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Sezioni unite civili; sentenza 11 dicembre 1979, n. 6452; Pres. T. Novelli, Est. Vela, P. M. Berri(concl. conf.); E.n.el. (Avv. P. Guerra, Picozzi, Paternò) c. Striano (Avv. Grieco). Conferma Trib.Napoli 27 luglio 1976Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1980), pp. 321/322-325/326Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171875 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ma nella motivazione della stessa sentenza è stata pur ricono
sciuta la eccezionalità del principio della sopravvivenza del man
dato e si è fatto riferimento solo all'art. 300 cod. proc. civ. sen
za prendere in considerazione la diversità dei rispettivi campi di
applicazione di questa e della precedente norma dell'art. 299, onde non appare esattamente indicata la specifica norma deroga trice di quella fondamentale dell'art. 1722, n. 4, cod. civ., che
possa estendere al caso in questione la eccezionale ultrattività della
procura alle liti.
Né può condividersi l'affermazione, contenuta nella sentenza
del 1977, secondo la quale le stesse ragioni processuali a tutela
della parte già rappresentata e dell'ordinato svolgimento del pro cesso che hanno giustificato le riconosciute deroghe alla norma ge nerale sulla estinzione del mandato per la sua sopravvivenza nel
medesimo grado del giudizio sussistono anche per la successiva
impugnazione. Invero, la imprescindibile esigenza di una nuova
costituzione e la maggiore responsabilità implicita in un atto di
impugnazione rispetto alle attività difensive, limitate al grado di
giudizio già iniziato durante la vita del mandante, rilevante an
che per la condanna alle spese di quello nuovo per l'applicazio ne dell'art. 96 cod. proc. civ., determinano, come già rilevato, una
notevole differenza tra le ipotesi considerate per la maggiore en
tità della connessa iniziativa e dei suoi effetti.
Attraverso le eccezioni ormai riconosciute dalla giurisprudenza sulla base delle norme indicate e delle esigenze di immediata ed
efficace difesa degli interessati successori si è ammessa quella eccezionale ultrattività del mandato, senza alterare il contraddit
torio nei confronti delle altre parti, assicurando, anzi, la regolare prosecuzione del medesimo secondo superiori esigenze di giusti zia e, sostanzialmente, con vantaggio anche per le controparti. Invero il menzionato distacco dei gradi del giudizio e la mag giore entità della iniziativa connessa alle impugnazioni (per la
quale il legislatore, nelle varie materie, pubbliche e private, chie de specifiche nuove autorizzazioni) produrrebbe una artificiosa
pregiudizievole prosecuzione del contraddittorio contro una in
gannevole figura senza corpo, priva in effetti di responsabilità e di collegamento con i soggetti interessati, senza una corrispon dente giustificazione di tutela di interessi dei successori della
parte nominalmente rappresentata. Né, esclusa la legittimazione in questione sulla base dei men
zionati art. 299 e 300 cod. proc. civ. correlativamente conside
rati, può ravvisarsi un elemento a favore della stessa nell'art. 286 cod. proc. civ., il quale statuisce che, ove l'ipotesi prevista dal suddetto art. 299 cod. proc. civ. si verifichi dopo la chiusura della discussione, la notificazione della conseguente sentenza si
può fare, anche a norma dell'art. 303, 2° comma, cod. proc. civ. a coloro ai quali spetta stare in giudizio.
Invero, quella disposizione, attraverso il duplice richiamo agli art. 299 e 303, 2° comma, cod. proc. civ. importa che l'evento mortale sia reso noto (il che non è avvenuto nella specie) perché altrimenti non troverebbe applicazione la seconda delle norme ci tate, non potendo certamente essere tra le parti cui spetta stare in giudizio il defunto per i cui eredi è prevista la notificazione impersonale nel suo ultimo domicilio.
Né vale il rilievo della resistente Cella sul fatto che il citato art. 286 statuisce che la notificazione da esso prevista « si può », e non « si deve », fare anche a norma del citato art. 303, 2° com ma, perché solo quella disposizione attribuisce alla parte inte ressata alla notificazione il potere di effettuarla ai soggetti indi cati in quanto spetti a costoro il precisato potere di stare in giu dizio, mentre non avrebbe senso una norma che prevedesse la notificazione a persone diverse da queste ultime. Né si può ca
povolgere ed estendere la norma con l'interpretarla nel senso che il diritto di notificazione passiva del difensore della parte dece duta per l'atto della parte incolpevolmente ignara dell'evento in terruttivo lo faccia rientrare tra le persone legittimate al giudi zio di grado successivo perché il citato art. 286 contiene i già precisati limiti di applicabilità e non dispone inversamente che siano legittimati a stare in giudizio tutti coloro ai quali possa essere fatta la notificazione della sentenza.
Analogamente, va osservato che neanche l'art. 328 cod. proc. civ. importa la legittimazione alla impugnazione da parte del di fensore della persona deceduta perché questa norma si limita a stabilire la nuova decorrenza dei termini per l'impugnazione nel caso di interruzione degli stessi per morte, di una parte e la
possibilità, già menzionata, di notificare agli eredi impersonal mente, senza che possa dedursi alcun elemento sulla legittima zione all'impugnazione per il precedente difensore del defunto.
Accogliendosi il primo motivo del ricorso, resta da statuire se, in seguito alla conseguente cassazione della sentenza per tale
parte, debba disporsi o meno il rinvio della causa al giudice di di merito e se rimangano o meno assorbiti gli altri due motivi.
Il Foro Italiano — 1980 — Parte /-21.
È da ritenere che l'inammissibilità dell'appello proposto dal
difensore del predefunto Cella importa la nullità degli atti del
giudizio di appello, svoltosi su iniziativa e nei confronti di un
soggetto non legittimato, in quanto siano dipendenti dall'atto
con il quale è stato proposto. Tale deve essere considerato, in
dipendentemente dal contenuto dei motivi e dei capi impugnati della sentenza di primo grado, l'appello della stessa amministra
zione finanziaria contenuto nella comparsa di costituzione. Que
st'ultimo, infatti, pur se proposto entro il maggior termine di cui
all'art. 327 cod. proc. civ. per la mancata notifica della senten
za impugnata, non può in alcun caso considerarsi autonomo in
quanto è stato notificato nel corso del procedimento, nella for
ma prevista dall'art. 170 cod. proc. civ. attraverso il deposito e
lo scambio della suddetta comparsa prpprio in quel giudizio nel
quale la legittima controparte (gli eredi del defunto Cella), non
era stata chiamata in causa né vi era comunque intervenuta, mentre il difensore costituito per il Cella non era legittimato se
non alla sola dichiarazione (non resa) dell'evento interruttivo.
Pertanto, anche quell'appello era subordinato, per la propria
efficacia, alla valida costituzione del contraddittorio, mancato
nella specie, ed è travolto dalla nullità dell'impugnazione princi
pale rimanendo assorbiti gli altri due motivi.
Per la natura e l'esito della causa, si ravvisano giusti motivi
per dichiarare la compensazione delle spese dei giudizi di ap
pello e di cassazione.
Per questi motivi, ecc.
\
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 11
dicembre 1979, n. 6452; Pres. T. Novelli, Est. Vela, P. M.
Berri (conci, conf.); E.n.el. (Avv. P. Guerra, Picozzi, Pater
nò) c. Striano (Avv. Grieco). Conferma Trib. Napoli 27 lu
glio 1976.
Impiegato dello Stato e pubblico — Ente pubblico economico —
Concorso per assunzione — Controversie — Giurisdizione
ordinaria (Legge 6 dicembre 1962, n. 1643, istituzione del
l'E.n.el., art. 13). Lavoro (rapporto) — E.n.el. — Concorso per assunzione — Clau
sola limitativa del titolo di studio — Illegittimità (Cost., art.
34, 41).
Rientrano nella giurisdizione ordinaria le controversie relative ad
un concorso di assunzione bandito da un ente pubblico eco
nomico (nella specie, l'E.n.el.). (1) È illegittima la clausola di un bando di concorso indetto dal
l'E.n.el. per l'assunzione di personale, con cui si escludono i
candidati in possesso di titolo di studio superiore a quello ri
chiesto. (2)
La Corte, ecc. — Rilevato in fatto. — Michelina Striano, as
sumendo di aver superato le prove di un concorso per dieci
posti di impiegato d'ordine, bandito dal compartimento di Na
poli dell'E.n.el., e di aver ricevuto la comunicazione della pro
pria assunzione e destinazione alla sede di Sala Consilina, ma
di non aver potuto prendere servizio perché l'ente aveva rile
vato che ella era in possesso di un titolo di studio superiore a
quello indicato nel bando, ricorse al Pretore di Napoli per ot
tenere la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento
dei danni.
L'E.n.el., costituitosi, eccepì pregiudizialmente l'incompetenza
per materia del pretore, sotto il profilo che non si era instaurato
alcun rapporto di lavoro con l'attrice; nel merito oppose che la
clausola del bando di concorso limitativa del titolo di ammis
sione, ben nota all'attrice, la quale l'aveva espressamente accet
tata, era pienamente legittima e conforme anche agli accordi con
i sindacati dei lavoratori; e che, comunque, la propria responsa bilità non avrebbe potuto esorbitare dai limiti segnati dall'art.
1337 cod. civile.
Il pretore, istruita la causa, accolse la domanda. Affermò la
propria competenza, in quanto ritenne comprese nella materia
(1-2) Con la sentenza che si riporta la Corte di cassazione conferma la sua precedente giurisprudenza: v. Sez. un. 18 settembre 1978, n. 4153, Foro it., 1979, I, 94, con nota di richiami di C. E. Gallo, che aveva già affermato la giurisdizione ordinaria nelle controversie re lative ad un concorso di assunzione bandito da un'azienda municipa lizzata, e sent. 25 febbraio 1978, n. 972, id., 1978, I, 1159, conforme alla massima (2) con l'unica, irrilevante, differenza che in quel caso il superiore titolo di studio era stato conseguito successivamente alla domanda e alla partecipazione al concorso, anche se preceden temente all'assunzione.
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PARTE PRIMA
del lavoro le controversie inerenti alla fase costitutiva del rap
porto di lavoro, e, comunque, quest'ultimo già concluso nella
specie; dichiarò che la clausola del bando relativa al titolo di
studio era illegittima; condannò il convenuto a reintegrare l'at
trice nel posto di lavoro ed a risarcirle i danni.
Propose appello l'E.n.el. per due motivi.
Con il primo impugnò la statuizione sulla competenza, tra
l'altro sostenendo in fatto che il rapporto non si era concluso,
poiché nessun atto di assunzione in servizio della Striano era
stato emesso dal capo del compartimento, unico legittimato a
provvedere in merito; con il secondo ripetè che la contestata
clausola del bando era legittima. Quindi concluse chiedendo « una
integrale riforma della sentenza impugnata, sia per quanto at
tiene all'ordine di riassunzione in servizio, sia per quanto si
riferisce alla parte economica».
L'appello è stato però respinto dal tribunale.
Questi ha anzitutto riaffermato la competenza del giudice del
lavoro, osservando che siccome al riguardo occorre considerare i presupposti e l'oggetto della domanda, indipendentemente dalla sua fondatezza, esattamente Striano erasi rivolta a quel giudice, dal momento che sosteneva di essere stata già assunta dall'E.n.el.: che poi tale asserto fosse o meno fondato, era questione che
apparteneva al merito e come tale irrilevante in sede di deter minazione della competenza. Ha poi ribadito che la clausola limi tativa del titolo di studio è illegittima, in quanto per un verso è priva di giustificazione plausibile e foriera di disparità di trat tamento fra il personale dell'ente, per un altro verso contrasta con
gli art. 41, 34 e 4 Cost. Infatti essa finisce per operare in dire zione opposta a quella indicata dall'art. 34, il quale garantisce a tutti il diritto di progredire negli studi; e privando di valore il titolo conseguito prima del concorso, pone un'ingiustificata di
scriminazione rispetto a coloro che quel titolo acquisiscano nel corso del rapporto di lavoro, fruendo delle agevolazioni che lo stesso E.n.el. ha predisposto. Né la si può ammettere per favo
rire, nelle prove di esame, i meno colti, o per evitare riflessi ne
gativi sul rendimento del lavoro e sullo svolgimento delle car riere: la disoccupazione affligge, infatti, in misura notevole an che i settori dei laureati e diplomati e, d'altro canto, il datore di lavoro non d'altro deve darsi carico che di accertare in sede di esame la preparazione specifica dei candidati. Infine il tribunale ha negato ingresso ad un'ultima doglianza dell'appellante, rela tiva all'ordine di reintegrazione, osservando che essa era stata formulata dal difensore soltanto nell'udienza di discussione e
quindi tardivamente.
Di questa sentenza chiede la cassazione l'E.n.el. per due mo
tivi, illustrati anche con memoria ed accresciuti, in una prece dente udienza innanzi alla sezione del lavoro, da un'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Striano resiste con controricorso.
Ritenuto in diritto. — A sostegno dell'eccezione di difetto di
giurisdizione, l'E.n.el. adduce che sia quando delibera di reclu tare il proprio personale mediante concorso anziché per il tramite
degli uffici di collocamento, sia quando fissa nel bando i re
quisiti di ammissione dei candidati, esercita il potere di orga nizzazione che gli spetta in quanto ente pubblico e che non ammette la contrapposizione di diritti soggettivi. Pertanto solo il giudice amministrativo avrebbe potuto valutare la legittimità della clausola della cui applicazione si duole l'attrice.
L'eccezione non è fondata. Striano non ha impugnato la deli berazione relativa alla indizione del concorso: dunque non è richiamata a proposito dal ricorrente la sentenza 25 ottobre 1978, n. 4822 (Foro it., Rep. 1978, voce Energia elettrica, n. 42) di
queste sezioni unite, ove è stata individuata la giurisdizione del
giudice amministrativo in ordine alle controversie sulla legitti mità di provvedimenti di quel tipo. Ma Striano non ha impu gnato neppure, almeno in via immediata e diretta, il bando di concorso. Secondo il suo assunto, seguito dal pretore e ritenuto non più contestabile dal tribunale, essa è stata licenziata ille
gittimamente, ossia è stata privata del posto di lavoro quando già questo le era stato attribuito; e la clausola del bando, cui si è richiamato l'E.n.el. nell'adottare il provvedimento, costitui rebbe solo la ragione per la quale il rapporto è stato troncato. Di fronte a tale enunciazione dei fatti, non v'è dubbio che sus sista la giurisdizione del giudice ordinario per effetto dell'art. 13, 3° comma, legge 6 dicembre 1962 n. 1643, che dispone: « il
rapporto di lavoro del personale dipendente dall'ente nazionale è regolato dalle norme di diritto privato e su base contrattuale, collettiva ed individuale; in sede giurisdizionale la competenza a conoscere delle relative controversie è attribuita all'autorità giudiziaria ordinaria ». Infine, e comunque, tale competenza sus siste anche se si ritenga che l'azione è diretta immediatamente ed esclusivamente contro l'esito negativo del concorso. E ciò sia
perché l'articolo appena citato, chiarendo che la costituzione del
rapporto di lavoro con l'E.n.el. avviene « su base contrattuale », esclude la presenza di momenti autoritativi in quella fase; sia
perché questa stessa conclusione deve trarsi, più in generale, ed
è stata di recente tratta con le sentenze 18 settembre 1978, nn. 4153-4165 (id., 1979, I, 94), dagli art. 2093 cod. civ. e 409, n. 4, cod. proc. civ., nuovo testo, per tutti gli enti pubblici eco
nomici: se a questi, infatti, si applica senza limitazioni la disci
plina sostanziale e processuale del rapporto di lavoro privato, non v'è ragione per escludere dalla regola la fase di formazione
del rapporto stesso, che di quella disciplina è certamente oggetto. Né potrebbe diversamente argomentarsi dalla distinzione che
presiede al riguardo fra giurisdizione generale di legittimità e
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle contro
versie originate rispettivamente dalla costituzione e dallo svolgi mento del rapporto di impiego pubblico. La distinzione è im
posta dalla configurabilità di diritti soggettivi dell'impiegato e
non anche del candidato al posto, diritti i quali non potrebbero essere conosciuti in sede di giurisdizione sugli interessi. Non ha
senso, invece, laddove quella distinzione non ha ragione d'es
sere, perché il datore di lavoro — sia esso un privato, oppure un ente pubblico economico — per la sua soggezione alla disci
plina del rapporto di lavoro non può accampare alcun potere pubblico.
Si deve quindi procedere all'esame del merito del ricorso, con il cui primo motivo l'E.n.el., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., denuncia per violazione degli art. 3, 4, 34, 41, 97 Cost, e 1322 cod. civ. il giudizio negativo espresso dal tri bunale sulla clausola limitativa del titolo di studio. L'ente tiene a sottolineare che la clausola viene inserita nei suoi bandi d'ac cordo con i sindacati, per evitare che sortiscano effetti aberranti da disposizioni dei contratti collettivi con essi stipulati, le quali prevedono vari incentivi per i dipendenti desiderosi di continuare
a progredire negli studi, stabiliscono inquadramenti differenziati
in funzione del possesso di determinati titoli di studio, impon
gono di coprire i posti vacanti nelle categorie superiori anzi
tutto con concorsi interni. Infatti, se non si impedisse che per sone meno istruite, siano esse disoccupate o già in servizio, si
trovino a concorrere con i diplomati o i laureati, dai quali sa
rebbero inevitabilmente superate, si violerebbe, per un verso, il
principio costituzionale di eguaglianza e per un altro verso si
provocherebbe un'eccessiva mobilità del personale nei quadri in
terni, con pregiudizio dell'altra regola, anch'essa di rilievo costi
tuzionale, del buon andamento dell'amministrazione pubblica. Né
è esatto opporre i principi posti negli art. 4 e 34 Cost., i quali si dirigono ai pubblici poteri e comunque non interferiscono nel
l'autonomia di cui gode il datore di lavoro relativamente alla
determinazione dei requisiti dei lavoratori di cui ha bisogno.
Questi argomenti, ad onta del loro indubbio peso, dimostrato anche dall'adesione ricevuta in parte dalla giurisprudenza di me
rito, non sono persuasivi e non inducono le sezioni unite a mu tare l'avviso già espresso dalla sezione del lavoro della corte con la sentenza 25 febbraio 1978, n. 972 (id., 1978, I, 1159), in una
fattispecie analoga (unica irrilevante differenza essendo che, al
lora, il titolo di studio era stato acquisito nelle more fra la do manda di partecipazione al concorso e l'assunzione in servizio, mentre ora esso apparteneva all'attrice già prima della domanda).
La predeterminazione dei criteri di selezione dei candidati rientra certamente nell'autonomia del datore di lavoro che sia le
gittimato a provvedersi di personale con il sistema del concorso, anziché per il tramite dell'ufficio di collocamento. Ma è inutile
appellarsi all'art. 1322 cod. civ., che quell'autonomia riconosce ad
ogni contraente nei confini imposti dalla legge, se poi la si eser cita in modo contrastante con principi fondamentali dell'ordina mento, oltre che con specifici precetti di legge ordinaria.
La clausola in questione non si limita a rendere irrilevanti i titoli di studio superiori a quelli reputati necessari dall'ente per ricoprire determinati posti nell'azienda: se a tanto si riducesse la sua portata, sarebbe ben difficile sindacare le scelte che con essa si sono manifestate, non potendosi negare all'imprenditore, pubblico o privato che sia, la facoltà di prescindere, nella predi sposizione dei criteri di selezione del personale, da qualificazioni e titoli pubblici, a meno che questi non siano resi espressamente necessari dalla legge per lo svolgimento dell'attività professionale. La clausola, invece, va ben oltre, perché assume quei titoli a motivo di preclusione all'accesso ai posti e quindi, convertendo in pregiudizio ciò che dovrebbe essere una conquista, li considera addirittura come requisiti negativi. Essa, allora, finisce per ope rare in senso diametralmente opposto a quello indicato dall'art. 34, 3° comma, Cost., che attribuisce ai capaci ed ai meritevoli il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi, essendo evi dente che non solo scoraggia coloro che tentino di esercitare tale
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
diritto, ma colpisce anche chi sia riuscito a realizzarlo. Il che
non è ammissibile per un duplice ordine di ragioni. Non lo è anzitutto perché il fatto che la disposizione costitu
zionale si diriga, insieme a tutte le altre contenute nello stesso
articolo, ai poteri pubblici, sollecitandoli a « rendere effettivo »
il diritto agli studi, onde gli altri soggetti dell'ordinamento, com
presi gli enti pubblici, non sono tenuti a fare alcunché, non
toglie che essa, considerata in relazione alle situazioni che in tende proteggere, costituisca specificazione: a) di un orientamento fondamentale dello Stato, teso a favorire lo sviluppo culturale della società e del quale si è avuta una concreta espressione nel settore del lavoro con le disposizioni contenute nell'art. 10 legge 20 maggio 1970 n. 300; b) di uno dei fondamentali diritti di
libertà della persona umana. Di conseguenza la disposizione rea
lizza due dei limiti segnati dall'art. 41, 2° comma, Cost, alla li
bertà di iniziativa economica: quello dell'utilità sociale e quello della libertà individuale.
Può essere che la clausola sia preordinata, nell'intento delle
parti stipulanti, anche alla tutela di coloro che non siano riusciti
ad andare avanti nella scuola. Ma, a parte l'ammissibilità del con
fronto, che cosi si viene a proporre, fra un'esigenza avvertita e
proclamata dal legislatore costituzionale (qual'è quella della pro
gressione negli studi) ed un'esigenza rilevata da un singolo sog getto, per di più sfornito di poteri specifici nel settore di cui vor
rebbe ingerirsi (non può certo dirsi che l'E.n.el. abbia fra i suoi
compiti istituzionali quello di alleviare la disoccupazione), la
giustificazione si rivela inattendibile già pel fatto che l'esclusione
di una categoria di disoccupati dai concorsi per certe mansioni
è assoluta, sicché vulnera il diritto di quei cittadini di lavorare
secondo le proprie possibilità e le proprie scelte (art. 4 Cost.; altra cosa sono i concorsi che di tanto in tanto possono bandirsi
per categorie speciali, in ottemperanza ad apposite disposizioni
legislative). Quanto al rapporto con la legge ordinaria, il possesso di un ti
tolo di studio superiore a quello richiesto per l'ammissione al
concorso costituisce un fatto non rilevante ai fini dell'attitudine
professionale del lavoratore e quindi, a norma dell'art. 8 legge 20 maggio 1970 n. 300, il datore di lavoro non è legittimato a
verificarne l'esistenza e a trarne conseguenze negative per il la
voratore stesso.
Invero, se di fronte al contenuto obiettivo dell'art. 8 bisogna constatare che la norma, andando ben oltre la sua stessa rubrica
ed il fine precipuo considerato dal Parlamento (v., per es., la
relazione della XIII commissione permanente della Camera dei
deputati), impedisce di indagare non soltanto sulle opinioni del
lavoratore, ma su tutto ciò che sia estraneo alla di lui capacità
professionale, non v'è ragione per sottrarre all'ambito della sua
efficacia la fattispecie in esame ed omettere la verifica sull'atti
nenza a quella capacità del titolo di studio superiore. Ora sul
punto il tribunale ha osservato che tale rapporto non sussiste, in
base al duplice rilievo che « un qualcosa in più » non può dimo
strare minori attitudini, e che anzi lo stesso lE.n.el. lascia inten
dere di avere interesse •— come ogni altro datore di lavoro —
al progresso culturale dei propri dipendenti, perché predispone incentivi allo studio.
Tutt'altra cosa sono poi gli inconvenienti che l'ente denuncia
come conseguenza di clausole della contrattazione collettiva che
collegano ai titoli di studio alcuni benefici economici e di car
riera. A parte l'evidente contraddizione in cui si pongono quelle clausole con le altre del tipo che si sta esaminando, è intuitivo
che, se agli inconvenienti si deve porre rimedio, questo non può certo essere reperito in comportamenti contrari alla legge, ma
piuttosto in adeguate riforme della disciplina collettiva.
Il motivo, quindi, deve essere respinto. (Omissis). Per questi motivi, ecc.
« CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; ordinanza 5 dicem
bre 1979, n. 516; Pres. Persico, Rei. O. Fanelli, P. M. Mi
netti (conci, diff.); Cattarinich (Avv. Paleologo) c. I.n.p.s.
(Avv. Belloni, Casalena, Boer).
Previdenza sociale — Pensione di riversibilità — Coniuge se
parato per colpa — Esclusione — Questione non manifesta
mente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3; legge 30
aprile 1969 n. 153, revisione degli ordinamenti pensionistici e
norme in materia di sicurezza sociale, art. 24).
Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame
alla Corte costituzionale) la questione di costituzionalità del
l'art. ti, 1° comma, n. 1, d. 1.1. 18 gennaio 1945 n. 39, nel te
sto sostituito dall'art. 7 legge 12 agosto 1962 n. 1338 e ripro
dotto dall'art. 24 legge 30 aprile 1969 n. 153, nella parte in
cui esclude dal diritto alla pensione di riversibilità il coniuge
separato per colpa propria, in riferimento all'art. 3 Cost. (1)
La Corte, ecc. — Ritenuto in fatto: che la domanda di
pensione di invalidità avanzata da Anna Maria Cattarinich, ve
dova di Antonio Chifari, dipendente dell'E.n.el. deceduto il 21
marzo 1970, dal quale viveva separata per la di lei colpa come
come da sentenza del Tribunale di Palermo del 5 novembre
1960, passata in giudicato, è stata respinta prima dall'I.n.p.s. in
sede amministrativa, indi dal Tribunale di Palermo, davanti al
quale la Cattarinich aveva convenuto l'istituto, e dalla Corte
d'appello di Palermo, che ha rigettato il gravame dalla stessa
proposto; che avverso tale decisione la Cattarinich ho proposto ricorso
a questa corte, sostenendo che con riguardo al fondo speciale di previdenza per i lavoratori dipendenti dalTE.ti.el. e dalle
aziende elettriche private (a carico del quale dovrebbe gravare la pensione da essa richiesta), come ridisciplinato dalla legge 25 novembre 1971 n. 1079, non dovrebbe sussistere il divieto,
posto in via generale nell'assicurazione obbligatoria per l'inva
lidità, la vecchiaia e ì superstiti dall'art. 24 legge 30 aprile 1969
n. 153, per la concessione della pensione di riversibilità al coniu
ge separato per propria colpa; e riproponendo, per il caso di
rigetto di tale censura, la questione di legittimità costituzionale
del cit. art. 24 per contrasto con gli art. 3 e 38 Cost.; Considerato in diritto: che, contrariamente all'assunto, della
ricorrente, la esclusione della pensione di riversibilità per il
coniuge separato per sua colpa con sentenza passata in giudi cato, stabilita dall'art. 1, 1° comma, n. 1, d. 1.1. 18 gennaio 1945
n. 39, nel testo sostituito dall'art. 7 legge 12 agosto 1962 n. 1338
e indi riprodotto, in parte qua, dall'art. 24 legge 30 aprile 1969
n. 153, deve ritenersi applicabile anche quanto alle pensioni ero
gate dal fondo speciale di previdenza per i dipendenti dell'E.n.el.
e delle aziende elettriche private, istituito presso l'I.n.p.s. dalla
legge 31 marzo 1956 n. 93, il cui art. 19 recava disposizione identica a quella, ora menzionata, posta dalla disciplina comune,
perché la legge 25 novembre 1971 n. 1079, di modifica del fon
do, con l'art. 9 ha richiamato tale disciplina comune, disponen do che « in caso di morte di un pensionato o di un iscritto al
fondo ... si applicano ai superstiti... le norme dell'assicurazio
ne generale obbligatoria, sia per quanto riguarda il diritto alla
pensione e alla sua erogazione, sia per quanto concerne il nu
cleo familiare...», ed ha conseguentemente, con l'art. 18, lett.
a, abrogato, fra gli altri, l'art. 19 legge del 1956, onde tale abro
gazione non può significare, come vorrebbe la ricorrente, eli
minazione del divieto, sibbene soltanto suo adeguamento anche
formale, oltreché, come in precedenza, sostanziale, alla discipli
na generale; che pertanto assume rilevanza la questione di legittimità co
stituzionale che la ricorrente ha sollevato appunto quanto alla
norma dettata in sede di disciplina generale dell'assicurazione ob
bligatoria; che essa è peraltro manifestamente infondata in relazione al
l'art. 38 Cost.; quanto al primo comma di detta norma, che at
tribuisce ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mez
zi il diritto al mantenimento e all'assistenza sociale, perché del
tutto estraneo al caso, attinente alla previdenza, e non all'assi
stenza, tant'è che non si fa affatto questione di inabilità al la
voro e indigenza della ricorrente la quale, ove si trovasse in pos
sesso dei requisiti atti a farla fruire dell'assistenza pubblica, agli
organi erogativi di questa potrebbe rivolgersi indipendentemente dalla insussistenza del diritto alla pensione di riversibilità da es
sa preteso; e quanto al secondo comma (cui peraltro la ricor
rente non fa esplicito richiamo), perché il diritto dei lavoratori — da esso garantito — a che siano preveduti e assicurati mezzi
adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malat
tia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria, non ri
guarda la estensione della garanzia ad altri soggetti, né la norma
costituzionale detta le condizioni di tale estensione (Cass. 15
gennaio 1974, n. 122, Foro it., 1974, I, 639) onde, se pure in ipo
tesi mancasse del tutto la previsione di un trattamento previden
ziale a favore dei superstiti, non per questo sarebbe violato il
precetto costituzionale; e a maggior ragione non lo è per le li
ti) Questione già sollevata, anche con riferimento all'art. 38 Cost., da Pret. Genova, ord. 22 settembre 1978, Foro it., 1979, I, 1100,
con nota di richiami. Sulla pensione di riversibilità v., da ultimo, Corte cost. 6 dicembre
1979, n. 140 e 6 dicembre 1979, n. 139, id., 1980, I, 9, con nota di
richiami; Cass. 22 maggio 1979, n. 2975, id., 1980, I, 185, con nota
di richiami.
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