensionali prescritti, con con
seguente frazionabilità dello stesso di fronte a situazioni contin
genti ed al rilievo dell'infrazione, non diversamente da quanto l'art. 121, 10° comma, prevede per i trasporti eccedenti per il peso.
Una volta accertata, nel senso indicato, la volontà di legge, non assume rilievo l'interpretazione delle norme regolamentari che,
se contrastanti con la disciplina legislativa, quali fonti normative
di grado inferiore, non possono non adeguarsi alla legge stessa.
Sulla base delle osservazioni svolte, ritiene la corte di dovere
rigettare il ricorso.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 17 novem
bre 1989, n. 4933; Pres. Antoci, Est. Nuovo, P. M. Golia
(conci, conf.); Azienda municipalizzata acquedotto di Napoli
(Aw. Rastrelli, Bassi) c. De Biase e altri (Aw. Capecci, Fer
rara). Conferma Trib. Napoli 23 settembre 1986.
Procedimento civile — Lavoro subordinato — Trattamento di
fine rapporto — Azione di mero accertamento in costanza di
rapporto — Interesse ad agire — Sussistenza (Cod. civ., art.
2120; cod. proc. civ., art. 100; 1. 29 maggio 1982 n. 297, disci
plina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pen
sionistica, art. 1). Lavoro (rapporto) — Trattamento di fine rapporto — Compenso
per lavoro straordinario e notturno svolti secondo turni predi
sposti dal datore — Computabilità (Cod. civ., art. 2120, 2121;
1. 29 maggio 1982 n. 297, art. 1).
Anche in costanza di rapporto sussiste l'interesse del lavoratore,
ex art. 100 c.p.c., all'accertamento giudiziale del trattamento
di fine rapporto maturato, sempre che vi sia una situazione
di incertezza sull'esatta portata di diritti ed obblighi delle parti basata su atti esteriori provenienti da una di esse. (1)
Il compenso per lavoro straordinario e notturno svolti secondo
turni predisposti anno per anno dal datore di lavoro deve esse
re considerato nel computo del trattamento di fine rapporto. (2)
(1) Cfr., in senso conforme, con sfumature varie, Trib. Milano 16 gen naio 1988, Foro it., Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 2316; Pret.
Milano 19 dicembre 1987 e 28 novembre 1987, ibid., nn. 2302, 2303; Pret. Torino 28 settembre 1987, ibid., n. 2319; Trib. Milano 15 aprile
1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2803; Pret. Torino 10 dicembre 1986,
ibid., n. 2805; Pret. Pescara 22 luglio 1986, id., 1987, I, 977, con nota
di richiami; Trib. Napoli 9 luglio 1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2804.
Per l'esclusione dell'ammissibilità dell'azione in mancanza della deduzio
ne di uno specifico pregiudizio attuale derivante dall'incertezza, cfr. Pret.
Napoli 3 novembre 1986, ibid., n. 2806.
(2) La pronuncia si segnala non tanto per il decisum quanto per la
ratio decidendi, fondata sulla lettura dell'inciso «non occasionale... di
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PARTE PRIMA
Motivi della decisione. — Con il primo motivo si denunzia la
violazione dell'art. 100 c.p.c. nonché vizi di motivazione. Sostie
ne l'Aman che l'interesse ad agire nell'azione di accertamento, anche se non richiede l'attuale lesione del diritto, consiste pur
sempre nel pregiudizio concreto e attuale (e non meramente po
tenziale) che l'attore risentirebbe dell'incertezza del proprio dirit
to, se non provocasse l'accertamento giudiziale sulla concreta vo
lontà della legge e tale non sarebbe il pregiudizio lamentato dai
lavoratori.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa appli cazione dell'art. 2 1. 29 maggio 1982 n. 297 in relazione all'art.
4 d.I. 6 luglio 1978 n. 252 nonché vizi di motivazione.
Rileva l'Aman che la nuova legge ha introdotto un nuovo siste
ma di calcolo, ma non ha anticipato il momento della nascita
del diritto all'indennità di anzianità, che era e rimane quello della
cessazione del rapporto di lavoro, per cui diventa inutile un'azio
ne di accertamento nel corso del rapporto, stante la possibilità di ulteriori mutamenti normativi prima della cessazione di esso.
Osserva poi che gli accantonamenti di quote annuali costituisco
no una mera operazione contabile, mentre le disposizioni conte
nute nell'art. 2 della legge hanno la chiara funzione di costituire
a carico del datore di lavoro degli adempimenti amministrativi
e contabili per il versamento dei contributi al fondo di garanzia chiamato ad intervenire in caso di insolvenza dell'imprenditore.
Aggiunge, infine, che nella legge non vi è nesso alcuno fra l'im
porto dei contributi versati dal datore di lavoro e quello dell'in
dennità alla quale ha diritto il lavoratore, il cui ammontare resta
impregiudicato, anche in ipotesi di inadempimento totale o par ziale dell'imprenditore all'obbligo contributivo.
Entrambi i motivi, che per evidenti ragioni di connessione van
no esaminati congiuntamente, sono infondati.
Nel vigore della vecchia formulazione dell'art. 2120 c.c., che
prevedeva come trattamento di fine rapporto un'indennità, pro
porzionale agli anni di servizio, ma determinata in base all'ultima
retribuzione e in relazione alla categoria di appartenenza del la
voratore al momento della cessazione del rapporto, la giuris
prudenza e la dottrina largamente maggioritaria, pur rilevando
che il diritto alla percezione dell'indennità maturava in ciascun
istante dell'intero arco di tempo del rapporto lavorativo (donde
l'illegittimità costituzionale della norma che ne escludeva il dirit
to, quando la cessazione del rapporto derivava da licenziamento
per colpa del lavoratore o da sue dimissioni volontarie: vedi Cor
te cost. 27 giugno 1968, n. 75, Foro it., 1968, I, 2054), configurò tale regime come un fenomeno di formazione successiva della fat
tispecie acquisitiva del diritto, che veniva in realtà ad esistenza
solo all'atto della cessazione del rapporto di lavoro.
In tale contesto ogni questione sulla portata delle norme di
legge o dei contratti collettivi in ordine a detta indennità, sorta
durante il rapporto di lavoro, diventava del tutto teorica, dato
che l'unica norma applicabile sarebbe stata quella in vigore al
momento della cessazione del rapporto medesimo. Allo stesso mo
do le questioni sulla computabilità nella base di calcolo dei vari
compensi percepiti durante il rapporto di lavoro erano del tutto
superflue, perché gli unici compensi da tener presente a questi
cui all'art. 1 1. n. 297 del 1982 non con riferimento alla cadenza tempora le del compenso ma con riguardo al rapporto di causalità tra erogazione di esso e rapporto di lavoro «nel senso che sono da escludere dalla retri buzione solo quelle somme che siano attribuite per cause del tutto even
tuali, imprevedibili e fortuite rispetto alla normale vicenda lavorativa». La cadenza temporale però, per certe erogazioni, come quelle in questio ne, diviene utile per individuare il carattere non occasionale della presta zione. In termini, cfr. Pret. Pavia 3 settembre 1985, Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 2522. Cfr., anche, Pret. Milano 21 dicembre
1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 2317; Pret. Torino 28 settembre 1987, ibid., n. 2319; Pret. Milano 30 aprile 1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2709.
Per la medesima lettura della non occasionalità, cfr., da ultimo, con
riguardo all'indennità estero, Trib. Torino 9 dicembre 1986, ibid., n. 2780 e Mass. giur. lav., 1987, 511, con nota di Proia; con riguardo all'inden nità di mancato preavviso, cfr. Pret. Milano 22 novembre 1984, Foro
it., Rep. 1985, voce cit., n. 2495; Pret. Lodi 19 gennaio 1984, id., 1984, I, 2310, con nota di richiami, con riguardo a tredicesima mensilità, in dennità sostitutiva delle ferie e delle festività soppresse.
Per un primo commento alla riportata sentenza, cfr. E. D'Avossa, in Dir. e pratica lav., 1990, 116.
Il Foro Italiano — 1990.
effetti erano quelli percepiti nell'ultimo periodo di durata del rap
porto medesimo.
Ma ben diversa è la disciplina del trattamento di fine rapporto dettata dall'art. 2120 c.c. nella nuova formulazione introdotta
dall'art. 1 1. 29 maggio 1982 n. 297.
Nel nuovo sistema la somma spettante al prestatore di lavoro
alla cessazione del rapporto non è più costituita da una quota dell'ultima retribuzione, aumentata proporzionalmente agli anni
di servizio, ma è rappresentata dalla somma degli accantonamen
ti contabili (opportunamente rivalutati) di una quota aggiuntiva della retribuzione percepita dal lavoratore nel corso del rapporto.
A differenza dell'indennità di anzianità che non era liquida né
esigibile prima della cessazione del rapporto, il trattamento di
fine rapporto è liquido anno per anno, anche se la sua esigibilità è rinviata alla cessazione del rapporto.
E che di un diritto certo e liquido si tratti è dimostrato dal
fatto che la legge definisce espressamente quella da accantonare
come «quota aggiuntiva della retribuzione, e cioè come quota maturata insieme alla retribuzione; che parla espressamente di ac
cantonamento pregressivo (anche se puramente nominale) delle
quote annuali dovute; che prevede una rivalutazione di esse, pos sibile solo se il credito è determinato nel suo preciso ammontare; che assicura il pagamento di dette somme mediante un fondo
di garanzia che stabilisce infine la possibilità per il lavoratore, in presenza di determinate circostanze, di attingere, durante il
rapporto di lavoro, a detto accantonamento, mediante una ri
chiesta di anticipazione sul trattamento fino a quel momento ma
turato: la particolarità di tale sistema ha indotto questa corte a
considerare tali accantonamenti come «un prestito forzoso» fatto
dal lavoratore al datore di lavoro (vedi Cass. 5 febbraio 1988, n. 1222, id., 1988, I, 3172; 6 maggio 1987, n. 4213, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 2831, entrambe in motivazio
ne), nel che è implicita la sussistenza di un credito certo e liquido
(anche se non esigibile a causa dell'obbligatorietà del prestito). Se questa è la situazione, nessun rilievo ha il fatto che, al mo
mento della cessazione del rapporto di lavoro, potrebbe essere
in vigore una nuova legge, che disciplini in modo diverso il trat
tamento dovuto al lavoratore, perché, se ciò avviene e la nuova
norma avesse efficacia retroattiva, la sentenza che avesse accerta
to l'ammontare dell'accantonamento dovuto per un certo anno
non avrebbe efficacia maggiore e diversa degli accantonamenti
effettuati senza contestazione alcuna per tutti gli altri anni.
Né vale opporre che il dipendente potrebbe attendere il mo
mento della liquidazione del trattamento di fine rapporto per pro
porre tutte le questioni in ordine al calcolo delle quote annuali,
perché con tale ragionamento si verrebbe a negare la possibilità stessa dell'azione di accertamento, che il nostro ordinamento pre vede prima che si verifichi la lesione di un diritto soggettivo (le sione che una volta avvenuta dà luogo ad un'azione di condanna)
quando però sussista uno stato di incertezza sull'esatta portata del diritto ed obblighi e tale incertezza si basi su atti esteriori
provenienti da una delle parti. E nella specie tale incertezza sicu
ramente sussiste, dato che l'Aman ha comunicato ai lavoratori
un accantonamento, che non terrebbe conto di alcuni compensi, che, invece, secondo i dipendenti, andrebbero conteggiati.
Tutto ciò esclude che in proposito possa essere invocata la giuris
prudenza di questa corte che nega la possibilità di un'azione di
accertamento dei presupposti di fatto di un diritto, perché nella
specie non si tratta di accertare solo il fatto dell'avvenuto espleta mento dello straordinario ma il diritto, nascente da tale fatto, al calcolo dello straordinario medesimo nell'accantonamento del
le singole quote annuali.
Infine nella soluzione del problema non va trascurato il fatto
che una delle ragioni della riforma dell'istituto del trattamento di fine rapporto fu costituita dall'imprevidibilità per i bilanci azien
dali del costo dell'indennità di anzianità dei singoli dipendenti, destinato ad una rivalutazione retroattiva in ogni caso di aumen to retributivo, di progressione di carriera, di scatti di anzianità
e di passaggio di categoria del dipendente, mentre col nuovo si
stema le previsioni sul costo del lavoro sono molto più semplici perché tali fisiologiche variazioni sono destinate ad operare solo
per il futuro e anche le rivalutazioni degli accantonamenti avven
gono su un tasso di inflazione, uguale per tutti i lavoratori.
Del resto la stessa ricorrente, che nega qualsiasi interesse del
dipendente all'accertamento immediato dell'entità dell'accantona
mento, è costretta ad ammettere che se mai tale interesse sussiste
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
rebbe per il datore di lavoro, riconoscendo in tal modo che un'a zione di accertamento su questo punto è proponibile.
Va infine sottolineato che ha evidentemente questo scopo la
comunicazione dell'accantonamento prevista dal penultimo com ma dell'art. 2 della legge: è vero che detta disposizione stabilisce solo che la comunicazione venga fatta al fondo di garanzia pres so l'Inps mediante la denuncia periodica della retribuzione, pre vista dall'art. 4 d.l. 6 luglio 1978 n. 352, convertito nella 1. 4
agosto 1978 n. 467, ma tale denuncia con i dati suddetti, proprio in forza dell'art. 4, deve essere consegnata in copia ai lavoratori
interessati, i quali con tale sistema sono posti in grado di verifi care immediatamente che l'accantonamento contabile sia stato ef
fettuato e che esso corrisponda alle disposizioni della legge. D'al
tronde, in un sistema basato su accantonamenti annuali, sia pure nominali, della quota di retribuzione dovuta come trattamento di fine rapporto, non poteva sfuggire al legislatore l'estrema dif ficoltà di un contenzioso sorto solo alla cessazione del rapporto e destinato a verificare quale siano state le prestazioni non occa
sionali, che, anno per anno, abbiano inciso sulla misura degli accantonamenti effettuati, e quindi sull'ammontare definitivo del
trattamento.
Con l'ultimo motivo si denunzia la violazione delle norme sul
calcolo del trattamento di fine rapporto nonché vizi di motivazione.
Sostiene il ricorrente, riprendendo argomentazioni svolte nel
giudizio di merito, che i compensi per le prestazioni indicate dai
lavoratori non sono computabili nel trattamento di fine rappor to, perché si tratta di prestazioni effettive, retribuite in relazione alla loro entità e non in misura forfetaria, non certe (dovendosi la certezza valutare ex ante e non ex post) e non obbligatorie.
Anche questo motivo è infondato. L'art. 2121 c.c. nella sua
vecchia formulazione disponeva che nella retribuzione finale da
porre a base del calcolo dell'indennità di anzianità si dovesse te
ner conto di ogni compenso di carattere continuativo: l'accento
veniva cosi posto sulla ripetitività nel tempo della prestazione e
sulla sua frequenza, e in relazione a tale elemento la giurisprudenza di questa corte ebbe più volte a precisare che tale continuità deve
risultare oggettivamente dall'organizzazione del lavoro, non è in
compatibile con l'eventuale variabilità della prestazione e del re
lativo compenso, non deve necessariamente essere obbligatoria e può essere verificata anche ex post (vedi in questo senso, da
ultimo, Cass. 28 settembre 1988, n. 5261, id., Rep. 1988, voce
cit., n. 2306; 5 settembre 1988, n. 5032, ibid., n. 2307; 4 febbraio
1988, n. 1155, ibid., n. 2312). Nel nuovo regime la retribuzione annua su cui va computato
l'accantonamento «comprende tutte le somme, compreso l'equi valente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del
rapporto di lavoro a titolo non occasionale e con esclusione di
quanto corrisposto a titolo di rimborso spese». La nuova formu
lazione è più rigorosa della precedente (anche se derogabile dalla
contrattazione collettiva), perché prescinde dalla ripetitività e dal
la frequenza della prestazione e pone invece l'accento sul rappor to di causalità fra l'erogazione della prestazione e il rapporto di
lavoro, nel senso che sono da escludere dalla retribuzione solo
quelle somme che siano attribuite per cause del tutto eventuali,
imprevedibili e fortuite rispetto alla normale vicenda lavorativa.
Ma, in relazione a questo nuovo parametro, vi sono delle ero
gazioni, come quelle per lavoro straordinario o per lavoro not
turno, che possono avere il carattere di occasionalità in caso di
sporadicità ed eccezionalità delle prestazioni. E in proposito la
giurisprudenza elaborata in materia di continuità della prestazio ne secondo il vecchio regime può essere utilizzata nel senso che
gli elementi da essa valorizzati (particolare organizzazione del la
voro, frequenza della prestazione, ecc.) possono costituire utili
indizi del carattere non occasionale della prestazione in esame.
A questi principi si è ispirata la sentenza impugnata quando ha ravvisato la non occasionalità delle prestazioni per lavoro straor
dinario e notturno, svolte dai dipendenti, nel fatto che tali pre stazioni avvenivano ogni volta sia di giorno che di notte secondo
turni predisposti anno per anno dall'Aman e quindi erano con
nesse alla particolare organizzazione del lavoro dell'azienda.
Il ricorso va dunque respinto.
Il Foro Italiano — 1990.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 17 novem bre 1989, n. 4927; Pres. Ruperto, Est. Putaturo, P.M. Vi salli (conci, conf.); Atac (Avv. Spera) c. Diomei (Avv. Pel
lettieri). Conferma Trib. Roma 4 febbraio 1987.
Lavoro (rapporto) — Assunzioni obbligatorie — Azienda muni
cipalizzata — Bando di concorso richiedente l'idoneità fisica
per l'assunzione — Illegittimità — Esclusione di invalido civile
per inidoneità fisica — Illegittimità — Responsabilità contrat tuale — Quantificazione del danno (Cod. civ., art. 1223, 1227, 1336; 1. 2 aprile 1968 n. 482, disciplina generale delle assunzio ni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende
private, art. 12, 16, 20.
È illegittima la clausola del bando di concorso di un 'azienda mu
nicipalizzata che, per l'assunzione ex lege n. 482 del 1968 di
operai, ausiliari e appartenenti alla carriera esecutiva, preveda come requisito l'idoneità fisica da verificare tramite visita me
dica, ed è illegittima l'esclusione di invalido, risultato primo alle prove di mestiere, con la motivazione che le menomazioni da cui è affetto costituiscono pregiudizio per il normale svolgi mento della prestazione di lavoro; tale esclusione comporta il diritto dell'invalido al risarcimento del danno consistente, ex
art. 1223 c.c., nell'equivalente delle retribuzioni perdute, ove il datore di lavoro non provi che il danno potesse essere evitato in tutto o in parte dal lavoratore secondo l'ordinaria di
ligenza. (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 4 luglio 1977 Ser
gio Diomei adiva il Pretore di Roma, esponendo che era risultato
primo nella graduatoria del concorso indetto dall'Atac (azienda delle tramvie e autobus del comune di Roma), per l'assunzione di 140 operai e 30 manovali, appartenenti alle categorie degli aventi diritto al collocamento obbligatorio, ai sensi della 1. n. 482 del
1968; che era stato escluso, benché invalido civile, con la motiva
zione che le menomazioni riscontrate, a giudizio del servizio sani tario delle Ferrovie dello Stato, costituivano pregiudizio per il normale svolgimento delle prestazioni di lavoro del mestiere di
pittore edile, rientrante nella categoria di operaio di terza classe,
corrispondente al posto da occupare; che doveva ritenersi perfe zionata l'assunzione poiché l'azienda, la quale era priva del pote re di esprimere giudizi di idoneità, in relazione alle condizioni di salute dell'invalido, non aveva dato riscontro alla richiesta for
(1) 1. - Per la rilevanza anche nei confronti del partecipante invalido civile del requisito dell'idoneità fisica richiesto in un bando di concorso indetto da ente pubblico economico (Enel), cfr. Cass. 7 gennaio 1986, n. 43, Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 1200. In tema di collocamento obbligatorio di operai, ausiliari e appartenenti alla car riera esecutiva presso datori di lavoro pubblici, cfr. Cass. 10 agosto 1987, n. 6869, id., 1987, I, 3251, con nota di richiami. In materia di colloca mento obbligatorio, cfr. Cass. 3 aprile 1989, n. 1590 e 3 febbraio 1989, n. 678, id., 1989, I, 3145 e 3170, con note di richiami.
II. - Cfr., in senso conforme alla seconda parte della massima, circa la natura contrattuale del risarcimento del danno spettante al lavoratore illegittimamente escluso, Cass. 13 giugno 1987, n. 5225, id., Rep. 1987, voce cit., n. 1256; 4 maggio 1987, n. 4146, ibid., n. 1258; 7 aprile 1987, n. 3397, id., 1987, I, 2062, con nota di richiami, e in Nuova giur. civ., 1987, I, 591, con nota di O. Mazzotta; sez. un. 29 novembre 1986, n. 7081, Foro it., 1987, I, 1139, con nota di richiami, tutte — tranne Cass. 4146/87, per quel che emerge dalla massima — sul presupposto della qualificazione del bando di concorso come offerta al pubblico. Cfr., per la medesima qualificazione, Cass. 26 febbraio 1988, n. 2064, id., Rep. 1988, voce cit., n. 1162; Pret. Milano 19 maggio 1987, ibid., n. 1163. Contra, per la natura di promessa al pubblico, cfr. oltre ai richiami di cui alla nota a Cass. 7081/86, cit., Trib. Napoli 23 maggio 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1201; Trib. Roma 16 gennaio 1985, ibid., n. 1202. È opportuno sottolineare che Cass. 4927/89 in epigrafe, nell'affer mare la responsabilità contrattuale del datore di lavoro, ha disatteso le censure mosse dalla ricorrente alla pronuncia d'appello, poiché, essendo incentrate «più che sulla natura di offerta al pubblico del bando di con
corso, sull'insussistenza del fatto costitutivo del diritto all'assunzione, con sistente nella mancata redazione della graduatoria a seguito dell'incom
pleto svolgimento degli accertamenti sanitari, rimangono travolte dall'ac clarata nullità della singola clausola che ha reso ininfluenti, nel profilo denunciato, tanto le prove mediche non ancora svolte che i risultati anche
negativi di quelle definite». Per la quantificazione del danno, cfr., da ultimo, in senso conforme
a Cass. 4927/89 in epigrafe, Cass. 11 marzo 1987, n. 2537, id., Rep. 1987, voce cit., n. 1265.
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