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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezioni unite civili; sentenza 20 gennaio...

Date post: 27-Jan-2017
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sezioni unite civili; sentenza 20 gennaio 1989, n. 308; Pres. Granata, Est. Maltese, P.M. Minetti (concl. conf.); Soc. Fontana (Avv. Comandini, Villani, Lampiasi) c. Capitanucci (Avv. Cerrai). Regolamento preventivo di giurisdizione Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 1109/1110-1115/1116 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183915 . Accessed: 25/06/2014 01:51 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.81 on Wed, 25 Jun 2014 01:51:12 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 20 gennaio 1989, n. 308; Pres. Granata, Est. Maltese, P.M. Minetti(concl. conf.); Soc. Fontana (Avv. Comandini, Villani, Lampiasi) c. Capitanucci (Avv. Cerrai).Regolamento preventivo di giurisdizioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 1109/1110-1115/1116Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183915 .

Accessed: 25/06/2014 01:51

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

uno di riposo, consiste, dunque, nella possibilità di dare una ca

denza variabile al riposo compensativo, a condizione, però, che

nel complesso delle turnazioni ovvero della organizzazione delle

lavorazioni, indicate nella normativa statale (per la editoria che

qui interessa, d.m. 8 agosto 1972), sia rispettato il rapporto di

sei giorni di lavoro ad uno di riposo, ma non consiste, invece, nell'esonerare il datore di lavoro dall'obbligo di indennizzare il

prestatore del pregiudizio che egli risente per aver lavorato conti

nuativamente per sette giorni. Il fatto, perciò, che tale sposta mento sia legittimo, se comporta che esso perda il carattere della

illiceità (la quale ingenera l'obbligo del risaricimento affermato

da questa corte con riferimento, appunto, ai casi in cui non è

consentito lo spostamento del giorno di riposo compensativo), non comporta anche l'esonero del datore di lavoro dall'obbligo di corrispondere l'indennizzo al lavoratore che ha eseguito la pre stazione richiestagli nel settimo o nei giorni successivi, essendo

l'indennizzo dovuto ogni qualvolta l'esercizio, pur se legittimo, di un diritto arreca pregiudizio alle situazioni soggettive dei terzi.

E, perciò, l'azienda, avendo legittimamente preteso la presta zione lavorativa nel settimo giorno (o anche oltre), se può essere

esonerata dall'adempimento di una obbligazione risarcitoria, è tut

tavia obbligata all'adempimento di una prestazione indennitaria

a favore dei dipendenti per il sacrificio ad essi imposto. Non hanno pregio, perciò, le censure che si appuntano sulla

statuizione che attiene alla riconosciuta sussistenza di tale pregiu dizio ed alla liquidazione della indennità riparatoria.

Vero è che il giudice a quo ha fatto riferimento al risarcimento

del danno: tuttavia, la impropria definizione che esso giudice ha

dato della natura dell'obbligazione datoriale satisfattiva del dirit

to del lavoratore, non inficia la validità della sentenza impugna

ta, essendo rimasto immutato il presupposto di fatto causativo

dell'indennizzo ed avendo il giudice del merito adottato per la

liquidazione di esso i criteri di equità che sono tipici di tale istitu to (ad es. art. 2045 c.c. sulla liquidazione equitativa del danno

cagionato da chi agisce in stato di necessità; art. 2047, 2° com

ma, c.c. in materia di liquidazione del danno cagionato dall'inca

pace; art. 843, 2° comma, c.c. in materia di accesso nel fondo

altrui: in tali ipotesi si demanda, appunto, al giudice di liquidare

la indennità con criteri di equità).

Posto, perciò, che il riposo compensativo era stato goduto ol

tre il limite costituzionale (art. 36, 3° comma, Cost.) ma in forza

di una disposizione di legge (art. 5 1. n. 370 del 1934) che ne

consentiva lo spostamento oltre il settimo giorno, rendendo, in

tal modo, legittima la prestazione lavorativa del detto giorno,

che, però, nello stesso tempo, cagionava un pregiudizio psico

fisico ai dipendenti che erano stati obbligati a lavorare nel giorno

destinato, appunto, al recupero delle energie psico-fisiche, va os

servato che la esistenza del danno — che la ricorrente contesta — è provata proprio dalla situazione nella quale i lavoratori ave

vano eseguito la prestazione, mentre la liquidazione della inden

nità deve ritenersi incensurabile, perché il giudice del merito si

è correttamente avvalso dei criteri equitativi.

Né, infine, esso giudice avrebbe potuto apportare una riduzio

ne alla indennità liquidata equitativamente nella misura di tre ore

di retribuzione, perché le altre somme corrisposte ai lavoratori

erano satisfattive della prestazione del lavoro effettuato nella gior

nata di domenica (e perciò imputabili ad una diversa e distinta

causale), mentre l'importo delle tre ore di retribuzione indenniz

zavano la penosità del lavoro prestato nel settimo giorno (ovvia

mente non coincidente con la domenica).

Le osservazioni che sorreggono la reiezione delle censure fin

qui esaminate consentono, poi, di ritenere non pertinenti quelle

doglianze con le quali si addebita al tribunale di aver omesso

qualsiasi indagine in ordine alle clausole dei contratti collettivi,

succedutisi dal 1972, che si occupano della retribuibilità del lavo

ro prestato nel giorno di domenica: occorre, in proposito, ancora

una volta ricordare che il caso deferito al giudice del merito non

riguardava la retribuibilità di tale lavoro, ma aveva ad oggetto

la diversa ed autonoma fattispecie, ovviamente non contemplata

in detti contratti, della indennizzibilità del danno psico-fisico ri

sentito dai lavoratori che avevano prestato la propria attività nel

settimo giorno. Non era perciò richiesta l'interpretazione della

clausola collettiva, se non al limitato fine — che risulta persegui

to dal tribunale — di escludere che il trattamento contrattuale

previsto per il lavoro domenicale fosse satisfattivo anche del la

II Foro Italiano — 1989.

voro maggiormente usurante prestato nel o anche oltre il settimo

giorno.

E, proprio in siffatto diverso atteggiarsi della fattispecie si rin

viene il distacco dai precedenti giurisprudenziali di questa corte

nei quali, essendo stato dedotto che il lavoro prestato nel settimo

giorno — cadente di domenica — doveva essere compensato co

me lavoro straordinario festivo, bene a ragione era stato deman

dato al giudice del rinvio di accertare se ed in quale misura il

compenso contrattuale del lavoro straordinario, eventualmente de

stinato a compensare anche la prestazione di cui si discute, risul

tasse conglobato nella retribuzione complessiva. Tale esigenza non ricorre nella specie, essendo pacifico — per

averlo riteratamente affermato la stessa ricorrente — che il lavo

ro prestato nel settimo o nei successivi giorni non era stato auto

nomamente compensato.

Peraltro, non avendo la società ricorrente proposto una perti nente deduzione di merito, questa corte viene a trovarsi nella im

possibilità di demandare ad altro giudice il compito di identificare i periodi in cui la prestazione del settimo giorno, essendo coinci

dente con la domenica, si sarebbe dovuta retribuire nelle forme

e con i mezzi previsti per il lavoro domenicale e distinguerla dai

periodi nei quali il lavoro del settimo giorno, cadendo in un gior no diverso dalla domenica, si sarebbe dovuto altrimenti com

pensare. Posta perciò la diversità delle fattispecie e ricordato che nel

caso in esame era fuori discussione la legittimità dello spostamen to del giorno di riposo settimanale, perché tale spostamento era,

appunto, consentito dall'art. 5 della 1. n. 370 del 1934, appare del tutto fuor di proposito la deduzione, prospettata nella memo

ria, con la quale la società ricorrente sostiene che, ove si voglia ritenere «che il nostro sistema positivo sancisca il principio inde

rogabile della cadenza fissa del riposo settimanale, nel senso che

esso debba necessariamente seguire dopo sei giorni consecutivi

di lavoro, le norme portate dagli art. 1, 3 e 5 della menzionata

legge si porrebbero in contrasto con l'art. 36, 3° comma, Cost.»:

la correzione apportata alla sentenza impugnata alla stregua del

l'opposto principio enuciato dalla Corte costituzionale con le già menzionate decisioni n. 146 del 1971, n. 65 del 1973 e n. 23 del

1982, esclude, infatti, che le suddette norme possano essere diver

samente interpretate. Il ricorso deve, quindi, essere rigettato.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 20 gen naio 1989, n. 308; Pres. Granata, Est. Maltese, P.M. Mi

netti (conci, conf.); Soc. Fontana (Avv. Comandini, Villani,

Lampiasi) c. Capitanucci (Avv. Cerrai). Regolamento preven tivo di giurisdizione.

Tributi in genere — Controversia tra sostituto d'imposta e sosti

tuito — Giurisdizione delle commissioni tributarie — Contrad

dittorio (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, revisione della disciplina del contenzioso tributario, art. 16; d.p.r. 29 settembre 1973

n. 602, disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito, art. 38).

La controversia promossa dal dipendente nei confronti del datore

di lavoro per denunciare l'illegittimità della ritenuta d'acconto

Irpef da questi operata e per chiedere la condanna al pagamen to delle relative somme rientra nella giurisdizione delle com

missioni tributarie e deve essere in quella sede decisa con efficacia di giudicato e nel contraddittorio della amministrazione finan

ziaria dello Stato. (1)

(1-2) Con le decisioni in rassegna (per la sent. 308/89 è stata omessa

la parte di motivazione comune alla sent. 1200/88) la Cassazione confer

ma il mutamento di giurisprudenza, attuato con le sent. 21 gennaio 1988, nn. 441 e 440, Foro it., Mass., 76, e confermato, fra l'altro, con le suc

cessive 1° marzo 1988, nn. 2152 e 2151, ibid., 323, rispetto a quanto deciso con precedenti pronunzie in materia, ove era stata affermata la

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PARTE PRIMA

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 5 feb

braio 1988, n. 1200; Pres. Bile, Est. Maltese, P.M. Virgilio

(conci, diff.); Trans World Airlines - Twa Inc. (Avv. G. Mos

sa, Pileried, Picciaredda) c. Min. finanze. Regolamento pre ventivo di giurisdizione.

Tributi in genere — Controversia tra sostituto d'imposta e sosti

tuito — Giurisdizione delle commissioni tributarie — Legitti mazione — Fattispecie (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 16;

d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602, art. 38).

È devoluta alla cognizione esclusiva delle commissioni tributarie

la controversia avente ad oggetto la legittimità della ritenuta

fiscale d'acconto operata dal datore di lavoro sulle retribuzioni

corrisposte al lavoratore, anche se sorta in sede di giudizio di

opposizione all'esecuzione intrapresa dal secondo contro il pri mo (in motivazione la corte precisa che quest'ultimo giudizio, che resta nella competenza del giudice ordinario, deve restare

sospeso e che la causa tributaria può essere promossa, in con

traddittorio con l'amministrazione finanziaria, sia dal sostitui

to che dal sostituto d'imposta). (2)

I

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Milano, in funzione di giudice del lavoro, Marcello Capitanucci espose che la spa Luigi Fontana e C., alle cui dipendenze egli si era

trovato in qualità di dirigente, nel corrispodergli la somma di

lire 425.224.544 a titolo di risarcimento del danno per la sua ar

bitraria estromissione dall'azienda, aveva illegittimamente opera to una ritenuta di lire 170.344.950, a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef).

Chiese, pertanto, che la spa Fontana venisse condannata al pa

gamento di tale somma, ancora dovutagli, di lire 170.344.950.

La società convenuta ha proposto regolamento preventivo di

giurisdizione a queste sezioni unite per l'accertamento della com

petenza giurisdizionale delle commissioni tributarie.

Motivi della decisione. — La ricorrente sostiene che la cogni zione della controversia è riservata ratione materiae alle commi

sioni tributarie, previa istanza di rimborso all'intendenza di

finanza.

Il ricorso è fondato. Le sezioni unite hanno già chiarito con

sentenza n. 1200 del 5 febbraio 1988, (omissis). Nel caso in esame, la lite fra datore e prestatore di lavoro sulla

legittimità della ritenuta d'acconto ha natura, appunto, tributa

ria, in quanto, per le ragioni esposte, il titolo della ritenuta ha

carattere meramente fiscale; e la controversia si deve necessaria

mente svolgere nei confronti dell'amministrazione finanziaria.

Perciò la disposizione dell'art. 38 d.p.r. n. 602 del 1973, secon do la quale 1' «istanza (...) può essere presentata anche dal per

cipiente della somma assoggettata a ritenuta» deve essere intesa nel senso che al soggetto passivo della ritenuta d'acconto è attri

buito, non diversamente che al soggetto attivo, il potere di agire soltanto davanti al giudice speciale tributario; non, di certo, nel

senso che gli sia riconosciuta una facoltà di libera scelta fra la

giurisprudenza speciale e quella ordinaria.

Ne consegue, ancora, che nella lite sorta e nel processo instau

rato fra due privati — soggetto attivo e soggetto passivo della

ritenuta d'acconto — la questione della legittimità della ritenuta

potrà assumere, come nel caso deciso dalla sentenza citata n.

spettanza al giudice ordinario delle controversie tra sostituto d'imposta e sostituito sulla legittimità delle trattenute fiscali operate dal primo: per ogni riferimento, v. Cass. 16 dicembre 1986, n. 7553, id., 1987, I, 3323, con nota di richiami.

Per altri riferimenti: sulla dichiarazione dei sostituti d'imposta, v. la nota di richiami a Corte cost. 4 novembre 1987, n. 364, id., 1988, I, 1458; sulla improponibilità delle azioni di ripetizione e di arricchimento dinanzi al giudice ordinario per imposte erroneamente pagate, Cass. 27

aprile 1988, n. 3174, id., 1989, I, 172, con nota di richiami; sulla esten sione della giurisdizione delle commissioni tributarie. Comm. trib. II gra do Grosseto 27 settembre 1988, ibid., Ill, 62, e Tar Campania, sez. I, 30 giugno 1987, n. 399, ibid., 58, con nota di L. Verrenti.

Il Foro Italiano — 1989.

1200 del 1988, i caratteri tipici della «causa pregiudiziale» rispet to a quella di competenza del giudice ordinario (trattavasi allora

di una controversia di opposizione all'esecuzione), ma potrà an

che esaurire, come nel caso in esame, l'intero oggetto della lite

e determinare, quindi, senza problemi collaterali di coordinamen

to fra le due procedure, l'improponibilità della domanda davanti

al giudice ordinario, in considerazione della compentenza giuris dizionale esclusiva del giudice tributario.

In questo senso, appunto, deve essere decisa la questione posta dalla società ricorrente, con la dichiarazione della giurisdizione delle commissioni tributarie.

II

Svolgimento del processo. — Con sentenza del 13 novembre

1973 il Pretore di Roma condannò la Trans World Airlines - Twa

alla immediata reitengrazione nel posto di lavoro di Maria Schmid

Garulli, perché illegittimamente licenziata.

Condannò inoltre la Twa a pagare alla Garulli la somma di

lire 2.000.000, pari alla retribuzione dovutale per un periodo la

vorativo di cinque mesi.

In esecuzione della sentenza, la Twa reintegrò la Garulli nel

suo posto di lavoro. Non le corrispose, tuttavia, l'intera somma

di lire 2.000.000 liquidata dal pretore, ma soltanto la somma di

lire 1.799.000, detratte lire 201.000, che aveva versato all'esatto ria delle imposte dirette di Roma per ritenuta Irpef, ai sensi del

l'art. 23 d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600.

La Garulli, sostenendo di aver diritto al pagamento integrale delle cinque mensilità, nell'ammontare di lire 2.000.000 stabilito

dal pretore, esegui un pignoramento mobiliare a carico della Twa

per la differenza non compostale di lire 201.000, in base al titolo

esecutivo rappresentato dalla sentenza stessa.

La Twa propose opposizione all'esecuzione, sostenendo di ave

re legittimamente versato all'erario lire 201.000, in ottemperanza agli obblighi derivanti dalle disposizioni sopra citate della legge tributaria.

Il pretore, ritenendo la controversia di natura tributaria, rimise le parti davanti al tribunale ai sensi dell'art. 9 c.p.c.

Con atto notificato alla Garulli in data 11 ottobre 1976, la

Twa riassunse il processo davanti al Tribunale di Roma.

Con ordinanza del 12 luglio 1977, il tribunale dispose l'integra zione del contraddittorio nei confronti del ministero delle finan

ze, titolare del credito d'imposta e quindi parte necessaria nel

giudizio fra la contribuente Garulli e il «sostituto d'imposta» Twa.

L'amministrazione finanziaria, sebbene regolarmente citata, non si costituì in giudizio.

Rimessa la causa al collegio per la decisione, la Twa propose ricorso a queste sezioni unite per regolamento preventivo di giuris dizione, chiedendo che venisse dichiarata la compentenza giuris dizionale del giudice speciale tributario a conoscere della controversia. L'avvocatura dello Stato ha aderito alla richiesta della ricorrente.

Motivi della decisione. — La Twa, premesso di essere stata condannata dal pretore a pagare alla dipendente Garulli la som ma di lire 2.000.000 a titolo non risarcitorio ma retributivo, tal ché legittimamente essa avrebbe operato su quell'importo la ritenuta d'acconto di lire 201.000 ex art. 23 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, sostiene che, a norma degli art. 16 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 e 38 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602, soltanto le

commissioni tributarie sarebbero competenti a conoscere della con

troversia.

Il ricorso è fondato nel senso e nei limiti che saranno precisati.

Bisogna, invero, distinguere fra la controversia di opposizione del debitore all'esecuzione e la causa pregiudiziale di accertamen to della legittimità della ritenuta d'acconto.

Oggetto della controversia di opposizione è l'impugnazione del titolo esecutivo: per mezzo di essa la Twa tende a dimostrare che in epoca posteriore alla formazione del titolo stesso — rap presentato dalla sentenza del pretore di condanna della datrice di lavoro al pagamento della somma di lire 2.000.000 a favore della dipendente — un fatto sopravvenuto, consistente nella ri tentuta d'acconto di lire 201.000, operata dalla datrice di lavoro, ne avrebbe posto nel nulla l'efficacia per il corrispondente valore.

La «causa pregiudiziale» — di intendere nel preciso significato tecnico di questione pregiudiziale che il giudice è tenuto a risolve

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

re e a decidere con effetti di giudicato sostanziale — concerne

l'accertamento della legittimità della ritenuta d'acconto effettua

ta dalla Twa. A tale pregiudiziale accertamento (che potrebbe, in ipotesi, già risultare da un giudicato esterno dell'organo giuris dizionale speciale e pertanto non si identifica senza residui con

la causa stessa di opposizione) è subordinata la pronuncia sul

fondamento dell'impugnazione del titolo esecutivo, cioè sulla per durante efficacia di questo per l'importo sopra indicato di lire

201.000. Ora, non c'è dubbio che sulla causa principale di opposizione

all'esecuzione dovrà, in definitiva, pronunciarsi l'autorità giudi ziaria ordinaria. Ma non altrettanto si può dire della causa pre

giudiziale sulla legittimità della ritenuta di acconto, che appartiene alla competenza esclusiva del giudice speciale tributario e neces

sariamente coinvolge l'amministrazione delle finanze, cioè l'ente

pubblico titolare del potere impositivo. Per convincersene, basta esaminare le disposizioni vigenti.

Con la riforma tributaria, il sistema positivo risulta dalle nor

me degli art. 16 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636 e 38 d.p.r. 29

settembre 1973 n. 602.

Secondo l'art. 16, 3° comma, d.p.r. n. 636 del 1972, contenen

te la disciplina dei termini per ricorrere, nei casi in cui il paga

mento del tributo ha avuto luogo senza preventiva imposizione

e nei casi in cui il contribuente afferma essere sopravvenuto il

diritto al rimborso, si considera imposizione il rifiuto di restitu

zione della somma pagata, ovvero il silenzio dell'amministrazione

dopo l'intimazione effettuata nelle forme previste.

Secondo l'art. 38 d.p.r. n. 602 del 1973, concernente il rimbor

so di versamenti diretti, nel caso di inesistenza, totale o parziale,

dell'obbligo di versamento (oltre che nel caso di errore materiale

o di duplicazione), il soggetto che ha effettuato il versamento

diretto può presentare all'intendenza di finanza istanza di rim

borso entro il termine di decadenza di diciotto mesi dalla data

del versamento stesso. La medesima istanza può presentare anche

il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta entro il termine

di decadenza di diciotto mesi dalla data in cui la ritenuta è stata

operata. Nell'una e nell'altra ipotesi consegue all'eventuale rifiu

to del rimborso il diritto del richiedente di esperire ricorso alla

commissione tributaria di primo grado (art. 38, 4° comma, e 37,

2° comma, d.p.r. n. 602 del '73). Trattasi di un sistema compiuto di tutela giurisdizionale dei

diritti del contribuente, come hanno chiarito, con sentenza dell'8

marzo 1977, n. 942 (Foro it., 1977, I, 811), queste sezioni unite

in relazione agli art. 1, 16, 46 d.p.r. n. 636 del 1972 e 6, ali.

E, 1. n. 2248 del 1865.

Sarebbe inutile, quindi, nel presente giudizio, tornare a discu

tere della possibilità, per il contribuente, di esperire in via pre

ventiva un'azione di mero accertamento negativo del debito

d'imposta, azione improponibile non solo davanti al giudice or

dinario ma anche davanti al giudice speciale tributario, poiché

il ricorso accordato dalla legge al soggetto passivo dell'obbliga

zione d'imposta ha per oggetto soltanto specifici atti dell'ammi

nistrazione finanziaria di accertamento, d'imposizione, ovvero di

rifiuto di restituzione di somme riscosse.

Occorre soltanto trarre da queste esatte premesse le debite con

clusioni in materia di ritenuta d'acconto.

Dedurne, cioè, che il giudice ordinario non può pronunciarsi

sulla legittimità della ritenuta non soltanto, com'è ovvio, in via

principale, con efficacia vincolante verso l'amministrazione finan

ziaria, ma neppure incidenter tantum con effetti limitati alle parti

private. Il principio della competenza giurisdizionale esclusiva delle com

missioni tributarie appare di tutta evidenza con riguardo all'azio

ne esperibile dall'autore della ritenuta, il quale, se ha versato la

somma, può chiederne il rimborso soltanto nelle forme anzidette

dell'istanza amministrativa e del ricorso alla commissione tribu

taria; e, rispettivamente, se non l'ha versata, può ricorrere alla

commissione stessa contro gli atti impositivi dell'amministrazione

conseguenti all'iscrizione a ruolo a proprio carico delle somme

ritenute e non corrisposte (art. 33 d.p.r. 29 settembre 1973 n.

600 e art. 11 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602).

Ma alla stessa conclusione dell'esclusività della giurisdizione delle

commissioni tributarie si deve pervenire a proposito dell'azione

esperibile dal soggetto passivo della ritenuta, produttore e perci

piente del reddito, agisca egli direttamente contro la pubblica am

ministrazione per ottenere il rimborso, ovvero pretenda dall'autore

Il Foro Italiano — 1989.

della ritenuta stessa, quale controparte privata nel rapporto di

diritto civile, la corresponsione di una somma di pari ammontare

come elemento integrante della retribuzione.

In realtà, stabilire se la ritenuta sia stata legittimamente opera

ta non è mai un semplice «punto» pregiudiziale od una mera

«questione» pregiudiziale, di decidere incidenter tantum con ef

fetti limitati al procedimento in corso, ma — si ripete — è sem

pre una vera e propria «causa» pregiudiziale, da risolvere e decidere

con effetti di giudicato sostanziale nei confronti dei legittimi con

traddittori, e perciò nei confronti dell'amministrazione finanzia

ria, dal giudice competente intuitu materiae a conoscerne.

Il produttore del reddito, che ha subito la ritenua, non è libero

di adire, a sua scelta, il giudice speciale tributario o il giudice

ordinario, per farne dichiarare la illegittimità e per ottenere il

pagamento della somma, ma deve necessariamente agire, ai fini

del rimborso, davanti alle commissioni tributarie.

Postulare, invero, una giurisdizione elettivamente concorrente

dell'a.g.o. significherebbe esporre la controparte, che ha effet

tuato la ritenuta, all'eventualità e al rischio di pagare due volte

la stessa somma, in base a due pronunce contrastanti provenienti

da due giudici diversi: come accadrebbe se, riconosciuta dal giu

dice ordinario, adito dal percepiente del reddito, l'illegittimità della

ritenuta, con obbligo della controparte di corrisponderne all'atto

re l'equivalente ammontare, il giudice speciale, adito dall'autore

della ritenuta, dichiarasse questa pienamente legittima, rifiutan

done al ricorrente il rimborso.

Nel caso concreto, la datrice di lavoro Twa rischierebbe, da

un lato, di soggiacere all'azione esecutiva del creditore, dall'altro

di subire il rifiuto del rimborso da parte dell'autorità finanziaria.

In una prospettiva più ampia, corrisponde a queste considera

zioni di ordine pratico l'esame della ratio del sistema.

La ritenuta d'acconto, invero, pur non costituendo oggetto di

un'obbligazione d'imposta in senso stretto, dato che nell'anno

solare potrebbe anche non sorgere alcun debito d'imposta, è cer

tamente oggetto di un'obbligazione accessoria e strumentale alla — eventuale e futura — obbligazione d'imposta, di cui agevola

la riscossione.

Essa, pertanto, si inquadra nell'ampia nozione di rapporto tri

butario, comprendente sia l'obbligazione d'imposta sia le obbli

gazioni ad esse strumentali e accessorie.

La controversia che la concerne ha, di conseguenza, natura tri

butaria e, come tale, è sottratta alla cognizione dell'a.g.o. e de

voluta alla competenza esclusiva del giudice speciale tributario.

Nel caso in esame, la lite fra datore e prestatore di lavoro sulla

legittimità della ritenuta d'acconto ha natura, appunto, tributa

ria, in quanto, per le ragioni esposte, il titolo della ritenuta ha

carattere meramente fiscale.

A questo proposito si definisce il soggetto attivo della ritenuta

«sostituto d'imposta»: forse impropriamente, perché la ritenuta

d'acconto — come si è detto — non riflette un'obbligazione d'im

posta in senso stretto. Tuttavia, chi la esegue è vincolato sia ver

so l'ente pubblico impositore, sia verso il soggetto percepiente

del reddito all'adempimento di un'obbligazione tributaria; onde

la controversia, fra chiunque sorta, presenta sempre la stessa na

tura tributaria e deve svolgersi nei confronti dell'amministrazione

finanziaria davanti al giudice competente. Le argomentazioni fin qui svolte dimostrano che la locuzione

«l'istanza . . . può essere presentata anche dal percepiente delle

somme assoggettate a ritenuta», nel citato art. 38 d.p.r. n. 602

del 1973, deve essere intesa — come correttamente ha sostenuto

l'avvocatura dello Stato — nel senso che al soggetto passivo della

ritenuta d'acconto è attribuito, non diversamente che al soggetto

attivo, il potere di agire soltanto davanti al giudice speciale tribu

tario, non, di certo, nel senso che gli sia riconosciuta una facoltà

di libera scelta fra la giurisdizione speciale e quella ordinaria.

Ne consegue ancora che nella lite sorta e nel processo instaura

to fra i due privati, soggetto attivo e soggetto passivo della rite

nuta d'acconto, non si può parlare di una possibile azione di

garanzia o di «manleva» del primo verso l'amifiinistrazione fi

nanziaria, e neppure di una causa comune o accessoria, nel cui

ambito l'integrazione del contraddittorio sia rimessa agli ordinari

strumenti della chiamata in giudizio su istanza di parte o iussu

iudicis, ma soltanto di «causa pregiudiziale» che richiede, previa

sospensione del giudizio, la devoluzione al giudice competente (sem

pre che non siano frattanto maturate decadenze legali) e sarà,

quindi, attivata per iniziativa del «sostituito» oppure del «sosti

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PARTE PRIMA 1116

tuto», con diverse, alterne vicende nei successivi sviluppi del giu dizio di merito.

Nella controversia in esame, si deve ritenere pertanto che, fer

ma restando la giurisdizione del giudice ordinario sull'opposizio ne all'esecuzione, spetti unicamente al giudice speciale tributario

la competenza giurisdizionale a conoscere della causa pregiudizia le concernente la legittimità della ritenuta d'acconto.

In questi termini e con queste precisazioni, il ricorso per rego lamento preventivo di giurisdizione preposto dalla Trans World

Airlines deve essere accolto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 14 gennaio

1989, n. 152; Pres. Menichino, Est. Ponzetta, P.M. Benanti

(conci, conf.); Ventura (Avv. Gallusi, Guaiazzini, Maglia) c. Inps (Avv. Romoli, Procaccio). Cassa Trib. Cremona 12

maggio 1986.

Lavoro (rapporto) — Possesso di diploma di istituto professiona le — Inserimento al lavoro nei primi tre mesi — Rapporto di

apprendistato — Compatibilità (L. 19 gennaio 1955 n. 25, di

sciplina dell'apprendistato, art. 2, 3, 17; 1. 31 marzo 1966 n.

205, riconoscimento di qualifica ai licenziati dagli istituti pro

fessionali, art. unico; 1. 27 ottobre 1969 n. 754, sperimentazio ne negli istituti professionali, art. 5, 7).

Alla scadenza del periodo comunque non superiore a tre mesi

di cui all'art. 7 l. 754 del 1969, sussiste l'obbligo del datore

di lavoro di assegnare al lavoratore la qualifica propria del di

ploma di istituto professionale conseguito, purché sussista cor

rispondenza tra l'idoneità attestata dal titolo scolastico e la

concreta attività nella quale il dipendente è inserito, tenendo

conto, al riguardo, della maggiore valenza del diploma di ma

turità conseguito dopo il superamento dell'esame finale del corso

speciale triennale rispetto al diploma conseguito all'esito di corsi

di minore durata e con più limitato numero di materie. (1)

Motivi della decisione. — Con l'unico, complesso mezzo del

ricorso il rag. Angelo Ventura denuncia violazione e falsa appli cazione di norme di diritto (art. 360, n. 3, c.p.c. con riferimento, nella specie, all'art. 17, 1° comma, 1. 19 gennaio 1955 n. 25, alla 1. 31 marzo 1966 n. 205 e all'art. 7 1. 27 ottobre 1969 n.

754 nonché all'art. 6 ccnl 20 dicembre 1978 dei dipendenti degli studi professionali. Omessa e contraddittoria motivazione circa

un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o co

munque rilevabile di ufficio (art. 360, n. 5, c.p.c.).

(1) Contra, Pret. Bergamo 31 gennaio 1987, Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 728, che ha affermato che il periodo di tre mesi di cui all'art. 7 1. 754 del 1969 non può essere inteso sempre come perio do di apprendistato, dovendosi invece avere riguardo alla natura delle mansioni, e che allo spirare dei tre mesi al lavoratore diplomato non

può in nessun caso essere mantenuta la qualifica di apprendista; Trib. Cremona 19 gennaio 1985, id., Rep. 1985, voce cit., n. 658, secondo cui il diploma di segretaria d'azienda, conseguito a norma dell'art. 7 cit., esclude l'instaurazione del rapporto di apprendistato ed impone quindi l'assunzione al lavoro con la qualifica d'impiegato. Per Trib. Lodi 14

aprile 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 726, il rapporto di apprendistato cessa e si trasforma in ordinario rapporto a tempo indeterminato, indi

pendentemente dalla durata del tirocinio prevista dai contratti collettivi o dall'art. 7 cit., nel momento in cui l'apprendista venga adibito all'atti vità lavorativa propria del lavoratore qualificato, e grava sul datore di lavoro che eccepisca la legittimità del rapporto di apprendistato il relativo onere probatorio.*Cass. 18 giugno 1975 n. 2449, id., 1976, I, 1317, con nota di richiami, citata in sentenza e Cass. 10 novembre 1979 n. 5817, id., Rep. 1979, voce cit., n. 494, hanno affermato che il periodo d'inseri mento di cui all'art, unico 1. 205 del 1966, poi sostituito dall'art. 7 1. 754 del 1969, non è un periodo d'apprendistato, dovendo la qualifica essere attribuita in ragione delle mansioni affidate al lavoratore e dell'uti lità che il datore ne ricava. In dottrina, in tema di formazione professio nale dei lavoratori e di rapporti speciali connessi ad essa, cfr., da ultimo, G. Loy, Formazione e diritto del lavoro, Angeli, Milano, 1988, passim.

Il Foro Italiano — 1989.

Argomenta il ricorrente, illustrando tale censura, che non è

valida la considerazione del tribunale, secondo la quale, preve dendosi l'insegnamento complementare nel rapporto di apprendi

stato, questo nella specie rimarrebbe escluso. Citasi quindi, dal

Ventura, l'art. 17, 1° comma, 1. 19 gennaio 1955 n. 25 in ordine

al quale: «la frequenza dei corsi di insegnamento complementare è obbligatoria e gratuita. La obbligatorietà non sussiste per colo

ro che abbiano già un titolo di studio adeguato». Quindi — si

argomenta — il rapporto di apprendistato è «possibile» anche

quando l'apprendista sia in possesso di un titolo di studio, il qua le già lo accrediti di nozioni tali da rendere inutile la frequenza dei corsi di insegnamento complementare. Il titolo di studio di

cui le due dipendenti erano in possesso — pure osservasi — si

palesava adeguato nel senso dell'escludere l'obbligo di insegna mento complementare, ma di per sé non era di ostacolo all'ap

prendistato, d'altronde l'art. 7 1. 27 ottobre 1969 n. 754 (il quale ha sostituito l'art, unico 1. 31 marzo 1966 n. 205) prevede (cosa che il tribunale ha omesso di considerare) una espressa riserva

a favore della contrattazione collettiva anche in merito alla dura

ta del periodo di inserimento nel lavoro per l'alunno che abbia

superato l'esame finale degli istituti professionali. La previsione della durata, dello stesso inserimento nel lavoro, «non superiore a tre mesi» costituisce esclusivamente un'ipotesi residuale da uti

lizzare in difetto di norme specifiche della contrattazione colletti

va e non un limite di valore assoluto e — notasi ancora dal

ricorrente — devesi al riguardo tener conto dell'art. 14 ccnl 20

dicembre 1978 (dove è previsto un apprendistato di dodici mesi

per il terzo livello dei dipendenti), come pure dell'art. 6 dello

stesso ccnl che ammette il periodo di apprendistato per i giovani in possesso del diploma di qualifica rilasciato dagli istituti profes sionali di Stato nel solo caso in cui gli stessi siano adibiti a man

sioni che non trovino corrispondenza nel diploma stesso (si intende

nell'oggetto per cui è rilasciato); corrispondenza che per la fatti

specie si afferma inesistente, come dovrebbesi rilevare dalle mate

rie di programma per il corso biennale, quale è stato il corso

seguito dalle due dipendenti per cui è causa, in quanto nessun

esame, il quale abbia attinenza con la materia fiscale o con quelle della legislazione del lavoro, è previsto, mentre conoscono queste materie coloro i quali abbiano seguito il corso triennale per «ad

detti alla segreteria di azienda» e quello, pure triennale, per «ad

detti alla contabilità di azienda».

Sull'oggetto del ricorso il rag. Ventura si diffonde poi anche

in un riferimento alle dichiarazioni rese dalle due dipendenti. La censura è fondata sotto l'aspetto che attiene ad una parziale

disapplicazione delle normative di legge cui si è riferito il giudice di appello e, soprattutto, sotto l'aspetto di una motivazione in

sufficiente per quanto concerne l'accertamento di fatto sul conte

nuto degli insegnamenti impartiti durante i corsi presso gli istituti

professionali seguiti dalle due «apprendiste» cui riferiscesi la pre tesa contributiva dell'Inps. Conseguentemente il ricorso deve es sere accolto «per quanto di ragione».

Dai disposti di cui all'art, unico 1. 31 marzo 1966 n. 205 ed

all'art. 7 1. 27 ottobre 1969 n. 754 (sostitutivo, questo, della pre

cedente), il tribunale ha immediatamente tratto, come già accen

nato in narrativa, che il diploma di qualifica conseguito dall'alunno di istituto professionale è valido ai fini contrattuali dopo un pe riodo di inserimento al lavoro che non può essere superiore a

tre mesi.

Ciò non si vuole ora negare aprioristicamente, come contenuto

letterale della norma; ma deve essere chiarito, al lume di una

logica che ne mette in evidenza la ratio ed i possibili effetti prati ci, quali si individuano anche attraverso il coordinamento con

le altre disposizioni del testo in esame e con quella che ha dato

origine alla norma attuale.

Con riferimento all'art, unico 1. n. 205 del 1966 («L'alunno che abbia superato o che superi l'esame finale degli istituti pro fessionali consegue un diploma di qualifica che varrà ai fini dei

rapporti contrattuali dopo un periodo di inserimento nel lavoro

da definirsi in sede di contrattazione collettiva, o comunque non

superiore ad un anno»...), questa corte avverti che «il periodo di inserimento nel lavoro previsto dal 1° comma dell'art, unico 1. 31 marzo 1966 n. 205, sul riconoscimento di qualifica ai diplo mati degli istituti professionali, non è un periodo di apprendista to; la qualifica del lavoratore, assunto con riferimento a detta

legge, deve essere determinata in funzione della natura delle man sioni affidategli e dell'utilità che il datore di lavoro ne ricava

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