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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezioni unite civili; sentenza 29 novembre...

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sezioni unite civili; sentenza 29 novembre 1986, n. 7084; Pres. Brancaccio, Est. Lipari, P.M. Caristo (concl. conf.); Soc. Marelli (Avv. Moscarini) c. Rotolo. Conferma Trib. Milano 13 febbraio 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1988), pp. 229/230-239/240 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23181045 . Accessed: 28/06/2014 12:22 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.191 on Sat, 28 Jun 2014 12:22:13 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 29 novembre 1986, n. 7084; Pres. Brancaccio, Est. Lipari, P.M.Caristo (concl. conf.); Soc. Marelli (Avv. Moscarini) c. Rotolo. Conferma Trib. Milano 13febbraio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 229/230-239/240Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181045 .

Accessed: 28/06/2014 12:22

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

bile, svolte dai resistenti andrà valutata la natura della loro attivi

tà, tenendo conto dei criteri indicati da questa corte per la quali ficazione delle attività in favore di tali enti svolte da categorie consimili a quella in esame (es.: per i messi di conciliazione: sent. 15 febbraio 1979, n. 978, id., Rep. 1979, voce Ufficiate giudizia rio, n. 57; 10 dicembre 1982, n. 6772, id., Rep. 1982, voce cit., n. 10; per gli esercenti posti telefonici pubblici: sent. 17 dicembre

1980, n. 6539, id., Rep. 1980, voce Lavoro autonomo, n. 2; 5 novembre 1983, n. 6550, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 381; 17 marzo 1985, n. 2973, id., Rep. 1985, voce cit., n.

410). All'esito di tale valutazione, se ritenuta la natura subordi nata del rapporto, andrà verificato il quantum della retribuzione, con riguardo non soltanto al principio della sufficienza, ma an che a quello della proporzionalità della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato, o, in caso di ritenuta autonomia dello stesso, la natura, se richiesta, del compenso ex art. 2225

c.c., in ogni caso previa delibazione della questione della natura

strumentale, o meno, dell'alloggio concesso dall'ente pubblico ai

resistenti e conseguente computabilità, o meno, del controvalore del suo godimento.

Tale computo va commesso al giudice di rinvio, che si indica nel Tribunale di Brindisi.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 29 no vembre 1986, n. 7084; Pres. Brancaccio, Est. Lipari, P.M.

Caristo (conci, conf.); Soc. Marelli (Avv. Moscarini) c. Ro

tolo. Conferma Trib. Milano 13 febbraio 1982.

Liquidazione coatta amministrativa — Amministrazione straordi naria delle grandi imprese in crisi — Accertamento di crediti — Sentenza non passata in giudicato — Rito del lavoro —

Lettura del dispositivo in udienza — Anteriorità alla procedura concorsuale — Disciplina applicabile (Cod. proc. civ., art. 429, 430; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art.

52, 95, 201; 1. 3 aprile 1979 n. 95, conversione in legge, con

modificazioni, del d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, contenente prov vedimenti urgenti per l'amministrazione straordinaria delle grandi

imprese in crisi, art. 1).

Ai fini dell'applicabilità dell'art. 95, 3° comma, I. fall., per l'im

pugnazione di un credito accertato con sentenza pronunciata secondo il rito del lavoro contro l'imprenditore assoggettato all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, è necessario e sufficiente che la lettura del dispositivo in udien

za sia avvenuta prima dell'emanazione del provvedimento di

apertura della procedura concorsuale mentre resta irrilevante, a tal riguardo, l'eventuale posteriorità del deposito della moti

vazione. (1)

(1-3) Le sentenze riportate ribadiscono un orientamento già costante mente seguito dalle sezioni unite.

In senso conforme, con specifico riguardo all'amministrazione straor dinaria delle grandi imprese in crisi, v. Cass. 17 febbraio 1983, n. 1196, Foro it., Rep. 1983, voce Liquidazione coatta amministrativa, n. 115; 15 gennaio 1983, n. 329, id., 1983, I, 654, con ampia nota di richiami, nonché Cass. 17 giugno 1986, n. 4038, id., Rep. 1986, voce cit., n. 61; 17 giugno 1986, n. 4037, ibid., n. 60; 3 aprile 1986, n. 2308, ibid., n. 58.

Nello stesso senso, ma nell'ambito della liquidazione coatta ammini

strativa, i cui principi, tuttavia, per esplicita statuizione delle decisioni

riportate, devono ritenersi estensibili all'amministrazione straordinaria, v. Cass. 23 luglio 1969, n. 2781, id., 1970, I, 203; 31 luglio 1969, n.

2907, id., Rep. 1969, voce cit., n. 28; 26 luglio 1971, n. 2487, id., 1972, I, 430, con nota di richiami; 10 luglio 1975, n. 2710, id., Rep. 1975, voce cit., n. 15; 28 aprile 1976, n. 1502, id., 1976, 1, 1477; 16 gennaio 1979, n. 314, id., Rep. 1979, voce cit., n. 32; 17 ottobre 1984, n. 5229, id., Rep. 1984, voce cit., n. 53.

Le sentenze in epigrafe destano particolare interesse perché hanno in trodotto un'importante innovazione nell'inquadramento dommatico della

figura giuridica su cui insistono i principi in esse enunciati. Le sezioni unite, con diffusa ed esaustiva motivazione, hanno infatti

precisato, con una netta distinzione concettuale, che l'impossibilità per il giudice ordinario di conoscere, nel corso della liquidazione coatta am

II Foro Italiano — 1988.

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 23 otto bre 1986, n. 6225; Pres. Brancaccio, Est. Lipari, P.M. Cari sto (conci, conf.); Soc. Marelli (Aw. Moscarini) c. Verga (Aw. Paganuzzi, Spano). Conferma Trib. Monza 15 febbraio 1982.

Liquidazione coatta amministrativa — Amministrazione straordi

naria delle grandi imprese in crisi — Accertamento di crediti — Sentenza non passata in giudicato — Anteriorità alla proce dura concorsuale — Impugnazione ordinaria (R.d. 16 marzo

1942 n. 267, art. 52, 95, 201; 1. 3 aprile 1979 n. 95, art. 1).

La norma di cui all'art. 95, 3° comma, l. fall, (che obbliga ad

impugnare in via ordinaria la sentenza non passata in giudica to, da cui risulti un credito verso il fallito che non si vuole ammettere al passivo, quando tale sentenza sia stata pronun ciata prima dell'apertura del procedimento concorsuale) trova

piena applicazione anche nelle procedure di liquidazione coatta

amministrativa e di amministrazione straordinaria delle grandi

imprese in crisi in forza del richiamo operato dagli art. 1,3°

comma, I. 3 aprile 1979 n. 95 e 201, 1° comma, I. fall, per il tramite dell'art. 52, 2° comma, l. fall., non ostandovi alcuna

incompatibilità tra la norma richiamata e la struttura dei pro cedimenti che ne ricevono l'applicazione. (2)

III

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 23 otto bre 1986, n. 6224; Pres. Brancaccio, Est. Lipari, P.M. Cari

sto (conci, conf.); Di Giandomenico (Avv. Fronticelli) c. Soc.

Cip 200 (Avv. Morabito). Conferma Trib. Brescia 31 marzo 1981.

Liquidazione coatta amministrativa — Amministrazione straordi naria delle grandi imprese in crisi — Accertamento di crediti — Giudice ordinario — Temporanea improponibilità della do manda — Eccezione (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 52, 95,

201; 1. 3 aprile 1979 n. 95, art. 1).

Non sussiste improponibilità temporanea dell'azione qualora sul

la pretesa creditoria fatta valere nei confronti di un'impresa

assoggettata alla procedura di amministrazione straordinaria sia

anteriormente intervenuta sentenza non passata in giudicato, dovendo questa essere impugnata nei modi e nelle forme ordi

narie, ai sensi dell'art. 95, 3° comma, I. fall., richiamato dal

l'art. 1, 3° comma, l. 3 aprile 1979 n. 95, attraverso gli art.

201, 1° comma, e 52, 2° comma, l. fall. (3)

I

Svolgimento del processo. — Con ricorso 21 febbraio 1981 Ni

cola Rotolo conveniva davanti al Pretore di Milano la s.p.a. Er

cole Marelli elettromeccanica generale, chiedendone la condanna

al pagamento in suo favore della somma di lire 7.872.701, quale residuo importo per indennità di anzianità per il lavoro subordi nato prestato dal 17 ottobre 1967 al 21 novembre 1980.

La domanda veniva accolta e la sentenza era confermata dal

tribunale, disattendendo la tesi della società, la quale sosteneva

il difetto di giurisdizione temporaneo dell'autorità giudiziaria or

dinaria, essendo stata posta, con d.m. 25 giugno 1981, in ammi

nistrazione straordinaria, ai sensi della 1. 30 aprile 1979 n. 95.

Osservava il collegio che l'equiparazione dell'amministrazione

straordinaria alla liquidazione coatta amministrativa, con conse

guente accertamento dei crediti affidato agli organi (amministra

tivi) preposti alla procedura secondo lo specifico procedimento di verifica del passivo, non sussistendo temporaneamente al ri

guardo la giurisdizione del giudice ordinario, non spiegava effetti

nel caso di specie in cui il pretore aveva pronunciato il dispositi

ministrativa e dell'amministrazione straordinaria, delle domande relative a crediti vantati verso l'impresa assoggettata alle anzidette procedure, non realizza un'ipotesi di difetto temporaneo di giurisdizione sibbene di im

proponibilità sostanziale temporanea dell'azione.

Logica conseguenza di tale revisione è il venir meno, sulle questioni esaminate, della competenza delle sezioni unite, ai sensi dell'art. 374, 1°

comma, c.p.c.

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PARTE PRIMA

vo della sentenza, immediatamente esecutivo all'udienza del 29

aprile 1981, anteriormente, cioè, alla data di ammissione all'am

ministrazione controllata (non rilevando la posteriorità del depo sito della motivazione), sicché il giudizio di primo grado si era

concluso nei confronti di una società in bonis, sussistendo la giu risdizione del giudice che aveva emesso la pronuncia. Né per ad

debitare alla sentenza un vizio, correlato ad atto giuridico ad essa

successivo, gioverebbe richiamare lo ius superveniens, dato che

la controversia aveva avuto corretta conclusione sul piano della

giurisdizione, sviluppandosi secondo le modalità fissate dalla nuova

normativa.

Contro la riassunta sentenza la società Marelli (in amministra

zione straordinaria) ha presentato ricorso per cassazione, affida

to ad unico motivo (Omissis) Motivi della decisione. — 1. - Con d.m. 25 giugno 1981, pub

blicato nella G.U. n. 177 del 30 maggio 1981, la s.p.a. Ercole

Marelli elettromeccanica generale è stata assoggettata alla proce dura di amministrazione straordinaria, di cui al d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, convertito in 1. 3 aprile 1979 n. 95, che è disciplinata, in quanto non diversamente stabilito, dagli art. 195 ss. 1. fall,

(e cioè dalle norme sulla liquidazione coatta amministrativa; ed

in particolare, per quanto riguarda lo stato passivo, dall'art. 209). Nel caso di specie è accaduto che, invocando la soggezione alla

procedura di amministrazione straordinaria, sopravvenuta dopo la pubblicazione del dispositivo, avvenuta in data 29 aprile 1981, della sentenza del pretore che aveva conosciuto delle pretese eco

nomiche di un lavoratore subordinato derivanti dal rapporto di

lavoro con la società, questa, nell'appellare tale sentenza, ha so

stenuto il temporaneo difetto sopravvenuto di giurisdizione del

l'autorità giudiziaria, in quanto, per espressa previsione dell'art.

I d.l. n. 26, nel testo risultante dalla legge di conversione, il prov vedimento con il quale è disposta l'amministrazione straordinaria

è equiparato, a tutti gli effetti stabiliti dalla legge fallimentare,

al decreto che ordinava la liquidazione coatta amministrativa.

(Omissis) Sostiene al riguardo il ricorrente che si dovrebbe aver riguardo,

per stabilire se la sentenza sia opponibile all'amministrazione

straordinaria al fine di sottrarre il credito di essa accertato alla

verifica amministrativa, trattandosi di sentenze emesse con il rito

del lavoro, non già alla data della lettura del dispositivo avvenuta

in udienza, ma a quella successiva del deposito della motivazione.

Anche questa notazione, pur se svolta con acutezza, non appa re giuridicamente fondata. L'accertamento cui la legge fallimen

tare ha riguardo rispetto al rito del lavoro sicuramente discende

dal decisum consacrato nel dispositivo sulla cui base si può pro cedere all'esecuzione (art. 429, 431 c.p.c.).

Può convenirsi che la valutazione dell'opportunità del gravame

per la parte che ha avuto torto dipende in buona parte dall'esame

della motivazione, ed il sistema codicistico ne tiene il debito con

to; ma il differimento dei termini per impugnare non tocca il

punctum saliens della efficacia giuridica di un accertamento giu

risdizionale, sia pure non definitivo, la cui forza è tale per il

legislatore da ancorare la futura vicenda di conferma o riforma

allo strumento ordinario dell'impugnazione, anziché a quello straordinario dell'accertamento amministrativo, prodromico al giu dizio ultimativamente affidato al giudice.

La struttura del processo del lavoro comporta tipicamente che

il dispositivo spieghi la forza dell'accertamento in esso consacra

to a prescindere dalla futura motivazione; coerentemente è alla

data del decisum, risultante dal dispositivo, che occorre esclusi

vamente far capo per stabilire se un credito si sottragga o meno

alla procedura di accertamento amministrativo.

5. - In conclusione deve essere ribadito che, con riguardo a

pretesa creditoria nei confronti di impresa assoggettata ad ammi

nistrazione straordinaria, secondo la previsione del d.l. 30 gen naio 1979 n. 26, convertito, con modificazioni, nella 1. 3 aprile 1979 n. 95, il principio in forza del quale, in base alle norme

che regolano la liquidazione coatta amministrativa (applicabili al

la suddetta amministrazione in quanto non diversamente stabili

to), l'azione giudiziaria non è temporaneamente proponibile, o, se proposta, non è temporaneamente proseguibile, se non dopo che il credito stesso sia stato fatto valere nella fase amministrati

va di verificazione dello stato passivo davanti ai competenti orga ni della procedura, non opera nel caso in cui la procedura medesima si instauri dopo che quel credito sia stato riconosciuto

da sentenza non passata in giudicato, poiché, in siffatta ipotesi, trova applicazione l'art. 95, 3° comma, 1. fall., che richiede l'im

II Foro Italiano — 1988.

pugnazione di tale sentenza nei modi ordinari, quale mezzo ne

cessario per contestare il credito stesso. (Omissis) 7. - Il ricorso, essendo risultato privo di giuridico fondamento,

deve essere rigettato. (Omissis)

II

Svolgimento del processo. — Con ricorso 23 dicembre 1980

Albertina Verga conveniva in giudizio davanti al Pretore di Mila

no, in funzione di giudice del lavoro, la s.p.a. Ercole Marelli

elettromeccanica generale, chiedendone la condanna al pagamen

to in suo favore della somma di lire 9.486.312, a titolo di residuo

importo dovutole per indennità di anzianità, maturata nel perio do 21 settembre 1942 - 30 aprile 1980.

La convenuta contestava l'entità della domanda che l'adito pre tore accoglieva in foto con sentenza 8 maggio - 8 luglio 1981.

La soccombente proponeva appello davanti al Tribunale di Mi

lano, eccependo la carenza di giurisdizione della autorità giudi ziaria ordinaria, essendo stata posta in amministrazione

straordinaria in forza del d.m. 25 luglio 1981.

L'appellante contestava il fondamento del gravame, afferman

do che la società, per escludere il credito dal passivo, avrebbe

dovuto impugnare la sentenza di primo grado. Il tribunale, in accoglimento di tale eccezione, respingeva l'ap

pello, osservando che effettivamente, come sostenuto dall'appel

lante, la procedura di amministrazione straordinaria è equiparata, nel suo svolgimento, alla liquidazione coatta amministrativa e che,

al pari di questa, prevede che l'accertamento del passivo si svolga non già in sede contenziosa, sibbene attraverso il vaglio del com

missario governativo, salva la possibilità di eventuali successive

opposizioni innanzi al tribunale competente. Tuttavia, ai sensi

dell'art. 95, 3° comma, 1. fall., applicabile alla fattispecie in for

za del rinvio di cui agli art. 201 e 52 1. fall, ed 1 1. 95/79, «se

il credito risulta da sentenza non passata in giudicato, è necessa

ria l'impugnazione se non si vuole ammettere il credito».

Conseguentemente, nella specie, essendo intervenuta sentenza

di primo grado non passata in giudicato e gravata di appello,

prima del decreto ministeriale, avrebbe dovuto il commissario

straordinario preposto all'amministrazione della Ercole Marelli

non già eccepire un inesistente difetto di giurisdizione, sibbene

contestare nel merito la pronuncia del primo giudice emessa ante

riormente alla sottoposizione della impresa ad amministrazione

straordinaria. Poiché, invece, nessuna contestazione di merito era

stata fatta, il gravame limitato ad un non pertinente rilievo di

carattere processuale non poteva essere accolto.

Contro la riassunta sentenza la società Marelli ha presentato ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.

Lamenta il ricorrente (denunciando la violazione del combina

to disposto degli art. 52, 95, 201 e 209 1. fall., dell'art. 1 1. 3

aprile 1979 n. 95 e di ogni altra norma e principio in materia

di formazione dello stato passivo nella liquidazione coatta ammi

nistrativa e nell'amministrazione straordinaria; ed il conseguente difetto di giurisdizione dell'a.g.o. ai sensi dell'art. 360, nn. 1 e

3, c.p.c.) che il tribunale abbia respinto l'eccezione di difetto so

pravvenuto di giurisdizione in conseguenza dell'assoggettamento alla procedura di amministrazione straordinaria, sostenendo che

tale fatto sopravvenuto non poteva spiegare effetti in quanto suc

cessivo alla decisione di primo grado. La tesi non appare condivisibile al ricorrente, nemmeno se ap

poggiata alla norma dell'art. 95, 3° comma, 1. fall. Tale norma

(richiamata dall'art. 202, 2° comma, 1. fall, dettato in tema di

accertamento giudiziario dello stato di insolvenza nella liquida zione coatta amministrativa, le cui norme si applicano all'ammi

nistrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi), stabilisce

che, ove la sentenza dichiarativa di fallimento, e quindi per ana

logia il provvedimento che apre la procedura di amministrazione

straordinaria, intervenga dopo la pronuncia di primo grado rela

tiva al credito che si intende insinuare nella procedura stessa, non

opera l'assorbimento, ma la sentenza deve essere impugnata nei

modi ordinari.

Il ricorrente contesta che l'art. 95, 3° comma, 1. fall, possa trovare applicazione nelle impotesi di liquidazione coatta ammi

nistrativa ed in quella equiparata di amministrazione straordinaria.

Mentre nel fallimento il conflitto si delinea tra la trafila ordi

naria delle impugnazioni, che si svolge ovviamente in sede giudi

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ziale, e il procedimento speciale di verifica, che si svolge pur esso

in sede giudiziale, nel caso della liquidazione coatta amministrati

va e dell'amministrazione straordinaria, invece, il conflitto si de

linea tra la trafila giudiziale delle impugnazioni e il procedimento

speciale di formazione dello stato passivo, che si svolge, almeno

in prima istanza, in sede amministrativa.

Non sussiste, quindi, identità di ratio, né sul piano letterale

il richiamo all'art. 95, 3° comma, 1. fall., contenuto nell'art. 201

della stessa legge, giustifica l'operata applicazione, trattandosi di

richiamo a carattere sussidiario, che in tanto opera in quanto vi sia lacuna da colmare nella disciplina, mentre la disposizione dell'art. 209 sulla formazione dello stato passivo è completa ed

analitica anche nel richiamo a norme specifiche della medesima

legge fallimentare insuscettibili di estensione.

Del resto il passaggio dall'art. 201, 1° comma, all'art. 95, 3°

comma, non è diretto e comporta un duplice ricorso all'art. 201,

1° comma, che si limita a sancire l'equipollenza degli organi della

procedura fallimentare a quelli degli organi della liquidazione coat

tiva, attraverso l'art. 52 il quale stabilisce per il fallimento la

regola della unificazione delle procedure di accertamento dei cre

diti dei terzi nell'unico procedimento di verificazione dello stato

passivo, regola che porta a rafforzare la tesi della inapplicabilità dell'art. 95, 3° comma, all'amministrazione straordinaria, il cui

sopravvenire si riverbera su tutti i crediti non definitivamente ac

certati, e quindi anche su quelli risultanti da sentenza di primo

grado o secondo grado con conseguente improcedibilità della do

manda proposta in sede giudiziale, per sopravvenuto difetto di

giurisdizione dell'a.g.o. La Verga, nonostante la ritualità della notificazione del ricor

so, non ha svolto attività difensiva.

Sulle conclusioni sfavorevoli al proprio assunto la difesa della

società ricorrente, ha presentato note d'udienza, sottolineando ul

teriormente la diversità di ratio che contrappone liquidazione coatta

amministrativa ed amministrazione straordinaria delle grandi im

prese in crisi: l'una puramente liquidatoria e diretta alla soppres

sione dell'ente, l'altra diretta al recupero dell'impresa, non

sussistendo alcun pericolo di pregiudizio ed inerendo all'interesse

pubblico che tutti i crediti, tranne quelli risultanti da sentenze

passate in giudicato, siano sottoposti alla valutazione dell'organo

amministrativo. L'art. 95, 3° comma, 1. fall, non può essere ap

plicato de plano in forza del generico richiamo contenuto nel

l'art. 1 d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, che resta logicamente

subordinato alla compatibilità delle norme richiamate con la strut

tura dell'istituto, dovendosi superare interpretativamente il dato

letterale.

Se interpretato cosi come la sentenza impugnata l'ha inteso,

l'art. 1 d.l. 26 del 1979 si porrebbe in contrasto con gli art. 3,

41 e 42 Cost., poiché riserva trattamenti eguali a situazioni ogget

tivamente diverse, ed inoltre contrasta con i principi costituziona

li in tema di utilizzo sociale della proprietà e funzione sociale

dell'iniziativa privata per la parte in cui, sottraendo alla cognizio

ne dell'organo amministrativo a ciò deputato, la cognizione in

merito a pretese creditorie di terzi nei confronti di imprese in

crisi riconosciute meritevoli di assoggettamento a disciplina spe

ciale, ne rende oggettivamente più difficile il recupero alla collet

tività.

Motivi della decisione. — (Omissis). 1. - Il problema che si

pone, riguarda, dunque, l'interpretazione dell'art. 95, 3° comma,

1. fall, per stabilire se esso sia applicabile o meno al procedimen

to di amministrazione straordinaria, sottraendo al regime giuridi

co ivi previsto le sentenze già emesse che restano sottoposte alla

normale disciplina delle impugnazioni. Con indirizzo ormai costante queste sezioni unite hanno stabi

lito che l'improponibilità temporanea della domanda può verifi

carsi quando la procedura speciale è anteriore al giudizio di primo

grado, o interviene durante il suo corso (Cass. 9 gennaio 1973,

n. 9, Foro it., 1973, I, 1446, riguardo alla liquidazione coatta

amministrativa), ma non quando questa sopravvenga dopo la ema

nazione di una sentenza non passata in giudicato da cui risulta

il credito; in tal caso, infatti, l'art. 95, 3° comma, 1. fall., che

per effetto del richiamo all'art. 52, contenuto nell'art. 201, si

applica anche alla liquidazione coatta amministrativa, dispone che

per escludere l'ammissione al passivo di quel credito, occorre pro

cedere all'impugnazione nei modi ordinari da proporre e prose

guire davanti al giudice naturale (cfr., con riguardo alla

liquidazione coatta amministrativa, Cass. 23 luglio 1969, n. 2781,

id., 1970, I, 203; 31 luglio 1969, in 2907, id., Rep. 1969, voce

Il Foro Italiano — 1988.

Liquidazione coatta amministrativa, n. 28; 26 luglio 1971, n. 2487,

id., 1972, I, 430; 10 luglio 1975, n. 2710, id., Rep. 1975, voce

cit., n. 15; 28 aprile 1976, n. 1502, id., 1976, I, 1477; 16 gennaio

1979, n. 314, id., Rep. 1979, voce cit., n. 32; e, con specifico riferimento all'amministrazione straordinaria, Cass. 15 gennaio

1983, n. 329, id., 1983, I, 654; 17 febbraio 1983, n. 1196, id., Rep. 1983, voce cit., n. 115).

Di fronte ad un orientamento giurisprudenziale tanto saldo nel

collegamento fra le sentenze che hanno pronunciato in tema di

liquidazione coatta amministrativa e quelle che hanno coerente

mente esteso la soluzione alla amministrazione straordinaria retta

dalle medesime norme in tema di accertamento del passivo, gli

argomenti suscettibili di sovvertirlo dovrebbero dimostrarsi parti colarmente incisivi (anche perché tale indirizzo incontra l'adesio

ne della più autorevole dottrina fallimentaristica ed anche quella

dei commentatori della nuova legge). Ma non pare al collegio che le deduzioni del ricorrente siano

suscettibili di portare alla revisione del precedente indirizzo, ulte

riormente ribadito da altre sentenze in corso di pubblicazione. 2. - Assume il ricorrente che il disposto dell'art. 95, 3° comma,

1. fall., secondo cui qualora il credito risulti da sentenza non pas

sata in giudicato è necessaria l'impugnazione se non si vuole am

mettere il credito, sarebbe razionalmente giustificabile soltanto

nel sistema del fallimento, il quale comporta una verifica giudi

ziale dei crediti, mentre non lo sarebbe più in quello di liquida zione coatta amministrativa (e quindi di amministrazione

straordinaria che ad essa si richiama). Ma non sembra che la ratio della disposizione si debba ravvisa

re nella giurisdizionalità della verifica dei crediti caratterizzante

il fallimento (ma non anche la liquidazione coatta amministrativa). Nel dettare la norma dell'art. 95, 3° comma, 1. fall, il legislato

re ha dato rilievo alla particolare resistenza che un accertamento

giurisdizionale, consacrato in una sentenza (sia pure non passata in giudicato, dato che altrimenti il problema di ammissione non

si porrebbe), statuendo che tale credito, proprio perché risulta

da un accertamento giurisdizionale, non abbisogna di essere va

gliato per entrare a far parte della massa passiva, e deve essere

ammesso al concorso a meno che non si intenda contestare quella

sentenza con lo strumento tipico della impugnazione, mantenen

do l'accertamento sul binario del processo civile comune (e non

fallimentare) e conseguendo perciò a tale accertamento effetti de

finitivi ed intangibili diversamente da quanto avviene rispetto al

l'ammissione allo stato passivo che ha efficacia endofallimentare.

La norma dettata dall'art. 95, 3° comma, 1. fall, mira, cioè,

ad attribuire una particolare forza all'accertamento del credito

già consacrato in sentenza, imponendo, proprio in ragione di tale

forza, l'alternativa fra l'ammissione incontestabile e la prosecu

zione della contestazione in sede generale di impugnazione (e non

di opposizione endofallimentare). Non si comprende per quale ragione la peculiarità della forma

zione dello stato passivo rispetto alla liquidazione coatta ammini

strativa (dettata in previsione del gran numero di creditori) possa riflettersi sul principio consacrato nell'art. 95, 3° comma, il qua

le, prescindendo dalle modalità di verificazione dei crediti, mira

a risolvere esclusivamente il problema del rapporto fra l'accerta

mento concorsuale ed un accertamento giudiziale già compiuto

prima dell'apertura della procedura concorsuale, senza che spie

ghino effetti le modalità di effettuazione, nella scansione tra una

prima fase amministrativa ed una seconda fase giurisdizionale.

Anzi, si potrebbe osservare che, se la resistenza della sentenza

si impone al giudice delegato che deve senz'altro ammettere quando

impugnazione non vi sia, e conformarsi al suo esito ove l'impu

gnazione stessa sia stata presentata (in sede ordinaria) nel conte

sto di una qualificazione giurisdizionale della sua attività, a maggior

ragione tale «resistenza» (e quindi la mancata attribuzione della

valutazione sulla ammissibilità di quel credito da parte del com

missario straordinario) debba imporsi ad un soggetto che non

è giudice, e non agisce come tale, ma si presenta investito di una

funzione meramente amministrativa.

Sul piano sistematico la norma in esame coordina i principi

operanti in tema di impugnazioni (e della formazione del giudica

to) con la disciplina dell'accertamento di credito nelle procedure

concorsuali e non si correla necessariamente alla natura ammini

strativa o giurisdizionale della prima fase della verifica, rispetto

alla quale, se mai, chi opera sul piano amministrativo dovrebbe

manifestare rispetto ancora maggiore verso la sentenza la cui emis

sione impone la comune impugnazione, ove non si voglia che

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PARTE PRIMA

l'ammissione avvenga de plano, automaticamente realizzandosi

nel frattempo, per inerzia degli interessati, la formazione del giu dicato.

3. - Gli argomenti letterali che hanno portato giurisprudenza e dottrina a considerare l'art. 95, 3° comma, 1. fall, applicabile alla liquidazione coatta amministrativa (e quindi anche all'ammi

nistrazione straordinaria) sono effettivamente costringenti per l'in

terprete. L'art. 201, 1° comma, 1. fall., sotto la rubrica «effetti della

liquidazione», dispone testualmente «Dalla data del provvedimento che ordina la liquidazione si applicano le disposizioni del titolo

II, capo III, sez. II e sez. IV, e dell'art. 66 ss.».

Orbene l'art. 52, contenuto nella II sezione richiamata, stabili

sce a sua volta, al 2° comma, che «ogni credito, anche se munito

di diritto di prelazione, deve essere accertato, secondo le norme

stabilite nel capo V, salvo diverse disposizioni della legge». Il

capo V contiene l'art. 95, qui considerato, la cui applicazione

potrebbe essere esclusa soltanto ove si dimostrasse che una diver

sa disposizione di legge la vieta (sia direttamente, sia indiretta

mente per incompatibilità). E qui si innesta l'ulteriore argomento del ricorrente il quale

sostiene che i richiami alle regole proprie del fallimento, dettate

a proposito della liquidazione coatta amministrativa, hanno ca

rattere suppletivo, ed in tanto possono venire in considerazione

in quanto si tratti di colmare lacune, mentre la norma dell'art.

209 si presenterebbe esaustiva: sia per quanto espressamente di

spone, sia in relazione ai richiami testuali ad altre norme della

legge fallimentare, i soli a poter essere presi in considerazione

dall'interprete. Entrambe le linee argomentative appaiono superabili. Il risultato ermeneutico dell'applicazione dell'art. 95, 3° com

ma, 1. fall, all'amministrazione straordinaria, richiede effettiva

mente una serie di passaggi, poiché non ci si trova davanti ad

un richiamo espresso e puntuale (nel quale caso, come è ovvio, un problema interpretativo di una qualche rilevanza nemmeno

si porrebbe); ma la rigorosa concatenazione dei passaggi porta con sicurezza alla conclusione adottata dalla giurisprudenza di

questa corte; né in effetti contro l'iter logico del procedimento

vengono sollevate apprezzabili censure; non valendo eccepire la

macchinosità del procedimento ermeneutico seguito, che non di

pende da ingiustificate sottigliezze dell'interprete, ma dalla tecni

ca adottata dal legislatore, il quale, anziché richiamare all'art.

201 anche il capo V sull'accertamento del passivo, ha postulato indirettamente l'applicabilità delle relative norme, per il tramite

dell'art. 52, 2° comma, 1. fall, che impone il ricorso alla norma

stessa.

Né risulta producente la notazione sul carattere integrativo del

le disposizioni dettate specificamente per il fallimento rispetto al

la disciplina della liquidazione coatta amministrativa.

Pur convenendo sull'esattezza del principio non possono essere

condivise le conseguenze che si pretende di ricavarne; non è esat

to, cioè, che la disciplina del passivo emergente dagli art. 207,

208, 209 si presenti cosi' completa ed esaustiva da escludere spazi

applicativi per l'art. 95. La completezza viene meno letteralmente

in forza dei richiami specifici a singole norme della disciplina del fallimento risultando logicamente impossibile procedere alle

operazioni senza effettuare quelle integrazioni che del resto sono

positivamente previste dal meccanismo di rinvio adottato dal le

gislatore. Vero è che, rovesciando l'impostazione del ricorrente, per esclu

dere l'applicazione dell'art. 95, 3° comma, 1. fall, all'amministra

zione straordinaria (per il tramite dell'equiparazione alla

liquidazione coatta amministrativa) bisognerebbe enucleare una

ratio adeguata; ma tale enucleazione manca nel ricorso, né sareb

be stata possibile in maniera persuasiva se sono esatte le conside

razioni che sorreggono l'opzione interpretativa condivisa da queste sezioni unite ed avallata dalla dottrina.

4. - Un tentativo in tal senso è stato fatto nella discussione

orale e ribadito nelle note di udienza.

Tuttavia le argomentazioni svolte non colgono nel segno. È poco producente sottolineare la diversità qualitativa fra li

quidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordina

ria, in quanto, nonostante tali diversità, il legislatore ha voluto

operare una equiparazione di disciplina che vincola l'interprete il quale è tenuto ad applicare le norme nella loro portata quale è venuta a risultare a seguito del processo interpretativo, incon

trando il limite della loro conformità alla Costituzione che nel

Il Foro Italiano — 1988.

caso in esame, sotto l'angolazione del parametro dell'eguaglian

za, in tanto vale a giustificare la prospettazione di una questione di legittimità costituzionale in quanto se ne deduca la irrazionalità.

Sembra, tuttavia, fuori discussione che nel caso in esame la

disposta equiparazione non contrasti con il principio di eguaglianza,

poiché all'opposto l'eguaglianza è rispettata imponendo, in cor

relazione all'eguale regola della verifica concorsuale dei crediti, la stessa deroga dell'avvenuta emanazione di sentenza non passa ta in giudicato relativa al credito stesso.

Prevale, cioè, la oggettività della verifica della situazione debi

toria dell'impresa rispetto alla finalità la cui verifica è ordinata;

e la scelta di avere adottato per tale verifica lo stesso modello

dettato per la liquidazione coatta amministrativa si sottrae, in

quanto espressione di una scelta discrezionale del legislatore, ad

ogni censura di incostituzionalità.

Nemmeno, nonostante la sottigliezza della deduzione, appare

accoglibile, sia pure al livello della delibazione di non manifesta

infondatezza, la questione di legittimità costituzionale dell'appli cabilità dell'art. 95, 3° comma, 1. fall, per il tramite del richiamo

operato dall'art. 1 d.l. n. 26 del 1979, alle grandi imprese in crisi.

È veramente azzardato ravvisare una violazione dei principi co

stituzionali sulla utilità sociale della proprietà, nella circostanza

che determini diritti di credito, in quanto già accertati dal giudi

ce, sia pure con sentenza non ancora passata in giudicato, restino

sottratti al procedimento amministrativo di accertamento, e che

questa disposizione ne rende più difficile il recupero alla collettività.

Mal si attaglia ad una attività di impresa il richiamo all'art.

42 Cost.; e comunque non è dato comprendere perché la garanzia del processo giurisdizionale davanti al giudice ordinario si verreb

be a porre in contrasto con l'utilità sociale nella contrapposizione ad un accertamento amministrativo.

Esigenze pubblicistiche possono giustificare la sottrazione, al

meno nella prima fase, alla tutela giurisdizionale dei diritti dei

creditori verso l'impresa sottoposta ad amministrazione straordi

naria, ma non è vera la reciproca che la riaffermazione della im

mediata tutela venga in qualche modo a collidere con gli invocati

principi costituzionali, rappresentando all'opposto di per sé il ri

conoscimento della tutela giurisdizionale la «grande regola» che

dà fondamento allo Stato di diritto che vuole garantire «sempre» le posizioni giuridiche soggettive di «tutti». (Omissis)

6. - Nell'enunciare il principio di diritto che costituisce la ratio

decidendi della reiezione del ricorso, si sono volutamente estra

polate le parole che figuravano nelle precedenti decisioni di que ste sezioni unite e portavano a qualificare le vicende del tipo di

quella in esame come ipotesi di difetto temporaneo di giurisdizione. Ritiene infatti il collegio di sottoporre a revisione, soltanto per

quanto attiene all'inquadramento dommatico, il precedente orien

tamento, escludendo che dalle norme applicate restino coinvolte

questioni di giurisdizione nel meccanismo di improponibilità adot

tato dal legislatore, il quale, in aderenza alla formula letterale

adottata, ha riconosciuto semplicemente come condizione di pro

ponibilità sostanziale ed oggettiva di carattere temporaneo dell'a

zione la pendenza dell'accertamento dei crediti da parte dell'amministratore straordinario.

Sembra infatti, che la soluzione adottata possa reggersi senza

bisogno di ricorrere alla categoria del difetto temporaneo giuris

dizionale, di dubbia consistenza dommatica. (Omissis) Il ricorso, essendo risultato privo di giuridico fondamento, de

ve essere rigettato.

Ili

Motivi della decisione. — 1. - L'eccezione di improponibilità attuale della domanda, in relazione all'assoggettamento alla pro cedura di amministrazione straordinaria della società contro cui

sono state fatte valere le pretese creditorie del lavoratore subordi

nato, non è giuridicamente fondata.

È pacifico in giurisprudenza che la domanda proposta nei con

fronti di una impresa messa in liquidazione coatta amministrati

va, ovvero assoggettata all'amministrazione straordinaria (stante

l'equiparazione stabilita dall'art. 1 d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, cosi modificato dalla legge di conversione 3 aprile 1979 n. 95), e diretta ad ottenere l'accertamento ed il soddisfacimento di cre

diti, anteriori o posteriori all'instaurazione di detta procedura, inclusi quelli derivanti da un rapporto di lavoro subordinato, non

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

è proponibile davanti all'autorità giudiziaria ordinaria, trattan

dosi di pretesa da far valere in via amministrativa dinanzi al com

missario liquidatore, salvo restando il successivo intervento del

giudice per eventuali opposizioni ed impugnazioni dello stato pas sivo (cfr. Cass. 23 novembre 1985, n. 5818, Foro it., Rep. 1985, voce Liquidazione coatta amministrativa, n. 50).

Ma è altrettanto sicuro che con riguardo a pretese siffatte, che

si indirizzino contro datori di lavoro sottoposti a liquidazione coatta amministrativa, o ad amministrazione straordinaria, il prin

cipio suddetto non opera nel caso in cui la procedura medesima

si instauri dopo che il credito sia stato riconosciuto da sentenza

non passata in giudicato, trovando applicazione in tale ipotesi l'art. 95, 3° comma, 1. fall., che richiede l'impugnazione di tale

sentenza nei modi ordinari, quale mezzo necessario per contesta

re il credito stesso (Cass. 15 gennaio 1983, n. 329, id., 1983,

I, 654; 17 febbraio 1983, n. 1196, id., Rep. 1983, voce cit., n. 115). Risulta perciò determinante la sequenza temporale degli atti giac

ché al sopravvenire del provvedimento di assoggettamento della

grande impresa in crisi alla procedura di amministrazione straor

dinaria, con conseguente applicazione degli art. 195 ss. 1. fall,

dettati per la liquidazione coatta amministrativa, e specificamen

te, per quel che attiene alla formazione dello stato passivo, del

l'art. 209, in tanto diviene obbligatorio il ricorso al meccanismo

amministrativo ivi previsto per far valere il credito nella procedu ra stessa, in quanto tale credito non sia stato ancora consacrato

in una sentenza, sia pure non passata in cosa giudicata. In effetti un problema di improponibilità attuale della doman

da potrebbe astrattamente porsi quando la procedura speciale è

anteriore al giudizio di primo grado o interviene durante il suo

corso (Cass. 9 gennaio 1973, n. 9, id., 1973, I, 1446), ma non

quando sopravviene dopo l'emanazione di una sentenza da cui

risulta il credito, non passata in giudicato. In tal caso, infatti, l'art. 95, 3° comma, 1. fall, (che per effetto del richiamo dell'art.

52 contenuto nell'art. 201 si applica anche alla liquidazione coat

ta amministrativa) dispone che è necessaria l'impugnazione ove

non si voglia ammettere il credito; impugnazione che si propone

(o prosegue) dinanzi al giudice naturale di essa (in tema di liqui dazione coatta amministrativa, cfr. Cass. 23 luglio 1969, n. 2781,

id., 1970, I, 203; 31 luglio 1969, n. 2907, id., Rep. 1969, voce cit., n. 28; 26 luglio 1971, n. 2487, id., 1972, I, 430; 28 aprile

1976, n. 1502, id., 1976, I, 1477, e, specificamente in tema di

amministrazione straordinaria, Cass. 15 gennaio 1983, n. 329, cit.; 17 febbraio 1983, n. 1196, cit).

2. - A ragione si è evitato di riprendere la locuzione «difetto

temporaneo di giurisdizione», impiegata nelle richiamate senten

ze di questa corte per l'inquadramento del fenomeno della rileva

ta improponibilità, dato che, nell'opinione del collegio, la soluzione

che le sezioni unite intendono ribadire, per sorreggersi ed essere

confermata, non abbisogna del ricorso alla suddetta categoria di

dubbia consistenza dogmatica. Già con riferimento alla fattispecie dell'art. 705 c.p.c. sul di

vieto del cumulo del giudizio petitorio con quello possessorio,

queste sezioni unite, superando un antico ed uniforme orienta

mento giurisprudenziale, hanno negato la inquadrabilità nell'am

bito della categoria del difetto temporaneo di giurisdizione, ravvisandovi un caso tipico di difetto di proponibilità attuale del

l'azione petitoria (Cass. 7 ottobre 1978, n. 4474, id., Rep. 1978, voce Possesso, n. 116; 19 maggio 1982, n. 3086, id., Rep. 1982, voce cit., n. 31; 19 novembre 1985, n. 5679, id., Rep. 1985, voce

cit., n. 55). Gli argomenti all'uopo svolti spiegano efficacia a proposito di

tutte le situazioni di giurisdizione condizionata a determinati adem

pimenti ed a determinate situazioni, in cui cioè, ferma restando

l'attribuzione della controverisa ad un dato giudice, a questo non

è consentito di pronunciare nel merito finché non sia stato rimos

so l'impedimento all'esercizio dell'azione.

Nel caso dell'art. 705 c.p.c. non poteva essere promosso il giu dizio petitorio finché non fosse stato definito quello possessorio. Nel caso del fallimento, e finché esso dura, per ottenere l'accerta

mento ed il soddisfacimento del credito occorre rivolgersi al tri

bunale fallimentare senza che perciò sia stata ipotizzata la carenza

temporanea di giurisdizione del giudice «naturale del rapporto»;

né la conclusione muta rispetto alla liquidazione coatta ammini

strativa, od alla amministrazione straordinaria in cui la fase di

accertamento non ha carattere giurisdizionale, ma amministrati

li. Foro Italiano — 1988.

vo, e potrebbe prima facie sembrare che in effetti sia venuto me

no, per un certo tempo, il tempo di durata appunto della speciale

procedura, la stessa giurisdizione del giudice naturale.

Ma cosi non è. A sostegno delle tesi che porta a ravvisare nel

rapporto fra giudizi ordinari di accertamento dei crediti e proce dimento amministrativo di verifica dei crediti nell'amministrazio

ne straordinaria della grande impresa in crisi una questione di

giurisdizione, non basta semplicisticamente considerare che la im

proponibilità temporanea dell'azione volta a valere i diritti di cre

dito verso l'impresa comporta la sospensione della tutela

giurisdizionale, privando i creditori del potere di azionare il dirit

to obbligatorio, poiché da tale sospensione deriva l'impossibilità

per il giudice di conoscere del merito delle domande per un certo

tempo, senza però che tale carenza si risolva nel difetto, sia pure

temporaneo, nell'attribuzione della giurisdizione. In realtà la po stulata carenza di giurisdizione in ipotesi in cui è vietato al giudi ce di pronunciare nel merito della domanda, finché non si

verifichino certe condizioni positive o negative, non attiene alla

attribuzione del potere che paradigmaticamente gli spetta alla stre

gua delle norme dell'ordinamento, ma all'esercizio di detto pote re che viene ad essere paralizzato per un certo tempo.

Che il giudice ordinario sia il giudice della controversia sui di

ritti di credito è affermazione tanto ovvia e scontata da non ri

chiedere nessuna chiosa. Il giudice ordinario, come giudice di

diritti, è investito istituzionalmente e ab origine della relativa po testà giurisdizionale. Ed invocando l'amministrazione straordina

ria per impedirgli pro tempore di emettere la pronuncia di merito

non si revoca in dubbio la spettanza della giurisdizione, che non

viene ad essere alterata, sul piano della attribuzione astratta, dal

sopravvenire di quella procedura, ma si sostiene, molto più sem

plicemente, che a quel giudice una certa vicenda impedisce di pro nunciare nel merito di una certa causa coinvolgente diritti

soggettivi, finché tale vicenda (pregiudiziale in senso atecnico) non

si esaurisca.

La situazione che è stata inquadrata, con errore di prospettiva, nella categoria del difetto temporaneo di giurisdizione, perché com

portava la temporanea impossibilità per la parte di ottenere dal

giudice, in un determinato contesto, la tutela giurisdizionale di

una posizione giuridica di diritto soggettivo, ed al giudice corre

lativamente di emettere una pronuncia relativa alla consistenza

di quel diritto, si presenta, a ben vedere, paradigmaticamente co

me una condizione di proponibilità sostanziale oggettiva di carat

tere temporaneo dell'azione.

L'azione di credito, rispetto alla quale al giudice ordinario spetta incontrovertibilmente la giurisdizione, non può essere proposta, in quanto sussistono determinate condizioni impeditive speciali,

poste dal legislatore in astratto e non ancora rimosse in concreto.

Se difetto temporaneo vi è, esso va riferito alla tutela giurisdi zionale della parte, ma non certo alla potestà giurisdizionale del

giudice adito che proprio perché munito di giurisdizione sulla si

tuazione giuridica avente consistenza di diritto soggettivo, deve

dichiarare improponibile la domanda, avendo l'ordinamento san

cito il congelamento della autonoma tutela di quel diritto in co

stanza del procedimento concorsuale.

Costituisce, pertanto, un manifesto paralogismo affermare che

il giudice, privato del potere di pronunciare nel merito per un

certo tempo, sia un giudice carente di giurisdizione, poiché cosi

ragionando si confonde il condizionamento della esperibilità del

l'azione davanti al giudice naturale con il problema di attribuzio

ne della giurisdizione che è insuscettibile, come tale, in se e per

se, di condizionamenti temporali. Ferma la giurisdizione, la vicenda in esame attiene ad una ipo

tesi di improponibilità relativa della domanda, in quanto tempo ralmente circoscritta. Il differimento non riguarda l'attribuzione

della giurisdizione, ma l'esercizio della medesima, corrisponden dovi una modificazione dei termini della tutela giurisdizionale espe ribile.

Concettualmente non appare facile la difesa della nozione di

difetto temporaneo di giurisdizione (di qualsiasi giudice), trattan

dosi di postulare il vuoto giurisdizionale non già di questo o di

quel giudice, ma di qualsiasi giudice in relazione alla pendenza di una causa davanti ad una autorità giurisdizionale che, dopo lo svolgimento ed esaurimento di taluni eventi impeditivi, potrà

pacificamente conoscere del merito della pretesa. La singolarità di un preteso difetto di giurisdizione «tempora

neo» sta in ciò che non si dubita che la domanda avanzata in

giudizio, e riguardante diritti soggettivi, abbia un giudice e che

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PARTE PRIMA

detto giudice sia quello ordinario, data appunto la natura di di

ritto soggettivo delle posizioni giuridiche coinvolte, ma si sostiene

che, poiché la legge non consente di proporre l'azione stessa fino

a quando non sia venuto meno il fatto impeditivo (nella specie

l'accertamento del passivo in via amministrativa da parte del com

missario speciale), la relativa pendenza si presenterebbe come «pre

supposto giurisdizionale», per tale dovendosi intendere qualsiasi

fatto che condiziona l'esercizio dell'attività giurisdizionale «in senso

stretto», poiché il processo si inizia e si svolge anche in difetto

di uno di essi pur non potendo sfociare nella pronuncia di merito.

Cosi' stando le cose la più corretta ricostruzione teorica è quel

la, del resto più vicina alla formula testuale della legge, che vieta

di proporre l'azione per il tempo di svolgimento della vicenda

impeditiva, che esclude la riconducibilità della fattispecie legale

alla giurisdizione, ricorrendo una ipotesi di inproponibilità so

stanziale temporanea dell'azione.

Stante la necessità di ipotizzare la giurisdizione in senso stret

to, per postularne il temporaneo difetto non pare corretto dilata

re il concetto di giurisdizione quando si tratta semplicemente di

negare ingresso alla domanda proposta davanti al giudice dotato

di giurisdizione, operando il suddetto presupposto al limitato scopo

di congelare, parenteticamente, la tutela giurisdizionale perché l'or

dinamento esige che la vicenda di accertamento amministrativo

dei crediti trovi previamente il suo definitivo assetto; il che com

porta non già che nessun giudice sia fornito di giurisdizione per

il tempo di pendenza di tale accertamento, ma che il giudice do

tato di giurisdizione non può esercitarla, in difetto della condi

zione di proponibilità rappresentata da quella pendenza. Mentre

resta fermo il continuum della attribuzione della giurisdizione,

si verifica uno iato nella tendenziale continuità della tutela giuris

dizionale, risultando giustificata questa limitata parentesi dalla

finalità pubblicistica che informa di sé l'istituto dell'amministra

zione straordinaria della grande impresa in crisi (cosi come, più

in generale, la stessa procedura concorsuale).

In conclusione le vicende del tipo di quella in esame non vanno

ricostruite in termini di difetto temporaneo di giurisdizione, e quin

di non devono essere filtrate dal passaggio attraverso le sezioni

unite, mentre gli effetti dell'indirizzo giurisprudenziale restano fer

mi nel senso della improponibilità che impedisce, nei limiti che

sono stati precisati (purché cioè non siano intervenute sentenze

di merito), di proseguire i giudizi riguardanti diritti di credito vantati verso il soggetto sottoposto alla procedura di amministra

zione straordinaria.

3. - Nel caso in esame la s.p.a. Cip 200 è stata posta in ammi

nistrazione straordinaria con d.m. 15 febbraio 1982, pubblicato

in G.U. n. 46 del 17 febbraio 1982, e poiché la sentenza è del

1980 appare evidente da un lato che l'appello non poteva che

essere proposto al tribunale giusta le norme del rito del lavoro

poiché la società all'epoca dell'impugnazione era ancora in bo

nis-, che legittimamente il tribunale ha pronunciato con sentenza

depositata in cancelleria il 31 marzo 1981 e che la sopravvenienza

del provvedimento di sottoposizione all'amministrazione straor

dinaria posteriormente alla notificazione del ricorso non può spie

gare alcun effetto. (Omissis) 7. - In conclusione il ricorso, riaffermata la giurisdizione del

giudice ordinario sulla controversia nonostante il sopravvenuto

assoggettamento della Cip 200 ad amministrazione straordinaria,

va respinto, essendo risultati infondati tutti e tre i motivi in cui

si articola. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 27 novem

bre 1986, n. 7001; Pres. Antoci, Est. Della Terza, P. M.

Martinelli (conci, conf.); Soc. Elitos (Avv. Marazza, Pilli) c. Guagenti (Avv. Bacci). Cassa Trìb. Firenze 29 ottobre 1981.

Lavoro in materia di navigazione marittima, interna ed aerea —

Rifiuto della prestazione da parte del lavoratore — Licenzia

mento — Legittimità — Criteri di valutazione — Fattispecie

(Cod. nav., art. 913, 916; 1. 15 luglio 1966 n. 604, norme sui

licenziamenti individuali, art. 1; 1. 20 maggio 1970 n. 300, nor

me sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della liber

tà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme

sul collocamento, art. 18).

Il Foro Italiano — 1988.

Lavoro in materia di navigazione marittima, interna ed aerea —

Licenziamento illegittimo — Risarcimento del danno — Criteri

di determinazione — Fattispecie (Cod. civ., art. 2121; cod. nav.,

art. 923; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 18).

La legittimità del licenziamento del comandante di aeromobile,

per rifiuto di adempiere alla prestazione lavorativa di pilotag

gio di elicotteri fondato sulla mancanza del tecnico elicotteri

sta, va valutata in relazione all'esistenza, da accertarsi da parte

del giudice di merito, di un obbligo contrattuale o normativo

(non essendo sufficiente l'esistenza di una prassi in tal senso),

incombente sull'esercente, di formare l'equipaggio con la pre

senza del predetto tecnico. (1)

Nel calcolo del risarcimento dei danni conseguenti al licenziamento

dichiarato illegittimo le mensilità di retribuzione — nel caso

di appartenente alla gente dell'aria cui sia applicabile l'art. 18

dello statuto dei lavoratori — vanno determinate con l'adozio

ne dei criteri previsti dall'art. 923 c. nav. e non dall'art. 2121

c.c. (nella specie, si è escluso che nel calcolo in questione si

debba tener conto della c.d. «indennità di missione» in quanto

non compresa nel concetto di retribuzione adottato da! con

tratto collettivo). (2)

(1) In senso contrario, oltre alle due inedite sentenze intervenute nei

primi due gradi di giudizio, Pret. Firenze 26 novembre 1984 (nella moti

vazione in Foro it., 1986, I, 1696, con nota di richiami), cui si rinvia

anche per la analitica ricostruzione del contenzioso che da anni oppone il comandante Guagenti alla soc. Elitos. Altre tappe edite di questo con

tenzioso sono costituite da Trib. Firenze 20 giugno 1985 (ibid., 1695) e Cass. 3 aprile 1987, n. 3250 (in questo fascicolo, I, 211).

Corte cost. 3 aprile 1987, n. 96, che ha reso applicabili al rapporto di lavoro nautico (non altrettanto sicuramente a quello aeronautico) le

norme limitative dei licenziamenti contenute nelle leggi 604 del 1966 e

300 del 1970, può leggersi in Foro it., 1987, I, 2619, con nota di C.

Brusco, I licenziamenti dei lavoratori marittimi davanti alla Corte costi

tuzionale.

Indipendentemente dall'applicabilità al rapporto di lavoro aeronautico

della citata sentenza della Corte costituzionale, nel caso deciso dalla Cas

sazione ci si trovava in presenza di uno dei (rari) casi in cui la contratta

zione collettiva aveva dato attuazione all'art. 18 dello statuto dei lavoratori

in applicazione dell'art. 35, ultimo comma, della medesima 1. 300/70.

Non si comprende quindi quale significato attribuire all'affermazione,

contenuta nella sentenza, secondo cui la facoltà di comporre l'equipaggio «sbocca nella possibilità di risolvere, in qualunque tempo, il rapporto con il personale di volo, senza che a favore di quest'ultimo possa invo

carsi l'applicazione della 1. n. 604 del 1966, sui licenziamenti individuali,

ovvero lo statuto dei lavoratori».

Di più: i giudici di merito avevano certamente attribuito un'eccessiva

importanza alla prassi aziendale e alle argomentate lamentele del coman

dante Guagenti senza verificare adeguatamente se il tecnico elicotterista

dovesse far parte, per norma di legge o clausola di contratto collettivo,

dell'equipaggio. E giustamente la corte ha preteso che questo accertamen

to venisse invece effettuato. Ma non sarebbe stato necessario che al giudi ce di rinvio venisse rimesso anche l'accertamento se la composizione

dell'equipaggio da parte dell'esercente (in base ai poteri attribuitigli dal

l'art. 896 c. nav.) non confliggesse, nel caso specifico, con i principi di

sicurezza della navigazione anche al fine di contemperare i poteri dell'e

sercente con i doveri gravanti, in base all'art. 889 c. nav., sul comandan

te che, prima della partenza, deve «di persona accertarsi che l'aeromobile

sia . . . convenientemente . . . equipaggiato»?

(2) Non si rinvengono precedenti specifici. Nel senso che il rinvio, operato dall'art. 18 dello statuto dei lavoratori,

all'art. 2121 c.c., abbia carattere recettizio e non formale (con la conse

guente irrilevanza delle modifiche introdotte con la 1. 31 marzo 1977 n.

91), v. Cass. 4 maggio 1985, n. 2804, Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro

(rapporto), n. 2278; Trib. Milano 30 settembre 1982, id., Rep. 1983, voce

cit., n. 2187. Anche il recente disegno di legge, comunicato alla presidenza del sena

to della repubblica il 17 ottobre 1985, d'iniziativa dei senatori Giugni ed altri sulla «disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi e norme

sul campo di applicazione della 1. 20 maggio 1970 n. 300» (pubblicato

id., 1986, I, 1186), rinvia all'art. 2121 c.c. per la determinazione delle

somme dovute in caso di licenziamento illegittimo ma non fa più riferi

mento al risarcimento del danno bensì' alla retribuzione dovuta portando cosi a definitiva soluzione il problema relativo alla continuità del rappor to tra il momento del recesso e quello in cui viene ordinata la reintegra zione nel posto di lavoro (problema sui cui riflessi previdenziali, v. Corte

cost. 14 gennaio 1986, n. 7, ibid., 1785, con nota di M. D'Antona, Li

cenziamento illegittimo, effetti retributivi della «crisi di funzionalità» deI

rapporto di lavoro e contribuzione previdenziale). L'art. 923 c. nav., a differenza di quanto prevedeva l'art. 325 per la

gente di mare (prima della modifica introdotta con la 1. 19 dicembre 1979

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