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PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE || sezioni unite civili; sentenza 3 aprile 1989,...

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sezioni unite civili; sentenza 3 aprile 1989, n. 1613; Pres. Brancaccio, Est. A. Finocchiaro, P.M. Minetti (concl. diff.); Cuomo (Avv. Criscenti) c. Soc. Camptel International (Avv. Barbera, Baldi). Conferma Trib. Monza 16 aprile 1986 Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE (1989), pp. 1419/1420-1427/1428 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183961 . Accessed: 24/06/2014 22:44 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.128 on Tue, 24 Jun 2014 22:44:11 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite civili; sentenza 3 aprile 1989, n. 1613; Pres. Brancaccio, Est. A. Finocchiaro, P.M.Minetti (concl. diff.); Cuomo (Avv. Criscenti) c. Soc. Camptel International (Avv. Barbera,Baldi). Conferma Trib. Monza 16 aprile 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 1419/1420-1427/1428Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183961 .

Accessed: 24/06/2014 22:44

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1419 PARTE PRIMA 1420

652, id., 1985, I, 367) ha avuto occasione di occuparsi proprio

dello specifico caso — inquadrabile, come la fattispecie in esame,

nei rapporti di questo tipo — riguardante il contratto d'affitto

di un fondo rustico che faceva parte del patrimonio disponibile

dalla pubblica amministrazione; e ha deciso intorno alla legitti

mità della delibera con la quale era stata autorizzata la stipulazione.

Ha ritenuto la corte che, trattandosi non di concessione

contratto, la cui revoca avrebbe potuto essere discussa solo da

vanti al giudice amministrativo, ma di contratto concluso iure

privatorum, la cui delibera autorizzati va era stata revocata nono

stante l'avvenuta stipulazione, spettasse all'autorità giudiziaria or

dinaria, secondo il criterio del petitum sostanziale, la competenza

funzionale a conoscere della asserita lesione del diritto soggetti

vo, acquisito dal contraente in base alla convenzione privata.

La decisione, in realtà, non rappresenta un precedente specifi

co perché riguarda un caso non di auto-annullamento ma di re

voca (neppure analogo agli altri, di diversa natura, citati nella

stessa sentenza): e la revoca, si ripete, non può sacrificare i diritti

soggettivi acquisiti.

Tuttavia, si fosse pur trattato di autoannullamento, la distin

zione, operata nella sentenza, tra la fase anteriore e la fase suc

cessiva alla stipulazione del contratto non sarebbe stata comunque

idonea a fornire un criterio di ripartizione della competenza giu

risdizionale nel senso, in essa affermato, che durante la prima

fase l'atto di annullamento incidesse su un interesse legittimo e

durante la seconda fase su un diritto soggettivo perfetto.

Proprio questo — come si è visto — era il problema dibattuto

nella giurisprudenza e nella dottrina: problema risolto, in termini

generali, interessanti anche il caso in esame, a favore della giuris

dizione del giudice amministrativo, secondo criteri che, per la lo

ro conformità ai principi, il collegio ritiene di dover confermare.

La posizione giuridica del privato, invero, manca della consi

stenza di un diritto soggettivo non solo prima ma anche dopo

la stipulazione del contratto, in quanto l'interesse leso dall'annul

lamento non è un diritto precedente alla emanazione dell'atto an

nullato né un diritto da questo derivato, ma è soltanto un interesse

legittimo all'emanazione dell'atto stesso.

Oggetto esclusivo della contestazione è proprio la legittimità

di tale annullamento, cui si connette solo in via derivata, conse

guenziale e indiretta, la caducazione — per un motivo di nullità

o di annullabilità, secondo le varie opinioni — del contratto pri

vato concluso in attuazione della delibera.

Ancorché influente in via mediata su tale negozio e sul rappor

to e i diritti soggettivi che ne conseguono, il provvedimento di

autoannullamento rimane un atto discrezionale della pubblica am

ministrazione, adottato nell'interpretazione e per l'attuazione di

un superiore interesse pubblico. Per conseguenza, ove di tale provvedimento si contesti, come

nella specie, non la carenza assoluta bensì l'irregolare esercizio

del potere in relazione a determinati vizi di legittimità, viene in

discussione non la liceità del comportamento della pubblica am

ministrazione, eventualmente lesivo di diritti soggettivi perfetti, ma soltanto la legittimità dell'azione amministrativa, incidente in

via diretta e immediata, per l'asserita difformità da norme d'a

zione, soltanto su una posizione di interesse legittimo. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto, con la dichiarazione

della giurisdizione del giudice amministrativo, rimanendo, per le

ragioni esposte, disattesa l'argomentazione, svolta in subordine

dal controricorrente, secondo la quale, ritenendo annullata (au

toannullata), non revocata, la delibera autorizzati va del prelimi

nare, il promissario, di fronte all'eccezione della pubblica

amministrazione, diretta a far valere l'autoannullamento di detta

delibera, avrebbe azione davanti allo stesso giudice ordinario per

ottenere il risarcimento del danno, previa disapplicazione inci

denter tantum dell'atto di autoimpugnazione. Pur ammettendo, invero — come il controricorrente sostiene

— che l'atto ablativo della delibera di autorizzazione dia luogo

non alla caducazione ipso iure del contratto autorizzato e già sti

pulato, ma alla semplice annullabilità di esso, da far valere da

vanti al giudice ordinario per la necessità di accertare, con

pronuncia costitutiva, i limiti di effettiva incidenza dell'autoan

nullamento sul negozio privato, rimane pur sempre ferma la ratio

che impedisce la cognizione del giudice civile intorno al vizio di

legittimità dell'atto ablativo, costituente oggetto di autonoma con

testazione davanti al giudice amministrativo, sia prima che dopo

la stipulazione del contratto, i cui effetti ne sono sempre coinvol

ti soltanto in via derivata.

Il Foro Italiano — 1989.

È ben vero — come il controricorrente afferma — che la deli

berazione a contrarre costituisce elemento interno alla struttura

contrattuale, perché integrativa della capacità negoziale dell'ente

pubblico, a differenza, ad esempio, dell'approvazione, che rap

presenta solo un elemento esterno al contratto.

Ma è anche certo che, rispetto al negozio privato definitivo,

l'atto preparatorio della delibera che ne rappresenta il presuppo

sto mantiene il proprio autonomo regime giuridico repressivo, fon

dato sugli stessi criteri che, nell'apprezzamento dell'interesse

pubblico, possono indurre l'autorità amministrativa a negare l'au

torizzazione a contrarre, integrativa della capacità dell'ente, per

le ragioni inverse a quelle che, in un primo tempo, erano sembra

te sufficienti a concederla, pur in assenza delle condizioni, o di

una delle condizioni, previste dall'ordinamento.

La ripartizione della competenza giurisdizionale si realizza, per

tanto, in funzione di un diverso oggetto, poiché il contraente è

titolare non di un diritto soggettivo perfetto all'esecuzione del

contratto ma di un mero interesse legittimo all'esistenza dell'atto

amministrativo contenente la delibera a contrarre: atto, posto nel

nulla dalla pubblica amministrazione con un provvedimento di

autotutela, di cui si contesta — come sopra accennato — non

già la carenza ma l'irregolare esercizio del potere, per violazione

di legge. Nella specie, consegue da tali premesse il riconoscimento della

giurisdizione del Tar per l'accertamento dei vizi di legittimità del

provvedimento col quale il commissario regionale del conservato

rio di Santa Caterina della Rosa ha annullato la delibera del com

missario prefettizio contenente l'autorizzazione a stipulare il

contratto preliminare di vendita del fondo rustico di proprietà

del conservatorio.

In accoglimento del ricorso, pertanto, deve essere dichiarata

la giurisdizione del giudice amministrativo.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 3 aprile

1989, n. 1613; Pres. Brancaccio, Est. A. Finocchiaro, P.M.

Minetti (conci, diff.); Cuomo (Aw. Criscenti) c. Soc. Camp

tei International (Aw. Barbera, Baldi). Conferma Trib. Monza

16 aprile 1986.

Agenzia (contratto di) e agente di commercio — Agente di com

mercio — Iscrizione al ruolo — Difetto — Nullità del contratto

per contrarietà a norma imperativa — Disciplina prevista per

la prestazione di fatto di lavoro subordinato — Applicabilità — Esclusione — Principi generali sulle prestazioni non dovute

di fare — Applicabilità (Cod. civ., art. 2126; 1. 12 marzo 1968

n. 316, disciplina della professione di agente e rappresentante di commercio, art. 9).

Il contratto di agenzia, stipulato da chi non sia iscritto all'apposi

to ruolo, è nullo per contrarietà a norma imperativa, senza

che ad esso possa esser applicata, neppure in situazione di c.d.

parasubordinazione, la disciplina eccezionale dettata per la pre

stazione di fatto di lavoro subordinato (il collegio ha peraltro

specificato che al relativo rapporto si applicano i principi gene

rali in tema di prestazioni non dovute di fare). (1)

(1) Il riassunto delle puntate precedenti — formula meno irriverente

di quanto appaia a prima vista dato che la travagliata vicenda dell'agente «abusivo» tiene banco ormai da tre lustri, con sussulti e grida ricorrenti — può esser desunto, nelle sue linee salienti, da Cass., sez. un., 12 no

vembre 1983, n. 6730, Foro it., 1984, I, 92 e 23 maggio 1987, n. 4681,

id., 1987, I, 2366 (e dalle relative note, i cui richiami di giurisprudenza vanno integrati con Cass. 20 marzo 1987, n. 2802, id., Rep. 1987, voce

Agenzia (contratto), n. 24; 8 maggio 1987, n. 4276, ibid., n. 22; 12 aprile

1988, n. 2893, id., Mass., 434, tutte nel senso dell'impossibilità d'invoca

re l'art. 2126, 1° comma, c.c. al fine di riconoscere il diritto al compenso

dell'agente non iscritto al ruolo di cui alla !. 316/68, e ora alla 1. 204/85, anche in presenza degli estremi della parasubordinazione). In particolare, la sent. 4681/87 aveva sferrato un meditato attacco alle posizioni consa

crate dal suggello nomofilattico delle sezioni unite, smontando pezzo per

pezzo l'apparato argomentativo da queste utilizzato per togliere dal giro delle norme applicabili la disposizione in materia di prestazione di fatto

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 26 novembre 1984

al Pretore di Monza in funzione di giudice del lavoro, Baldassar

re Cuomo conveniva in giudizio la spa Camptel Intarnational e,

premesso di avere intrattenuto con la stessa un rapporto di agen zia commerciale dal 19 novembre 1979 al 31 dicembre 1983, ne

chiedeva la condanna al pagamento delle provvigioni indirette, ammontanti a lire 39.417.974, oltre interessi e rivalutazione; al

risarcimento del danno ammontante a lire 32.700.000 o ad altra

somma ex art. 1226 c.c.; al pagamento della somma di lire

8.790.470, per mancato rispetto del preavviso nella riduzione di

zona; al pagamento della somma di lire 9.789.527, quali interessi

legali e rivalutazione monetaria maturati sulle provvigioni già li

quidate e pagate in ritardo; al pagamento della somma di lire

di lavoro subordinato. Di qui il nuovo intervento delle sezioni unite, co strette a rivedere le bucce di un discorso che, per il fatto di avallare

l'aspetto più tristemente corporativo della disciplina in materia di agenzia

(ma è inutile nascondersi che la malerba alligna con tenacia sorprendente: basti por mente alla recentissima 1. 3 febbraio 1989 n. 39, Le leggi, 1989,

I, 322, che, all'art. 6 — innovando rispetto alla previgente disciplina del

1958, la quale si limitava a reprimere penalmente l'esercizio professionale dell'attività di agente d'affari in mediazione ad opera di chi non fosse iscritto al ruolo — nega il diritto alla provvigione agli abusivi, «stroncan do» si direbbe, la «piaga» dell'intermediazione prestata occasionalmen

te), non era riuscito a sedare un diffuso senso di malessere.

L'odierna sentenza segue, perciò, una sorta di percorso di guerra. Co

mincia, infatti, con l'esaminare il profilo problematico che funge da pre giudiziale ad ogni tentativo di chiamare in causa l'art. 2126: se, cioè, la nullità del contratto dipenda da illiceità della causa o dell'oggetto, nel qual caso l'accesso alla disciplina del rapporto di lavoro di fatto sa

rebbe comunque preclusa, ovvero da contrarietà a norma imperativa. La

risposta non raccoglie frontalmente la disputa dottrinaria circa la possibi lità di distinguere fra contratto illecito e soltanto illegale (cfr. G. De No

va, Il contratto contrario a norme imperative, in Riv. critica dir. privato, 1985, 435), ma rileva come, da un lato, l'obiettivazione della causa nego ziale renda tale requisito impermeabile alla sussistenza, o non di qualità

soggettive di una parte del contratto; dall'altro, che il divieto in esame

protegge gli interessi professionali e la pubblica fede (ciò che consente,

per strada, di liberarsi dell'impaccio rappresentato dall'art. 2231 c.c.), senza per questo assurgere al più rarefatto livello delle prescrizioni di

ordine pubblico. Quanto basta, dunque, per concludere che l'illiceità de

riva dal contrasto con norme imperative, e non da più pregnanti colorazioni.

Dopo il colpo alla botte (vale a dire, l'adesione alla tesi espressa da

Cass. 4681/87 e, prima ancora, da Cass. 2 aprile 1986, n. 2268, Foro

it., Rep. 1986, voce cit., n. 9, per esteso in Quadrimestre, 1987, 183, con nota di P. Arbore), quello al cerchio. Le sezioni unite precisano, infatti, che il superamento di un capo cosi periglioso non vale a spianare la strada all'applicazione della norma lavoristica. Inutile, al riguardo, far

leva sulla «mistica» della parasubordinazione, o nascondersi dietro il dito

dell'art. 35, 1° comma, Cost., appiattito sul versante delle declamazioni

programmatico-introduttive. L'art. 2126 è, e resta, norma eccezionale; né il blocco costituito da questa sua connotazione può esser saltato, se

condo l'ingegnoso suggerimento di Cass. 4681/87, riconoscendogli un'a

nima indefettibilmente restitutoria, solidale al sistema dell'indebito oggettivo

e, quindi, risalente ad un principio generale, col risultato di confinare

l'eccezionalità della norma alla sola parte in cui garantisce effetti diversi

e più incisivi. Ammesso pure, replicano le sezioni unite, che le obbliga zioni a carico del datore di lavoro ex art. 2126 e dell'accipiens indebiti si sovrappongano sul piano effettuale, restano la loro diversità, dal punto di vista della «causa giuridica», ed il carattere comunque eccezionale del

le prime. Speranze deluse, allora? Nient'affatto. Con un obiter dictum, la cui

importanza strategica ci ha indotto — contro ogni regola — a riportarlo in massima, il collegio mette in chiaro che la riaffermata inapplicabilità dell'art. 2126 non significa chiudere gli occhi (magari, turandosi il naso) sulla situazione di fatto determinatasi. Lo spostamento patrimoniale an

drà comunque riequilibrato, col ricorso ai principi generali in tema di

prestazioni non dovute di fare.

Si apre, cosi, uno spiraglio, la cui portata è ancora tutta da valutare, ma che non manca di prospettive promettenti. Intanto, è messa definiti

vamente in corto circuito la tesi sull'inesperibilità d&Wactio de in rem

verso (su cui pure si era assestata, a suo tempo, la Cassazione: cfr. sent.

13 febbraio 1976, n. 467, Foro it., 1976, I, 2434; in dottrina, riassuntiva

mente, P. Cipressi, Gli agenti e i rappresentanti di commercio abusivi, in Riv. dir. civ., 1983, II, 143, 162-63, e, più di recente, nel senso dell'im

praticabilità dell'azione di ingiustificato arricchimento, E. Saracini, Il

contratto di agenzia, in Commentario aI codice civile diretto da Schle

singer, Milano, 1987, 66-67); si che l'attenzione si sposta sui suoi presun ti limiti (cfr. R. Baldi, Agente di commercio non iscritto nel ruolo e

diritto alle provvigioni, in Giur. comm., 1979, II, 1054, 1063), ovvero

sulla possibilità di valersi, anche per le prestazioni di facere, della disci

II Foro Italiano — 1989.

577.273 oltre interessi e rivalutazione, quale differenza Firr; al

pagamento della somma di lire 2.980.093 oltre interessi e rivalu

tazione quale indennità suppletiva clientela; al pagamento della

somma di lire 1.773.401, oltre interessi e rivalutazione per tutta

una serie di altri titoli dedotti.

La convenuta nel costituirsi contestava la pretesa attorea e de

duceva l'insussistenza nel Cuomo della iscrizione nel ruolo degli

agenti e rappresentanti di commercio di cui alla 1. 12 marzo 1968

n. 316.

Il Pretore di Monza, con sentenza 26 settembre-13 novembre

1985, pur dichiarando nullo il contratto di agenzia, attesa la man

cata iscrizione del Cuomo nel ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio, condannava la Camptel al pagamento della som

ma di lire 14.720.277 per provvigioni dovute per violazione del

diritto di esclusiva, della somma di lire 165.132 quale integrazio ne Firr, della somma di lire 6.347.545 per indennità di mancato

preavviso, della somma di lire 2.211.783 per indennità di clientela

e della somma di lire 155.000 quale concorso spese legali per re

cupero del credito Mazzaferri, rigettando le altre pretese. A sostegno della decisione il pretore rilevava che la nullità del

contratto, dovuta a motivi puramenti formali, quale la mancata

iscrizione nell'albo degli agenti, non poteva escludere la produ

zione, tra le parti, dei suoi effetti tipici, ai sensi dell'art. 2126

c.c. applicabile per analogia anche ad un rapporto parasubordi

nato, quale quello di agenzia. A seguito di appello principale della Camptel e di appello inci

dentale del Cuomo per l'accoglimento delle domande non accolte

in primo grado, il Tribunale di Monza, in totale riforma dell'im

pugnata sentenza, rigettava la domanda proposta dal Cuomo, ri

gettante altresì l'appello incidentale da quest'ultimo proposto e

ciò sulla base del seguente iter argomentativo: l'art. 9 1. n. 316

del 1968 vieta, con disposizione di carattere imperativo diretta

a tutelare la causa tipica del contratto di agenzia, e rende illecite

tutte quelle forme contrattuali che con esso si pongono in contra

sto in quanto prive di una causa lecita; lo svolgimento, quindi, dell'attività professionale di agente senza essere iscritto al relati

vo ruolo, esclude il diritto al compenso (o, comunque, la rivendi

cazione di quei più ampi diritti riconducibili alla posizione contrattuale e giuridica dell'agente) e ciò a norma dell'art. 2231

c.c.; è inaccoglibile la tesi, peraltro inutile in via di fatto, della

convertibilità del contratto di agenzia in un altro contratto (ad es. procacciamento di affari), pur non assistito dalle medesime

garanzie economiche e normative; l'art. 2126 c.c. è inapplicabile al contratto di agenzia nullo in quanto: a) l'agente può anche

essere un imprenditore o una società commerciale; b) l'agente

opera in modo indipendente e con una accentuata garanzia; c) in caso di mancata produttività può ipotizzarsi l'assenza di un

compenso; d) l'attività dell'agente è fondata sull'organizzazione e sui rischi personali, incompatibili con un rapporto di subordi

nazione o di parasubordinazione. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il

Cuomo sulla base di un unico motivo, cui resiste con controricor

so la Camptel International spa. Entrambe le parti hanno presen tato memoria.

Motivi della decisione. — 1. - Con l'unico motivo di ricorso

si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 9 1. 12 marzo

1968 n. 316, in relazione all'art. 2126 c.c., al principio della rile

vanza effettiva dell'esecuzione della prestazione di lavoro, al prin

plina dell'indebito (problema largamente dibattuto in dottrina — cfr. E.

Moscati, Del pagamento dell'indebito, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, 61, 155 ss.— e risolto con slancio, in senso affer

mativo, da Cass. 4681/87, con la precisazione che l'eventuale ripiegamen to sull'art. 2041 c.c. non comporterebbe esiti sostanzialmente diversi, posta la possibilità di «leggere» l'arricchimento in chiave di risparmio di spesa e il depauperamento alla stregua di energie impiegate per l'esecuzione

dell'opera, e quindi di giusto mezzo della stessa, con facoltà, per quanto

riguarda le prestazioni professionali, di assumere come parametro di va

lutazione, sia pure in punto di fatto, la relativa tariffa). In sostanza, se c'è un sicuro arretramento rispetto alla linea propugna

ta per «ripescare», nella materia che ci occupa, l'art. 2126, esso consiste

nel permanere della distinzione tra ipotesi di buona e mala fede dell'acc/

piens, con conseguente esclusione del limite dell'arricchimento. Poca co

sa, in fondo, rispetto all'obiettivo — che sembra, ora, a portata di mano — di assegnare, al problema dell'agente abusivo, una soluzione che non

sappia di summum ius, summa iniuria. [R. Pardolesi]

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1423 PARTE PRIMA 1424

cipio in forza del quale chi ha concorso a determinare una situa

zione illegale non può giovarsene ed all'art. 2042 c.c.; nonché

difetto e contraddittorietà della motivazione circa punti essenziali

della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). Secondo il ricorrente erroneamente il tribunale ha fatto discen

dere dall'inosservanza dell'art. 9 1. n. 316 del 1968 l'illiceità del

contratto, con tutte le conseguenze derivate laddove invece, nella

specie, si era in presenza di una attività illegittima — per difetto

di un requisito soggettivo — che può essere posta a fondamento

della pretesa di compenso per l'opera prestata. Atteso poi il fatto che si è in presenza di un contratto a causa

predeterminata, la causa non può mai essere illecita.

Erroneamente è stato richiamato in via analogica l'art. 2231

c.c. riferibile esclusivamente all'esercizio delle professioni intel

lettuali, laddove invece era applicabile alla fattispecie l'art. 2126,

1° comma, c.c.

La disciplina propria del rapporto di lavoro subordinato è sta

ta estesa per alcuni significativi aspetti a rapporti di lavoro auto

nomo in cui, pur mancando la subordinazione in senso

tecnico-giuridico, l'attività lavorativa viene svolta da soggetti in

seriti in modo continuativo o coordinato nell'organizzazione del

preponente, in posizione di «parasubordinazione», sicché non esi

stono motivi per applicare una disciplina differenziata rispetto alla norma di cui alla prima parte del 1° comma dell'art. 2126

c.c.; soprattutto perché si discute di un diritto cosi fondamentale

come quello al compenso per l'attività lavorativa svolta all'inter

no di un rapporto integralmente sviluppatosi con reale svolgi mento delle attività previste dagli art. 1742 c.c. e seguenti e con

continua manifestazione di volontà comune delle parti a dar vita

ad un contratto di agenzia. La società preponente ha riconosciuto e dato esecuzione ad un

contratto quale quello posto in essere fra le parti, sicché privare

di efficacia gli atti compiuti durante tale rapporto risulterebbe

iniquo oltre che contrastare con il principio generale della rile

vanza effettiva dell'esecuzione delle prestazioni di lavoro, cui si

riconducono gli art. 2126 e 2332 c.c. e l'art. 3, 2° comma, 1.

n. 756 del 1964 in materia di mezzadria.

Il tribunale ha poi omesso di considerare che la circostanza

della mancata iscrizione del Cuomo al ruolo degli agenti era ben

conosciuta alla società preponente, sicché la stessa — in applica

zione di principi generali del nostro ordinamento (art. 157, ulti

mo comma, e 187, 2° comma, c.p.c.; 52 e 62, n. 2 c.p.; 1216

ss. e 1227 c.c.) — non può giovarsi della situazione illecita che

ha concorso a creare.

La controparte, inoltre, si sarebbe indebitamente arricchita delle

somme pagate dai clienti procurati dal ricorrente e ciò legittima la proposizione della c.d. actio de in rem verso, la quale non

abbisogna di formule sacramentali o riferimenti formali, necessi

tando solo di alcuni elementi sostanziali: l'arricchimento di un

soggetto, la diminuzione patrimoniale di un altro, il nesso di cau

salità fra i due elementi e la richiesta di risarcimento, tutti ricor

renti nella specie, sicché anche per questa via la domanda del

Cuomo meritava accoglimento, dovendo il rapporto di agenzia ritenersi esistente anche in assenza di iscrizione al ruolo pubblico.

2. - Il complesso motivo di ricorso ripropone a questa corte

la questione degli effetti fra le parti dello svolgimento dell'attivi

tà di agente o di rappresentante di commercio da parte di sogget ti non iscritti nel ruolo istituito dalla 1. 12 marzo 1968 n. 316,

presenti o meno il relativo rapporto i connotati di cui all'art.

409, n. 3, c.p.c. La causa è stata rimessa a queste sezioni unite

per la composizione del contrasto di giurisprudenza verificatosi

nell'ambito della sezione lavoro di questa corte successivamente

ad alcune sentenze delle stesse sezioni unite — peraltro pronun ciate sempre in sede di composizione di analogo contrasto — che,

affermata la nullità del relativo rapporto per illiceità della causa,

avevano negato l'applicabilità dell'art. 2126 c.c. operante solo

per il rapporto di lavoro subordinato in senso stretto, non esten

sibile al rapporto di lavoro autonomo, ancorché caratterizzato

dalla c.d. «parasubordinazione», ed avevano escluso la possibili tà di conversione del contratto stesso in negozi atipici, quale quello di procacciamento di affari (Cass. 12 novembre 1983, n. 6729, Foro it., Rep. 1984, voce Agenzia (contratto), n. 14, e n. 6730,

id., 1984, I, 92). 3. - Come è noto le sezioni unite con le richiamate decisioni

sono partite dalla premessa secondo cui il divieto legale di cui

all'art. 9 1. ti. 316 del 1968, con la comminatoria di nullità dei

Il Foro Italiano — 1989.

contratti in violazione di questo, comporta, nell'ipotesi di con

tratto intercorso con un soggetto non iscritto nel ruolo, una for

ma di contratto illegale perché contratto a norme imperative,

aggiungendo che ciò integra la situazione di contratto con causa

illecita, perchè contraria a legge cogente e proibitiva (art. 343

c.c.) dato che essa sarebbe in contrasto con lo scopo economico

pratico o causa «tipica» del contratto voluto dalla norma, mentre

le parti intenderebbero perseguire uno scopo, cioè una causa con

trattuale ulteriore e diversa, che l'ordinamento giuridico non con

sente sia conseguito e che, anzi, esso vieta esplicitamente mediante

norma imperativa e di carattere proibitivo. Il divieto legale del

l'art. 9 1. cit. tende a tutelare il rispetto della causa tipica dei

contratti di agenzia e di rappresentanza, escludendo che possano

essere stipulati altri tipi di contratto non aventi causa tipica, qua

le il c.d. «procacciamento di affari». Ogni forma di contratto

illegale realizza proprio la ipotesi di illiceità della causa e dell'og

getto del contratto. L'intento legislativo di vietare i contratti non

rispondenti all'unica previsione legale della agenzia o della rap

presentanza, secondo lo schema e la causa indicati nel codice ci

vile, importa la nullità assoluta delle forme contrarie in quanto

prive di causa e di oggetto leciti.

Da queste premesse le sezioni unite hanno tratto alcune conse

guenze in tema di effetti derivanti da contratti stipulati con sog

getti non iscritti al ruolo e precisamente: l'inapplicabilità dell'art.

2231 c.c., che esclude il diritto al compenso per i professionisti

che abbiano prestato attività senza essere iscritti agli appositi al

bi, perché il ruolo non assurge al valore ed alle caratteristiche

di uno degli albi o elenchi previsti dalla norma citata, in quanto

la funzione del ruolo, circoscritta al settore economico, non rag

giunge alcuna finalità o funzionalità di carattere sociale e colletti

vo e non ha rilievo di interesse generale; l'inapplicabilità dell'art.

2126 c.c., trattandosi di norma eccezionale che deroga all'art.

1418 c.c. solo per quanto riguarda il lavoro subordinato e co

munque non invocabile in presenza di un contratto illecito, senza

che possa farsi riferimento all'art. 35, 1° comma, Cost, che ri

guarda il lavoro subordinato o all'art. 409, n. 3, sotto il profilo

del concetto di «parasubordinazione», in considerazione, sempre

dell'illiceità del contratto; la non convertibilità del contratto nul

lo in quello di «procacciamento d'affari» che non trova ricono

scimento nell'ordinamento e ciò per evitare l'assurdo risultato di

conseguire la concessione (sotto la forma del procacciamento) de

gli utili e delle provvigioni non consentiti dal contratto vietato

o nullo di agenzia.

Questi principi, seguiti da alcune decisioni delle sezioni sempli

ci (cfr. Cass. 14 gennaio 1985, n. 58, id., Rep. 1985, voce cit.,

n. 13; 20 marzo 1987, n. 2802, id., Rep. 1987, voce cit., n. 24;

8 aprile 1987, n. 3473, id., 1987, I, 2366) sono state invece disat

tese da altre per le quali un contratto fornito di tutte le caratteri

stiche proprie del contratto di agenzia produce per il periodo della

sua esecuzione gli stessi effetti del contratto valido, anche se l'a

gente non sia iscritto nell'apposito albo, dal momento che tale

iscrizione rappresenta un requisito personale che non riguarda né

l'oggetto, né la causa del contratto, onde, a norma dell'art. 2126

c.c. gli effetti già verificatisi del contratto, ancorché dichiarato

nullo per violazione di norme imperative, sono destinati a restare

salvi (Cass. 2 aprile 1986, n. 2267, id., Rep. 1986, voce cit., n.

9) precisandosi che l'art. 2126, 1° comma, c.c. è privo di caratte

re di eccezionalità nella parte in cui riconosce al lavoratore il

diritto all'equivalente della prestazione eseguita, indipendentemente

dall'arricchimento e dallo stato soggettivo del beneficiario, con

la conseguenza che, sotto tale aspetto, la detta norma sarebbe

applicabile per analogia, in mancanza di specifiche disposizioni,

a rapporti caratterizzati da prestazioni lavorative autonome, spe cialmente se riconducibili ad un rapporto di c.d. parasubordina zione e, in particolare, all'ipotesi di contratto di agenzia concluso,

in violazione dell'art. 9 1. n. 316 del 1968, da persona non iscritta

nell'apposito ruolo (Cass. 23 maggio 1987, n. 4681, id., 1987,

I, 2366). 4. - Dalla precedente esposizione emerge che i punti di contra

sto fra le pronunce delle sezioni unite e quelle rese successiva

mente dalla sezione lavoro sono essenzialmente due e precisamente:

la natura del vizio che inficia il contratto di agenzia o di rappre

sentanza commerciale concluso con soggetti non iscritti nell'ap

posito ruolo; l'applicabilità o meno dell'art. 2126 c.c. al contratto

cosi concluso.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Si tratta cioè di alcune delle questioni che questa corte deve

esaminare e risolvere ai fini della decisione del ricorso.

Con riferimento alla prima questione ritiene il collegio di dove

re accedere alle conclusioni cui è giunta, fra le altre, Cass. 23

maggio 1987, n. 4681, dovendosi ritenere che la causa è un ele

mento oggettivo del contratto, indipendente dalle qualità sogget tive dei contraenti, con la conseguenza che «i divieti sanciti dall'art.

9 1. n. 316 del 1968 non comportano l'inserimento di un elemento

soggettivo nella causa tipica del contratto di agenzia, quale deter

minata dall'art. 1742 c.c., ma sono diretti ad impedire che essa

possa essere realizzata da determinati soggetti, privando a tal fine

di tutela il contratto da essi stipulato, non la sua causa».

Nel contratto di agenzia concluso con persona non iscritta nel

ruolo non può perciò ravvisarsi — come esattamente rilevato nel

la sentenza da ultimo richiamata — una funzione economico

pratica diversa e ulteriore rispetto a quella tipica riconosciuta dal

l'ordinamento, ma solo il perseguimento di questa da parte di

un soggetto non abilitato in quanto destinatario del relativo divieto.

Né parimenti si può ritenere che la mancata iscrizione nel ruolo

determini la nullità del contratto per illiceità dell'oggetto dal mo

mento che l'invalidità per tale motivo in tanto sussiste in quanto la norma imperativa violata sia diretta o indiretta espressione dei

principi di ordine pubblico strettamente intesi, ossia dei principi etici fondamentali dell'ordinamento giuridico.

La 1. n. 316 del 1968 non è diretta a tutelare esigenze fonda

mentali dello Stato, ma è volta a proteggere, oltre interessi pro fessionali della categoria, la pubblica fede nei rapporti fra

imprenditori e consumatori e cioè un interesse generale degli ope ratori economici, ponendosi quindi su un piano di valutazioni

diverse da quelle inerenti all'ordine pubblico, come rilevato an

che da Corte cost. 25 marzo 1976, n. 59 (id., 1976, I, 892), e

come deve affermarsi a maggior ragione adesso a seguito della

intervenuta depenalizzazione della relativa violazione.

Concludendo su questo primo punto si deve ritenere che, esclu

sa la illiceità della causa o dell'oggetto, il contratto di agenzia

stipulato con persona non iscritta al ruolo si deve ritenere nullo

per contrarietà a norma imperativa (art. 1418, 1° comma, c.c.).

La rilevata funzione del ruolo comporta, altresì, conformemente

alla costante giurisprudenza, l'inapplicabilità al rapporto dell'art.

2231 c.c. perché, come esattamente rilevato dalle sezioni unite

con le richiamate decisioni e come ammesso anche dalla giuris

prudenza successiva (cfr. per tutte Cass. 23 maggio 1987, n. 4681),

il ruolo non assurge al valore ed alla caratteristica di uno degli

albi o elenchi previsti dal richiamato art. 2231 c.c., mancando

nel ruolo l'elemento della qualificazione e del riconoscimento per

gli iscritti di una funzione sociale, analogamente a quanto è pre

visto per le tipiche professioni liberali che assolvono a compiti

di utilità generale (avvocati, medici, ingegneri, ecc.), e — in alcu

ni casi — di utilità e natura pubbliche (es. notai). La natura del

ruolo è cioè «limitata alla tutela degli agenti e dei rappresentanti,

ed alla garanzia degli operatori economici di poter trattare con

soggetti dotati di requisiti di natura tecnica e morale necessari

per lo svolgimento di un'attività a carattere fiduciario; ma la fun

zione e l'efficacia del ruolo sono pur sempre circoscritte al setto

re economico, non raggiungono alcuna finalità o funzionalità di

carattere sociale e non hanno rilievo di interesse generale». È pertanto errata la decisione impugnata che ha affermato là

nullità del contratto per illiceità della causa e dell'oggetto ed ha

escluso ogni diritto dell'attuale ricorrente sulla base dell'art. 2231

c.c., ma ciò non è sufficiente per l'accoglimento del ricorso, in

quanto, essendo il dispositivo conforme a diritto, sulla base delle

osservazioni che seguono, questa corte si deve limitare a correg

gere la motivazione nei sensi in precedenza esposti. L'affermazione secondo cui la nullità del contratto di agenzia

stipulato con agente non iscritto al ruolo di cui- alla 1. n. 316

del 1968 non deriva dall'illiceità dell'oggetto o della causa, ma

dalla contrarietà a norma imperativa, esclude alcuni degli argo

menti contrari all'applicabilità dell'art. 2126 c.c., ma non per

mette di per sé sola di affermarla ove non si superino anche gli

altri elementi ritenuti ostativi.

Come è noto la giurisprudenza precedente le decisioni delle se

zioni unite aveva ritenuto applicabile, estensivamente e non an

che analogicamente, l'art. 2126 c.c. ai rapporti di agenzia stipulati

con soggetti non iscritti agli appositi ruoli facendo leva soprattut

to sul fatto che la predetta disposizione avrebbe acquistato, a

seguito dello sviluppo della sensibilità sociale, una portata più

Il Foro Italiano — 1989.

vasta rispetto a quella originaria, in conformità alla tendenza

espansiva del diritto del lavoro e che si collegherebbe ad una esi

genza di tutela del lavoro «parasubordinato» sullo stesso piano di quello subordinato in senso proprio, trovando argomenti per tali conclusioni in alcuni indici legislativi (garanzia dei minimi ex lege n. 741 del 1959; applicabilità del rito del lavoro ex art.

409, n. 3, c.p.c.; permessi annualli retribuiti; riconoscimento dei

diritti propri dei lavoratori subordinati in caso di malattia, gravi danza e puerperio; indennità di preavviso e fine rapporto) e giuris

prudenziali (estensione ai lavoratori parasubordinati del diritto

di sciopero, del regime delle transazioni e delle rinunce, della pos sibilità di considerare la retribuzione del lavoro subordinato qua

le parametro utilizzabile a norma dell'art. 2225 c.c., della

applicabilità dell'art. 429, 3° comma, c.p.c. in tema di rivaluta

zione monetaria) ed invocando l'art. 35, 1° comma, Cost., sulla

tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, che concer

nerebbe la categoria dei prestatori d'opera parasubordinati (Cass. 13 agosto 1981, n. 4928, id., 1981, I, 2699).

Ritengono queste sezioni unite che la norma dell'art. 2126, 1°

comma, c.c. ha natura di disposizione eccezionale, in quanto de

rogatoria dell'art. 1418 c.c., e non può riguardare che il solo

lavoro subordinato, senza alcuna possibilità di estensione, oltre

che alla fattispecie in cui l'attività dell'agente si svolge con carat

tere imprenditoriale, anche a quella che si manifesta con le carat

teristiche proprie della c.d. parasubordinazione e ciò per l'assorbente rilievo che l'assimilazione del rapporto di agenzia, ancorché svolto con le caratteristiche della «parasubordinazione», a quello di lavoro subordinato è limitato a taluni specifici istituti,

ma né la legge, né gli accordi economici collettivi resi efficaci

erga omnes (d.p.r. n. 1842 del 1960 e d.p.r. n. 145 del 1961) autorizzano una equiparazione dei due diversi rapporti fino al

punto di estendere al primo l'applicazione, con portata più vasta

di quella originaria, del detto art. 2126, 1° comma, c.c. (Cass. 12 novembre 1983, n. 6730, cit.; 8 maggio 1987, n. 4276, id.,

Rep. 1987, voce cit., n. 22; 12 aprile 1988, n. 2893, id., Mass.,

434). Né tali conclusioni sono superate dal richiamo all'art. 35, 1°

comma, Cost, per il quale la repubblica tutela il lavoro in tutte

le sue forme ed applicazioni e ciò non per il motivo comunemen

te enunciato secondo cui tale norma riguarda il lavoro subordina

to, non quello di natura autonoma ed indipendente (cosi invece

Cass. n. 6730 del 1983, cit. e Cass. 2893 del 1988, cit.), in quan

to, nella costante giurisprudenza del giudice delle leggi, la dispo sizione è stata applicata ad ogni forma di esplicazione di attività

lavorativa [si vedano, per tutte, le decisioni in tema di lavoro

dei liberi professionisti (Corte cost. n. 114 del 1964, id., 1965,

I, 158), dei notai (Corte cost. n. 75 del 1964, id., 1964, I, 1708),

degli agenti e rappresentanti di commercio (Corte cost. n. 59 del

1976, id., 1976, I, 892), di esercizio di determinate attività (im

pianto di biliardini: art. 86 t.u.l.p.s.) (Corte cost. n. 110 del 1973,

id., 1973, I, 2700)], ma perché il principio enunciato nella norma

nulla aggiunge alle dichiarazioni risultanti dall'art. 2 Cost., non

ché dall'art. 3, 2° comma, e dall'art. 4, 1° comma, venendo piut

tosto ad assumere, collocato come è all'inizio del titolo III, solo

una funzione introduttiva alle disposizioni che entrano a far par te di questo: cioè vuole, non già determinare i modi e le forme

della tutela del lavoro, ma solo enunciare il criterio ispiratore

comune alle disposizioni stesse, nelle quali ultime esclusivamente

sono poi da ritrovare le specificazioni degli oggetti della tutela

voluta accordare (Corte cost. n. 22 del 1967, id., 1967, I, 684;

n. 10 del 1970, id., 1970, I, 711; n. 98 del 1973, id., 1973, I,

2355), con la conseguenza che la generica applicabilità dell'art.

35, 1° comma, Cost, anche al lavoro svolto dagli agenti e rappre

sentanti di commercio non costituisce argomento per dedurre l'ap

plicabilità ai rapporti costituiti con soggetti non iscritti negli

appositi ruoli del più volte richiamato art. 2126, 1° comma, c.c.

Ritengono, poi, queste sezioni unite che non possa prestarsi

adesione, al fine di superare l'obiezione di eccezionalità della di

sposizione da ultimo ditata, alla tesi recentemente sostenuta da

una sentenza della sezione lavoro di questa corte per la quale

sarebbe ravvisabile nel precetto dell'art. 2126 c.c. oltre un nucleo

restitutorio; regolante gli aspetti economici delle prestazioni di

fatto del lavoratore e riconducibile ai principi generali sulla ripe

tizione dell'indebito* (art. 2033 c.c.), «una gamma di effetti e re1

gole specifiche corrispondenti alla varietà di istituti connessi al

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1427 PARTE PRIMA 1428

rapporto di lavoro subordinato» (trattamento previdenziale, di

sciplina della prescrizione, progressione in carriera a determinate

condizioni) e che solo «nella parte che tali ulteriori effetti ricono

sce» l'art. 2126 c.c. avrebbe «il carattere di norma eccezionale

derogativa della disciplina dell'invalidità del contratto e, in quan

to tale, non suscettibile di applicazione analogica», mentre nes

sun carattere di eccezionalità sarebbe «ravvisabile nella disposizione

sotto il profilo restitutorio», sicché, in questa parte, essa potreb

be essere estesa per analogia «ai rapporti caratterizzati, pur in

assenza di subordinazione, dalla prestazione di attività lavorativa

a favore di altri, sempreché non ostino disposizioni specifiche

(come, nel campo delle professioni intellettuali, l'art. 2231 c.c.)»

(Cass. 23 maggio 1987, n. 4681, cit.). È infatti in proposito da rilevare che l'obbligazione restitutoria

dell'accipiens indebiti — comunque si atteggi nei suoi concreti

contenuti — è ontologicamente diversa dall'obbligazione del da

tore di lavoro di corrispondere al lavoratore la retribuzione e di

conservargli ogni altro diritto e vantaggio nascente dal contratto

ex art. 2126 c.c.: mentre infatti la prima presuppone la mancanza

originaria della causa del contratto o il suo successivo venir meno

(con effetto retroattivo); la seconda si giustifica per la ecceziona

le inefficacia dell'invalidità del rapporto per il tempo in cui lo

stesso ha avuto esecuzione e tende a consolidare la situazione

conseguente all'esecuzione del contratto invalido.

Pertanto, poiché le obbligazioni del datore di lavoro ex art.

2126 c.c. hanno tutte natura eccezionale in quanto derogatorie

dei principi generali sulla nullità dei contratti (art. 1418 c.c.),

anche a voler individuarne, in via di pure ipotesi, fra le stesse

alcune di contenuto restitutorio quoad effectum (quelle che rego

lano gli aspetti economici del rapporto), tali obbligazioni, per

essere causalmente diverse da quelle che giustificano la ripetizio

ne dell'indebito oggettivo, non sono estensibili per analogia a rap

porti diversi da quello di lavoro subordinato, in quanto la loro

eccezionalità discende proprio dalla natura delle stesse e non può

essere negata per la ravvisabilità nell'ordinamento di altre obbli

gazioni aventi analogo contenuto, ma con diversa causa giuridica

(cfr., nello stesso senso, Cass. 12 aprile 1988, n, 2893 cit.).

L'inapplicabilità dell'art. 2126 c.c. non consente tuttavia di con

cludere che l'attività prestata dall'agente non iscritto nell'apposi

to ruolo previsto dalla 1. n. 316 del 1968 costituisca un fatto

giuridicamente irrilevante, in quanto la stessa — una volta esclu

sa la nullità per illiceità della causa o dell'oggetto del contratto

ed affermata invece per contrarietà a norma imperativa — sarà

disciplinata dai principi generali in tema di prestazioni non dovu

te di fare.

Concludendo, quindi, il denunciato contrasto deve comporsi

affermando il principio secondo cui il contratto di agenzia o rap

presentanza commerciale che sia stato stipulato con soggetto non

iscritto nell'apposito ruolo istituito dalla 1. 12 marzo 1968 n. 316

è nullo ai sensi dell'art. 9 della stessa legge per contrarietà a nor

ma imperativa, ma non per illiceità della causa o dell'oggetto. Al relativo rapporto non si applicano né l'art. 2231 c.c. perché il ruolo non assurge al valore ed alla caratteristica di uno degli albi o elenchi previsti dalla richiamata disposizione, né la norma

eccezionale contenuta nell'art. 2126, 1° comma, c.c., dettata per i rapporti di lavoro subordinato e non estensibile a quelli di lavo

ro autonomo, anche se tali rapporti si sono svolti nei confronti

di soggetto che si trovi, nei confronti del preponente, in una si

tuazione di c.d. parasubordinazione, ma i principi generali in te

ma di prestazioni non dovute di fare.

5. - La questione prospettata con l'ultimo profilo di ricorso

circa la fondatezza della domanda proposta nei limiti dell'azione

di arricchimento senza causa non può essere esaminata in questa sede trattandosi di questione nuova proposta per la prima volta

in Cassazione, dal momento che in sede di merito l'odierno ricor

rente aveva proposto la sua domanda facendo leva o sul rapporto di agenzia o sulla applicabilità allo stesso dell'art. 2126 c.c.

Seppure è vero che l'azione di arricchimento senza causa non

abbisogna di formule sacramentali per la sua proposizione, la

stessa — completamente diversa quanto a petitum e causa peten di dalla domanda di adempimento del contratto o di non applica bilità allo stesso dell'art. 2126 c.c. — è soggetta, ai fini della

sua proponibilità, ai principi generali e soprattutto a quello per il quale, nel giudizio di legittimità, a parte le questioni rilevabili

d'ufficio, non è ammissibile la deduzione di motivi che, contrad

II Foro Italiano — 1989.

dicendo la precedente impostazione difensiva, poggino le doman

de, istanze od eccezioni, su titoli diversi da quelli fatti valere nel

giudizio di merito (Cass. 20 dicembre 1982, n. 7026, id., Rep. 1982, voce Cassazione civile, n. 88; 24 giugno 1983, n. 4346, id.,

Rep. 1983, voce cit., n. 39; e successive conformi).

6. - La sentenza impugnata, corretta la motivazione nei sensi

in precedenza esposti, non merita quindi censura.

Il ricorso va rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 3 aprile

1989, n. 1611; Pres. Brancaccio, Est. Meriggiola, P. M. Ama

tucci (conci, conf.); Lodigiani (Avv. Bertora) c. Berziga (Aw.

Spezzaferri, Costa). Conferma App. Bologna 16 ottobre 1984.

Patto commissorio — Alienazione a scopo di garanzia — Trasfe

rimento immediato della proprietà — Vendita dissimulante mu

tuo con patto commissorio — Nullità (Cod. civ., art. 2744).

È nulla la vendita con patto di riscatto ove le parti, nel comune

intento di vincolare il bene a garanzia ed in funzione del rap

porto di mutuo sottostante, subordinino gli effetti del trasferi

mento, apparentemente immediato, all'adempimento del

debitore-venditore. (1)

(1) Le sezioni unite compongono il contrasto di giurisprudenza apertosi in seguito alla decisione 3 giugno 1983, n. 3800, Foro it., 1984, I, 212.

Da ultimo, si segnalano gli interventi della seconda sezione della Cassa

zione, nello stesso senso della sentenza riportata: Cass. 11 gennaio 1988, n. 46, id., 1988, I, 387, con nota di richiami, e 18 maggio 1988, n. 3462,

id., Mass., 509. In dottrina, ai riferimenti in nota alle decisioni citate nonché a Cass.

12 dicembre 1986, n. 7385, id., 1987, I, 799, si aggiungano Triola, in

Giust. civ., 1988, I, 1769 e Vigli, in Nuova giur. civ., 1988, I, 141.

Sull'illiceità della vendita con locazione finanziaria per violazione del

divieto del patto commissorio, cfr. le recenti Trib. Verona 15 dicembre

1988 e Trib. Vicenza 12 luglio 1988, Foro it., 1989, I, 1252, con ampia nota di richiami ed osservazioni di Simone.

* * *

Trasferimenti commissori e principio di causalità.

1. - Il tema dei rapporti tra divieto del patto commissorio e alienazioni

in garanzia è divenuto un classico della letteratura giuridica e ciò per un vario ordine di ragioni. Anzitutto, perché tocca punti nodali e centrali della teoria del contratto; in secondo luogo, perché si alimenta da una situazione di mercato contrassegnata dalla crisi delle garanzie tipiche e dalla ricerca di strumenti alternativi ad esse; in terzo luogo, per le affinità

che, a torto o a ragione, sono state riscontrate, tra alienazioni in garanzia e lease-back\ infine per l'esplosione giurisprudenziale avvenuta a far tem

po dal giugno del 1983 e cioè dal momento in cui si è rotta l'unità dell'in

dirizzo tradizionale ed è iniziata un'altalena di decisioni di segno opposto, peraltro orientate in prevalenza nel senso del ribaltamento di quell'in dirizzo (1).

Esistevano, pertanto, tutte le premesse per un intervento delle sezioni

unite che recuperasse il momento della certezza del diritto fortemente

compromesso dal succedersi delle decisioni di segno opposto. Finalmente le sezioni unite si sono pronunciate avallando la svolta del

giugno 1983 e concludendo per la nullità delle alienazioni a scopo di ga ranzia anche se risolutivamente condizionate. Non v'è dubbio che la pro nuncia va valutata positivamente perché avalla una soluzione globalmente

(1) La pronuncia della Cassazione 3 giugno 1983, n. 3800 è riprodotta in Foro it., 1984, I, 212 con nota di Macario; in Giust. civ., 1983, I, 2953, con nota di Azzariti; in Nuova giur. civ., 1985, I, 97, con nota di Roppo; in Quadrimestre, 1984, 347, con nota di Oberto. Successiva mente sono ritornate all'indirizzo tradizionale Cass. 22 gennaio 1985, n.

242, Riv. not., 1985, II, 1352; 12 dicembre 1986, n. 7385, Foro it., 1987, I, 799, e in Corriere giur., 1987, 287, con mia nota. Da ultimo, si erano

espresse in conformità del nuovo indirizzo le sentenze 16 aprile 1987, n. 3784 Foro it., Rep. 1987, voce Patto commissorio, n. 6 e 11 gennaio 1988, n. 46, id., 1988, I, 387. Per una sintesi degli orientamenti giurispru denziali anche risalenti, cfr. Bugani, in Nuova giur. comm., 1986, 30 ss.

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