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sezioni unite civili; sentenza 3 aprile 1989, n. 1613; Pres. Brancaccio, Est. A. Finocchiaro, P.M.Minetti (concl. diff.); Cuomo (Avv. Criscenti) c. Soc. Camptel International (Avv. Barbera,Baldi). Conferma Trib. Monza 16 aprile 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 1419/1420-1427/1428Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183961 .
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1419 PARTE PRIMA 1420
652, id., 1985, I, 367) ha avuto occasione di occuparsi proprio
dello specifico caso — inquadrabile, come la fattispecie in esame,
nei rapporti di questo tipo — riguardante il contratto d'affitto
di un fondo rustico che faceva parte del patrimonio disponibile
dalla pubblica amministrazione; e ha deciso intorno alla legitti
mità della delibera con la quale era stata autorizzata la stipulazione.
Ha ritenuto la corte che, trattandosi non di concessione
contratto, la cui revoca avrebbe potuto essere discussa solo da
vanti al giudice amministrativo, ma di contratto concluso iure
privatorum, la cui delibera autorizzati va era stata revocata nono
stante l'avvenuta stipulazione, spettasse all'autorità giudiziaria or
dinaria, secondo il criterio del petitum sostanziale, la competenza
funzionale a conoscere della asserita lesione del diritto soggetti
vo, acquisito dal contraente in base alla convenzione privata.
La decisione, in realtà, non rappresenta un precedente specifi
co perché riguarda un caso non di auto-annullamento ma di re
voca (neppure analogo agli altri, di diversa natura, citati nella
stessa sentenza): e la revoca, si ripete, non può sacrificare i diritti
soggettivi acquisiti.
Tuttavia, si fosse pur trattato di autoannullamento, la distin
zione, operata nella sentenza, tra la fase anteriore e la fase suc
cessiva alla stipulazione del contratto non sarebbe stata comunque
idonea a fornire un criterio di ripartizione della competenza giu
risdizionale nel senso, in essa affermato, che durante la prima
fase l'atto di annullamento incidesse su un interesse legittimo e
durante la seconda fase su un diritto soggettivo perfetto.
Proprio questo — come si è visto — era il problema dibattuto
nella giurisprudenza e nella dottrina: problema risolto, in termini
generali, interessanti anche il caso in esame, a favore della giuris
dizione del giudice amministrativo, secondo criteri che, per la lo
ro conformità ai principi, il collegio ritiene di dover confermare.
La posizione giuridica del privato, invero, manca della consi
stenza di un diritto soggettivo non solo prima ma anche dopo
la stipulazione del contratto, in quanto l'interesse leso dall'annul
lamento non è un diritto precedente alla emanazione dell'atto an
nullato né un diritto da questo derivato, ma è soltanto un interesse
legittimo all'emanazione dell'atto stesso.
Oggetto esclusivo della contestazione è proprio la legittimità
di tale annullamento, cui si connette solo in via derivata, conse
guenziale e indiretta, la caducazione — per un motivo di nullità
o di annullabilità, secondo le varie opinioni — del contratto pri
vato concluso in attuazione della delibera.
Ancorché influente in via mediata su tale negozio e sul rappor
to e i diritti soggettivi che ne conseguono, il provvedimento di
autoannullamento rimane un atto discrezionale della pubblica am
ministrazione, adottato nell'interpretazione e per l'attuazione di
un superiore interesse pubblico. Per conseguenza, ove di tale provvedimento si contesti, come
nella specie, non la carenza assoluta bensì l'irregolare esercizio
del potere in relazione a determinati vizi di legittimità, viene in
discussione non la liceità del comportamento della pubblica am
ministrazione, eventualmente lesivo di diritti soggettivi perfetti, ma soltanto la legittimità dell'azione amministrativa, incidente in
via diretta e immediata, per l'asserita difformità da norme d'a
zione, soltanto su una posizione di interesse legittimo. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto, con la dichiarazione
della giurisdizione del giudice amministrativo, rimanendo, per le
ragioni esposte, disattesa l'argomentazione, svolta in subordine
dal controricorrente, secondo la quale, ritenendo annullata (au
toannullata), non revocata, la delibera autorizzati va del prelimi
nare, il promissario, di fronte all'eccezione della pubblica
amministrazione, diretta a far valere l'autoannullamento di detta
delibera, avrebbe azione davanti allo stesso giudice ordinario per
ottenere il risarcimento del danno, previa disapplicazione inci
denter tantum dell'atto di autoimpugnazione. Pur ammettendo, invero — come il controricorrente sostiene
— che l'atto ablativo della delibera di autorizzazione dia luogo
non alla caducazione ipso iure del contratto autorizzato e già sti
pulato, ma alla semplice annullabilità di esso, da far valere da
vanti al giudice ordinario per la necessità di accertare, con
pronuncia costitutiva, i limiti di effettiva incidenza dell'autoan
nullamento sul negozio privato, rimane pur sempre ferma la ratio
che impedisce la cognizione del giudice civile intorno al vizio di
legittimità dell'atto ablativo, costituente oggetto di autonoma con
testazione davanti al giudice amministrativo, sia prima che dopo
la stipulazione del contratto, i cui effetti ne sono sempre coinvol
ti soltanto in via derivata.
Il Foro Italiano — 1989.
È ben vero — come il controricorrente afferma — che la deli
berazione a contrarre costituisce elemento interno alla struttura
contrattuale, perché integrativa della capacità negoziale dell'ente
pubblico, a differenza, ad esempio, dell'approvazione, che rap
presenta solo un elemento esterno al contratto.
Ma è anche certo che, rispetto al negozio privato definitivo,
l'atto preparatorio della delibera che ne rappresenta il presuppo
sto mantiene il proprio autonomo regime giuridico repressivo, fon
dato sugli stessi criteri che, nell'apprezzamento dell'interesse
pubblico, possono indurre l'autorità amministrativa a negare l'au
torizzazione a contrarre, integrativa della capacità dell'ente, per
le ragioni inverse a quelle che, in un primo tempo, erano sembra
te sufficienti a concederla, pur in assenza delle condizioni, o di
una delle condizioni, previste dall'ordinamento.
La ripartizione della competenza giurisdizionale si realizza, per
tanto, in funzione di un diverso oggetto, poiché il contraente è
titolare non di un diritto soggettivo perfetto all'esecuzione del
contratto ma di un mero interesse legittimo all'esistenza dell'atto
amministrativo contenente la delibera a contrarre: atto, posto nel
nulla dalla pubblica amministrazione con un provvedimento di
autotutela, di cui si contesta — come sopra accennato — non
già la carenza ma l'irregolare esercizio del potere, per violazione
di legge. Nella specie, consegue da tali premesse il riconoscimento della
giurisdizione del Tar per l'accertamento dei vizi di legittimità del
provvedimento col quale il commissario regionale del conservato
rio di Santa Caterina della Rosa ha annullato la delibera del com
missario prefettizio contenente l'autorizzazione a stipulare il
contratto preliminare di vendita del fondo rustico di proprietà
del conservatorio.
In accoglimento del ricorso, pertanto, deve essere dichiarata
la giurisdizione del giudice amministrativo.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 3 aprile
1989, n. 1613; Pres. Brancaccio, Est. A. Finocchiaro, P.M.
Minetti (conci, diff.); Cuomo (Aw. Criscenti) c. Soc. Camp
tei International (Aw. Barbera, Baldi). Conferma Trib. Monza
16 aprile 1986.
Agenzia (contratto di) e agente di commercio — Agente di com
mercio — Iscrizione al ruolo — Difetto — Nullità del contratto
per contrarietà a norma imperativa — Disciplina prevista per
la prestazione di fatto di lavoro subordinato — Applicabilità — Esclusione — Principi generali sulle prestazioni non dovute
di fare — Applicabilità (Cod. civ., art. 2126; 1. 12 marzo 1968
n. 316, disciplina della professione di agente e rappresentante di commercio, art. 9).
Il contratto di agenzia, stipulato da chi non sia iscritto all'apposi
to ruolo, è nullo per contrarietà a norma imperativa, senza
che ad esso possa esser applicata, neppure in situazione di c.d.
parasubordinazione, la disciplina eccezionale dettata per la pre
stazione di fatto di lavoro subordinato (il collegio ha peraltro
specificato che al relativo rapporto si applicano i principi gene
rali in tema di prestazioni non dovute di fare). (1)
(1) Il riassunto delle puntate precedenti — formula meno irriverente
di quanto appaia a prima vista dato che la travagliata vicenda dell'agente «abusivo» tiene banco ormai da tre lustri, con sussulti e grida ricorrenti — può esser desunto, nelle sue linee salienti, da Cass., sez. un., 12 no
vembre 1983, n. 6730, Foro it., 1984, I, 92 e 23 maggio 1987, n. 4681,
id., 1987, I, 2366 (e dalle relative note, i cui richiami di giurisprudenza vanno integrati con Cass. 20 marzo 1987, n. 2802, id., Rep. 1987, voce
Agenzia (contratto), n. 24; 8 maggio 1987, n. 4276, ibid., n. 22; 12 aprile
1988, n. 2893, id., Mass., 434, tutte nel senso dell'impossibilità d'invoca
re l'art. 2126, 1° comma, c.c. al fine di riconoscere il diritto al compenso
dell'agente non iscritto al ruolo di cui alla !. 316/68, e ora alla 1. 204/85, anche in presenza degli estremi della parasubordinazione). In particolare, la sent. 4681/87 aveva sferrato un meditato attacco alle posizioni consa
crate dal suggello nomofilattico delle sezioni unite, smontando pezzo per
pezzo l'apparato argomentativo da queste utilizzato per togliere dal giro delle norme applicabili la disposizione in materia di prestazione di fatto
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 26 novembre 1984
al Pretore di Monza in funzione di giudice del lavoro, Baldassar
re Cuomo conveniva in giudizio la spa Camptel Intarnational e,
premesso di avere intrattenuto con la stessa un rapporto di agen zia commerciale dal 19 novembre 1979 al 31 dicembre 1983, ne
chiedeva la condanna al pagamento delle provvigioni indirette, ammontanti a lire 39.417.974, oltre interessi e rivalutazione; al
risarcimento del danno ammontante a lire 32.700.000 o ad altra
somma ex art. 1226 c.c.; al pagamento della somma di lire
8.790.470, per mancato rispetto del preavviso nella riduzione di
zona; al pagamento della somma di lire 9.789.527, quali interessi
legali e rivalutazione monetaria maturati sulle provvigioni già li
quidate e pagate in ritardo; al pagamento della somma di lire
di lavoro subordinato. Di qui il nuovo intervento delle sezioni unite, co strette a rivedere le bucce di un discorso che, per il fatto di avallare
l'aspetto più tristemente corporativo della disciplina in materia di agenzia
(ma è inutile nascondersi che la malerba alligna con tenacia sorprendente: basti por mente alla recentissima 1. 3 febbraio 1989 n. 39, Le leggi, 1989,
I, 322, che, all'art. 6 — innovando rispetto alla previgente disciplina del
1958, la quale si limitava a reprimere penalmente l'esercizio professionale dell'attività di agente d'affari in mediazione ad opera di chi non fosse iscritto al ruolo — nega il diritto alla provvigione agli abusivi, «stroncan do» si direbbe, la «piaga» dell'intermediazione prestata occasionalmen
te), non era riuscito a sedare un diffuso senso di malessere.
L'odierna sentenza segue, perciò, una sorta di percorso di guerra. Co
mincia, infatti, con l'esaminare il profilo problematico che funge da pre giudiziale ad ogni tentativo di chiamare in causa l'art. 2126: se, cioè, la nullità del contratto dipenda da illiceità della causa o dell'oggetto, nel qual caso l'accesso alla disciplina del rapporto di lavoro di fatto sa
rebbe comunque preclusa, ovvero da contrarietà a norma imperativa. La
risposta non raccoglie frontalmente la disputa dottrinaria circa la possibi lità di distinguere fra contratto illecito e soltanto illegale (cfr. G. De No
va, Il contratto contrario a norme imperative, in Riv. critica dir. privato, 1985, 435), ma rileva come, da un lato, l'obiettivazione della causa nego ziale renda tale requisito impermeabile alla sussistenza, o non di qualità
soggettive di una parte del contratto; dall'altro, che il divieto in esame
protegge gli interessi professionali e la pubblica fede (ciò che consente,
per strada, di liberarsi dell'impaccio rappresentato dall'art. 2231 c.c.), senza per questo assurgere al più rarefatto livello delle prescrizioni di
ordine pubblico. Quanto basta, dunque, per concludere che l'illiceità de
riva dal contrasto con norme imperative, e non da più pregnanti colorazioni.
Dopo il colpo alla botte (vale a dire, l'adesione alla tesi espressa da
Cass. 4681/87 e, prima ancora, da Cass. 2 aprile 1986, n. 2268, Foro
it., Rep. 1986, voce cit., n. 9, per esteso in Quadrimestre, 1987, 183, con nota di P. Arbore), quello al cerchio. Le sezioni unite precisano, infatti, che il superamento di un capo cosi periglioso non vale a spianare la strada all'applicazione della norma lavoristica. Inutile, al riguardo, far
leva sulla «mistica» della parasubordinazione, o nascondersi dietro il dito
dell'art. 35, 1° comma, Cost., appiattito sul versante delle declamazioni
programmatico-introduttive. L'art. 2126 è, e resta, norma eccezionale; né il blocco costituito da questa sua connotazione può esser saltato, se
condo l'ingegnoso suggerimento di Cass. 4681/87, riconoscendogli un'a
nima indefettibilmente restitutoria, solidale al sistema dell'indebito oggettivo
e, quindi, risalente ad un principio generale, col risultato di confinare
l'eccezionalità della norma alla sola parte in cui garantisce effetti diversi
e più incisivi. Ammesso pure, replicano le sezioni unite, che le obbliga zioni a carico del datore di lavoro ex art. 2126 e dell'accipiens indebiti si sovrappongano sul piano effettuale, restano la loro diversità, dal punto di vista della «causa giuridica», ed il carattere comunque eccezionale del
le prime. Speranze deluse, allora? Nient'affatto. Con un obiter dictum, la cui
importanza strategica ci ha indotto — contro ogni regola — a riportarlo in massima, il collegio mette in chiaro che la riaffermata inapplicabilità dell'art. 2126 non significa chiudere gli occhi (magari, turandosi il naso) sulla situazione di fatto determinatasi. Lo spostamento patrimoniale an
drà comunque riequilibrato, col ricorso ai principi generali in tema di
prestazioni non dovute di fare.
Si apre, cosi, uno spiraglio, la cui portata è ancora tutta da valutare, ma che non manca di prospettive promettenti. Intanto, è messa definiti
vamente in corto circuito la tesi sull'inesperibilità d&Wactio de in rem
verso (su cui pure si era assestata, a suo tempo, la Cassazione: cfr. sent.
13 febbraio 1976, n. 467, Foro it., 1976, I, 2434; in dottrina, riassuntiva
mente, P. Cipressi, Gli agenti e i rappresentanti di commercio abusivi, in Riv. dir. civ., 1983, II, 143, 162-63, e, più di recente, nel senso dell'im
praticabilità dell'azione di ingiustificato arricchimento, E. Saracini, Il
contratto di agenzia, in Commentario aI codice civile diretto da Schle
singer, Milano, 1987, 66-67); si che l'attenzione si sposta sui suoi presun ti limiti (cfr. R. Baldi, Agente di commercio non iscritto nel ruolo e
diritto alle provvigioni, in Giur. comm., 1979, II, 1054, 1063), ovvero
sulla possibilità di valersi, anche per le prestazioni di facere, della disci
II Foro Italiano — 1989.
577.273 oltre interessi e rivalutazione, quale differenza Firr; al
pagamento della somma di lire 2.980.093 oltre interessi e rivalu
tazione quale indennità suppletiva clientela; al pagamento della
somma di lire 1.773.401, oltre interessi e rivalutazione per tutta
una serie di altri titoli dedotti.
La convenuta nel costituirsi contestava la pretesa attorea e de
duceva l'insussistenza nel Cuomo della iscrizione nel ruolo degli
agenti e rappresentanti di commercio di cui alla 1. 12 marzo 1968
n. 316.
Il Pretore di Monza, con sentenza 26 settembre-13 novembre
1985, pur dichiarando nullo il contratto di agenzia, attesa la man
cata iscrizione del Cuomo nel ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio, condannava la Camptel al pagamento della som
ma di lire 14.720.277 per provvigioni dovute per violazione del
diritto di esclusiva, della somma di lire 165.132 quale integrazio ne Firr, della somma di lire 6.347.545 per indennità di mancato
preavviso, della somma di lire 2.211.783 per indennità di clientela
e della somma di lire 155.000 quale concorso spese legali per re
cupero del credito Mazzaferri, rigettando le altre pretese. A sostegno della decisione il pretore rilevava che la nullità del
contratto, dovuta a motivi puramenti formali, quale la mancata
iscrizione nell'albo degli agenti, non poteva escludere la produ
zione, tra le parti, dei suoi effetti tipici, ai sensi dell'art. 2126
c.c. applicabile per analogia anche ad un rapporto parasubordi
nato, quale quello di agenzia. A seguito di appello principale della Camptel e di appello inci
dentale del Cuomo per l'accoglimento delle domande non accolte
in primo grado, il Tribunale di Monza, in totale riforma dell'im
pugnata sentenza, rigettava la domanda proposta dal Cuomo, ri
gettante altresì l'appello incidentale da quest'ultimo proposto e
ciò sulla base del seguente iter argomentativo: l'art. 9 1. n. 316
del 1968 vieta, con disposizione di carattere imperativo diretta
a tutelare la causa tipica del contratto di agenzia, e rende illecite
tutte quelle forme contrattuali che con esso si pongono in contra
sto in quanto prive di una causa lecita; lo svolgimento, quindi, dell'attività professionale di agente senza essere iscritto al relati
vo ruolo, esclude il diritto al compenso (o, comunque, la rivendi
cazione di quei più ampi diritti riconducibili alla posizione contrattuale e giuridica dell'agente) e ciò a norma dell'art. 2231
c.c.; è inaccoglibile la tesi, peraltro inutile in via di fatto, della
convertibilità del contratto di agenzia in un altro contratto (ad es. procacciamento di affari), pur non assistito dalle medesime
garanzie economiche e normative; l'art. 2126 c.c. è inapplicabile al contratto di agenzia nullo in quanto: a) l'agente può anche
essere un imprenditore o una società commerciale; b) l'agente
opera in modo indipendente e con una accentuata garanzia; c) in caso di mancata produttività può ipotizzarsi l'assenza di un
compenso; d) l'attività dell'agente è fondata sull'organizzazione e sui rischi personali, incompatibili con un rapporto di subordi
nazione o di parasubordinazione. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
Cuomo sulla base di un unico motivo, cui resiste con controricor
so la Camptel International spa. Entrambe le parti hanno presen tato memoria.
Motivi della decisione. — 1. - Con l'unico motivo di ricorso
si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 9 1. 12 marzo
1968 n. 316, in relazione all'art. 2126 c.c., al principio della rile
vanza effettiva dell'esecuzione della prestazione di lavoro, al prin
plina dell'indebito (problema largamente dibattuto in dottrina — cfr. E.
Moscati, Del pagamento dell'indebito, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, 61, 155 ss.— e risolto con slancio, in senso affer
mativo, da Cass. 4681/87, con la precisazione che l'eventuale ripiegamen to sull'art. 2041 c.c. non comporterebbe esiti sostanzialmente diversi, posta la possibilità di «leggere» l'arricchimento in chiave di risparmio di spesa e il depauperamento alla stregua di energie impiegate per l'esecuzione
dell'opera, e quindi di giusto mezzo della stessa, con facoltà, per quanto
riguarda le prestazioni professionali, di assumere come parametro di va
lutazione, sia pure in punto di fatto, la relativa tariffa). In sostanza, se c'è un sicuro arretramento rispetto alla linea propugna
ta per «ripescare», nella materia che ci occupa, l'art. 2126, esso consiste
nel permanere della distinzione tra ipotesi di buona e mala fede dell'acc/
piens, con conseguente esclusione del limite dell'arricchimento. Poca co
sa, in fondo, rispetto all'obiettivo — che sembra, ora, a portata di mano — di assegnare, al problema dell'agente abusivo, una soluzione che non
sappia di summum ius, summa iniuria. [R. Pardolesi]
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1423 PARTE PRIMA 1424
cipio in forza del quale chi ha concorso a determinare una situa
zione illegale non può giovarsene ed all'art. 2042 c.c.; nonché
difetto e contraddittorietà della motivazione circa punti essenziali
della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). Secondo il ricorrente erroneamente il tribunale ha fatto discen
dere dall'inosservanza dell'art. 9 1. n. 316 del 1968 l'illiceità del
contratto, con tutte le conseguenze derivate laddove invece, nella
specie, si era in presenza di una attività illegittima — per difetto
di un requisito soggettivo — che può essere posta a fondamento
della pretesa di compenso per l'opera prestata. Atteso poi il fatto che si è in presenza di un contratto a causa
predeterminata, la causa non può mai essere illecita.
Erroneamente è stato richiamato in via analogica l'art. 2231
c.c. riferibile esclusivamente all'esercizio delle professioni intel
lettuali, laddove invece era applicabile alla fattispecie l'art. 2126,
1° comma, c.c.
La disciplina propria del rapporto di lavoro subordinato è sta
ta estesa per alcuni significativi aspetti a rapporti di lavoro auto
nomo in cui, pur mancando la subordinazione in senso
tecnico-giuridico, l'attività lavorativa viene svolta da soggetti in
seriti in modo continuativo o coordinato nell'organizzazione del
preponente, in posizione di «parasubordinazione», sicché non esi
stono motivi per applicare una disciplina differenziata rispetto alla norma di cui alla prima parte del 1° comma dell'art. 2126
c.c.; soprattutto perché si discute di un diritto cosi fondamentale
come quello al compenso per l'attività lavorativa svolta all'inter
no di un rapporto integralmente sviluppatosi con reale svolgi mento delle attività previste dagli art. 1742 c.c. e seguenti e con
continua manifestazione di volontà comune delle parti a dar vita
ad un contratto di agenzia. La società preponente ha riconosciuto e dato esecuzione ad un
contratto quale quello posto in essere fra le parti, sicché privare
di efficacia gli atti compiuti durante tale rapporto risulterebbe
iniquo oltre che contrastare con il principio generale della rile
vanza effettiva dell'esecuzione delle prestazioni di lavoro, cui si
riconducono gli art. 2126 e 2332 c.c. e l'art. 3, 2° comma, 1.
n. 756 del 1964 in materia di mezzadria.
Il tribunale ha poi omesso di considerare che la circostanza
della mancata iscrizione del Cuomo al ruolo degli agenti era ben
conosciuta alla società preponente, sicché la stessa — in applica
zione di principi generali del nostro ordinamento (art. 157, ulti
mo comma, e 187, 2° comma, c.p.c.; 52 e 62, n. 2 c.p.; 1216
ss. e 1227 c.c.) — non può giovarsi della situazione illecita che
ha concorso a creare.
La controparte, inoltre, si sarebbe indebitamente arricchita delle
somme pagate dai clienti procurati dal ricorrente e ciò legittima la proposizione della c.d. actio de in rem verso, la quale non
abbisogna di formule sacramentali o riferimenti formali, necessi
tando solo di alcuni elementi sostanziali: l'arricchimento di un
soggetto, la diminuzione patrimoniale di un altro, il nesso di cau
salità fra i due elementi e la richiesta di risarcimento, tutti ricor
renti nella specie, sicché anche per questa via la domanda del
Cuomo meritava accoglimento, dovendo il rapporto di agenzia ritenersi esistente anche in assenza di iscrizione al ruolo pubblico.
2. - Il complesso motivo di ricorso ripropone a questa corte
la questione degli effetti fra le parti dello svolgimento dell'attivi
tà di agente o di rappresentante di commercio da parte di sogget ti non iscritti nel ruolo istituito dalla 1. 12 marzo 1968 n. 316,
presenti o meno il relativo rapporto i connotati di cui all'art.
409, n. 3, c.p.c. La causa è stata rimessa a queste sezioni unite
per la composizione del contrasto di giurisprudenza verificatosi
nell'ambito della sezione lavoro di questa corte successivamente
ad alcune sentenze delle stesse sezioni unite — peraltro pronun ciate sempre in sede di composizione di analogo contrasto — che,
affermata la nullità del relativo rapporto per illiceità della causa,
avevano negato l'applicabilità dell'art. 2126 c.c. operante solo
per il rapporto di lavoro subordinato in senso stretto, non esten
sibile al rapporto di lavoro autonomo, ancorché caratterizzato
dalla c.d. «parasubordinazione», ed avevano escluso la possibili tà di conversione del contratto stesso in negozi atipici, quale quello di procacciamento di affari (Cass. 12 novembre 1983, n. 6729, Foro it., Rep. 1984, voce Agenzia (contratto), n. 14, e n. 6730,
id., 1984, I, 92). 3. - Come è noto le sezioni unite con le richiamate decisioni
sono partite dalla premessa secondo cui il divieto legale di cui
all'art. 9 1. ti. 316 del 1968, con la comminatoria di nullità dei
Il Foro Italiano — 1989.
contratti in violazione di questo, comporta, nell'ipotesi di con
tratto intercorso con un soggetto non iscritto nel ruolo, una for
ma di contratto illegale perché contratto a norme imperative,
aggiungendo che ciò integra la situazione di contratto con causa
illecita, perchè contraria a legge cogente e proibitiva (art. 343
c.c.) dato che essa sarebbe in contrasto con lo scopo economico
pratico o causa «tipica» del contratto voluto dalla norma, mentre
le parti intenderebbero perseguire uno scopo, cioè una causa con
trattuale ulteriore e diversa, che l'ordinamento giuridico non con
sente sia conseguito e che, anzi, esso vieta esplicitamente mediante
norma imperativa e di carattere proibitivo. Il divieto legale del
l'art. 9 1. cit. tende a tutelare il rispetto della causa tipica dei
contratti di agenzia e di rappresentanza, escludendo che possano
essere stipulati altri tipi di contratto non aventi causa tipica, qua
le il c.d. «procacciamento di affari». Ogni forma di contratto
illegale realizza proprio la ipotesi di illiceità della causa e dell'og
getto del contratto. L'intento legislativo di vietare i contratti non
rispondenti all'unica previsione legale della agenzia o della rap
presentanza, secondo lo schema e la causa indicati nel codice ci
vile, importa la nullità assoluta delle forme contrarie in quanto
prive di causa e di oggetto leciti.
Da queste premesse le sezioni unite hanno tratto alcune conse
guenze in tema di effetti derivanti da contratti stipulati con sog
getti non iscritti al ruolo e precisamente: l'inapplicabilità dell'art.
2231 c.c., che esclude il diritto al compenso per i professionisti
che abbiano prestato attività senza essere iscritti agli appositi al
bi, perché il ruolo non assurge al valore ed alle caratteristiche
di uno degli albi o elenchi previsti dalla norma citata, in quanto
la funzione del ruolo, circoscritta al settore economico, non rag
giunge alcuna finalità o funzionalità di carattere sociale e colletti
vo e non ha rilievo di interesse generale; l'inapplicabilità dell'art.
2126 c.c., trattandosi di norma eccezionale che deroga all'art.
1418 c.c. solo per quanto riguarda il lavoro subordinato e co
munque non invocabile in presenza di un contratto illecito, senza
che possa farsi riferimento all'art. 35, 1° comma, Cost, che ri
guarda il lavoro subordinato o all'art. 409, n. 3, sotto il profilo
del concetto di «parasubordinazione», in considerazione, sempre
dell'illiceità del contratto; la non convertibilità del contratto nul
lo in quello di «procacciamento d'affari» che non trova ricono
scimento nell'ordinamento e ciò per evitare l'assurdo risultato di
conseguire la concessione (sotto la forma del procacciamento) de
gli utili e delle provvigioni non consentiti dal contratto vietato
o nullo di agenzia.
Questi principi, seguiti da alcune decisioni delle sezioni sempli
ci (cfr. Cass. 14 gennaio 1985, n. 58, id., Rep. 1985, voce cit.,
n. 13; 20 marzo 1987, n. 2802, id., Rep. 1987, voce cit., n. 24;
8 aprile 1987, n. 3473, id., 1987, I, 2366) sono state invece disat
tese da altre per le quali un contratto fornito di tutte le caratteri
stiche proprie del contratto di agenzia produce per il periodo della
sua esecuzione gli stessi effetti del contratto valido, anche se l'a
gente non sia iscritto nell'apposito albo, dal momento che tale
iscrizione rappresenta un requisito personale che non riguarda né
l'oggetto, né la causa del contratto, onde, a norma dell'art. 2126
c.c. gli effetti già verificatisi del contratto, ancorché dichiarato
nullo per violazione di norme imperative, sono destinati a restare
salvi (Cass. 2 aprile 1986, n. 2267, id., Rep. 1986, voce cit., n.
9) precisandosi che l'art. 2126, 1° comma, c.c. è privo di caratte
re di eccezionalità nella parte in cui riconosce al lavoratore il
diritto all'equivalente della prestazione eseguita, indipendentemente
dall'arricchimento e dallo stato soggettivo del beneficiario, con
la conseguenza che, sotto tale aspetto, la detta norma sarebbe
applicabile per analogia, in mancanza di specifiche disposizioni,
a rapporti caratterizzati da prestazioni lavorative autonome, spe cialmente se riconducibili ad un rapporto di c.d. parasubordina zione e, in particolare, all'ipotesi di contratto di agenzia concluso,
in violazione dell'art. 9 1. n. 316 del 1968, da persona non iscritta
nell'apposito ruolo (Cass. 23 maggio 1987, n. 4681, id., 1987,
I, 2366). 4. - Dalla precedente esposizione emerge che i punti di contra
sto fra le pronunce delle sezioni unite e quelle rese successiva
mente dalla sezione lavoro sono essenzialmente due e precisamente:
la natura del vizio che inficia il contratto di agenzia o di rappre
sentanza commerciale concluso con soggetti non iscritti nell'ap
posito ruolo; l'applicabilità o meno dell'art. 2126 c.c. al contratto
cosi concluso.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Si tratta cioè di alcune delle questioni che questa corte deve
esaminare e risolvere ai fini della decisione del ricorso.
Con riferimento alla prima questione ritiene il collegio di dove
re accedere alle conclusioni cui è giunta, fra le altre, Cass. 23
maggio 1987, n. 4681, dovendosi ritenere che la causa è un ele
mento oggettivo del contratto, indipendente dalle qualità sogget tive dei contraenti, con la conseguenza che «i divieti sanciti dall'art.
9 1. n. 316 del 1968 non comportano l'inserimento di un elemento
soggettivo nella causa tipica del contratto di agenzia, quale deter
minata dall'art. 1742 c.c., ma sono diretti ad impedire che essa
possa essere realizzata da determinati soggetti, privando a tal fine
di tutela il contratto da essi stipulato, non la sua causa».
Nel contratto di agenzia concluso con persona non iscritta nel
ruolo non può perciò ravvisarsi — come esattamente rilevato nel
la sentenza da ultimo richiamata — una funzione economico
pratica diversa e ulteriore rispetto a quella tipica riconosciuta dal
l'ordinamento, ma solo il perseguimento di questa da parte di
un soggetto non abilitato in quanto destinatario del relativo divieto.
Né parimenti si può ritenere che la mancata iscrizione nel ruolo
determini la nullità del contratto per illiceità dell'oggetto dal mo
mento che l'invalidità per tale motivo in tanto sussiste in quanto la norma imperativa violata sia diretta o indiretta espressione dei
principi di ordine pubblico strettamente intesi, ossia dei principi etici fondamentali dell'ordinamento giuridico.
La 1. n. 316 del 1968 non è diretta a tutelare esigenze fonda
mentali dello Stato, ma è volta a proteggere, oltre interessi pro fessionali della categoria, la pubblica fede nei rapporti fra
imprenditori e consumatori e cioè un interesse generale degli ope ratori economici, ponendosi quindi su un piano di valutazioni
diverse da quelle inerenti all'ordine pubblico, come rilevato an
che da Corte cost. 25 marzo 1976, n. 59 (id., 1976, I, 892), e
come deve affermarsi a maggior ragione adesso a seguito della
intervenuta depenalizzazione della relativa violazione.
Concludendo su questo primo punto si deve ritenere che, esclu
sa la illiceità della causa o dell'oggetto, il contratto di agenzia
stipulato con persona non iscritta al ruolo si deve ritenere nullo
per contrarietà a norma imperativa (art. 1418, 1° comma, c.c.).
La rilevata funzione del ruolo comporta, altresì, conformemente
alla costante giurisprudenza, l'inapplicabilità al rapporto dell'art.
2231 c.c. perché, come esattamente rilevato dalle sezioni unite
con le richiamate decisioni e come ammesso anche dalla giuris
prudenza successiva (cfr. per tutte Cass. 23 maggio 1987, n. 4681),
il ruolo non assurge al valore ed alla caratteristica di uno degli
albi o elenchi previsti dal richiamato art. 2231 c.c., mancando
nel ruolo l'elemento della qualificazione e del riconoscimento per
gli iscritti di una funzione sociale, analogamente a quanto è pre
visto per le tipiche professioni liberali che assolvono a compiti
di utilità generale (avvocati, medici, ingegneri, ecc.), e — in alcu
ni casi — di utilità e natura pubbliche (es. notai). La natura del
ruolo è cioè «limitata alla tutela degli agenti e dei rappresentanti,
ed alla garanzia degli operatori economici di poter trattare con
soggetti dotati di requisiti di natura tecnica e morale necessari
per lo svolgimento di un'attività a carattere fiduciario; ma la fun
zione e l'efficacia del ruolo sono pur sempre circoscritte al setto
re economico, non raggiungono alcuna finalità o funzionalità di
carattere sociale e non hanno rilievo di interesse generale». È pertanto errata la decisione impugnata che ha affermato là
nullità del contratto per illiceità della causa e dell'oggetto ed ha
escluso ogni diritto dell'attuale ricorrente sulla base dell'art. 2231
c.c., ma ciò non è sufficiente per l'accoglimento del ricorso, in
quanto, essendo il dispositivo conforme a diritto, sulla base delle
osservazioni che seguono, questa corte si deve limitare a correg
gere la motivazione nei sensi in precedenza esposti. L'affermazione secondo cui la nullità del contratto di agenzia
stipulato con agente non iscritto al ruolo di cui- alla 1. n. 316
del 1968 non deriva dall'illiceità dell'oggetto o della causa, ma
dalla contrarietà a norma imperativa, esclude alcuni degli argo
menti contrari all'applicabilità dell'art. 2126 c.c., ma non per
mette di per sé sola di affermarla ove non si superino anche gli
altri elementi ritenuti ostativi.
Come è noto la giurisprudenza precedente le decisioni delle se
zioni unite aveva ritenuto applicabile, estensivamente e non an
che analogicamente, l'art. 2126 c.c. ai rapporti di agenzia stipulati
con soggetti non iscritti agli appositi ruoli facendo leva soprattut
to sul fatto che la predetta disposizione avrebbe acquistato, a
seguito dello sviluppo della sensibilità sociale, una portata più
Il Foro Italiano — 1989.
vasta rispetto a quella originaria, in conformità alla tendenza
espansiva del diritto del lavoro e che si collegherebbe ad una esi
genza di tutela del lavoro «parasubordinato» sullo stesso piano di quello subordinato in senso proprio, trovando argomenti per tali conclusioni in alcuni indici legislativi (garanzia dei minimi ex lege n. 741 del 1959; applicabilità del rito del lavoro ex art.
409, n. 3, c.p.c.; permessi annualli retribuiti; riconoscimento dei
diritti propri dei lavoratori subordinati in caso di malattia, gravi danza e puerperio; indennità di preavviso e fine rapporto) e giuris
prudenziali (estensione ai lavoratori parasubordinati del diritto
di sciopero, del regime delle transazioni e delle rinunce, della pos sibilità di considerare la retribuzione del lavoro subordinato qua
le parametro utilizzabile a norma dell'art. 2225 c.c., della
applicabilità dell'art. 429, 3° comma, c.p.c. in tema di rivaluta
zione monetaria) ed invocando l'art. 35, 1° comma, Cost., sulla
tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, che concer
nerebbe la categoria dei prestatori d'opera parasubordinati (Cass. 13 agosto 1981, n. 4928, id., 1981, I, 2699).
Ritengono queste sezioni unite che la norma dell'art. 2126, 1°
comma, c.c. ha natura di disposizione eccezionale, in quanto de
rogatoria dell'art. 1418 c.c., e non può riguardare che il solo
lavoro subordinato, senza alcuna possibilità di estensione, oltre
che alla fattispecie in cui l'attività dell'agente si svolge con carat
tere imprenditoriale, anche a quella che si manifesta con le carat
teristiche proprie della c.d. parasubordinazione e ciò per l'assorbente rilievo che l'assimilazione del rapporto di agenzia, ancorché svolto con le caratteristiche della «parasubordinazione», a quello di lavoro subordinato è limitato a taluni specifici istituti,
ma né la legge, né gli accordi economici collettivi resi efficaci
erga omnes (d.p.r. n. 1842 del 1960 e d.p.r. n. 145 del 1961) autorizzano una equiparazione dei due diversi rapporti fino al
punto di estendere al primo l'applicazione, con portata più vasta
di quella originaria, del detto art. 2126, 1° comma, c.c. (Cass. 12 novembre 1983, n. 6730, cit.; 8 maggio 1987, n. 4276, id.,
Rep. 1987, voce cit., n. 22; 12 aprile 1988, n. 2893, id., Mass.,
434). Né tali conclusioni sono superate dal richiamo all'art. 35, 1°
comma, Cost, per il quale la repubblica tutela il lavoro in tutte
le sue forme ed applicazioni e ciò non per il motivo comunemen
te enunciato secondo cui tale norma riguarda il lavoro subordina
to, non quello di natura autonoma ed indipendente (cosi invece
Cass. n. 6730 del 1983, cit. e Cass. 2893 del 1988, cit.), in quan
to, nella costante giurisprudenza del giudice delle leggi, la dispo sizione è stata applicata ad ogni forma di esplicazione di attività
lavorativa [si vedano, per tutte, le decisioni in tema di lavoro
dei liberi professionisti (Corte cost. n. 114 del 1964, id., 1965,
I, 158), dei notai (Corte cost. n. 75 del 1964, id., 1964, I, 1708),
degli agenti e rappresentanti di commercio (Corte cost. n. 59 del
1976, id., 1976, I, 892), di esercizio di determinate attività (im
pianto di biliardini: art. 86 t.u.l.p.s.) (Corte cost. n. 110 del 1973,
id., 1973, I, 2700)], ma perché il principio enunciato nella norma
nulla aggiunge alle dichiarazioni risultanti dall'art. 2 Cost., non
ché dall'art. 3, 2° comma, e dall'art. 4, 1° comma, venendo piut
tosto ad assumere, collocato come è all'inizio del titolo III, solo
una funzione introduttiva alle disposizioni che entrano a far par te di questo: cioè vuole, non già determinare i modi e le forme
della tutela del lavoro, ma solo enunciare il criterio ispiratore
comune alle disposizioni stesse, nelle quali ultime esclusivamente
sono poi da ritrovare le specificazioni degli oggetti della tutela
voluta accordare (Corte cost. n. 22 del 1967, id., 1967, I, 684;
n. 10 del 1970, id., 1970, I, 711; n. 98 del 1973, id., 1973, I,
2355), con la conseguenza che la generica applicabilità dell'art.
35, 1° comma, Cost, anche al lavoro svolto dagli agenti e rappre
sentanti di commercio non costituisce argomento per dedurre l'ap
plicabilità ai rapporti costituiti con soggetti non iscritti negli
appositi ruoli del più volte richiamato art. 2126, 1° comma, c.c.
Ritengono, poi, queste sezioni unite che non possa prestarsi
adesione, al fine di superare l'obiezione di eccezionalità della di
sposizione da ultimo ditata, alla tesi recentemente sostenuta da
una sentenza della sezione lavoro di questa corte per la quale
sarebbe ravvisabile nel precetto dell'art. 2126 c.c. oltre un nucleo
restitutorio; regolante gli aspetti economici delle prestazioni di
fatto del lavoratore e riconducibile ai principi generali sulla ripe
tizione dell'indebito* (art. 2033 c.c.), «una gamma di effetti e re1
gole specifiche corrispondenti alla varietà di istituti connessi al
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1427 PARTE PRIMA 1428
rapporto di lavoro subordinato» (trattamento previdenziale, di
sciplina della prescrizione, progressione in carriera a determinate
condizioni) e che solo «nella parte che tali ulteriori effetti ricono
sce» l'art. 2126 c.c. avrebbe «il carattere di norma eccezionale
derogativa della disciplina dell'invalidità del contratto e, in quan
to tale, non suscettibile di applicazione analogica», mentre nes
sun carattere di eccezionalità sarebbe «ravvisabile nella disposizione
sotto il profilo restitutorio», sicché, in questa parte, essa potreb
be essere estesa per analogia «ai rapporti caratterizzati, pur in
assenza di subordinazione, dalla prestazione di attività lavorativa
a favore di altri, sempreché non ostino disposizioni specifiche
(come, nel campo delle professioni intellettuali, l'art. 2231 c.c.)»
(Cass. 23 maggio 1987, n. 4681, cit.). È infatti in proposito da rilevare che l'obbligazione restitutoria
dell'accipiens indebiti — comunque si atteggi nei suoi concreti
contenuti — è ontologicamente diversa dall'obbligazione del da
tore di lavoro di corrispondere al lavoratore la retribuzione e di
conservargli ogni altro diritto e vantaggio nascente dal contratto
ex art. 2126 c.c.: mentre infatti la prima presuppone la mancanza
originaria della causa del contratto o il suo successivo venir meno
(con effetto retroattivo); la seconda si giustifica per la ecceziona
le inefficacia dell'invalidità del rapporto per il tempo in cui lo
stesso ha avuto esecuzione e tende a consolidare la situazione
conseguente all'esecuzione del contratto invalido.
Pertanto, poiché le obbligazioni del datore di lavoro ex art.
2126 c.c. hanno tutte natura eccezionale in quanto derogatorie
dei principi generali sulla nullità dei contratti (art. 1418 c.c.),
anche a voler individuarne, in via di pure ipotesi, fra le stesse
alcune di contenuto restitutorio quoad effectum (quelle che rego
lano gli aspetti economici del rapporto), tali obbligazioni, per
essere causalmente diverse da quelle che giustificano la ripetizio
ne dell'indebito oggettivo, non sono estensibili per analogia a rap
porti diversi da quello di lavoro subordinato, in quanto la loro
eccezionalità discende proprio dalla natura delle stesse e non può
essere negata per la ravvisabilità nell'ordinamento di altre obbli
gazioni aventi analogo contenuto, ma con diversa causa giuridica
(cfr., nello stesso senso, Cass. 12 aprile 1988, n, 2893 cit.).
L'inapplicabilità dell'art. 2126 c.c. non consente tuttavia di con
cludere che l'attività prestata dall'agente non iscritto nell'apposi
to ruolo previsto dalla 1. n. 316 del 1968 costituisca un fatto
giuridicamente irrilevante, in quanto la stessa — una volta esclu
sa la nullità per illiceità della causa o dell'oggetto del contratto
ed affermata invece per contrarietà a norma imperativa — sarà
disciplinata dai principi generali in tema di prestazioni non dovu
te di fare.
Concludendo, quindi, il denunciato contrasto deve comporsi
affermando il principio secondo cui il contratto di agenzia o rap
presentanza commerciale che sia stato stipulato con soggetto non
iscritto nell'apposito ruolo istituito dalla 1. 12 marzo 1968 n. 316
è nullo ai sensi dell'art. 9 della stessa legge per contrarietà a nor
ma imperativa, ma non per illiceità della causa o dell'oggetto. Al relativo rapporto non si applicano né l'art. 2231 c.c. perché il ruolo non assurge al valore ed alla caratteristica di uno degli albi o elenchi previsti dalla richiamata disposizione, né la norma
eccezionale contenuta nell'art. 2126, 1° comma, c.c., dettata per i rapporti di lavoro subordinato e non estensibile a quelli di lavo
ro autonomo, anche se tali rapporti si sono svolti nei confronti
di soggetto che si trovi, nei confronti del preponente, in una si
tuazione di c.d. parasubordinazione, ma i principi generali in te
ma di prestazioni non dovute di fare.
5. - La questione prospettata con l'ultimo profilo di ricorso
circa la fondatezza della domanda proposta nei limiti dell'azione
di arricchimento senza causa non può essere esaminata in questa sede trattandosi di questione nuova proposta per la prima volta
in Cassazione, dal momento che in sede di merito l'odierno ricor
rente aveva proposto la sua domanda facendo leva o sul rapporto di agenzia o sulla applicabilità allo stesso dell'art. 2126 c.c.
Seppure è vero che l'azione di arricchimento senza causa non
abbisogna di formule sacramentali per la sua proposizione, la
stessa — completamente diversa quanto a petitum e causa peten di dalla domanda di adempimento del contratto o di non applica bilità allo stesso dell'art. 2126 c.c. — è soggetta, ai fini della
sua proponibilità, ai principi generali e soprattutto a quello per il quale, nel giudizio di legittimità, a parte le questioni rilevabili
d'ufficio, non è ammissibile la deduzione di motivi che, contrad
II Foro Italiano — 1989.
dicendo la precedente impostazione difensiva, poggino le doman
de, istanze od eccezioni, su titoli diversi da quelli fatti valere nel
giudizio di merito (Cass. 20 dicembre 1982, n. 7026, id., Rep. 1982, voce Cassazione civile, n. 88; 24 giugno 1983, n. 4346, id.,
Rep. 1983, voce cit., n. 39; e successive conformi).
6. - La sentenza impugnata, corretta la motivazione nei sensi
in precedenza esposti, non merita quindi censura.
Il ricorso va rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 3 aprile
1989, n. 1611; Pres. Brancaccio, Est. Meriggiola, P. M. Ama
tucci (conci, conf.); Lodigiani (Avv. Bertora) c. Berziga (Aw.
Spezzaferri, Costa). Conferma App. Bologna 16 ottobre 1984.
Patto commissorio — Alienazione a scopo di garanzia — Trasfe
rimento immediato della proprietà — Vendita dissimulante mu
tuo con patto commissorio — Nullità (Cod. civ., art. 2744).
È nulla la vendita con patto di riscatto ove le parti, nel comune
intento di vincolare il bene a garanzia ed in funzione del rap
porto di mutuo sottostante, subordinino gli effetti del trasferi
mento, apparentemente immediato, all'adempimento del
debitore-venditore. (1)
(1) Le sezioni unite compongono il contrasto di giurisprudenza apertosi in seguito alla decisione 3 giugno 1983, n. 3800, Foro it., 1984, I, 212.
Da ultimo, si segnalano gli interventi della seconda sezione della Cassa
zione, nello stesso senso della sentenza riportata: Cass. 11 gennaio 1988, n. 46, id., 1988, I, 387, con nota di richiami, e 18 maggio 1988, n. 3462,
id., Mass., 509. In dottrina, ai riferimenti in nota alle decisioni citate nonché a Cass.
12 dicembre 1986, n. 7385, id., 1987, I, 799, si aggiungano Triola, in
Giust. civ., 1988, I, 1769 e Vigli, in Nuova giur. civ., 1988, I, 141.
Sull'illiceità della vendita con locazione finanziaria per violazione del
divieto del patto commissorio, cfr. le recenti Trib. Verona 15 dicembre
1988 e Trib. Vicenza 12 luglio 1988, Foro it., 1989, I, 1252, con ampia nota di richiami ed osservazioni di Simone.
* * *
Trasferimenti commissori e principio di causalità.
1. - Il tema dei rapporti tra divieto del patto commissorio e alienazioni
in garanzia è divenuto un classico della letteratura giuridica e ciò per un vario ordine di ragioni. Anzitutto, perché tocca punti nodali e centrali della teoria del contratto; in secondo luogo, perché si alimenta da una situazione di mercato contrassegnata dalla crisi delle garanzie tipiche e dalla ricerca di strumenti alternativi ad esse; in terzo luogo, per le affinità
che, a torto o a ragione, sono state riscontrate, tra alienazioni in garanzia e lease-back\ infine per l'esplosione giurisprudenziale avvenuta a far tem
po dal giugno del 1983 e cioè dal momento in cui si è rotta l'unità dell'in
dirizzo tradizionale ed è iniziata un'altalena di decisioni di segno opposto, peraltro orientate in prevalenza nel senso del ribaltamento di quell'in dirizzo (1).
Esistevano, pertanto, tutte le premesse per un intervento delle sezioni
unite che recuperasse il momento della certezza del diritto fortemente
compromesso dal succedersi delle decisioni di segno opposto. Finalmente le sezioni unite si sono pronunciate avallando la svolta del
giugno 1983 e concludendo per la nullità delle alienazioni a scopo di ga ranzia anche se risolutivamente condizionate. Non v'è dubbio che la pro nuncia va valutata positivamente perché avalla una soluzione globalmente
(1) La pronuncia della Cassazione 3 giugno 1983, n. 3800 è riprodotta in Foro it., 1984, I, 212 con nota di Macario; in Giust. civ., 1983, I, 2953, con nota di Azzariti; in Nuova giur. civ., 1985, I, 97, con nota di Roppo; in Quadrimestre, 1984, 347, con nota di Oberto. Successiva mente sono ritornate all'indirizzo tradizionale Cass. 22 gennaio 1985, n.
242, Riv. not., 1985, II, 1352; 12 dicembre 1986, n. 7385, Foro it., 1987, I, 799, e in Corriere giur., 1987, 287, con mia nota. Da ultimo, si erano
espresse in conformità del nuovo indirizzo le sentenze 16 aprile 1987, n. 3784 Foro it., Rep. 1987, voce Patto commissorio, n. 6 e 11 gennaio 1988, n. 46, id., 1988, I, 387. Per una sintesi degli orientamenti giurispru denziali anche risalenti, cfr. Bugani, in Nuova giur. comm., 1986, 30 ss.
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