sezioni unite civili; sentenza 19 dicembre 1990, n. 12032; Pres. Sandulli, Est. Favara, P.M.Paolucci (concl. conf.): Malvezzi Campeggi (Avv. Annotta) c. Monte dei Paschi di Siena (Avv.Casulli) e Min. finanze (Avv. dello Stato D'Amato). Regolamento di giurisdizioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 2129/2130-2135/2136Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185562 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
posta» (art. 32, 3° comma). Questi soggetti non sono quindi
soggetti Iva e sono «esentati dalla presentazione della dichiara
zione annuale e dal versamento dell'imposta» (art. 32, 1°
comma). Ciò comporta che quando il volume d'affari è inferiore ai
ventuno milioni annui il pescatore se non paga l'Iva sul pesce, al momento della pesca, e non la paga trattandosi di prodotti della natura, egli, quale non soggetto Iva, non potrà scaricare
neppure in maniera forfetaria, com'è consentito ai pescatori con
un volume d'affari superiore ai 21 milioni, neppure l'Iva paga ta sugli attrezzi (rete, ami, nafta se la barca è a motore, ecc.). Ma come si è visto il regime speciale per la pesca è predisposto
per venire incontro a soggetti ritenuti dallo stesso ordinamento
come soggetti più deoboli, i quali sono sempre liberi di rinun
ciare al sistema agevolato, reinserendosi nell'ordinario regime forfetario proprio dei soggetti Iva.
In conclusione, il prezzo d'asta, cosi come documentato dal
l'emissione dei fogli d'asta e dalle bollette di consegna, trattan
dosi della prima cessione tra pescatore e grossista non è com
prensivo dell'Iva, poiché trattasi di cessione effettuata in regime di esonero dall'imposta. Di conseguenza, non essendo stata pa
gata l'Iva da parte della società acquirente, che ha emesso auto
fattura attestante l'avvenuto esonero, nessuna detrazione è pos sibile a favore della soc. Ambriapesca in quanto non è consenti
to portare in detrazione l'imposta che non risulta pagata. Il ricorso va, pertanto, respinto.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 19 di
cembre 1990, n. 12032; Pres. Sandulli, Est. Favara, P.M.
Paolucci (conci, conf.): Malvezzi Campeggi (Avv. Annot
ta) c. Monte dei Paschi di Siena (Avv. Casulli) e Min. fi
nanze (Avv. dello Stato D'Amato). Regolamento di giuris
dizione.
Riscossione delle imposte — Esecuzione esattoriale — Azione
di risarcimento — Giurisdizione ordinaria (D.p.r. 29 settem
bre 1973 n. 602, disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito, art. 53, 54).
È proponibile dinanzi al giudice ordinario, dopo il compimento
dell'esecuzione esattoriale, l'azione di risarcimento contro l'e
sattore da parte del contribuente che si assuma leso nei suoi
diritti dall'illegittimità della procedura esecutiva esattoriale,
ai sensi degli art. 53 e 54 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 2 no
vembre 1990, n. 10553; Pres. Brancaccio, Est. R. Sgroi, P.M. Caristo (conci, conf.); Forasiepi (Avv. Sebastiani) c.
Min. finanze ed altro. Cassa Comm. trìb. centrale 27 marzo
1985, n. 3518.
(1) Non si rinvengono pronunzie contrarie al principio affermato nella
massima, dato per pacifico dalla giurisprudenza che, di solito, si è preoc
cupata di ribadire la proponibilità dell'azione di risarcimento solo dopo il compimento dell'esecuzione (Cass. 13 marzo 1987, n. 2637, Foro it.,
1988, I, 3404; 15 ottobre 1986, n. 6040, id., Rep. 1987, voce Riscossio
ne delle imposte, n. 70; 21 novembre 1984, n. 5943, id., Rep. 1984, voce cit., n. 99 e id., 1985, I, 1722; Comm. trib. centrale 1° aprile
1989, n. 2403, Bollettino trib., 1990, 69 (m.); App. Roma 23 giugno
1980, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 77; Trib. Civitavecchia 16 giu
gno 1980, ibid., n. 81). Per riferimenti di carattere generale sull'esecuzione esattoriale, v. Tar
Toscana, sez. I, 25 marzo 1991, n. 104, id., 1991, III, 330 (in ordine
alla sua sospensione ad opera del giudice amministrativo); Cass. 1° giu
gno 1990, n. 5152, ibid., I, 531, con nota di Annecchino (sulla nuova
disciplina introdotta dal d.p.r. 28 gennaio 1988 n. 43); Tar Campania, sez. I, 30 giugno 1987, n. 399, id., 1989, III, 58, con nota di Verrienti.
Ir Foro Italiano — 1991.
Tributi in genere — Contenzioso — Ricorso alle commissioni
tributarie — Cessione dell'azienda — Imposta per la plusva lenza — Avviso di mora — Impugnazione — Ammissibilità
(Cod. proc. civ., art. 615 a 619; d.p.r. 26 ottobre 1972 n.
636, revisione della disciplina del contenzioso tributario, art.
16; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602, art. 53, 66).
Il terzo cessionario d'azienda, responsabile del pagamento del
l'imposta gravante sul cedente per la plusvalenza realizzata con la cessione ai sensi dell'art. 66 d.p.r. 29 settembre 1973
n. 602, è abilitato ad impugnare dinanzi alle commissioni tri
butarie l'avviso di mora notificatogli dall'esattoria comunale
ai sensi dell'art. 16 (anche nella vecchia formulazione) d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636. (2)
I
Svolgimento del processo. — Con citazione del 25 giugno 1982
Lucio Malvezzi Campeggi conveniva davanti al Tribunale di Ro
ma l'amministrazione finanziaria dello Stato e l'esattoria comu
nale di Roma e chiedeva dichiararsi la nullità della procedura esecutiva svoltasi nei suoi confronti, all'esito della quale la quo ta di sua pertinenza (pari al 50%) di un immobile sito in Roma,
dopo il terzo incanto, era stata devoluta allo Stato. Precisava
che l'esattoria comunale, agendo per il recupero di credito (re lativi a debiti d'imposta accertati nei confronti suoi e del fratel
lo Roberto, nonché a debiti d'imposta suoi propri) e avvalendo
si della facoltà prevista dell'art. 50 d.p.r. 602/73, si era surro
gata ad altri creditori nel pignoramento immobiliare da costoro
effettuato ed aveva portato a compimento la procedura esecuti
va, conclusasi con la devoluzione dell'immobile allo Stato per essere andati deserti i primi tre incanti. L'istante assumeva che
la procedura doveva considerarsi nulla poiché al momento in
cui era stata pronunciata la devoluzione il debito d'imposta era
stato già soddisfatto con l'acquisizione di valori di importo su
periore a quello azionato, per la devoluzione della quota ideale
di pertinenza di suo fratello Roberto e l'assegnazione di altri
crediti per canoni locatizi a lui spettanti. Chiedeva inoltre la
condanna dell'esattoria comunale al risarcimento dei danni e
del ministero delle finanze al rendiconto dei frutti percepiti.
(2) Sulle azioni esperibili dal cessionario d'azienda in ordine ai debiti
tributari del cedente, la Commissione tributaria centrale si è espressa in termini non univoci, ora negando la proponibilità del ricorso alle
commissioni tributarie e limitandone il diritto al ricorso all'intendente di finanza — ex art. 53 d.p.r. 602/73 — e all'azione risarcitoria dopo il compimento dell'esecuzione — ex art. 54 d.p.r. cit. — (dee. 19 mag
gio 1985, n. 4356, Foro it., Rep. 1988, voce Tributi in genere, n. 875) ora consentendola per questioni di merito contro l'atto dichiarativo del
la sua responsabilità solidale (dee. 6 maggio 1987, n. 3727, id., Rep. 1987, voce Riscossione delle imposte, n. 71) e per la contestazione dei
soli presupposti dei vincolo inerente a detta sua corresponsabilità (dee. 14 aprile 1986, n. 3237, ibid., voce Tributi in genere, n. 795), su questa ultima via seguita da alcune pronunzie delle commissioni di merito (Com miss. trib. I grado Pistoia 20 aprile 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 782).
La Cassazione, invece, si era in precedenza espressa, sia pure implici tamente, in termini contrari a quanto deciso con la sentenza in epigra fe, con le pronunzie richiamate in motivazione per ridimensionarne la
portata rispetto all'interpretazione datane dalla Commissione tributaria
centrale nella decisione cassata. La Corte costituzionale è di recente (sent. 24 maggio 1991, n. 219,
G.U., la s.s., 29 maggio 1991, n. 21) intervenuta sull'art. 66 d.p.r. n. 602, ravvisandone la compatibilità con l'art. 24 Cost, sul rilievo che
«la tutela del cessionario d'azienda non è confinata alla mera possibili tà del ricorso all'intendente di finanza (ex art. 53 d.p.r. 602/73) per la sospensione dell'esecuzione e all'eventuale giudizio civile di risarci
mento del danno per illegittima esecuzione (ex art. 54, 3° comma, ulti
ma parte, dello stesso decreto) essendo stata estesa fino all'impugnativa dell'avviso di mora». Per la corte «deve pertanto affermarsi — come
peraltro ritenuto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione proprio in riferimento alla fattispecie delle cessioni d'azienda (cfr. Cass. 2 no
vembre 1990, n. 10553, in epigrafe) — che anche al cessionario non
sia preclusa la possibilità di far valere le sue ragioni nel processo tribu
tario impugnando autonomamente l'avviso di mora».
In dottrina, cfr. F.D. Napoli, La responsabilità del cessionario d'a
zienda nella normativa tributaria, in Tributi, 1984, fase. 9, 61; G. Pas
saro, La responsabilità del cessionario d'azienda (nota a Commiss. trib.
I grado Pistoia, 20 aprile 1984, cit.), in Bollettino trib., 1985, 914; R.
Napolitano, La responsabilità tributaria del cessionario di azienda, id.,
1984, 1399.
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2131 PARTE PRIMA 2132
L'amministrazione finanziaria deduceva l'improponibilità della
domanda in quanto eventuali vizi della procedura esecutiva non
potevano dare luogo a giudizi di opposizione ex art. 615 e 617
c.p.c., data l'irretrattabilità dell'esecuzione esattoriale, ma solo
ad un'azione di risarcimento del danno verso l'esattore ad ese
cuzione esaurita (art. 54 d.p.r. 602/73). L'esattoria contestava
l'esistenza dei vizi della procedura esecutiva e deduceva che co
munque la domanda era inammissibile per l'irretrattabilità dei
risultati conseguiti con l'esecusione esattoriale, che copre ogni
eventuale vizio del procedimento. Il tribunale rigettava la domanda. La Corte d'appello di Ro
ma, a seguito di impugnazione del Malvezzi e dell'amministra
zione finanziaria, in parziale riforma della sentenza di primo
grado, condannava il Malvezzi a pagare all'amministrazione fi
nanziaria la somma di lire 5.541.900 oltre interessi per un credi
to maturato prima della data della devoluzione: rigettava invece
l'appello principale del Malvezzi, ritenendo che i vizi della pro
cedura esecutiva erano in realtà inesistenti e che perciò era pri
va di fondamento anche la domanda di risarcimento dei danni
nei confronti dell'esattore per la dedotta, ma disattesa, nullità
della procedura. Avverso questa sentenza proponeva ricorso per cassazione il
Malvezzi Campeggi, in base a tre motivi. Resistevano con con
troricorso l'amministrazione finanziaria e l'esattoria comunale
di Roma (il Monte dei Paschi di Siena). Quest'ultima, dopo
la fissazione dell'udienza di discussione dinanzi alla terza sezio
ne civile di questa corte, in memoria, ha eccepito il difetto di
giurisdizione del giudice ordinario, poiché ai sensi dell'art. 54
d.p.r. 602/73 l'azione risarcitoria nei confronti dell'esattore per
irregolarità degli atti esecutivi dell'esattore è improponibile, in
quanto concreta un'opposizione avverso atti amministrativi ri
spetto ai quali sussiste per l'esecutato una posizione di interesse
legittimo, tutelabile unicamente davanti al giudice amministrati
vo. A seguito di ciò il presidente della sezione ha rimesso gli
atti al primo presidente di questa corte, che ha disposto l'asse
gnazione della causa alle sezioni unite limitatamente alla predet
ta questione di giurisdizione. Motivi della decisione. — L'esattoria comunale ha eccepito
il difetto di giurisdizione del giudice ordinario riguardo alla do
manda di risarcimento del danno proposta nei suoi confronti
dal Malvezzi Campeggi per un'asserita irregolarità degli atti della
procedura esecutiva esattoriale. L'azione risarcitoria, secondo
l'esattoria, concreta un'opposizione agli atti esecutivi, che è im
proponibile ai sensi dell'art. 53 d.p.r. 602/73, in quanto, per
accertare l'antigiuridicità della procedura, si viene ad esercitare
un controllo sulla regolarità degli atti esecutivi: controllo che
nel sistema di legge è attribuito all'intendente di finanza, su
ricorso del contribuente (o degli altri interessati indicati nella
predetta norma), titolare di un interesse legittimo alla regolarità
della procedura esattoriale e non di un diritto soggettivo.
L'eccezione è priva di fondamento, in quanto postula una
improponibilità della domanda risarcitoria che, se sussistente
durante il corso della procedura esecutiva, più non ricorre dopo
il compimento di questa. Secondo la disciplina risultante dagli art. 53 e 54 d.p.r. 29
settembre 1973 n. 602, infatti, nell'esecuzione promossa dall'e
sattore, il controllo sulla regolarità degli atti della procedura è attribuito in sede amministrativa all'intendente di finanza, al
quale è riservata la decisione su ogni istanza (di sospensione
o di merito) avanzata dalle parti, senza che il giudice ordinario
possa interferire sui provvedimenti amministrativi adottati nel
corso della procedura medesima. In particolare, detto giudice non può essere adito in via di opposizione all'esecuzione (ex
art. 615 c.p.c.) o agli atti esecutivi (ex art. 617 c.p.c.). In tale
fase non è ravvisabile quindi alcuna situazione di diritto sogget tivo quanto all'accertamento di eventuali vizi della procedura, sia che l'impugnativa tenda ad ottenere la dichiarazione di ille
gittimità dell'esecuzione o di singoli atti del procedimento, sia
che la stessa venga esperita in funzione della condanna dell'e
sattoria al risarcimento del danno che si assume essere derivato
dalla esecuzione. La domanda risarcitoria in questa fase è per ciò improponibile — per difetto assoluto di giurisdizione o, rec
tius, per difetto del diritto (sez. un. 3 luglio 1989, n. 3183, Foro
it., Rep. 1989, voce Responsabilità civile, n. 138) — non essen
do contemplata dall'ordinamento la risarcibilità da lesione di
interessi legittimi.
Dopo il compimento dell'esecuzione esattoriale, il potere giu
II Foro Italiano — 1991.
risdizionale del giudice ordinario trova piena esplicazione. Ai
sensi dell'art. 54, 2° e 3° comma, del citato d.p.r. 602/73, il
debitore esecutato può agire in sede giudiziaria per il risarci
mento del danno e cioè per la tutela di un suo diritto soggetti
vo, qualora intenda contestare ex post la legittimità della proce
dura esecutiva svoltasi nei suoi confronti, essendo venuta meno
Pimproponibilità della domanda prevista nei citati art. 53 e 54,
1° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602. Contrariamente
a quanto sostiene l'esattoria nel presente giudizio, simile azione
risarcitoria non concreta un'opposizione agli atti esecutivi, la
cui cognizione è preclusa al giudice ordinario, trattandosi inve
ce di un'azione che postula l'avvenuto compimento della proce
dura esecutiva e che assume l'illegittimità di questa come fatto
causativo del danno, da accertare ex post a tali limitati fini.
Nel caso di specie, la domanda del Malvezzi risulta proposta
dopo il compimento dell'esecuzione esattoriale (terminata con
la devoluzione allo Stato del bene pignorato) ed al fine di fare
valere vizi della procedura, di cui si è chiesto l'accertamento
ex post anche ai fini della domanda (subordinata) di danni avan
zata nei confronti dell'esattore.
In relazione a tale domanda sussiste perciò la giurisdizione
del giudice ordinario.
Attengono al merito le questioni pure dedotte in memoria
dall'esattoria circa la mancanza di prova del danno e circa la
mancata allegazione di un comportamento doloso o colposo.
La causa va restituita alla sezione semplice, ai sensi dell'art.
142 disp. att. c.p.c., per la decisione sui motivi di sua compe
tenza, oltre che per la pronuncia sulle spese di questa fase.
II
Svolgimento del processo. — Con scrittura privata 20 maggio
1976 Alessanto Nuti cedeva ad Aldo Forasiepi un esercizio di
bar, pizzeria-ristorante sito in Firenze, v. Borgo S. Lorenzo 22.
Nei confronti del cedente Nuti erano iscritte nei ruoli dell'anno
1978, con riferimento al 1976, una Irpef di lire 18.537.000 ed
una Ilor di lire 25.224.466, di cui lire 17.246.923 riguardanti
la plusvalenza conseguita mediante l'anzidetta cessione.
Il 10 ottobre 1979 l'esattoria comunale di Firenze notificava
al cessionario Forasiepi un avviso di mora relativo alle suddette
imposte. Il Forasiepi proponeva ricorso, contemporaneamente, all'intendente di finanza di Firenze ed alla commissione tributa
ria di primo grado di Firenze, con separati atti del 12 ottobre
1979, contestando l'applicabilità dell'art. 66 d.p.r. n. 602 del
1973, sotto il profilo che le imposte dovute dal cedente non
riguardavano un reddito dell'impresa ceduta.
L'intendente di finanza, con provvedimento del 5 marzo 1980,
accoglieva il ricorso in parte, disponendo la prosecuzione dell'e
secuzione esattoriale limitatamente al recupero della sola Ilor
per lire 17.246.923, che venivano pagate dal Forasiepi prima del pignoramento.
La commissione di primo grado, con decisione del 4 novem
bre 1980, accoglieva integralmente il ricorso.
L'amministrazione delle finanze dello Stato proponeva appel
lo, eccependo il difetto di giurisdizione delle commissioni tribu
tarie, ai sensi dell'art. 53 d.p.r. n. 602 del 1973 e, in subordine,
la violazione dell'art. 66 dello stesso d.p.r. Il Forasiepi, a sua volta, eccepiva la tardività dell'appello. La commissione di secondo grado di Firenze, con decisione
n. 425 del 1° aprile 1982, rigettate le eccezioni di tardività del
l'appello e di difetto di giurisdizione, confermava la decisione
di primo grado nel merito.
Decidendo sul ricorso principale dell'amministrazione e sul
ricorso incidentale del Forasiepi, la Commissione tributaria cen
trale, con decisione n. 3518 del 25 marzo 1985, rigettava il ri
corso incidentale del Forasiepi e, in accoglimento del ricorso
principale dell'amministrazione, dichiarava il difetto di giurisdi zione delle commissioni tributarie, annullando la decisione im
pugnata ed osservando: — che non appariva censurabile la pronuncia della commis
sione di secondo grado che aveva ritenuto che l'appello dell'uf
ficio fosse stato proposto entro il termine di legge, perché era
fondata sulla considerazione che la data della comunicazione
della decisione di primo grado risultante dagli atti faceva fede
fino a querela di falso; — che, invece, doveva accogliersi l'eccezione di difetto di giù
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
risdizione in quanto il cessionario d'azienda, tenuto entro deter
minati limiti al pagamento dei tributi dovuti dal precedente ti
tolare della medesima, durante l'esecuzione esattoriale non può
proporre le opposizioni previste dagli art. 615 e 618 c.p.c., ma
soltanto il ricorso amministrativo all'intendente di finanza che
si conclude con un provvedimento soggetto al sindacato del giu dice amministrativo, per cui le commissioni tributarie difettano
di giurisdizione in ordine al ricorso proposto dal predetto con
tribuente.
Avverso la suddetta decisione il Forasiepi ha proposto ricorso
per cassazione. L'amministrazione finanziaria ha resistito con
controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione. — (Omissis). Col secondo motivo il
Forasiepi denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art.
I d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 636, degli art. 53 e 46 d.p.r. 29
settembre 1973 n. 602 e dell'art. 8 d.p.r. 3 novembre 1981 n.
739, nonché violazione e falsa applicazione degli art. 208 e 209
d.p.r. n. 645 del 1958 e degli art. 52 e 54 d.p.r. 602/83, osser
vando che le commissioni tributarie hanno competenza esclusi
va per conoscere tutte le controversie in materia di tributi elen
cati dall'art. 1 d.p.r. 636/72 e che il ricorso all'intendente di
finanza previsto dall'art. 53 d.p.r. 602 del 1973 attiene agli atti
esecutivi, mentre l'avviso di mora è equiparato al precetto, co
me risulta dall'art. 46, ed è impugnabile dinanzi alle commis
sioni tributarie ai sensi dell'art. 16 d.p.r. 636/72, modificato
dall'art. 8 d.p.r. n. 739, anche prima della suddetta modifica.
II ricorso ex art. 53 d.p.r. 602/73 all'intendente di finanza non
riguarda il rapporto giuridico tributario, ovvero la responsabili
tà del cessionario d'azienda; materia che è di esclusiva compe
tenza delle commissioni tributarie. D'altra parte, il cessionario
d'azienda non è compreso nell'elencazione tassativa contenuta
nell'art. 53 cit., in quanto non è un coobligato d'imposta, aven
do egli una responsabilità oggettiva limitata al valore dei beni
trasferiti.
Il motivo è fondato. La Commissione centrale, per affermare
il difetto di giurisdizione, ha richiamato Cass. 2 maggio 1980,
n. 2896 (Foro it., Rep. 1981, coce Riscossione delle imposte,
n. 78), la quale, confermando precedente giurisprudenza (v.,
ad es., Cass. n. 3627 del 1978, id., Rep. 1978, voce Tributi
in genere, n. 296), ha statuito che l'opposizione proposta avver
so l'esecuzione esattoriale dal cessionario dell'azienda, solida
mente responsabile per il pagamento delle imposte sui redditi
dovute dal precedente titolare, nei casi e nei limiti previsti dal
l'art. 197 d.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645, è qualificabile non
già come opposizione di terzo, bensì come opposizione di coo
bligato nel debito tributario ed è quindi inammissibile, essendo
soltanto consentito al concedente, subentrato all'affittuario nel
la gestione dell'impresa, il ricorso all'intendente di finanza, ov
vero, dopo il compimento dell'esecuzione, l'azione dinanzi al
giudice ordinario al solo fine del risarcimento del danno, ai sen
si dell'ultimo comma dell'art. 209 d.p.r. citato.
Il suddetto richiamo non è pertinente, non tanto perché ri
guarda la responsabilità del cessionario d'azienda prevista dal
l'art. 197 dell'abrogato t.u. 645/58 (infatti, pur con le notevoli
differenze di contenuto, a detto art. 197 corrisponde l'attuale
art. 66 d.p.r. n. 602 del 1973, che regola la materia in contesa),
quanto perché la sentenza del 1980 riguardava una controversia
fra l'esattore ed il cessionario d'azienda che si svolgeva dinanzi
al giudice ordinario, in sede di opposizione al pignoramento,
che si intendeva qualificare come opposizione di terzo ammissi
bile ai sensi dell'art. 207 t.u. del 1958, e che la Corte suprema
ha qualificato, invece opposizione all'esecuzione non ammissi
bile (art. 209, 2° comma).
Nessuna delle tre suddette circostanze qualificanti esiste, in
vece, nel caso di specie, perché: a) la controversia non è stata
promossa contro l'esattore, ma contro l'ufficio tributario; b)
essa è stata proposta, prima del pignoramento, contro l'avviso
di mora; c) il contribuente ha agito dinanzi alle commissioni
tributarie.
Occorre, quindi, soltanto verificare, non già se sia proponibi
le un'opposizione all'esecuzione dinanzi all'a.g.o., da parte del
cessionario dell'azienda che è responsabile per un debito tribu
tario altrui nei limiti fissati dall'art. 66 d.p.r. n. 602 del 1973
(e cioè nei limiti del valore dei beni mobili e delle merci relative
all'azienda ceduta), ma se il suddetto cessionario possa conte
stare dinanzi alle commissioni (nei confronti dell'ufficio finan
ziario, perché l'esattore non è parte nei giudizi dinanzi alle com
II Foro Italiano — 1991.
missioni) l'applicabilità della suddetta norma, con riguardo alle
imposte comprese in un avviso di mora a lui notificato e riguar
dante accertamenti compiuti a carico del cedente, che non ab
bia pagato le imposte stesse.
La risposta a tale quesito è positiva, per un insieme di argo
menti, basati sulla premessa che l'ordinamento deve contenere
la possibilità di una contestazione giudiziale della responsabilità suddetta. In primo luogo, non è affatto appagante la tesi soste
nuta dall'avvocatura dello Stato in questa sede, secondo la qua
le si tratterebbe di un'opposizione di terzo, ai sensi dell'art.
52 d.p.r. n. 602 del 1973, ammessa davanti all'a.g.o., per far
valere i limiti di applicabilità dell'art. 66 dello stesso d.p.r. n.
602, nei suoi rapporti con i limiti di pignorabilità dei beni del debitore d'imposta fissati dall'art. 65.
Alla suddetta tesi si oppongono due obiezioni:
a) è pacifico che l'opposizione di terzo ex art. 619 (a differen
za dell'opposizione all'esecuzione ex art. 615, che può riguarda re anche un'esecuzione soltanto «minacciata» col precetto) pre
suppone l'effettuazione del pignoramento, di modo che il terzo
cessionario, prima del pignoramento, non avrebbe detto mezzo
di difesa e non potrebbe evitare il pagamento dell'imposta (con
riserva di ripetizione);
b) il terzo cessionario non può essere compreso fra i soggetti
a cui è dato il mezzo dell'opposizione ex art. 619, perché, essen
do da qualificare «terzo assoggettato ad esecuzione» (in quanto
responsabile con parte dei suoi beni del pagamento del debito
altrui), va compreso fra i soggetti che possono contestare il di
ritto a procedere ad esecuzione forzata, ai sensi del capo I del
titolo V del libro III c.p.c. (v. art. 602 c.p.c.).
Peraltro, per effetto del divieto stabilito dall'art. 54, 2° com
ma, d.p.r. n. 602 del 1973, il suddetto cessionario non può pro
porre le opposizioni previste dagli articoli da 615 a 617, e cioè
proprio quelle regolate dal suddetto capo I del titolo V del libro
IV del libro III del c.p.c. In alternativa a detti rimedi, è previsto il ricorso all'intenden
te di finanza «contro gli atti esecutivi dell'esattore» (art. 53 d.p.r.
n. 602 del 1973), con successiva tutela giurisdizionale davanti
alla giurisdizione amministrativa. Ma la suddetta tutela riguar
da «gli atti esecutivi dell'esattore» e non la contestazione del
debito d'imposta (o dell'obbligo di pagamento per effetto della
responsabilità con determinati beni). L'espressione della legge
deve essere intesa nel senso che col ricorso all'intendente di fi
nanza si possono dedurre tutte le irregolarità formali degli atti
posti in essere dall'esattore, nel corso della procedura esecutiva,
diversi dal ruolo. Contro il ruolo, l'unico rimedio esperibile è
quello alle commissioni tributarie (art. 16 d.p.r. n. 636 del 1972).
Se il ruolo intestato all'obbligato principale è efficace anche
nei confronti del coobligato o del responsabile d'imposta, a questi
ultimi deve essere riconosciuta la possibilità di ricorrere contro
il ruolo, per dedurne sia i vizi, sia l'inesistenza del vincolo ob
bligatorio ovvero della responsabilità; ricorso da esperirsi nel
normale termine di sessanta giorni dalla notificazione dell'avvi
so di mora che deve essere effettuata al suddetto coobligato
dipendente o responsabile d'imposta, prima di intraprendere l'e
secuzione esattoriale nei loro confronti. L'art. 7 d.p.r. n. 739
del 1981 comprende espressamente l'avviso di mora fra gli atti
impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie; la conclusione
poteva essere raggiunta anche prima della modifica, stante la
ratio dell'art. 16 d.p.r. 636/72; ed è evidente il rapporto di reci
proca esclusione fra il suddetto art. 16 e l'art. 53 d.p.r. n. 602
del 1973.
Si deve, anche, osservare che il ricorso all'intendente riguar
da gli atti di un'esecuzione iniziata dall'esattore (sez. un. 1677
del 1988, id., Rep. 1988, voce Riscossione delle imposte, nn.
86, 87); e, poiché non è possibile ricorrere all'a.g.o., perché
si tratta di contestare una «qualità» del credito tributario (con
sistente in quel mezzo di rafforzamento della sua realizzazione
che è dato dal c.d. privilegio di riscossione accordato dall'art.
66 d.p.r. n. 602 del 1973), si deve concludere che la contestazio
ne di quel privilegio rientra nell'ambito della giurisdizione delle
commissioni, ex art. 1 d.p.r. n. 636 del 1972.
Invero, come è stato notato in dottrina, la suddetta giurisdizio
ne abbraccia tutte le controversie che abbiano ad oggetto una qual
siasi obbligazione tributaria, comprese quelle promosse dai coo
bligati o responsabili d'imposta, intese a contestare la pretesa cre
ditoria dell'amministrazione finanziaria o il diritto di quest'ultima
di procedere alla realizzazione anche coattiva della pretesa.
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2135 PARTE PRIMA 2136
La difesa dell'amministrazione afferma che il caso non è di
verso da quello dell'esecuzione promossa contro l'acquirente del
bene, per il recupero delFInvim dovuta dall'alienante e non pa
gata. Ma proprio in tale caso queste sezioni unite con sentenza
11 ottobre 1988, n. 5469 {ibid., voce Tributi in genere, n. 803)
hanno affermato la giurisdizione delle commissioni tributarie
(si veda anche sez. un. 6 dicembre 1988, n. 6637, id., Rep.
1989, voce cit., n. 798, in materia di appartenenza alle commis
sioni tributarie della giurisdizione in ordine alle contestazioni
del privilegio ex art. 45 d.p.r. n. 637 del 1972 e 2772 c.c.). La diversità dei suddetti casi rispetto a quello attuale consiste
soltanto nella circostanza che in quelli è la stessa amministra
zione che fa valere il privilegio (o diritto di seguito), mentre
nel presente caso esso è fatto valere dall'esattore.
Ma non può certo negarsi che l'esattore non realizza altro
che un credito dell'amministrazione (tranne che per l'indennità
di mora: vedi la già citata sent. n. 1677 del 1988: indennità
che nella specie, però, sarebbe semplicemente conseguenziale al
l'obbligo del pagamento, mentre in quel caso era l'unico ogget to della contestazione, che riguardava l'inesistenza della mora).
In definitiva, pertanto, la controversia interessa l'amministra
zione, sotto il profilo della possibilità di soddisfare il credito
tributario, tramite l'esecuzione esattoriale, per cui la compren
sione dell'art. 66 nell'ambito delle norme relative all'esecuzione
esattoriale non è decisiva. La ricerca, infatti, deve avere di mira
il rimedio esperibile dal responsabile che, prima ancora del pi
gnoramento autorizzato dalla suddetta norma, voglia contestar
ne i presupposti di applicabilità, a seguito della notifica dell'av
viso di mora comprendente i tributi a cui fa riferimento l'art.
66 d.p.r. 603/73 (magari pagando il debito, per evitare un pi
gnoramento che potrebbe essere dannoso per i suoi effetti pre
giudizievoli sul credito che gode l'impresa).
Concludendo, la sentenza impugnata deve essere cassata e la
causa va rinviata alla Commissione centrale, perché — una vol
ta risolta in senso positivo la questione di giurisdizione — esa
mini il merito della causa stessa (già esaminato in primo ed
in secondo grado, per cui il rinvio, ex art. 383, ultimo comma,
c.p.c., va disposto alla Commissione centrale).
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 15 dicem
bre 1990, n. 11922; Pres. Menichino, Est. Genghini, P.M.
Fedeli (conci, conf.); Inail (Avv. Mancini, Napolitano, Boz
zi) c. Baldassi (Avv. Zaccaria). Conferma Trib. Udine 11
dicembre 1987.
Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Premio assicura
tivo — Determinazione del tasso aziendale — Comunicazione — Mancata sottoscrizione — Inefficacia (D.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, t.u. delle disposizioni per l'assicurazione obbli
gatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professio
nali, art. 45).
È inefficace la comunicazione della locale sede dell'Inail, con
la quale venga notificato il tasso aziendale ai fini della deter
minazione del premio assicurativo, che non risulti sottoscritta
dal direttore della sede. (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso notificato il 5 feb
braio 1986 Baldassi Rino, titolare della omonima impresa edile,
esponeva che con due provvedimenti l'Inail gli aveva comunica
to la variazione in aumento del tasso di premio, con decorrenza
rispettivamente da gennaio 1982 e gennaio 1984. Ritenuti illegit timi gli accertamenti Inail nella forma, perché priva di data e
di firma, e nella sostanza, perché non suffragati dall'andamen
to infortunistico aziendale negativo, il ricorrente chiedeva che il
(1) Non si rinvengono precedenti in termini. Per riferimenti sulla determinazione del tasso medio aziendale, da
ultimo, v. Cass. 26 giugno 1990, n. 6439, Foro it., 1990, I, 2806, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 1991.
Pretore di Udine volesse annullare i provvedimenti impugnati e condannare l'Inail a restituire quanto versato in più per l'an
no 1982 (lire 1.092.854) ed applicargli la riduzione maturata
per il 1985 su un tasso del 102%.
Costituitosi, nel richiedere il rigetto dell'avversaria domanda,
l'istituto opponeva, da un lato, che il ricorso era improcedibile
(ex art. 443 c.p.c.) per mancato esaurimento della procedura
amministrativa e, dall'altro, che i propri provvedimenti, pure
irregolari per difetto di data e di firma non però dell'indicazio
ne dell'ufficio di provenienza, aveva raggiunto lo scopo, tanto
è vero che non solo non erano stati impugnati ma addirittura
puntualmente eseguiti, con conseguente sanatoria di ogni even
tuale loro vizio. Nel merito rilevava che i dati di bilancio della
posizione assicurativa dell'impresa Baldassi giustificavano i prov vedimenti in aumento.
Con sentenza 2 aprile 1987 il pretore adito accoglieva il ricor
so. Disattesa l'eccezione di improcedibilità del ricorso, osserva
va il primo giudice che gli atti di aumento del tasso Inail comu
nicati al Baldassi per il 1982 ed il 1984, e quelli ad essi conse
guenti, erano affetti da nullità per il mancato rispetto, oltre
che del principio generale della individuazione dell'ente imposi tore attraverso la sottoscrizione, anche della procedura conte
stativa e comunicativa di cui al d.m. 10 dicembre 1971 (manca
ta comunicazione con raccomandata r.r. e con la data imposta dal § 17), che è presupposto fondamentale della validità del
provvedimento di aumento del tasso e di un valido contraddit
torio tra ente impositore e datore di lavoro tenuto al pagamen
to del premio stesso.
Avverso tale decisione interponeva tempestivo appello l'Inail.
Premesso che dall'apposita cartolina postale risultava non sol
tanto la data di spedizione dei plichi contenenti i singoli provve dimenti ma persino quella di ricevimento di essi da parte del
destinatario, osservava l'appellante che i provvedimenti impu
gnati, predisposti su moduli prestampati ed integrati con carat
teri meccanografici, portavano entrambi la dicitura «il direttore
di sede», onde non poteva essere meglio individuato l'autore
della comunicazione e del provvedimento. Rilevava ulteriormente
che l'errore fondamentale della sentenza impugnata risiedeva
nella ritenuta insanabilità dell'atto amministrativo, non avendo
il giudice a quo considerato che i provvedimenti Inail erano
stati accettati con comportamento concludente della ditta, la
quale aveva regolarmente pagato i premi nella misura dei tassi
notificati in aumento, cosi come aveva accettato le riduzioni
di premio che pure erano prive di tratto di penna sotto la dizio
ne «il direttore di sede». E che nessuna incertezza circa la pro venienza del provvedimento fosse seriamente accampabile del
Baldassi, era ulteriormente comprovato dal fatto che tutta una
serie di atti successivi dell'Inail erano stati pacificamente accet
tati dall'interessato che vi aveva dato puntuale esecuzione, onde
alla mancanza del requisito della sottoscrizione suppliva la cer
tezza della provenienza dell'atto. Senza contare — aggiungeva
l'appellante — che l'ente pubblico era ben ammesso ad integra re gli elementi mancanti nel corso del giudizio e che anche ante
riormente alla prima contestazione della ditta (13 settembre 1985) l'Inail aveva già sanato l'irregolarità con sua lettera del 2 luglio
1985, nella quale spiegava come oscillino i tassi applicabili e
come fosse giustificato il tasso applicato al ricorrente.
Concludeva l'appellante chiedendo che, in totale riforma del
l'impugnata sentenza, fossero respinte le avversarie domande, con rifusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
Ricostituitosi il contraddittorio, il Baldassi ribadiva che l'atto
amministrativo privo di sottoscrizione, con firma o sigla, è inesi
stente e che comunque egli non aveva mai inteso prestare acquie scenza ai provvedimenti Inail, tanto è vero che li aveva impu
gnati. Osservava ulteriormente che ai sensi dell'art. 45 d.p.r. 30
giugno 1965 n. 1124, l'Inail deve notificare al datore di lavoro
l'eventuale aumento del tasso di premio con lettera raccomanda
ta entro il 31 dicembre e che l'aumento ha effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo, onde, se sanatoria poteva esserci, questa avrebbe dovuto intervenire entro il 31 dicembre del 1984, nel men
tre la lettera del direttore di sede che giustificava l'applicazione del nuovo tasso portava la data del 2 luglio 1985. Il tribunale
respingeva il gravame, ritenendo che la mancanza di sottoscri
zione della notificazione, fatta ai sensi dell'art. 45 d.p.r. n. 1124,
come modificato del § 17 d.m. 10 dicembre 1971, ne inficiava
l'esistenza, mancando un elemento essenziale, e non potendo,
pertanto, aversi successivamente né sanatoria, né acquiescenza.
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