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sezioni unite civili; sentenza 16 novembre 1991, n. 12302; Pres. Bile, Est. Senese, P.M. AmatucciE. (concl. conf.); Usl n. 58 di Palermo (Avv. Messina) c. Campo ed altri (Avv. Garaffa).Regolamento preventivo di giurisdizioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 3309/3310-3333/3334Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185766 .
Accessed: 25/06/2014 00:25
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 16 no
vembre 1991, n. 12302; Pres. Bile, Est. Senese, P.M. Ama
tucci E. (conci, conf.); Usi n. 58 di Palermo (Aw. Messina) c. Campo ed altri (Avv. Garaffa). Regolamento preventivo di giurisdizione.
Sanitario — Medici dipendenti delle Usi — Prestazioni lavorati
ve in plus-orario — Controversie — Giurisdizione ordinaria
(Cod. civ., art. 1362; d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761, stato
giuridico del personale delle unità sanitarie locali, art. 35; d.p.r. 25 giugno 1983 n. 348, norme risultanti dalla disciplina previ sta dagli accordi per il trattamento economico del personale delle unità sanitarie locali, art. 51 a 66).
Spetta al giudice ordinario conoscere della controversia avente
ad oggetto l'attività prestata nelle strutture del servizio sani
tario nazionale dai medici in regime di plus-orario e nell'am
bito dell'istituto dell'incentivazione della produttività discipli nato dal d.p.r. 25 giugno 1983 n. 348, trattandosi di esplica zione di attività libero-professionale. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 30 ot
tobre 1991, n. 11565; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est.
Rapone, P.M. Di Renzo (conci, parz. diff.); Usi 18 Regione Calabria (Avv. Mirigliani) c. Rubino. Regolamento preven tivo di giurisdizione.
Sanitario — Medici dipendenti delle Usi — Prestazioni lavorati
ve in plus-orario — Controversie — Giurisdizione ordinaria
e amministrativa — Fattispecie (D.p.r. 20 dicembre 1979 n.
761, art. 35; d.p.r. 25 giugno 1983 n. 348, art. 51 a 66; d.p.r. 20 maggio 1987 n. 270, norme risultanti dalla disciplina pre vista dall'accordo sindacale, per il triennio 1985-1987, relati
va al comparto del personale dipendente del servizio sanitario
nazionale, art. 101 a 108).
Le controversie concernenti la retribuzione per l'attività svolta
dai medici dipendenti delle Usi in regime di plus-orario rien
trano nella giurisdizione del giudice ordinario per quanto ri
guarda l'attività svolta fino al 31 dicembre 1985 e nella giuris dizione del giudice amministrativo per quella svolta a decor
rere dal 1° gennaio 1986 (data di decorrenza, agli effetti
economici, del d.p.r. 20 maggio 1987 n. 270). (2)
(1-2, 4, 7) Per la prima volta Cass. 11565/91 (successivamente, del
medesimo estensore, sent. 21 novembre 1991, n. 12481) in epigrafe po ne un discrimen temporale nella successione degli accordi collettivi del settore al fine di individuare una potestà giurisdizionale amministrativa a decidere delle controversie in materia di plus-orario che era stata sem
pre decisamente negata sotto la vigenza dell'accordo recepito nel d.p.r. 348/83, come con forza ribadito nella sent. 11565/91. La giurisprudenza di merito, che mai si era uniformata completamente all'indirizzo della
Cassazione, come dimostrato da Pret. Trani in epigrafe, riceve ora un
autorevole avallo, quanto meno per il periodo successivo all'entrata in
vigore del d.p.r. 270/87. In termini con la prima massima, fra le tante, Cass. 6 dicembre 1990, nn. 11714 a 11721, Foro it., Rep. 1990, voce
Sanitario, nn. 374-380; 30 maggio 1990, nn. 5111-5114, ibid., nn. 424-427; 23 aprile 1990, nn. 3374 e 3408, ibid., nn. 173-207 (sul personale non
medico); 13 aprile 1991, nn. 3925 e 11 aprile 1991, n. 3865, id., Mass., 335 e 329 (che specificano essere applicabili le norme sul rito del lavoro
ex art. 409, n. 3, c.p.c.); 6 dicembre 1990, n. 11720, id., Rep. 1990, voce cit., n. 428; 16 agosto 1990, n. 8288 a 8294, ibid., voce Sanità
pubblica, nn. 257-263; 3 aprile 1990, nn. 2713 a 2753, ibid., voce Sani
tario, nn. 381-421 e altre (sul personale medico); 11 aprile 1990, n.
3074, ibid., n. 373 (per entrambe le categorie); Pret. Palmanova 9 feb
braio 1989, ibid., n. 372 (che ha anche deciso spettare la rivalutazione
e gli interessi sui compensi maturati a favore dei medici per le attività in plus-orario e tardivamente corrisposti dall'Usi); contra, per il perso nale non medico, Pret. Ferrara 10 dicembre 1988, id., Rep. 1989, voce
cit., n. 418 (che ha deciso spettare alla giurisdizione ordinaria la cogni zione delle controversie sulle prestazioni rese in regime d'incentivazione
dal personale infermieristico dipendente delle Usi, attesa la natura libe
ro professionale dell'attività); Pret. Bari 21 marzo 1988, giud. De Pep
po, Paparella ed altri c. Usi BA/13, inedita, poi riformata da Cass. 11714/90 cit. (ancora per l'affermazione della giurisdizione ordinaria e
Il Foro Italiano — 1991.
Ill
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 24 agosto 1991, n. 9121; Pres. D'Alberto, Est. Alvaro, P.M. Chirico
(conci, conf.); Santi Laurini (Avv. G. Gallo) c. Usi Alto Te
vere Umbro (Aw. Migliorini). Conferma Trìb. Perugia 5 giu gno 1989.
Sanitario — Personale dipendente delie Usi — Prestazioni lavo
rative in plus-orario — Remunerazione — Esaurimento del
fondo regionale — Fattispecie (D.p.r. 20 dicembre 1979 n.
761, art. 30, 35; d.p.r. 25 giugno 1983 n. 348, art. 60, 64, 67).
Non è censurabile, in quanto correttamente motivata, la senten
za del giudice di merito che ha ritenuto legittima la determi
nazione della Usi di remunerare le prestazioni rese in plus orario dal personale dipendente secondo le tariffe del lavoro
straordinario se non fosse stato accettato il recupero con ri
duzione dell'orario ordinario, dopo l'esaurimento del fondo
predeterminato dalla regione per il finanziamento dell'istituto
dell'incentivazione della produttività secondo l'art. 60 d.p.r. 25 giugno 1983 n. 348. (3)
l'indicazione di criteri per la determinazione e la suddivisione del com
penso spettante ai tecnici di laboratorio per l'attività prestata in regime di compartecipazione secondo l'accordo collettivo nazionale di lavoro 24 giugno 1980); per l'affermazione della giurisdizione amministrativa nelle vertenze sul plus-orario del personale medico, Pret. Vallo della Lucania 6 febbraio 1989, giud. De Luca, Pignataro ed altri c. Usi 59, inedita; Pret. Grosseto 15 novembre 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 416; Cons. Stato, sez. V, 27 novembre 1989, n. 762, id., Rep. 1990, voce cit., n. 438 e Giust. civ., 1990, I, 2217, e nn. 763-769, inedite
(che affermano non trattarsi di «attività professionale formalmente e sostanzialmente distinguibile da quella obbligatoriamente connessa al servizio» bensì di «un prolungamento dell'orario di servizio compensa to su base tariffaria e non stipendiale»); Tar Piemonte, sez. II, 4 di cembre 1990, n. 459, inedita, e 10 febbraio 1989, n. 40, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 477; Cons. Stato, sez. V, 10 maggio 1988, n. 307 e Tar Toscana 9 luglio 1988, n. 969, id., 1988, III, 560, con nota di richiami.
La legittimità del sistema di incentivazioni regolato dalla contratta zione collettiva nel settore è stata affermata da Tar Lazio, sez. I, 12 dicembre 1986, n. 2266, id., 1988, III, 174, con nota di richiami sulla
disciplina generale della regolamentazione a mezzo di contratti collettivi dei rapporti sorti nell'ambito della 1. 833/78 (su cui v. anche, da ulti
mo, Tar Lazio, sez. I, 10 aprile 1989, n. 405, id., 1991, III, 52, con nota di ulteriori richiami) e sulle relazioni fra la medicina privata e
quella pubblica; in argomento v. anche i commenti di M. Racco e P.
Vittoria, in ISIS - Leggi e sentenze, 1991, 448 e 449, ove si afferma, in adesione all'indirizzo della Cassazione e in contrasto con la diversa
posizione dei giudici amministrativi, che la nuova disciplina della libera
professione dei sanitari contenuta nel d.p.r. 270/87 non vale a modifi care la già ritenuta ricomprensione degli istituti di incentivazione nel
l'ambito del diritto all'esercizio della libera professione attribuito ai medici e veterinari ospedalieri con i d.p.r. 130/69 e 761/79.
Sulla natura «parasubordinata» dell'attività prestata dai sanitari nel l'ambito del servizio sanitario nazionale ma al di fuori di un rapporto di impiego con le Usi e sulla disciplina del rapporto sotto il profilo sostanziale (art. 36 Cost., 2233 c.c. e 429, ultimo comma, c.p.c.) e
processuale (art. 409 c.p.c.), v. Cass. 14 marzo 1991, n. 2718, Foro
it., 1991, I, 2066; 19 dicembre 1990, n. 12022, id., Rep. 1990, voce
cit., n. 108; 9 marzo 1989, n. 1245, id., 1989, I, 1480; 12 aprile 1988, n. 2895, ibid., 1196; 27 novembre 1987, n. 8801, id., 1988, I, 1934; sui compensi spettanti ai sanitari ospedalieri, v. Cass. 30 gennaio 1990, n. 615, id., 1990, I, 1544; sulla cessazione del rapporto convenzionale, Pret. Novara 24 giugno 1989, id., 1991, I, 2287.
La natura autonoma (e la conseguente devoluzione al giudice ordina
rio della cognizione delle relative controversie) dell'attività relativa alle
visite fiscali da parte dei medici dipendenti a tempo pieno delle Usi
è stata affermata da Cass. 15 luglio 1991, n. 7835, che sarà riportata in un prossimo fascicolo.
(3) In termini, per la legittimità della conversione del plus-orario in
ore di lavoro straordinario ai fini del relativo compenso (trattandosi di posizione d'interesse legittimo e non di diritto soggettivo), Tar Lom
bardia, sez. Brescia, 6 febbraio 1987, n. 57, Foro it., Rep. 1987, voce
Sanitario, n. 291; con l'affermazione che la copertura finanziaria costi
tuisce «limite invalicabile» per la retribuzione delle prestazioni in plus orario, Tar Lombardia, sez. I, 10 ottobre 1988, n. 976, id., Rep. 1988, voce Impiegato degli enti locali, n. 168; con l'indicazione della necessità
di ridurre le richieste di prestazioni in plus-orario nel caso d'insufficien
za delle disponibilità finanziarie del fondo, Cons. Stato, sez. V, 27 feb
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3311 PARTE PRIMA 3312
IV
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 9 gen
naio 1991, n. 126; Pres. Santosuosso, Est. Rapone, P.M.
Amatucci E. (conci, conf.); Usi 13 area livornese (Avv. Gi
rardi) c. Bassano. Regolamento preventivo di giurisdizione.
Sanitario — Personale sanitario non medico e personale non
sanitario dipendente delle Usi — Prestazioni lavorative in plus
orario — Controversie — Giurisdizione amministrativa (L.
23 dicembre 1978 n. 833, istituzione del servizio sanitario na
zionale, art. 47; d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761, art. 27, 30,
35; d.p.r. 25 giugno 1983 n. 348, art. 59 a 66).
Le prestazioni del personale sanitario non medico (nella specie,
infermiere), come quelle del personale non sanitario delle Usi,
in regime di plus-orario devono intendersi rese nell'ambito
del rapporto di pubblico impiego e, pertanto, le relative con
troversie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo. (4)
V
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 6 marzo
1990, n. 1762; Pres. Ruperto, Est. Nardino, P.M. De Mar
tini (conci, conf.); Inps (Avv. Fonzo, De Angelis, Salafia)
c. Usi 6/7/8/34 Regione Veneto (Avv. Gatti, F.P. Rossi).
Conferma Trib. Vicenza 11 giugno 1987.
Sanitario — Medici dipendenti delle Usi — Prestazioni lavorati
ve in plus-orario — Obbligo contributivo — Esclusione (L.
13 marzo 1950 n. 120, norme relative all'ordinamento dell'I
stituto nazionale di assistenza per i dipendenti da enti locali
Inadel, art. 15; d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761, art. 35; d.p.r.
25 giugno 1983 n. 348, art. 51 a 69).
Sanitario — Personale assunto «a convenzione» — Natura del
rapporto — Contrarie risultanze del verbale ispettivo Inps —
Irrilevanza (Cod. civ., art. 2229, 2697; 1. 23 dicembre 1978
n. 833, art. 48; d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761, art. 73).
Non sono assoggettabili alla contribuzione assistenziale di ma
lattia di cui all'art. 15 l. 13 marzo 1950 n. 120 i compensi
erogati dalle Usi ai medici propri dipendenti per lavoro svolto
in plus-orario, trattandosi di attività professionale esulante
dall'ambito del pubblico impiego. (5) Non sono assoggettabili alla contribuzione assistenziale di ma
lattia di cui all'art. 15 I. 13 marzo 1950 n. 120 i corrispettivi
erogati dalle Usi al personale assunto con contratto di lavoro
autonomo («a convenzione»), ai sensi dell'art. 2229 c.c., a
nulla rilevando, in carenza di apporto di idonee prove in con
trario da parte dell'Inps, le diverse risultanze del verbale di
accertamento ispettivo in punto di qualificazione del rappor to di lavoro. (6)
braio 1990, n. 218, id., Rep. 1990, voce Sanitario, n. 448; contra, Cons.
Stato, sez. V, 27 novembre 1989, n. 762, ibid., n. 439, ove si afferma
che l'amministrazione non può opporre al personale Usi la carenza del
finanziamento regionale e l'incapienza del fondo ex art. 60 d.p.r. 348/83
sussistendo un diritto soggettivo al pagamento delle ore già prestate; Pret. Livorno 18 febbraio 1988, id., Rep. 1988, voce cit., n. 254. Per
riferimenti sulla natura (retributiva) del compenso per le prestazioni in
parole e sui criteri di ripartizione del fondo d'incentivazione, v. Cons.
Stato, sez. V, 10 maggio 1988, n. 307 e Tar Toscana 9 luglio 1988, n. 969, id., 1988, III, 560, con nota di richiami.
(5-6) La non assoggettabilità a contribuzione di malattia Inps dei com
pensi erogati per rapporti «a convenzione» presso l'Usi, è stata affer
mata anche da Cass. 23 giugno 1989, n. 3011, Foro it., 1990, I, 147
(con nota di richiami, cui si rinvia anche in ordine ai criteri discretivi
per la qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato o auto
nomo e per l'identificazione di un rapporto di pubblico impiego), ma
sul diverso presupposto della natura di pubblico impiego del rapporto «a convenzione» ex art. 73 d.p.r. 761/79 e della sua assoggettabilità all'iscrizione presso la Cpdel.
Per riferimenti di carattere generale sui limiti del valore di fede privi
legiata dei verbali di accertamento, anche per quelli eseguiti dai funzio
nari degli enti di previdenza e assistenza, Corte cost. 10 dicembre 1987,
li Foro Italiano — 1991.
VI
PRETURA DI TRANI; sede distaccata di Barletta; sentenza
18 gennaio 1991; Giud. Di Trani; Pignatelli c. Usi Bari/1
- Barletta.
Sanitario — Sanitari ospedalieri — Prestazioni lavorative in plus
orario — Attività libero professionale — Esclusione — Con
troversie — Giurisdizione amministrativa (D.p.r. 20 dicembre
1979 n. 761, art. 35; d.p.r. 25 giugno 1983 n. 348, art. 59,
61, 64; d.p.r. 20 maggio 1987 n. 270, art. 101 a 108).
Le prestazioni rese dal medico dipendente Usi in plus-orario,
nell'ambito dell'istituto della incentivazione di produttività,
non costituiscono esercizio di attività libero-professionale bensì'
un particolare prolungamento dell'orario di servizio rientran
te nel rapporto di pubblico impiego; pertanto, le relative con
troversie esulano dalla giurisdizione ordinaria e sono rimesse
alla cognizione del giudice amministrativo. (7)
I
Svolgimento del processo. — Il dr. Giuseppe Campo e gli
altri intimati in epigrafe indicati, tutti medici specialisti dipen denti dalla Usi n. 58 di Palermo, hanno chiesto al pretore del
lavoro della stessa città la condanna della predetta unità sanita
ria locale a corrispondergli somme varie, per ciascuno esatta
mente specificate, a titolo di rivalutazione monetaria e interessi
sugli importi dei compensi loro spettanti per prestazioni rese,
in plus-orario, nell'ambito dell'istituto dell'incentivazione alla
produttività previsto e disciplinato dagli art. 59 ss. d.p.r. 348/83.
Hanno esposto, al riguardo, che l'amministrazione della Usi
aveva omesso di attivare le procedure necessarie per la tempe
stiva erogazione dei pagamenti, si che gli importi loro dovuti,
in relazione alle prestazioni in plus-orario rese negli anni 1984
e 1985, erano stati corrisposti con notevole ritardo, e precisa mente in parte nel luglio 1986 e, per il resto, nel dicembre dello
stesso anno.
Radicatosi il contraddittorio, l'Usi ha proposto regolamento
preventivo di giurisdizione, illustrato anche da memoria. I me
dici si sono costituiti depositando — nell'«ufficio depositi» di
questa corte, il 19 ottobre 1990 — atto intitolato «memoria di
fensiva» (nel quale si contesta la tesi dell'Usi e si argomenta nel senso della giurisdizione del giudice ordinario) nonché pro
cura redatta in calce alla copia notificata del ricorso. Tali atti
sono pervenuti nella cancelleria di queste sezioni unite, successi
vamente alla data dell'udienza in cui il ricorso è stato discusso,
il 5 marzo 1991. Pertanto, ai medici non è stata data comunica
zione della data dell'udienza di discussione del ricorso.
Motivi della decisione. — (Omissis). 2. - Procedendo quindi allo scrutinio dell'istanza di regolamento di giurisdizione, la corte
rileva che, a sostegno della stessa, la ricorrente unità sanitaria
locale adduce che il credito dedotto in giudizio è parte o com
ponente di un credito retributivo per prestazioni lavorative rese
in esecuzione di un rapporto di pubblico impiego corrente tra
il personale sanitario e l'ente pubblico, si che la relativa contro
versia sfuggirebbe alla cognizione dell'a.g.o. per essere devoluta
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi
dell'art. 7 1. 1034/71.
L'istituto dell'incentivazione della produttività, infatti, secondo
la ricorrente, avrebbe assunto — a seguito dei d.p.r. 348/83
e 270/87 — una strutturazione che non consente più d'inqua
drare le attività prestate in tale regime come attività libero
professionali (secondo quanto pur ritenuto da questa corte con
giurisprudenza costante), ma impone invece di configurarle quali
prestazioni connesse al rapporto subordinato di pubblico impiego. A tale conclusione si perviene, prosegue l'istanza, attraverso
il raffronto tra la normativa dell'istituto in esame e quella del
n. 504 e Pret. Roma 14 gennaio 1987, id., 1988, I, 2546, con nota
di richiami; sull'obbligo di versare i contributi sociali di malattia a cari
co dei liberi professionisti a decorrere dal 1° gennaio 1980, Cass. 23
giugno 1990, n. 3026, id., 1990, I, 1332 e 3 maggio 1990, n. 3674,
id., 1991, I, 845; nonché Cass. 18 gennaio 1991, n. 423 e 6 agosto 1990, n. 7884, che saranno riportate in un prossimo fascicolo.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
previgente istituto delle compartecipazioni (del quale l'incenti
vazione alla produttività costituisce un superamento ed una ri
definizione). In origine, invero, le attività soggette a comparte
cipazione avevano natura di vere e proprie prestazioni di opera
professionale, inerenti a rapporti negoziali correnti tra medico
(o équipe) e paziente e da quest'ultimo (o dall'ente mutualisti
co) compensate, configurandosi la posizione dell'ente rispetto ad esse come quella di un semplice mandatario che rimetteva
al sanitario le somme a lui dovute in relazione alla prestazione
d'opera professionale; successivamente, peraltro, il termine «com
partecipazione» è venuto a perdere qualsiasi significato a segui to del diverso sistema di finanziamento del servizio sanitario
pubblico, non più alimentato da un continuo flusso finanziario
degli enti assicurativi e dei privati. In particolare — aboliti i
compensi fissi per i ricoveri (d.l. 264/74) — le compartecipazio ni s'identificarono, per un certo tempo, nelle cointeressenze del
le équipes mediche sui proventi degli enti ospedalieri per l'atti
vità ambulatoriale, e vennero quindi a caratterizzarsi quale spe cifica forma di compenso delle attività svolte in plus-orario,
categoria che veniva contestualmente introdotta nella contratta
zione di settore per designare un orario supplementare di lavoro
retribuito non in misura fissa ma con una parte dei proventi dell'attività svolta in tale prolungamento d'orario. L'oscurità
e contraddittorietà di un siffatto sistema avrebbe indotto le par ti stipulanti i nuovi accordi di lavoro (tradotti poi nel d.p.r.
348/83) a superare definitivamente il sistema delle comparteci
pazioni, al cui posto sarebbe stato introdotto, appunto, l'istitu
to dell'incentivazione della produttività, vincolando alla sua at
tuazione una quota del fondo sanitario attribuito alle Usi dalle
regioni. Il nuovo istituto — attraverso la fissazione di Uniti mas
simi di plus-orario, per i medici e le restanti categorie di perso nale sanitario, e la previsione di complessi meccanismi di remu
nerazione differenziata per il personale medico, il personale sa
nitario dell'unità operativa impegnata nella prestazione ed il
restante personale — avrebbe il merito di aver definitivamente
superato l'equivoco della compartecipazione come cointeressen
za su proventi inesistenti (attesa la scomparsa, dopo la riforma
sanitaria, dei flussi finanziari, in passato affluenti agli enti ero
gatori delle prestazioni sanitarie quale corrispettivo di queste). L'incentivazione del personale delle Usi viene ora, infatti, per
seguita, non più chiamando tale personale a partecipare ad un'en
trata (che ormai da tempo più non esisterebbe) bensì stabilendo
una specifica remunerazione per prestazioni effettuate oltre il
normale impegno di servizio per lo svolgimento di attività sani
taria comunque di competenza istituzionale della struttura
pubblica. Le conclusioni suindicate, desumibili dalla storia dell'istituto,
troverebbero conferma puntuale in una serie di dati testuali re
lativi alla disciplina dell'istituto stesso. Cosi, l'art. 59, ultimo
comma, d.p.r. n. 348 afferma che le parti hanno inteso «ridefi
nire» l'istituto della compartecipazione e che il nuovo istituto
è inteso all'incentivazione della produttività dei servizi sanitari
pubblici. L'art. 64 afferma che il plus-orario costituisce «debito
d'orario» e come tale dev'esser programmato nei piani di lavo
ro. Le disposizioni degli articoli da 59 a 64 disciplinano com
piutamente le attività lavorative svolte in plus-orario, senza la
sciare ai singoli lavoratori quei minimi spazi di autonomia che
pur dovrebbero esser presenti se si versasse in una ipotesi di
prestazione libero-professionale. Infine, rilievo decisivo, l'istitu
to dell'incentivazione della produttività è previsto non solo per i medici ma anche per il restante personale, sanitario e non sa
nitario, per il quale la possibilità di esercitare attività libero
professionale, cumulabile con quella svolta come dipendente della
Usi, è esclusa dalla legge. Tali caratteri renderebbero evidente che il plus-orario che dà
luogo all'incentivazione della produttività non è orario in cui
si svolga attività Ubero-professionale e neppure un orario com
pensativo di attività libero-professionali che, per ragioni tecni
che, siano state prestate durante il normale orario di servizio,
ma è invece un prolungamento dell'orario normale di servizio
che, anziché essere retribuito nelle ordinarie forme del lavoro
straordinario, è compensato su base tariffaria. L'attività presta
ta in plus-orario sarebbe quindi della medesima natura di quella
prestata durante il normale orario di servizio, entrambe essendo
riferibili al rapporto subordinato di pubbUco impiego, posto che
nessun rilievo in senso contrario può attribuirsi alla circostanza
Il Foro Italiano — 1991.
che il personale non sia obbligato a prestarla (non risultando
estranei al rapporto di pubblico impiego anche compiti libera
mente declinabili dal dipendente).
Questo impianto argomentativo è ripreso e sviluppato in me
moria, ove la ricorrente Usi si dà specialmente carico delle ra
gioni che queste sezioni unite hanno posto a fondamento del
l'affermazione della giurisdizione del giudice ordinario nella
materia.
In particolare, rilevato che la ratio decidendi della suindicata
giurisprudenza riposa sulla considerazione del carattere libero
professionale dell'attività che il medico presta in regime di plus
orario, la ricorrente osserva che un siffatto carattere è stato
da questa corte ritenuto senza un esame della struttura dell'isti
tuto dell'incentivazione della produttività, struttura i cui tratti
portano ad escludere che l'attività prestata secondo tale regime
possa qualificarsi libero-professionale. Soggiunge che l'attività
libero-professionale — la quale, peraltro, trova la propria disci
plina nell'art. 26 d.p.r. n. 348 — costituendo l'oggetto di un
diritto disponibile, avrebbe ben potuto costituire materia di di
sposizione e sostituzione con il nuovo istituto dell'incentivazio
ne, da parte dei soggetti collettivi che ebbero a stipulare gli ac
cordi trasfusi nel citato d.p.r. Rileva ancora che l'estraneità del
l'istituto dell'incentivazione della produttività all'esercizio
libero-professionale risulta testualmente affermato dall'accordo
sindacale per il triennio 1985/1987, reso esecutivo con d.p.r.
270/87; e che l'indirizzo, secondo cui l'attività dei medici e dei
veterinari svolta in regime di plus-orario sarebbe di natura libero
professionale, determina il grave inconveniente di imputare a
soggetti diversi la, sostanzialmente unitaria, attività svolta dal
Véquipe medica (riferibile, per i medici, agli stessi professionisti in proprio, mentre per tutto il restante personale sarebbe riferi
bile alla Usi, come dipendente della quale tale personale opera). Tanto premesso, le sezioni unite osservano che, secondo quanto
già accennato, la questione di giurisdizione nascente dalle con
troversie relative alla rivendicazione, da parte di personale me
dico dipendente dalle unità sanitarie locali, delle competenze
spettanti a seguito dell'attività svolta in regime di plus-orario,
già più volte esaminata da questa corte con riferimento a pre stazioni rese nel periodo precedente l'entrata in vigore del d.p.r. 348/83 e sempre risolta nel senso dell'affermazione della giuris dizione dell'a.g.o. (cfr. sez. un. 6923/86, Foro it., Rep. 1986,
voce Sanitario, n. 350; 3952/87, id., Rep. 1987, voce cit., n.
359), è stata successivamente affrontata — con specifico riferi
mento a prestazioni rese nel vigore della disciplina introdotta
dagli accordi 2 febbraio 1983 e 25 marzo 1983 e recepita nel
d.p.r. 348/83 — dalla sentenza n. 1002 del 1987 (ibid., n. 155) di queste stesse sezioni unite, la quale ha ribadito il precedente
orientamento, affermando che, anche dopo l'entrata in vigore del suindicato d.p.r., le prestazioni rese in plus-orario dai medi
ci costituiscono esplicazione di attività libero-professionale e,
pertanto, le relative controversie appartengono alla cognizione
dell'a.g.o. Tale indirizzo è stato successivamente ribadito in numerose
pronunce (cfr. ex plurimis sez. un. 1028/90 e 12167/90, id.,
Rep. 1990, voce cit., nn. 363, 429; 8288/90, ibid., voce Sanità
pubblica, n. 257; 868/91, id., Mass., 89), e può oggi conside
rarsi ius receptum. In tutte le suindicate pronunce, l'affermazione della giuris
dizione dell'a.g.o. è stata motivata con il rilievo che l'attività
prestata dai medici in regime di plus-orario (almeno sino a tutto
il periodo disciplinato dal d.p.r. n. 348 del 1983), cosi come
quella in precedenza prestata dai medesimi soggetti in regime
di compartecipazione, si configura come specifica modalità di
esercizio del diritto di attività libero-professionale, agli stessi
garantito dalla legge, e che le disposizioni particolari, con le
quali i vari accordi hanno disciplinato via via le prestazioni in
plus-orario, non incidono sulla sostanza di quelle prestazioni
trasformandole da prestazioni libero-professionali in prestazio
ni di lavoro subordinato. In particolare, è stato ritenuto che
la natura di attività libero-professionale non viene meno nel ca
so in cui la relativa prestazione sia resa in gruppo o in équipe,
poiché una tale modalità è espressamente prevista dalla legge
(rispettivamente, art. 47/11 d.p.r. 130/69 e 35/7 d.p.r. 761/79),
e che, in tal caso, a mantenere ferma la suddetta natura, non
è necessario che il paziente scelga ogni singolo medico impegna
to nella prestazione in équipe essendo sufficiente la scelta di
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3315 PARTE PRIMA 3316
un singolo medico di questa, scelta che si «riverbera» anche
sugli altri medici che costituiscono Véquipe, con la quale il pre scelto normalmente opera (sez. un. 6923/86 cit.).
Questo fermo indirizzo della giurisprudenza delle sezioni uni
te, peraltro, incontra non trascurabili resistenze sia tra i giudici ordinari di merito che tra i giudici amministrativi (cfr., tra le
più recenti, Cons. Stato, sez. V, 791/88, id., Rep. 1989, voce
Sanitario, n. 417). l'istante Usi, evocando le ragioni di tali resi
stenze, chiede esplicitamente che, alla luce degli argomenti che
militano per l'opposta soluzione e dei quali è abbondante trac
cia nella già accennata giurisprudenza di merito e amministrati
va, questa corte regolatrice rimediti il proprio indirizzo.
Consapevoli della necessità di un pur difficile contempera mento tra l'esigenza della certezza del diritto (specie in materia
processuale e di riparto delle giurisdizioni) e quella della massi
ma attenzione, da parte della corte regolatrice, a tutti i contri
buti critici, anche in vista di una migliore aderenza delle deci
sioni alle sempre più spesso accidentate particolarità del dato
normativo, le sezioni unite non intendono sottrarsi al compito di scrutinare la propria giurisprudenza alla luce degli argomenti addotti dall'istante.
Al riguardo è innegabile che la strutturazione dell'istituto del
l'incentivazione di produttività, risultante dagli art. 60 ss. d.p.r.
348/83, appare per più versi, almeno ad un primo esame, non
agevolmente conciliabile con la prestazione di attività libero
professionale. Ciò dicasi, in particolare, per la disposizione se
condo cui il plus-orario, concordato con le organizzazioni sin dacali e successivamente deliberato dall'amministrazione, «co
stituisce debito orario» ( art. 65/5); o per quella che dispone che il plus-orario debba essere programmato nei piani di lavoro e verificato attraverso sistemi obiettivi di controllo degli orari
di servizio (art. 65/5, ultima parte); o ancora per quelle che
configurano l'attività in plus-orario come attività «incentivata»
della struttura pubblica, prevedendo che alla remunerazione di
essa sia destinata una quota del fondo attribuito alle Usi dal
servizio sanitario nazionale e che a tale attività partecipino tutti
i dipendenti dell'unità sanitaria locale, e quindi anche coloro ai quali non è riconosciuto alcun diritto all'esercizio di attività
libero-professionale (art. 60, 61 e 63).
Peraltro, i dati ora richiamati appaiono meno dirimenti di
quanto a tutta prima possa ritenersi ove si consideri il carattere
affatto peculiare dell'esercizio libero-professionale che in base
ad essi dovrebbe risultare escluso: si tratta, invero, di un'attivi
tà libero-professionale svolta dal dipendente di un ente pubbli co, all'interno delle strutture di questo e utilizzandone i servizi e l'organizzazione strumentale e personale. Siffatti caratteri —
già tratteggiati nei primi testi legislativi che hanno affermato il diritto dei medici ospedalieri all'esercizio della professione «in
tramurale» (art. 43, lett. D, 1. 132/68; 47 d.p.r. 130/69) e già riconosciuti da questa corte che, con riferimento alla situazione esistente prima della riforma sanitaria, ebbe a definire l'attività in esame un tipo sui generis di attività professionale, soggetta a molte limitazioni e condizionamenti (sez. un. 5465/79, id.,
Rep. 1980, voce cit., n. 164, 196) — sono stati nitidamente deli neati dal d.p.r. 761/79 che reca la vigente normativa in tema di stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali. Pre vede infatti l'art. 35/7 di tale decreto che l'attività libero
professionale, esercitata all'interno delle strutture e dei servizi della Usi (siccome è diritto del medico), può svolgersi in costan za di ricovero del paziente, implicando in tal caso una presta zione d'équipe e la prestazione «dei servizi connessi», ovvero «in regime ambulatoriale, con utilizzo delle relative strutture, secondo modalità organizzative stabilite dall'unità sanitaria lo cale in accordo con i sanitari interessati». Nell'uno e nell'altro
caso, il sanitario è inevitabilmente condizionato e «conforma to» dalle strutture e dai servizi al cui interno inserisce la propria attività libero-professionale: la struttura di servizio, che nello schema astratto del rapporto dovrebbe essere in funzione della
prestazione libero-professionale, nella realtà sociale e nel prati co svolgimento del rapporto funzionalizza a sé quella prestazio ne costringendola ad adattarsi alle proprie esigenze, ai propri ritmi, ai propri programmi. Una tale alterazione, peraltro, non
potrebbe condurre alla conclusione che, in tutti tali casi, non si versi più in ipotesi di prestazione di lavoro autonomo; perché è la stessa legge che impone di considerare lavoro autonomo la prestazione resa nelle suindicate condizioni. Né potrebbe obiet
II Foro Italiano — 1991.
tarsi che il legislatore può esprimere precetti e regole ma non
imporre definizioni dogmatiche (che è compito dell'interprete
formulare), perché qui, attraverso la categoria della «prestazio ne libero-professionale», in realtà il legislatore ha dettato preci se regole, in particolare imponendo di trattare quel rapporto a tutti i fini (ivi compreso il riparto di giurisdizione) come rap porto di lavoro autonomo.
Ciò comporta, tra l'altro, che alcuni dei più gravi inconve
nienti, addebitati alla tesi che identifica nella prestazione medi
ca resa in plus-orario una forma di esplicazione dell'attività
libero-professionale, siano in realtà inconvenienti propri della
disciplina legislativa. Cosi dicasi per la diversa configurazione che nell'ambito della complessiva prestazione sanitaria resa dal
la struttura e risultante dall'apporto congiunto di varie compe tenze e attività, viene ad assumere la prestazione del medico
rispetto a quella del personale sanitario non medico o del re
stante personale: la prima configurandosi come prestazione libero
professionale, le altre come prestazioni di lavoro subordinato; con l'ulteriore conseguenza— puntualmente messa in luce dal
l'istante — di un'incertezza nell'identificazione del soggetto cui
la complessiva prestazione sanitaria è imputabile. Invero, l'in
tricata situazione ora accennata trova le proprie radici nel dato
legislativo il quale, per un verso, afferma che, in determinati
casi, l'attività libero-professionale del medico in regime intra murale deve essere svolta in équipe (cfr. art. 35/7 d.p.r. 761/79) e, per altro verso, preclude a tutto il personale dipendente delle
Usi, che non sia medico o veterinario, l'esercizio della libera
professione (art. 60 d.p.r. 3/57, 47/1 1. 833/78, 27/1 d.p.r.
761/79): con il che si ottiene il risultato di una complessiva pre stazione sanitaria svolta da una équipe (si pensi ad un interven
to chirurgico) nel cui ambito la prestazione del medico si confi
gura come prestazione libero-professionale e quelle degli altri
soggetti come prestazioni di lavoro subordinato pubblico. Per altro verso, l'inserimento dell'attività libero-professionale
all'interno della struttura pubblica vale a render ragione anche
di alcune disposizioni non facilmente compatibili con il regime di un'attività autonoma, come quelle, già ricordate, che defini
scono il plus-orario oggetto di «debito orario», e ne prevedono la programmazione nei piani di lavoro e la verifica dell'effet
tuazione attraverso sistemi obiettivi di controllo (art. 61/5 d.p.r. n. 348). Infatti, una volta che la legge impone alla struttura
sanitaria pubblica di fornire ai medici, che svolgano attività
libero-professionale intramurale, i locali, le attrezzature ed an
che i servizi, l'adempimento di un tale obbligo non può prescin dere da una rigorosa programmazione, dalla predisposizione di
piani di lavoro, da un generale coordinamento con il complesso delle attività svolte dalla struttura stessa. D'altro canto, una tale programmazione postula che si conosca previamente il vo lume dell'attività libero-professionale che sarà esercitata all'in terno delle strutture: da qui la previa determinazione di tale
volume e, più in generale, del volume delle prestazioni da rea lizzare in plus-orario, e la programmazione degli apporti di cia scun operatore (ivi compresi i medici) per l'effettuazione di tali
prestazioni supplementari; con la conseguenza che gli apporti stessi — una volta stabilito il fabbisogno — divengono «apporti dovuti» e cioè debito orario. Una tale espressione, peraltro, è da intendere come obbligo di eseguire le prestazioni in plus orario solo dopo aver dato la propria disponibilità ad esse, al trimenti non riuscirebbe comprensibile il disposto dell'ultimo comma dell'art. 64 del d.p.r. in argomento che prevede la fa coltà di «rinuncia all'effettuazione del» plus-orario, ricollegan dovi solo la perdita degli emolumenti connessi all'istituto del l'incentivazione della produttività. Cosi inteso, il «debito ora rio» non risulta incompatibile con la natura autonoma della
prestazione, dal momento che un «debito» può aver ad oggetto anche la prestazione di un'attività libero-professionale.
Quanto poi ai «controlli», essi sono necessariamente implica ti dalle esigenze della struttura e non sono incompatibili con il carattere autonomo di una prestazione che, inserendosi all'in terno di una complessa organizzazione, assumerebbe i connota ti della parasurbodinazione.
Peraltro, le considerazioni che precedono — se valgono ad escludere che la strutturazione dell'istituto dell'incentivazione della produttività contenga disposizioni che inequivocamente ca ratterizzano come attività di lavoro subordinato pubblico tutte le prestazioni rese nell'ambito di tale istituto — non sono tutta
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
via idonee ad offrire elementi di giudizio per definire la natura
di tali prestazioni quando esse siano rese dai medici.
A favore della natura di lavoro subordinato pubblico milita
la presunzione derivante dal rapporto di pubblico impiego, cor
rente tra il sanitario e l'Usi, che lascia ritenere che un'attività
svolta all'interno delle strutture dell'ente e da questo retribuita
(sia pure secondo meccanismi a base tariffaria) costituisca parte
delle prestazioni lavorative cui il pubblico dipendente è tenuto.
Trattasi di presunzione che — attesa la già ricordata previsio
ne legislativa in ordine al diritto dei medici (e veterinari) dipen
denti dalle Usi a svolgere attività libero-professionale anche al
l'interno delle strutture dell'ente — può essere definitivamente
convalidata attraverso la rilevazione di disposizioni le quali esclu
dano espressamente che l'attività connessa all'incentivazione della
produttività possa costituire forma di esplicazione di quel dirit
to (cfr., ad es., l'art. 86/2 del successivo d.p.r. 270/87: «le mo
dalità organizzative devono provvedere per l'attività libero
professionale in regime ambulatoriale orari diversi da quelli sta
biliti per l'attività ambulatoriale ordinaria e divisionale e per
l'attività connessa all'istituto di incentivazione della produttivi
tà»). Di tali disposizioni, peraltro, non è traccia nel d.p.r. 348/83,
della cui applicazione qui si tratta.
Da un'altra parte e all'opposto, la stessa presunzione può
essere definitivamente superata attraverso la rilevazione di di
sposizioni che indichino l'attività in questione come preordinata
anche all'attuazione del diritto del medico all'esercizio dell'atti
vità libero-professionale. A tal riguardo — premesso che l'attività in esame dev'essere
svolta in plus-orario (art. 64/1 d.p.r. n. 348) e che anche l'atti
vità libero-professionale del medico deve essere svolta in plus
orario (art. 26/3 cit. d.p.r. n. 348; per l'utilizzazione del plus
orario ai fini dello svolgimento di tale attività, cfr. anche art.
35/7 d.p.r. 761/79)— l'indagine deve specificatamente appun
tarsi sulle disposizioni del d.p.r. n. 348 relative all'esercizio del
l'attività libero-professionale da parte dei medici e dei veterinari
dipendenti dalle Usi. Viene a tal fine in rilievo, in primo luogo, l'art. 26, il cui
I ° comma stabilisce, in via generale, che alla concreta attuazio
ne dei principi relativi all'esercizio della libera professione da
parte dei medici e dei veterinari si prowederà con un atto d'in
dirizzo e di coordinamento; mentre il 2° comma dispone che,
sino all'emanazione di un tale atto (che sino al 1985 non risulta
va avvenuta), le attività libero-professionali prestate nell'ambi
to delle strutture sanitarie pubbliche e svolte nei confronti dei
pazienti paganti in proprio, sia in regime di ricovero che ambu
latoriale, restano disciplinate dalle norme contenute nell'accor
do unico per il personale ospedaliero del 17 febbraio 1979, sal
vo quanto previsto dal successivo art. 67.
Orbene, la disciplina dell'attività libero-professionale conte
nuta nel suindicato accordo (articoli da 58 a 61) oltre a contene
re norme generali che si ritroveranno di lì a poco nel d.p.r.
761/79, prevede che la libera professione esercitata all'interno
dell'ospedale dà luogo a compartecipazione se svolta oltre il
normale orario di lavoro ed oltre l'eventuale lavoro straordina
rio; che gli introiti che danno luogo alla compartecipazione so
no rappresentati dagli importi versati dall'utente secondo tarif
fe prestabilite; che tali importi saranno riscossi esclusivamente
dall'amministrazione ospedaliera; che gli introiti lordi cosi in
cassati saranno suddivisi tra l'amministrazione, l'équipe o il me
dico che ha effettuato la prestazione (secondo criteri differen
ziati in funzione della posizione occupata dal medico nell'ambi
to della gerarchia ospedaliera), ed infine un fondo comune dei
medici da ripartirsi secondo criteri anch'essi differenziati in fun
zione della posizione gerarchica di ciascun medico.
A sua volta, l'art. 59 d.p.r. n. 348, che istituisce l'istituto
dell'incentivazione alla produttività, lo indica quale «ridefini
zione dell'ex istituto delle compartecipazioni secondo le linee
che seguono» e che sono quelle, in parte già richiamate, conte
nute negli articoli successivi (essenzialmente da 60 a 64). Nel
l'ambito della stessa parte quarta del d.p.r., intitolata alla pro
duttività e contenente la disciplina del nuovo istituto, si colloca,
poi, anche l'art. 67, intitolato «norma transitoria di sperimen
tazione». Tale disposizione (richiamata dal 2° comma del pre
cedente art. 26) autorizza le regioni a consentire, su richiesta
della Usi e previo «confronto» con le organizzazioni sindacali,
la gestione dell'istituto d'incentivazione come definito nelle pre
cedenti disposizioni «attraverso l'attivazione di un sistema di
II Foro Italiano — 1991.
calcolo budgetario», contestualmente indicando le procedure ed
i criteri per pervenire ad una tale attivazione.
Infine, sempre nella stessa parte quarta, si colloca l'art. 65
intitolato ai «medici veterinari», il quale, ribadito, al 1° com
ma, il diritto di tali dipendenti ad esercitare attività libero
professionale oltre l'orario di servizio, cosi prosegue nei commi
successivi:
«2. - Nel rispetto della normativa generale dell'istituto, gli
incentivi della produttività per il servizio veterinario formano
un comparto autonomo e riservato agli operatori del servizio
stesso.
3. — Tali incentivi si riferiscono ad attività rese nell'interesse
di enti o privati esclusivamente in plus-orario.
4. - Inoltre le Usi possono erogare, con propri dipendenti,
l'assistenza zooiatrica ed organizzare, in collegamento con enti
ed organismi competenti, interventi per il miglioramento ed il
potenziamento delle produzioni animali. I proventi di tale atti
vità sono considerati agli effetti dell'istituto dell'incentivazione
della produttività a fronte di prestazione di plus-orario, nei li
miti e con le modalità previsti per il personale medico a tempo
pieno. 5. - Le tariffe per le attività di cui sopra verranno definite
da una commissione con gli stessi criteri e modalità di cui al
successivo art. 66.
6. - Nelle more della definizione di dette tariffe il calcolo
di compenso delle prestazioni viene effettuato sulla base dei ta
riffari attualmente in vigore, con abbattimento a favore del
l'Usi della percentuale del 15%».
La questione che un t£ile congiunto normativo pone, ai fini
di causa, è se l'esercizio dell'attività libero-professionale intra
murale dei medici sia stata o meno attratta nell'ambito dell'isti
tuto dell'incentivazione alla produttività ovvero se, secondo quan
to sostiene l'istante, un tale istituto riguardi unicamente attività
di lavoro subordinato rese in un prolungamento dell'orario di
servizio e retribuite, anziché nelle forme del lavoro straordina
rio, su base tariffaria.
La risposta delle sezioni unite, alla luce di un approfondito
riesame dell'intera normativa e degli argomenti addotti dai so
stenitori della seconda delle due soluzioni sopra richiamate, è
nel senso di dover riconfermare la propria costante giuris
prudenza, riaffermando che l'attività prestata dai medici in re
gime di plus-orario e nell'ambito dell'istituto dell'incentivazio
ne della produttività disciplinato dal d.p.r. 348/83 costituisce
esplicazione di attività libero-professionale.
Questa conclusione si fonda sulle seguenti considerazioni.
Secondo l'art. 26/2 d.p.r. 348/83, sopra ricordato, le attività
libero-professionali dei medici restano disciplinate dalle norme
contenute nell'accordo nazionale unico per i dipendenti ospeda
lieri del 17 febbraio 1979, le quali collocano le attività in esame
nell'ambito dell'istituto della compartecipazione. Un tale istitu
to, peraltro, viene espressamente «ridefinito» dal successivo art.
59, ultimo comma, che lo trasforma nel nuovo istituto dell'in
centivazione alla produttività. Alla trasformazione non sfugge
la disciplina di compartecipazione dichiarata provvisoriamente
applicabile alle attività libero-professionali dei medici, la quale,
pertanto, finisce con il coincidere con l'incentivazione alla pro
duttività. Ciò anche perché l'istituto dell'incentivazione alla pro
duttività è l'unica sede, nell'ambito del d.p.r. n. 348, ove si
disciplini il plus-orario e, d'altro canto, secondo quanto già ac
cennato, lo stesso art. 26 (che prevede la disciplina dell'attività
libero-professionale da parte delle norme dell'accordo ospeda
liero) prevede anche che tale attività sia svolta in plus-orario;
sì che, unica essendo la disciplina di quest'ultimo istituto e re
fluendo essa nella più generale disciplina dell'incentivazione della
produttività, anche l'attività libero-professionale (che dev'esser
svolta in plus-orario) non può non refluire in tale ambito.
Ad opinare diversamente — e cioè a ritenere che il rinvio
dell'art. 26/2 alle norme dell'accordo del febbraio 1979 sia una
sorta di rinvio recettizio o materiale che introduce, sia pure prov
visoriamente, le disposizioni dell'accordo all'interno della nuo
va disciplina disegnata dal d.p.r. n. 348 — si perverrebbe alla
conclusione che tale ultimo provvedimento, mentre per un ver
so, ridefinisce con carattere di definitività l'istituto della com
partecipazione (che infatti viene indicato come «ex istituto»),
per altro verso cristallizzi tale istituto per una non trascurabile
fascia di rapporti, lasciandolo coesistere con la nuova disci
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3319 PARTE PRIMA 3320
plina. Conclusione, questa, poco rispettosa dell'intenzione delle
parti (sulla quale insiste, sia pure in diversa prospettiva, la dife
sa dell'Usi) di superare definitivamente l'istituto della compar
tecipazione (art. 1362/1 c.c. applicabile alla specie stante la na
tura negoziale del contenuto del d.p.r. n. 348).
Ma, soprattutto, la suddetta conclusione non terrebbe conto
che lo stesso 2° comma dell'art. 26 fa salva l'applicazione del
successivo art. 67, relativo — secondo quanto accennato — alla
possibilità per le Usi di ottenere l'autorizzazione alla gestione in via sperimentale dell'istituto dell'incentivazione mediante un
sistema di calcolo budgetario. Una tale gestione, stante la sal
vezza disposta dal citato art. 26/2, ultima parte, non potrebbe non riguardare anche le attività libero-professionali, le quali quin di entrerebbero a pieno titolo nell'ambito dell'istituto dell'in
centivazione della produttività; ma, secondo la tesi qui disatte
sa, vi entrerebbero solo in quanto tale istituto venga gestito at
traverso un sistema sperimentale: di una tale disciplina differenziata non è dato, però, vedere alcuna razionalità, il che
addita la relativa interpretazione come poco rispettosa del cano
ne della totalità e della buona fede (art. 1363 e 1366 c.c.), que st'ultima esigendo che, nella ricostruzione dell'assetto impresso dalle parti agli interessi in gioco, si accordi la preferenza, nel
dubbio, all'assetto razionale rispetto a quello capriccioso o ar
bitrario. Tanto più ingiustificata appare la disciplina risultante
da una cristallizzazione delle disposizioni dell'accordo ospeda
liero, se si considera che per i veterinari, per i quali il 2° com
ma dell'art. 26 non detta alcuna disposizione, la disciplina delle
attività libero-professionali sino all'emanazione dell'atto d'indi
rizzo e coordinamento di cui al 1° comma è rinvenibile solo
nell'art. 65 sopra riportato, il quale inserisce appieno quelle at
tività nell'ambito dell'istituto dell'incentivazione della produt tività.
I sopra richiamati art. 65 e 67, dunque, per un verso, indica
no come non razionale una disciplina delle attività libero
professionali dei medici che si presentasse differenziata rispetto a quella dei veterinari e all'interno della stessa categoria a se
conda che l'Usi abbia o meno adottato il sistema sperimentale
budgetario. Per altro verso, smentiscono la tesi dell'istante se
condo cui l'istituto dell'incentivazione della produttività sareb
be incompatibile con l'esercizio delle attività libero-professionali. Può ancora aggiungersi che dallo stesso art. 65 (oltre che dal
successivo art. 66) è dato trarre ulteriori elementi a conferma
della tesi qui ritenuta. Intanto, il 2° comma — che, subito dopo l'enunciazione del diritto dei veterinari di svolgere attività libero
professionale contenuta al 1° comma, si preoccupa di stabilire
che gli incentivi alla produttività per il servizio veterinario for
mano un comparto autonomo — sembra presupporre che l'atti
vità libero-professionale si eserciti necessariamente nelle forme
dell'incentivazione alla produttività. Poi il 4° comma, nel ri
chiamare, per l'utilizzazione dei proventi derivanti dall'attività
professionale, modalità e limiti previsti per i proventi dei medi ci a tempo pieno, suggerisce che anche per questi ultimi si tratti di proventi derivanti dall'esercizio dell'attività libero
professionale. Ancora il 5° comma, nello stabilire che le tariffe
per l'attività libero-professionale dei veterinari verranno stabili te con gli stessi criteri e modalità previsti in generale per l'istitu to dell'incentivazione, indica come tale sistema tariffario sia ri tenuto appropriato a remunerare attività libero-professionale, testualmente smentendo le argomentazioni che a partire da un
siffatto sistema deducevano la necessaria inerenza dell'istituto a prestazioni di lavoro subordinato pubblico. L'art. 66, poi, al 6° comma testualmente prevede un sistema di ripartizione dei proventi, ai fini dell'incentivazione della produttività, «per le attività libero-professionali in regime di ricovero»; per tale via espressamente indicando che le attività libero-professionali rientrano nell'istituto dell'incentivazione della produttività; men tre il 5° comma — nello stabilire che per le attività libero
professionali personali restano ferme le percentuali di riparto di cui all'Anul 24 giugno 1980 — presuppone che tutta la nor mativa dell'istituto in esame si applichi alle attività libero
professionali.
Infine, non è senza significato che nessuno degli elementi di cui sopra ricorra nell'accordo sindacale per il trienno 1985/1987
reso esecutivo con d.p.r. 270/87 e che tale testo contenga anzi
un'apposita norma, già ricordata, che espressamente impone lo
svolgimento dell'attività libero-professionale in orari diversi da
Il Foro Italiano — 1991.
quelli previsti per l'attività connessa all'incentivazione della pro duttività. Norma dalla quale erroneamente l'istante ritiene di
desumere una conferma dell'incompatibilità tra attività libero
professionale e incentivazione della produttività, anche per il
periodo precedente la vigenza del d.p.r. 270/87; laddove la nor
ma stessa mostra solo come l'autonomia delle parti sia libera
nell'utilizzazione dell'istituto e nel passare da un regime all'altro.
Da ultimo, è appena il caso di osservare come la tesi adom
brata dall'istante, secondo cui l'autonomia delle parti collettive
avrebbe potuto legittimamente disporre del diritto di esercitare
l'attività libero-professionale sostituendo con il nuovo istituto
dell'incentivazione della produttività interamente ricompreso nel
rapporto di pubblico impiego, incontra l'obiezione che la mate
ria riservata in questo settore agli accordi collettivi è specifica mente indicata dalla legge (cfr. art. 47, 9°, 10° e 11° comma, 1. 833/78 e art. 30 d.p.r. 761/79) e non comprende la disposi zione del diritto all'esercizio dell'attività libero-professionale.
Conclusivamente, ribadito l'indirizzo di questa corte sull'ar
gomento, deve dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario
a conoscere della controversia, essendo la stessa relativa a com
ponenti di un credito per corrispettivi di attività libero
professionale.
II
Svolgimento del processo. — Il d.r. Rubino Renato medico
alle dipendenze della Usi n. 18 di Catanzaro, conveniva avanti
al Pretore di Catanzaro, in funzione di giudice del lavoro, la
predetta Usi per la declaratoria del proprio diritto a percepire i compensi spettanti per l'attività resa in regime di «incentiva
zione alla produttività» ex art. 59 ss. d.p.r. 348/83 per il perio do dal 1983 al 1988 presso l'amministrazione convenuta e per la condanna dell'amministrazione a corrispondere le relative som
me, oltre a onorari e spese del giudizio. L'ente convenuto si è costituito in giudizio eccependo preli
minarmente il difetto di giurisdizione dell'a.g.o. e, quindi, del
l'adito giudice; successivamente, lo stesso ente ha chiesto a que ste sezioni unite, ex art. 41, 1° comma, c.p.c., che venisse di
chiarata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in ordine alla controversia di cui trattasi. Il medico non si è
costituito.
Motivi della decisione. — La questione di giurisdizione, na
scente dalle controversie relative alla rivendicazione, da parte di personale sanitario delle competenze spettanti in dipendenza dell'attività svolta in regime di plus-orario, già più volte esami
nata con riferimento a prestazioni rese nel periodo precedente l'entrata in vigore del d.p.r. 348/83 e risolta nel senso dell'af
fermazione della giurisdizione dell'a.g.o. (cfr. sez. un. 6923/86, Foro it., Rep. 1986, voce Sanitario, n. 350; 3952/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 359), è stata successivamente affrontata —
con specifico riferimento a prestazioni rese secondo la discipli na introdotta dagli accordi 2 febbraio 1983 e 25 marzo 1983 e recepita nel d.p.r. 348/83 — dalla sentenza n. 1002/87 (ibid., n. 155) di queste stesse sezioni unite.
In tale ultima decisione è stato ritenuto che l'innegabile fina lizzazione dell'istituto dell'incentivazione alla produttività (qua le previsto e disciplinato dagli articoli da 59 a 66 dell'accordo nazionale unico di lavoro delle Usi reso esecutivo con d.p.r. 348/83) agli obiettivi: a) di uno spostamento della domanda di assistenza specialistica, in parti progressivamente crescenti, verso la struttura pubblica, b) di una conseguente diversa quali ficazione della domanda reale dei cittadini e, in definitiva, c) di una riduzione della spesa, non vale tuttavia a snaturare il carattere libero-professionale dell'attività svolta dal personale sanitario nell'ambito del predetto istituto dell'incentivazione della
produttività. Ciò, in quanto l'attività in compartecipazione (di cui al n. 4.10 dell'accordo nazionale per il personale ospedalie ro del 24 giugno 1980) non era altro che una specifica modalità d'esercizio dell'attività libero-professionale prevista dall'art. 35
d.p.r. 761/79 (sez. un. 6923/86), di talché — nel momento in cui il nuovo accordo parla di una «ridefinizione dell'ex istituto delle compartecipazioni secondo le linee organizzative che se
guono, esso disciplina diversamente le specifiche modalità d'e sercizio dell'attività libero-professionale, ma non tocca in alcun modo la sostanza dell'indicata natura dell'ex istituto delle com
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
partecipazioni, che resta, sia pure strutturato diversamente, espli cazione di attività libero-professionale. Una tale conclusione —
si è altresì osservato — trova conferma anche nella considera
zione che, pur nel nuovo regime, la prestazione in plus-orario non è obbligatoria, dal momento che il rifiuto di eseguirla non
determina alcuna conseguenza in relazione al rapporto di pub blico impiego, ma soltanto la non attribuzione delle quote ine
renti il fondo comune (art. 65, ultimo comma, d.p.r. 348/83). Si è anche osservato che la stessa attività libero-professionale,
essendo prevista come finalizzata all'arricchimento della profes sionalità del personale «nell'interesse degli utenti e della collet
tività» (art. 35/6 d.p.r. 761/79), può ben essere recuperata al
l'interno di un disegno di accrescimento della produttività senza
snaturarsi. Si è, pertanto, ritenuto che l'attività prestata dai me
dici in regime di plus-orario (almeno sino a tutto il periodo
disciplinato dal d.p.r. n. 348 del 1983) cosi come quella in pre cedenza prestata dai medesimi soggetti in regime di comparteci
pazione, si configura come specifica modalità di esercizio del
diritto di attività libero-professionale, agli stessi garantito dalla
legge e, pertanto, le relative controversie appartengono alla co
gnizione dell'a.g.o. Tale indirizzo è stato successivamente riba
dito in numerose pronunce (sez. un. 4947/89, id., Rep. 1989, voce cit., n. 414; 1028/90, id., Rep. 1990, voce cit., n. 363;
8288/90, ibid., n. 257; 868/91, id., Mass., 91, ed altre). Tanto premesso, rileva la corte che per l'attività prestata dal
medico sino a tutto il periodo disciplinato dal d.p.r. n. 348 del
1983 (e cioè sino a tutto il 31 dicembre 1985) per le relative
controversie va ribadita la giurisdizione dell'a.g.o., mentre per l'attività prestata nel periodo successivo si impone un'ulteriore
indagine. Al d.p.r. 384/83 ha fatto seguito il d.p.r. 20 maggio 1987
n. 270, riferentesi al periodo 1° gennaio 1985 - 31 dicembre
1987, con decorrenza degli effetti giuridici dal 1° gennaio 1985
e con effetti economici dal 1° gennaio 1986 al 30 giugno 1988.
Orbene, assume la Usi: che il predetto d.p.r. 270/87, di rece
zione del nuovo accordo per il personale sanitario, superando confusioni normative ed ambiguità interpretative, ha finalmen
te disciplinato in modo distinto l'incentivazione della produtti vità (collocata nella parte II al titolo VI) e l'attività libero
professionale (disciplinata alla parte II al titolo IV) dei medici
dipendenti dalle unità sanitarie locali, offrendo l'auspicato defi
nitivo chiarimento nella materia, sicché l'istituto dell'incentiva
zione della produttività non è più configurabile quale rapporto di lavoro autonomo di natura privatistica distinto dal rapporto di pubblico impiego di natura pubblicistica dei dipendenti Usi;
che, di conseguenza, deve essere affermata — per le relative
controversie — la giurisdizione esclusiva del giudice ammini
strativo.
Tale assunto deve essere condiviso. Già in una precedente sentenza queste sezioni unite, dopo un approfondito esame di
tutta la materia, hanno avuto occasione di rilevare — sia pure incidentalmente — il carattere innovativo del d.p.r. 270/87, fa
cendo anche osservare che mentre l'attività libero-professionale dei medici è un diritto indisponibile disciplinato specificatamen te dalla legge (art. 47, 9°, 10° e 11° comma, 1. 833/78 e art.
30 d.p.r. 761/79), nulla vieta all'autonomia delle parti discipli
nare, di volta in volta, in modo diverso l'istituto dell'incentiva
zione della produttività. Ed invero la nuova disciplina pone una netta distinzione tra
l'attività libero-professionale medica e quella connessa all'isti
tuto dell'incentivazione della produttività. Per la prima è detto espressamente che: 1) deve essere «pre
stata al di fuori del normale orario di servizio», dell'eventuale
plus-orario e non deve rientrare nell'ambito del lavoro straordi
nario; 2) non deve essere in contrasto con i compiti di istituto;
3) non deve essere «prestata con rapporto di lavoro subordina
to», non deve essere in contrasto con gli interessi dell'ente e
deve essere in ogni caso subordinata all'impegno di garantire
la piena funzionalità dei servizi (art. 89). Di conseguenza, «le modalità organizzative devono prevedere
per l'attività libero-professionale in regime ambulatoriale orari
diversi da quelli stabiliti per l'attività ambulatoriale ordinaria
e divisionale e per l'attività connessa all'istituto di incentivazio
ne della produttività» (art. 86, 2° comma): «Il tempo destinato
all'attività libero-professionale in regime ambulatoriale e di ri
covero non rientra nel tetto orario proprio dell'istituto di incen
Ii Foro Italiano — 1991.
tivazione della produttività e parimenti l'insieme dei proventi
percepiti non rientra nel tetto retributivo» (art. 86, 3° comma). Detti proventi vengono riscossi dai pazienti paganti in pro
prio dall'amministrazione di ogni singola Usi, la quale — pre via contabilizzazione del fatturato — li ripartisce ed attribuisce
ai singoli medici che hanno effettuato le prestazioni, secondo
la quota di loro spettanza. Rilevanti sono i tratti di differenziazione tra l'attività libero
professionale e quella svolta in regime di plus-orario. Devesi innanzi tutto rilevare che l'accordo reso esecutivo con
il d.p.r. 270/87 riafferma in termini più chiari rispetto al conte
nuto del precedente d.p.r. 348/83 che l'incentivazione della pro duzione tende non già all'aumento quantitativo delle prestazio
ni, bensì a migliorare la qualità e realizzare l'economicità dei
servizi, attraverso un meccanismo rigidamente ancorato ad obiet
tivi prefissati ed a limiti di spesa finanziati in stretto rapporto con i primi (art. 66 e 101).
La finalità per la libera professione dei medici dipendenti dalle
Usi è invece indicata dall'art. 35, 6° comma, 20 dicembre 1979
n. 761, nell'esigenza di favorire esperienza di pratica professio
nale, contatti con i problemi della prevenzione, cura e riabilita
zione ed aggiornamento tecnico-scientifico e professionale nel
l'interesse degli utenti e della collettività.
Nel mentre, come si è visto, nell'attività libero-professionale
permangono evidenti le condizioni proprie della prestazione li
bera, individuabili nella scelta fiduciaria da parte del paziente, del singolo professionista, ancorché coadiuvato in équipe da al
tri operatori, nella corrispettività del compenso pagato dal pa ziente rispetto alla singola e specifica prestazione, nell'incenti
vazione, invece, le suddette connotazioni sono assenti: l'offerta
di prestazione è indistinta e rivolta all'utenza in generale, per cui non è mai accordato al paziente il diritto di scelta del medi
co o della sua équipe; l'utente è assistito non in quanto pagante in proprio, ma quale cittadino titolare del diritto alla tutela del
la salute in virtù dell'art. 32 Cost.; i compensi per il personale non derivano da corrispettivi pagati dal singolo ma da fondi
finanziari appositamente creati dallo Stato (fondo d'incentiva
zione) ed alimentati in rapporto, tra l'altro, al nesso che deve
sussistere tra l'aumento quali-quantitativo delle prestazioni rese
dal servizio pubblico e la riduzione della spesa per la medicina
esterna e convenzionata; la funzione del tariffario è limitata
a quella di rendere possibile la valutazione economica delle pre stazioni effettuate dai singoli operatori ed a valutare, quindi, la produttività complessiva; mentre l'esercizio della libera pro fessione nell'ambito dell'Usi non subisce alcun condizionamen
to da parte dell'ente, se non quello derivante dall'esigenza di
renderlo compatibile con l'attività dipendente (orario, spazi, uso
delle attrezzature, ecc.) il momento dell'autonomia nel lavoro
svolto in plus-orario per incentivazione deve recedere di fronte
a quello dell'autorietarietà dell'ente, da cui il primo resta prati camente annullato.
Il lavoro in plus-orario, infatti, resta completamente assog
gettato sin dalla sua attivazione ed in tutto il suo svolgimento ai poteri organizzatori e programmatori della Usi.
Ciò determina un vincolo per il dipendente tenuto ad osser
vare l'orario aggiuntivo come quello ordinario.
Sotto questo profilo la posizione del medico è di subordina
zione senza che si possa rilevare alcuna differenza rispetto al
suo status, quale si profila nell'orario ordinario di servizio.
Per concludere: finalità pubbliche dell'istituto dell'incentiva
zione della produttività mediante attività svolta in regime di plus
orario, attivazione dello stesso istituto mediante l'istituzione di
un fondo regionale, poteri discrezionali delle Usi per la riparti zione del detto fondo, poteri organizzatori e di programmazio ne e quindi di supremazia delle stesse Usi, natura di attività
aggiuntiva dell'attività svolta in regime di plus-orario, natura
di premio, più che di corrispettivo del complesso incentivante,
sono tutti elementi che (art. 85-89 d.p.r. 270/87) fanno dell'isti
tuto detto una specie giuridica non più configurabile quale rap
porto di lavoro autonomo di natura privatistica distinto dal rap
porto di pubblico impiego di natura pubblicistica dei dipendenti
Usi, ma che, invece, va vista ed inquadrata all'interno dello
stesso rapporto principale di pubblico impiego degli stessi di
pendenti delle Usi.
Ne deriva che la controversia, concernente la retribuzione per
l'attività svolta in regime di plus-orario — a decorrere dal 1°
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3323 PARTE PRIMA 3324
gennaio 1986 (data di decorrenza, agli effetti economici, del
d.p.r. 270/87) — rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Conclusivamente, per quanto riguarda la presente controver
sia, va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario per quanto
riguarda la liquidazione dei compensi rivendicati fino al 31 di
cembre 1985 e la giurisdizione esclusiva del giudice amministra
tivo per la liquidazione dei compensi relativi ai periodi successivi.
Ili
Fatto. — Il Pretore di Città di Castello sulla domanda di
Santi Lurini Lucio ingiungeva alla Usi Alto Tevere Umbro di
pagare al predetto dipendente la somma di lire 3.317.280 a tito
lo di corrispettivo delle prestazioni sanitarie rese nel secondo
semestre del 1983 in regime di plus-orario nell'ambito dell'isti
tuto dell'incentivazione della produttività introdotto con l'ac
cordo nazionale di cui al d.p.r. 25 giugno 1983 n. 348.
Sulla opposizone dell'ente sanitario, il pretore revocava però il decreto ingiuntivo motivando, siccome aveva dedotto l'oppo
nente, che il fondo predeterminato dalla regione per il finanzia
mento dell'istituto d'incentivazione della produttività secondo
l'art. 60 d.p.r. 348/83 era stato esaurito e non poteva essere
valicato, e, pertanto, l'Usi avrebbe potuto correttamente remu
nerare il plus-orario residuo secondo le tariffe del lavoro straor
dinario se non fosse stato accettato il recupero con riduzione
dell'orario ordinario.
Appellava il dipendente della Usi e deduceva fra l'altro: che
le prestazioni effettuate andavano tutte liquidate con le modali
tà previste dall'art. 64 d.p.r. 348/83 per il plus-orario nella som
ma corrispondente a quella di cui al decreto ingiuntivo; che gli atti amministrativi con i quali si era provveduto alla liquidazio ne stralcio erano illegittimi; che era stata disapplicata la norma
tiva della 1. 93/83.
Il Tribunale di Perugia, con sentenza 5 giugno 1989, rigetta va il gravame e condannava l'appellante alle spese confermando
l'infondatezza della tesi secondo cui sussisterebbe comunque il
diritto del dipendente alla remunerazione del plus-orario, indi
pendentemente dalla misura e disponibilità del fondo stanziato
dalla regione per ogni Usi, senza possibilità di ricorrere al paga mento con le tariffe per il lavoro straordinario.
Avverso la sentenza del tribunale, il soccombente ricorre ora
per cassazione e con tre mezzi ne chiede l'annullamento. L'Usi
Alto Tevere Umbro resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memorie.
Diritto. — Con il primo motivo, il ricorrente deduce viola
zione dell'art. 64 d.p.r. 25 giugno 1983 n. 348 e comunque del
l'art. 1362 c.c. in relazione alla detta normativa dell'accordo
nazionale, avendo il giudice a quo erroneamente ritenuto che
fosse possibile retribuire l'attività svolta in plus-orario con mo
dalità diverse da quelle appunto stabilite dallo stesso art. 64
citato; omessa motivazione su punto decisivo.
Con il secondo mezzo il dipendente dell'Usi deduce violazio ne dell'art. 11 1. 29 marzo 1983 n. 93 e degli art. 4 e 5 1. 20 marzo 1865, ali. E, nonché omessa motivazione su punto deci sivo per avere il giudice a quo erroneamente ritenuto la legitti mità degli atti amministrativi addotti per negare il riconosci mento dei diritti economici di esso ricorrente.
Con il terzo mezzo, infine, deducendo violazione dell'art. 112
c.p.c., la ricorrente censura l'omessa pronuncia da parte del
tribunale sulla doglianza con la quale l'appellante aveva eccepi to la violazione dell'art. 423 c.p.c. da parte del primo giudice, che non aveva disposto il pagamento delle somme non contesta te e riconosciute dall'amministrazione con la delibera n. 1054 del 9 giugno 1988 seppure a stralcio ed in misura ridotta.
Ciò premesso, e stante l'evidente connessione dei primi due mezzi che investono sotto più profili sempre lo stesso thema decidendum attinente al potere della pubblica amministrazione di mutare i criteri della remunerazione convenuta per il plus orario nell'ambito dell'istituto dell'incentivazione della produt tività nell'ipotesi di esaurimento del fondo correlativo ovvero fuori ed oltre il finanziamento stanziato dalla regione, ritiene la corte che le censure possono essere vagliate congiuntamente.
Per dare in ogni modo un'adeguata risposta alla fondatezza o meno delle doglianze è indispensabile preliminarmente accer
II Foro Italiano — 1991.
tare la natura dell'istituto dell'incentivazione introdotto nell'am
bito dell'attività ospedaliera, delle norme che lo regolano e del
rapporto giuridico che esso crea tra il dipendente della Usi e
tale ente al fine anche d'individuare quali in effetti siano le
regole ermeneutiche utilizzabili.
A tal fine occorre innanzitutto ricordare che la regolamenta zione dello stato giuridico ed economico di tutto il personale delle unità sanitarie locali trova la sua base normativa nell'art.
47 della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (1. 23
dicembre 1978 n. 833). Per quanto attiene al thema decidendum, l'8° comma del detto
art. 47 dispone che «il trattamento economico e gli istituti nor
mativi di carattere economico del rapporto di impiego di tutto
il personale sono disciplinati mediante accordo nazionale unico, di durata triennale, stipulato tra il governo, le regioni, l'asso
ciazione nazionale dei comuni italiani (Anci) e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in campo nazionale del
le categorie interessate».
L'accordo nazionale è reso esecutivo con decreto del presi dente della repubblica ed i competenti organi locali entro trenta
giorni adotteranno i dovuti atti deliberativi (9° comma). L'art. 30 d.p.r. 761/79, sullo stato del personale delle Usi,
riconferma il rinvio all'accordo nazionale unico per il tratta
mento economico.
Il primo accordo nazionale del 1980 aveva introdotto l'istitu
to delle compartecipazioni per il quale le attività medico/sanita
rie svolte oltre il normale orario di lavoro venivano retribuite
con il fatturato delle prestazioni rese all'utenza (detratta una
quota a favore della pubblica amministrazione per l'organizza zione e le spese); con il successivo accordo nazionale, reso ese
cutivo dal d.p.r. 348/83, abbandonato il sistema delle compar
tecipazioni, le parti contraenti convengono di istituire una nuo
va organizzazione del lavoro che tutto indistintamente il personale
svolge oltre l'orario normale (ivi compreso lo straordinario) creando appunto l'istituto dell'incentivazione della produttività.
Il nuovo istituto, che ha finalità altamente innovative nel
l'ambito del pubblico impiego e tende a coinvolgere tutto il per sonale (medici e non medici) per sfruttare al massimo l'organiz zazione del servizio sanitario (presidi ospedalieri ed ambulato
riali) e soddisfare la domanda dell'utenza (ammalati) in
concorrenza con il convenzionamento esterno e quindi anche
per ridurre le spese regionali è regolato espressamente dagli art.
59/70 d.p.r. n. 348 del 1983.
Si legge cosi nell'art. 59 che «il sistema sanitario deve essere
avviato ad una sostanziale trasformazione della canalizzazione
delle risorse che comporti il pieno utilizzo e valorizzazione dei
servizi sanitari pubblici con una diversa organizzazione del la
voro ed attraverso l'individuazione di incentivi alla produttività che si relazionino ad uno sviluppo qualitativo dei servizi; per cui le parti convengono, nella ricerca di un più ampio contribu
to del personale dipendente, di istituire l'istituto dell'incentiva zione della produtività quale ridefinizione dello ex istituto delle
compartecipazioni. Per raggiungere detta finalità e dare effettiva realizzazione
al nuovo istituto, l'art. 60 d.p.r. 348/83 stabilisce che la regio ne, nell'attribuzione alle Usi delle quote di competenza del fon do sanitario nazionale, dovrà vincolare all'attività d'incentiva
zione stessa una quota quantificabile in una somma non infe
riore al 10% della somma complessiva risultante dalla
rendicontazione del 1982 per l'ex istituto delle compartecipazio ni e per l'attività specialistica convenzionata esterna», aumenta bile , nell'ambito di ciascuna Usi, nella misura in cui diminuisce la spesa esterna oltre certe somme ovute da privati (8° comma) o risparmiate (art. 68).
Fermo restando l'obbligo dell'attività ambulatoriale di pre starsi nel normale orario di servizio, l'attività legata alla pro duttività dovrà essere espletata in équipe ed in plus-orario con turnazioni che garantiscano una equa rotazione di tutto il per sonale sanitario nell'ambito delle rispettive attribuzioni con i
limiti economici di cui ai commi 3°, 4° e 5° dell'art. 63. L'art. 64 dispone, infine, che tutte le prestazioni effettuate
e riconosciute (entro e fuori da\\'équipe) devono essere retribui te con le modalità previste per il plus-orario e quindi con le
tariffe previste dall'art. 62 e con la ripartizione del fondo tra
medici, personale dell'unità operativa (tecnici di laboratorio, ra
diologici, riabilitazione, ecc.) e restante personale (art. 63).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Le competenze dovute sono rapportate al 10% del trattamen
to economico globale mensile per ciascun operatore «per ogni ora settimanale di plus-orario-orario reso» e corrisposte di re
gola a cadenza mensile.
Le parti contraenti si fanno anche carico di avvertire che i
compensi possono trovare compensazione nell'ambito del tri
mestre successivo a quello dovuto ed «in caso di mancato recu
pero del plus-orario dovuto, non reso e non recuperato» si ef
fettueranno le relative riduzioni proporzionali (art. 64, 5° com
ma)» ed «in ogni caso non dovrà essere superato il tetto di
spesa (art. 67, 2° comma, cosi' come definito dai precedenti ar
ticoli» sotto il controllo di un'alta commissione istituenda pres so il ministero della sanità.
Per tal modo si deve convenire che in effetti con l'istituto
dell'incentivazione si è inteso remunerare l'attività resa in plus orario (ma come debito orario) sulla base del fondo finanziario
prefissato, determinato ed invalicabile annualmente dalla regio ne e dalle Usi e quindi in modo diverso da come veniva ripaga ta l'attività resa secondo l'ex istituto delle compartecipazioni
collegato direttamente al fatturato conseguito e dunque rappor tato al servizio reso ed al quantum incassato per le prestazioni rese all'utenza esterna.
È pacifico in causa, osserva, peraltro, il tribunale, che, men
tre l'Usi non contesta che il ricorrente abbia svolto l'attivita
in plus-orario di cui questi reclama il pagamento, il ricorrente
medesimo non contesta affatto che il fondo disponibile per pa
gare le prestazioni rese nell'ambito dell'istituto dell'incentiva
zione della produttività era stato esaurito dalla Usi resistente.
Tanto premesso, si possono trarre le seguenti conclusioni.
A) Le norme che regolano l'istituto dell'incentivazione della
produttività e la sua esplicazione in plus-orario, anche se rece
pite nel d.p.r. 348/83, attenendo alla regolamentazione del trat
tamento economico del personale sanitario delle Usi stipulato in conformità al precetto dei commi 8° e 9° dell'art. 47 della
legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (833/78), restano
pur sempre norme di natura privatistica di formazione negozia le convenuta tra gli organi della pubblica amministrazione, elen
cati nello stesso art. 47, e le organizzazioni sindacali di catego ria allo stesso modo degli accordi collettivi nazionali per il con
venzionamento esterno di cui al successivo art. 48 della stessa
1. 833/78, sicché la loro interpretazione soggiace alle regole det
tate dagli art. 1362 ss. c.c. (Cass. 1447/89, Foro it., 1989, I,
2508). B) Le sezioni unite di questa Corte suprema anche di recente
hanno confermato che le controversie sulla debenza dei corri
spettivi delle prestazioni rese in plus-orario nell'ambito dell'isti
tuto dell'incentivazione della produttività se promosse dai me
dici (come in questa causa), poiché integrano un'attività libero
professionale (che loro esclusivamente compete) sono ricondu
cibili ad un rapporto di parasubordinazione (sez. un. 3752/89,
id., Rep. 1989, voce Sanitario, n. 413; 3374/90, id., Rep. 1990,
voce cit., n. 173).
C) Ancora le sezioni unite hanno confermato che l'interpreta zione delle disposizioni collettive di diritto comune, compiuta dal giudice del merito, è incensurabile in sede di legittimità se
sorretta da adeguata motivazione rispettosa dei criteri legali di
ermeneutica contrattuale fra i quali però fondamentale e priori tario è quello letterale che è suscettibile d'integrazione mediante
gli altri criteri interpretativi che svolgono una funzione sussidia
ria e complementare solo quando le espressioni dei contraenti
siano di oscuro ed equivoco significato (sez. un. 4635/88, id.,
Rep. 1989, voce cit., n. 55); e costituisce indirizzo pacifico che
la censura sui vizi di ermeneutica contrattuale è introducibile
in Cassazione solo se i denunciati vizi vengono espressamente
individuati in modo specifico, non essendo sufficiente una pro
spettazione meramente apodittica con conclusioni interpretative
diverse da quelle genericamente censurate.
D) Nella presente controversia, il tribunale ha dato adeguata,
corretta motivazione sul risultato interpretativo degli art. 59 e
67 dell'Anc 348/83, secondo il quale il fondo, messo a disposi
zione dalla regione, e comunque preventivato in bilancio per
la retribuzione del servizio prestato in plus-orario, era ed è in
valicabile, spiegando (seppure concisamente) che il pagamento
era appunto collegato all'utilizzo di detto fondo, per cui, una
volta esaurito il fondo stesso, viene meno il diritto al compenso
predeterminato in tal guisa.
li Foro Italiano — 1991.
A fronte di tale motivazione, denunciando la violazione del
l'art. 64 dell'accordo e dell'art. 1362 c.c., la parte ricorrente
non solo non contesta l'invalicabilità del fondo ma non specifi ca in qual modo il ragionamento del tribunale abbia deviato
dalle dette violazioni delle norme di ermenuetica contrattuale.
Sicché, accertato che è stato soddisfatto l'onere della motiva
zione come dovere del giudice di dare contezza delle ragioni
logico giuridiche della decisione, il primo motivo del ricorso
appare infondato e deve essere rigettato. In verità, non si contesta che le prestazioni rese in plus-orario
(art. 64 accordo nazionale) nell'ambito dell'incentivazione deb
bano essere retribuite con le modalità all'uopo prestabilite; ma
si è ragionevolmente osservato che tale computo del compenso è correlato e condizionato alla disponibilità del fondo di cui
al successivo art. 67, 2° comma, dello stesso accordo che espres samente recita: «In ogni caso non dovrà essere superato il tetto
di spesa cosi come definito nei precedenti articoli».
Trattandosi di norme pattizie, l'interpretazione complessiva, cui aderisce il giudice del merito, discende in sostanza dall'ulte
riore regola di ermeneutica contrattuale (di cui al succesivo art.
1363 c.c.) per la quale le diverse pattuizioni vanno lette le une
per mezzo delle altre attribuendo a ciascuna il senso che risulta
dall'accordo, altrimenti il patto di rispettare l'invalicabilità del
fondo non avrebbe nessun significato. In definitiva, le censure dedotte sono da disattendersi sia per
ché generiche, sia perché l'interpretazione data dal giudice del
merito appare conforme al testo dell'accordo nazionale nel qua le la direttiva dell'art. 64 d.p.r. 348/83 era destinata ad operare secondo la volontà delle parti con le modalità ed i tetti massimi
ivi previsti solo ed esclusivamente nell'ambito del finanziamen
to prestabilito, ovvero entro i limiti del fondo e non oltre le
disponibilità dello stesso.
Ciò premesso e valutando incidenter tantum la contestata le
gittimità della correlativa deliberazione della Usi con la quale si è provveduto in diverso modo a retribuire il lavoro prestato dal sanitario, deve ritenersi che l'illegittimità è insussistente an
che se posta in relazione alle disposizioni della legge quadro sul pubblico impiego (93/83), la quale agli art. 6/11 fissa le
regole generali per la predisposizione degli accordi sindacali ed
impone la verifica delle disponibilità finanziarie (art. 11,3° com
ma) e della quantificazione della spesa per ciascun anno consi
derato (art. 15). È invece determinante che la pubblica amministrazione, nel
pieno rispetto dell'accordo, si è attenuta all'espresso patto che
la legittima a non adempiere con le modalità convenute per la
determinazione del quantum in presenza di un evento che rende
parzialmente impossibile la prestazione, costituito appunto dal
l'esaurimento del fondo predeterminato ed entro il quale avreb
be potuto trovare soddisfazione tutta la pretesa creditoria.
Né può dirsi che utilizzando il parametro del pagamento del
lavoro straordinario la debitrice abbia adempiuto o adempireb be la propria obbligazione attraverso un tipico strumento del
rapporto di lavoro subordinato e quindi snaturando la peculia rità del diverso rapporto di parasubordinazione intercorrente tra
le stesse parti nella specie, poiché il ricorso al compenso del
lavoro straordinario è stato utilizzato solo per la quantificazio ne pecuniaria del corrispettivo dovuto per la prestazione d'ope ra professionale autonoma svolta dal ricorrente.
In tali limiti la suindicata deliberazione della Usi appare cor
retta e non illegittima.
Pertanto, anche il secondo motivo di doglianza, fondandosi
esso sull'inesistente difetto di motivazione in relazione alla pre
tesa illegittimità degli atti amministrativi di cui trattasi, adottati
dalla resistente per adempiere, deve essere rigettato. (Omissis)
IV
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Livor
no Bassano Carlo, infermiere alle dipendenze dell'Usi n. 13,
chiedeva il pagamento di somme in linea capitale, oltre rivalu
tazione monetaria ed interessi legali, a titolo di conguaglio sulle
prestazioni specialistiche che assumeva di aver effettuato in re
gime di plus-orario e di «incentivazione» in concorso con i me
dici addetti alla relativa unità operativa dal 1° novembre 1979
in poi.
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3327 PARTE PRIMA 3328
La Usi, costituitasi, eccepiva preliminarmente la carenza di
giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria ed ha poi pro
posto regolamento preventivo di giurisdizione, ritenendo che, in forza del rapporto di pubblico impiego del rapporto di lavo
ro de quo, debba essere affermata la giurisdizione del giudice amministrativo. Il lavoratore non si è costituito.
Motivi della decisione. — Il ricorso è fondato. Il problema dell'individuazione dell'autorità giudiziaria munita di giurisdizione in ordine alle controversie riguardanti i rapporti di lavoro del
personale sanitario con le unità sanitarie locali va ricollegato a quello pregiudiziale della qualificazione giuridica dei medesimi.
L'art. 47 1. n. 833 del 1978 in via di principio ha affermato
che «lo stato giuridico ed economico del personale delle unità
sanitarie locali è disciplinato secondo i principi generali e comu
ni del rapporto di pubblico impiego». Da una simile afferma
zione discende conseguentemente il riconoscimente della giuris dizione esclusiva al giudice amministrativo in ordine alle con
troversie che seguono per quei rapporti di lavoro (sez. un. 14
dicembre 1983, n. 7371, Foro it., Rep. 1983, voce Impiegato dello Stato, n. 271; 22 novembre 1984, n. 5992, id., Rep. 1984, voce Ferrovie e tramvie, n. 42; 11 dicembre 1987, n. 9221, id.,
Rep. 1987, voce Sanitario, n. 254). Al 3° comma di quello stesso art. 47 però, è stata prevista
una delega legislativa al governo per disciplinare lo stato giuri dico del personale delle unità sanitarie locali; tra i principi e i criteri direttivi fissati c'è quello di «garantire con criteri uni
formi il diritto all'esercizio della libera attività professionale per i medici e i veterinari dipendenti dalle unità sanitarie locali; l'art.
35 d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761, in attuazione di quella dele
ga ha disposto la facoltà di svolgere «l'attività libero-professionale all'interno delle strutture e dei servizi dell'unità sanitaria loca
le» a determinate condizioni. A tale riguardo, queste sezioni
unite hanno già avuto modo di approfondire la questione di
giurisdizione e di affermare che l'attività medica svolta fuori
orario (ex art. 35 d.p.r. 761/79) priva di vincoli di subordina
zione nei confronti delle Usi va qualificata come attività libera non inquadrabile nel rapporto di pubblico impiego e, come ta
le, rientrante nella giurisdizione dell'a.g.o. (sez. un. 6923/86,
id., Rep. 1986, voce cit., n. 350; 1002/87, id., Rep. 1987, voce
cit., n. 155). L'indirizzo sopra richiamato non può tuttavia essere posto
a fondamento di analoghe conclusioni per il personale sanitario
non medico che renda le proprie prestazioni in regime di plus orario neanche se tali prestazioni siano rese operando all'inter no di un gruppo o di una équipe che eroga prestazioni mediche in regime libero-professionale, perché riguardo a tale personale non è previsto il diritto di svolgere attività libero-professionale, essendo tale diritto previsto — come già si è detto — unicamen
te per i medici e i veterinari (art. 47/3, n. 4, 1. 833/78). Né potrebbe ritenersi che un tale diritto sia implicitamente
riconosciuto dal legislatore, anche in favore del personale sani tario non medico, per effetto della previsione che l'attività libero
professionale dei medici deve essere svolta, in taluni casi in équi pe-, poiché il carattere eccezionale della disposizione, che per mette ai medici (e veterinari) dipendenti dalle unità sanitarie locali di svolgere attività libero-professionali, non consente di desumere per impicito l'estensione di tale diritto anche a favore di altri dipendenti.
Deve infatti rammentarsi che l'attività libero-professionale è
incompatibile con il rapporto di pubblico impiego (art. 60 t.u.
approvato con d.p.r. 3/57) e che tale incompatibilità, costituen te un principio generale del pubblico impiego, è applicabile an
che al personale dipendente dalle Usi per effetto dell'art. 47/1 I. 833/78 e dell'art. 27/1 d.p.r. 761/79 (cfr. con riferimento al d.p.r. 130/69 relativo al personale ospedaliero, Cons. Stato, sez. VI, 20 giugno 1983, n. 253, id., Rep. 1983, voce Impiegato dello Stato, n. 1060, anche per quanto riguarda la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale per pre tesa disparità di trattamento, della disciplina in materia nella
parte in cui non estende ai biologi la speciale previsione dispo sta per i medici; sulla conformità a costituzione della limitazio ne soltanto ad alcune categorie di pubblici dipendenti di una
speciale disciplina che autorizzi l'esercizio di attività libero
professionale, cfr. anche Corte cost. 284/86, id., Rep. 1987, voce Professioni intellettuali, n. 178).
Invero, le norme, come quelle sopra richiamate a proposito
Il Foro Italiano — 1991.
dei medici e dei veterinari, le quali autorizzino alcune categorie di impiegati pubblici ad esercitare, sotto ben precisi limiti e con
dizioni, l'attività libero-professionale, rivestono carattere di de
roga eccezionale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8 novembre 1977, n. 845, id., Rep. 1978, voce Impiegato dello Stato, n. 574) non
estensibile oltre i casi in esse considerati (art. 14 disp. sulla leg
ge in generale). Per altro verso, lo svolgimento da parte del medico dell'atti
vità libero-professionale in équipe non comporta come necessa
ria conseguenza che tutti i componenti dell 'équipe (ivi compresi i c.d. paramedici) svolgano attività libero-professionale, perché
quest'ultima (quando si svolga nelle peculiarissime forme del
l'attività sanitaria prestata all'interno della struttura pubblica) determina un coinvolgimento della stessa struttura pubblica e
quindi del personale da essa dipendente: la struttura sanitaria
pubblica è infatti tenuta a porre a disposizione del medico e
dei medici, che svolgano attività libero-professionale, i locali, le attrezzature ed anche i servizi (art. 35, 6° comma, ss. d.p.r.
761/79); inoltre essa riscuote direttamente il corrispettivo delle
prestazioni, ripartendo in conformità di criteri stabiliti dagli ac
cordi unici nazionali del settore e destinandone una quota an
che al personale non sanitario e comunque al personale estra
neo all'unità operativa che concorre alla prestazione (cfr. 63
d.p.r. 348/83; cfr. anche riferimenti in sez. un. n. 6923/86, cit.). Ciò implica la partecipazione, all'attività di prestazione libero
professionale dei medici, di personale che opera con vincolo
di subordinazione quale pubblico dipendente della Usi, attra
verso il quale questa realizza il proprio istituzionale coinvolgi mento in quell'attività, che, pertanto, si configura come libero
professionale soltanto per i soggetti per i quali una tale configu razione è esplicitamente affermata dalla legge, mentre, per la
parte ausiliaria, di servizio e strumentale alla prestazione medi
ca propriamente detta, essa resta attività d'istituto della Usi, si che le prestazioni relative a tale parte si qualificano come
prestazioni rese nell'ambito del rapporto di pubblico impiego che lega il lavoratore all'ente pubblico siano esse rese dal perso nale non sanitario ovvero da quello sanitario non medico, inse
rito o meno nell'équipe che fornisce la prestazione, ma in ogni caso non previsto dalla legge come titolare del diritto all'eserci
zio di attività libero-professionale. Né una tale natura delle prestazioni rese dal personale sanita
rio non medico subisce modificazioni in conseguenza del fatto che esse sono retribuite con i fondi percepiti dall'ente in corri
spettivo della prestazione libero-professionale dei medici e se
condo criteri stabiliti unitamente anche per il compenso di que sti ultimi, perché — come si è appena accennato — i proventi
globali dell'attività libero-professionale sono finalizzati anche
a sostenere spese d'istituto dell'ente (ricevendo quindi anche de stinazione pubblicistica) e, comunque, alla loro ripartizione par tecipa anche il personale estraneo a\V équipe che ha fornito la
prestazione. Alla luce delle considerazioni che precedono perde qualsiasi
significato la circostanza che anche per il personale sanitario non medico le prestazioni in plus-orario siano soltanto facolta tive e non obbligatorie, perché una tale circostanza, se assume valore d'indice confermativo del carattere libero-professionale della prestazione quando questa sia resa da soggetto titolare del diritto all'esplicazione di attività libero-professionale (v. cit.
sez. un. 6923/86; 1002/87), si rivela inidonea ad atribuire il
suddetto carattere ad una prestazione resa da soggetto cui per legge è vietata ogni attività libero-professionale.
Pertanto, le controversie aventi ad oggetto, come nella spe cie, la rivendicazione, da parte del personale sanitario non me dico dipendente dalle Usi, di competenze connesse all'effettua
zione di prestazioni rese in regime di plus-orario, sono contro versie relative al rapporto di pubblico impiego e come tali devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
V
Motivi della decisione. — Con il primo motivo l'istituto ri
corrente denunzia «violazione e falsa applicazione dell'art. 15 1. 13 marzo 1950 n. 120 (e successive modificazioni e integrazio ni: art. 2 1. 1° marzo 1952 n. 116, art. 6 1. 14 aprile 1957 n.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
259 e art. 4 1. 31 dicembre 1961 n. 1443), del d.p.r. 25 giugno 1983 n. 348 nonché dell'art. 132, n. 4, e dell'art. 118 disp. att.
c.p.c.; insufficienza di motivazione su un punto decisivo della
controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.)». Ad avviso dell'Inps, il tribunale non ha minimamente giusti
ficato l'affermazione secondo cui gli emolumenti corrisposti a
titolo di «compartecipazione da attività ambulatoriale divisio
nale» avrebbero «un chiaro carattere d'incentivo» e sarebbero
quindi assimilabili ai «premi di produzione», esclusi dalla con
tribuzione per l'assicurazione di malattia. A sostegno di tale
convincimento la sentenza si limita a richiamare una circolare
dell'Inadel del 1967, ma omette d'indicare le fonti normative
dell'asserito esonero dall'obbligo contributivo e non dedica al
cun cenno alla disciplina legislativa della materia, secondo la
quale era dovuto all'Inadel un doppio contributo: il primo, «de
stinato alle finalità previdenziali dell'istituto», da applicarsi sul
lo «stipendio pensionabile del personale di ruolo», mentre il
secondo, «destinato all'assistenza sanitaria», andava commisu
rato a «tutti gli emolumenti del personale di ruolo e non di
ruolo» iscritto all'Inadel (art. 15 1. 120/50 cit. e succ. modif.
e integr.). Tale disposizione — conclude il ricorrente — rende palese
che la base imponibile per la contribuzione di malattia, anche
prima del 1° gennaio 1986, era «onnicomprensiva», di talché
non potevano essere da essa esclusi emolumenti che senza alcun
dubbio «entrano a far parte delle retribuzioni dei dipendenti
delle Usi e che la stessa circolare dell'Inadel n. 5 del 1967, sulla
quale fa leva la sentenza, include tra i proventi soggetti a con
tribuzione assistenziale».
Le suesposte argomentazioni vengono contestate dalle resi
stenti Usi, le quali pregiudizialmente eccepiscono il passaggio
in giudicato della sentenza di primo grado nella parte in cui
ha sancito l'esclusione degli anzidetti emolumenti dalla base im
ponibile per la contribuzione assistenziale di malattia. (Omissis)
Ciò premesso, non ritiene la corte di poter condividere le tesi
prospettate dall'Inps con il mezzo in esame.
A prescindere dal rilievo che l'omessa indicazione delle nor
me di legge applicate dal giudice del merito non costituisce, di
per sé, causa di annullamento della sentenza, ove questa risulti
conforme a diritto, va osservato come non abbia alcuna consi
stenza l'addebito, mosso al tribunale, di aver posto a fonda
mento della propria decisione una circolare amministrativa, tra
scurando la disciplina legale della materia controversa. Invero,
la circolare n. 5 in data 3 febbraio 1967 della direzione generale
dell'Inadel contiene disposizioni di carattere generale adottate
dall'ente non già in contrasto con la normativa vigente, ma per
la concreta ed uniforme attuazione della medesima, in confor
mità al parere espresso dal Consiglio di Stato. Ed è pacifico
che a tali disposizioni si sono costantemente attenuti gli enti
obbligati al versamento dei contributi all'Inadel fino a quando,
a seguito dell'istituzione del servizio sanitario nazionale (1. 23
dicembe 1978 n. 833) e della conseguente devoluzione allo Stato
dei contributi sociali di malattia, l'Inps venne incaricato di cu
rare, a decorrere dal 1° gennaio 1980, gli adempimenti relativi
all'accertamento ed alla riscossione di detti contributi (v. art.
76 1. cit.), senza potersi, peraltro, mutare i regimi preesistenti
in vigore presso gli enti e gestioni soppressi. Il regime contributivo stabilito dall'Inadel per la gestione di
sua competenza e mai modificato trovava appunto espressione
nella menzionata circolare; la quale non è certamente vincolan
te per il giudice e dovrebbe essere disapplicata se i criteri dettati
dall'ente fossero ritenuti non compatibili con quelli imposti dal
la legge; ma il preteso contrasto fra la disciplina amministrativa
e quella legale della materia non può essere dimostrato con il
solo rilievo che, ai sensi dell'art. 15 1. 13 marzo 1950 n. 120,
il contributo per l'assistenza sanitaria dovuto all'Inadel andava
prelevato su «tutti gli emolumenti del personale di ruolo e non
di ruolo» iscritto all'ente.
Proprio la genericità della formula legislativa (la quale non
faceva alcuna distinzione nell'ambito dei molteplici compensi
erogati, per i più diversi titoli e con le più svariate denomina
zioni, a detto personale o a singole categorie di esso) poneva
l'esigenza d'interpretare il precetto normativo secondo la sua
ratio e secondo l'intenzione del legislatore, per dare ad esso
un contenuto più puntuale e concreto di quello che sembrava
Il Foro Italiano — 1991.
emergere dal solo dato testuale e per definirne l'ambito di ap
plicazione con criteri validi per tutti gli enti obbligati al prelievo
ed al versamento dei contributi.
È ciò che ha fatto l'Inadel con la predetta circolare, nella
quale sono prese dettagliatamente in considerazione le varie com
ponenti della retribuzione dei dipendenti degli enti locali, distin
guendosi gli «emolumenti» che debbono ritenersi sicuramente
inclusi nella base di calcolo dei contributi da quelli che debbono
esserne invece esclusi, ad onta dell'apparente onnicompensività dell'art. 15 cit., per l'occasionalità o temporaneità della loro
erogazione o perché collegati a particolari situazioni o a speciali
prestazioni lavorative o, ancora, per la loro natura di rimborso
spese o di indennizzo.
Fra gli emolumenti non assoggettabili a contribuzione per as
sistenza sanitaria erano da comprendere, secondo l'interpreta
zione data dall'Inadel alla norma sopra richiamata, i «premi di rendimento o equipollenti». Ed è evidente che il Tribunale
di Vicenza, nell'indicare la circolare amministrativa come fonte
(indiretta) del diritto al parziale esonero contributivo ricono
sciuto alle Usi, ha condiviso e fatto propria questa interpreta
zione restrittiva dell'art. 15, equiparando ai premi di rendimen
to i compensi corrisposti — come quelli in questione — a titolo
di «incentivo».
Nel ragionameto a tal fine seguito e nella conclusione rag
giunta dal giudice del merito la corte non ravvisa alcun errore
logico o giuridico e tantomeno la violazione dell'art. 12 preleggi.
Non colgono, dunque, nel segno le doglianze dell'Inps sotto
il profilo fin qui considerato.
Né ha maggior fondamento la censura secondo cui il tribuna
le avrebbe omesso di motivare in ordine alla ritenuta funzione
di «incentivo» (ed alla conseguente assimilazione, agli effetti
contributivi, ai premi di rendimento) dei compensi erogati dalle
Usi al dipendente personale ospedaliero a titolo di «comparteci
pazione» per «prestazioni ambulatoriali divisionali».
La sentenza spiega, infatti, in termini logici e persuasivi che
tale natura va attribuita ai compensi in questione per essere i
medesimi collegati all'«attività libero professionale» svolta dai
dipendenti «nell'ambito delle strutture Usi ma in orario ulterio
re rispetto a quello di servizio ordinariamente dovuto»; ed a
sostegno di tale affermazione richiama la disciplina di cui al
punto 4.10 dell'accordo nazionale unico di lavoro per il perso
nale ospedaliero del 24 giugno 1980 (che, in attuazione dei pre
cetti dell'art. 35, 6° e 7° comma, d.p.r. 20 dicembre 1979 n.
761, disciplina dettagliatamente le modalità ed i limiti dell'atti
vità libero professionale c.d. «intramurale» e le «compartecipa zioni» spettanti per le prestazioni in plus-orario al personale
ospedaliero) nonché il successivo accordo per il trattamento eco
nomico del personale delle Usi, reso esecutivo con il d.p.r. 25
giugno 1983 n. 348 (ed efficace dal 1° gennaio 1983), con il
quale venne, tra l'altro, regolato l'istituto della «incentivazione
della produttività», diretto a realizzare una più estesa ed otti
male utilizzazione dei servizi e delle strutture pubbliche median
te una maggiore disponibilità del personale ad esse addetto (v.
art. 59 ss.). Precisa il d.p.r. appena citato che 1'«incentivazione» sostitui
sce la «ex compartecipazione» prevista dagli accordi nazionali
del 17 febbraio 1979 e del 24 giugno 1980; e, pertanto, appare
sorretto da congrua giustificazione il convincimento del giudice
di appello secondo cui i compensi erogati per l'uno e per l'altro
titolo avessero la medesima natura e funzione (esplicitata nel
decreto 348/83) e dovessero essere esclusi dal novero degli emo
lumenti assoggettabili alla contribuzione per assistenza sanita
ria, alla stregua del regime contributivo innanzi esaminato, re
lativamente agli anni dal 1980 al 1985.
Non è superfluo aggiungere che dall'intero contesto argomen
tativo dell'impugnata sentenza sembra emergere, quanto meno
implicitamente, un'ulteriore ragione a sostegno della medesima.
La circostanza — ripetutamente sottolineata dal tribunale —
che le somme erogate dalle Usi a titolo di «compartecipazione»
o di «incentivazione della produttività» erano collegate a pre
stazioni libero-professionali eseguite in plus-orario (nonché, «in
un ambito diverso dall'attività istituzionale dell'ente», come pre
cisa il citato punto 4.10, par. 1° dell'Aun del 24 giugno 1980)
rende palese che il giudice del merito ha considerato dette ero
gazioni come compensi inerenti ad un'attività contigua ma estra
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3331 PARTE PRIMA 3332
nea a quella riferibile al rapporto di pubblico impiego, perché non obbligatoria e svolta, con caratteristiche di autonomia ed
in regime di parasubordinazione, nell'ambito di un rapporto di
natura privatistica (v. in tal senso Cass., sez. un., 25 novembre
1986, n. 6923, Foro it., Rep. 1986, voce Sanitario, n. 350, non
ché le conformi sentenze nn. 1002 e 2719 del 1987, id., Rep.
1987, voce cit., n. 155, 387); con la conseguenza che ben diffi
cilmente tali proventi potrebbero essere ricondotti nel novero
degli «emolumenti» di natura retributiva, sinallagmaticamente
collegati al rapporto (subordinato) di pubblico impiego e, come
tali, assoggettabili alla contribuzione per assistenza sanitaria con
le modalità e nella misura stabilita dall'art. 15 1. n. 120 del
1950 e successive integrazioni e modificazioni.
Per le suesposte considerazioni il primo motivo di ricorso va
rigettato. Con il secondo mezzo l'Inps, denunziando «violazione e falsa
applicazione degli art. 2697, 2728 c.c. e 115 c.p.c.» nonché «di
fetto di motivazione su un punto decisivo della controversia»,
censura l'impugnata sentenza nella parte in cui afferma che non
sarebbero assoggettabili a contribuzione per malattia i compen si corrisposti dalle Usi al personale assunto con contratto libero
professionale, che aveva però espletato di fatto lavoro subordi
nato; e sostiene che il tribunale, «travisando i fatti», avrebbe
desunto dal verbale ispettivo un (asserito) riconoscimento della
natura autonoma dei rapporti di lavoro di detto personale, lad
dove nel verbale si precisa che «l'assunzione è avvenuta con
contratto libero-professionale, ma che detti rapporti, per le loro
carattestiche e modalità di esecuzione, si configurano come veri
e propri rapporti di lavoro subordinato».
Ad avviso del ricorrente, per effetto della presunzione di ve
ridicità che assiste i verbali di accertamento ispettivo, sarebbe
spettato alle Usi, che avevano promosso il giudizio per l'accer
tamento negativo dell'obbligo contributivo, dimostrare «le ca
ratteristiche e modalità di esecuzione effettive dei rapporti di
lavoro in questione»; il tribunale avrebbe, invece, operato una
«erronea inversione dell'onere della prova», omettendo altresì'
di motivare su un punto decisivo della controversia.
Anche tali censure sono prive di fondamento.
L'impugnata sentenza rileva correttamente, in piena aderenza
alle allegazioni delle parti ed alle risultanze della prova docu
mentale, che i rapporti degli specialisti convenzionati con le Usi
erano «sorti come rapporti di lavoro autonomo», sia pure con
«connotazioni particolari» tipiche della parasubordinazione. Che
sia stata questa l'origine dei rapporti in questione e che i mede
simi siano stati costituiti — come la sentenza stessa non manca
di sottolineare — «con contratti di opera professionale» sono
circostanze che espressamente risultano dal verbale degli ispet tori dell'Inps, di talché giustamente il tribunale le ha considera
te pacifiche. Diverso problema è quello che attiene all'onere della prova,
riguardo al quale l'Inps sostiene che le resistenti non si sarebbe
ro dovute limitare «alla constatazione del dato formale del con
tratto», ma avrebbero dovuto dimostrare «le caratteristiche e
le modalità di esecuzione effettive» dei rapporti. Tale assunto non può essere, però, condiviso.
Occorre ricordare che l'Inps, opponendosi alla domanda at
trice sulla base degli «accertamenti ispettivi», pretese di assog
gettare alla contribuzione per assistenza sanitaria («ex Inadel») i corrispettivi erogati dalle Usi nell'ambito di rapporti di lavoro
che, proprio perché costituiti in forma autonoma «per l'esecu
zione di prestazioni professionali», erano normalmente esclusi
dal regime di assicurazione obbligatoria prevista per il lavoro
subordinato» (v. sentenza impugnata). Né va trascurato il rilie
vo che, anche dopo l'istituzione del servizio sanitario nazionale, la costituzione e la temporanea conferma di tal genere di rap
porti erano previste e regolate dalla legge (v. art. 48 1. 833/78
e 73 d.p.r. 761/79) e dagli accordi nazionali collettivi, accanto
ed in alternativa ai rapporti di lavoro dipendente (v. art. 47
1. cit.). Orbene, alla stregua dei principi che regolano la ripartizione
dell'onere della prova (art. 2697 c.c.), alle Usi era sufficiente
dimostrare, a sostegno della dedotta insussistenza dell'obbligo contributivo in questione, che con gli specialisti provenienti dai
comuni, dalla provincia o dai consorzi socio-sanitari intercorre
va un «rapporto convenzionale», costituito in conformità agli schemi legali, da ciò derivando automaticamente la non assogget
II Foro Italiano — 1991.
tabilità dei compensi erogati a detti professionisti al contributo
per assistenza sanitaria «ex Inadel». Spettava per contro all'Inps
provare il fatto costitutivo della propria pretesa: cioè che i suin
dicati rapporti, ad onta del nomen iuris adottato, si erano in
realtà svolti con caratteristiche e modalità contrastanti con la
loro denominazione formale e, comunque, tali da rendere in
essi ravvisabili i requisiti essenziali e qualificanti del rapporto di pubblico impiego, con inserimento dei soggetti privati nel
l'organizzazione dell'ente pubblico (v. sul punto Cass., sez. un.,
28 marzo 1985, id., Rep. 1985, voce Impiegato dello Stato, n.
149, e Cons. Stato, sez. V, 2 ottobre 1982, n. 706, id., Rep.
1982, voce cit., n. 102). Solo in tal caso, infatti, il giudice del
merito avrebbe potuto, sia pur solo agli effetti della decisione
sulla sussistenza del contestato obbligo contributivo, dare pre valenza alla realtà ed al contenuto effettivo dei rapporti rispetto alla dichiarazione di volontà delle parti (v., da ultimo, Cass.
19 maggio 1987, n. 4565 e 27 maggio 1987, n. 4752, id., Rep.
1987, voce Lavoro (rapporto), nn. 388, 387). Ciò precisato, osserva la corte che non è sindacabile in sede
di legittimità, perché correttamente motivato, l'apprezzamento di fatto, istituzionalmente riservato al giudice del merito, secon
do cui l'Inps non ha adeguatamente assolto l'onere della prova a suo carico.
Per contrastare tale conclusione il ricorrente si limita a ricor
dare che la natura subordinata dei rapporti in questione risulta
dal verbale di accertamento ispettivo ed invoca la «presunzione di veridicità» del medesimo. Ma è fin troppo agevole rilevare
in contrario che l'esatta determinazione della natura giuridica e la conseguente qualificazione di un rapporto di lavoro non
sono equiparabili ai fatti direttamente «accertati» dai funziona
ri ispettori, riguardo ai quali soltanto il verbale può far fede
privilegiata, rappresentando l'espressione di un giudizio tecnico
giuridico, che presuppone l'acquisizione e la valutazione di spe cifici elementi di fatto, di cui non v'è traccia nel ricorso del
l'Inps (né — a quanto risulta — nello stesso verbale ispettivo). E nella totale mancanza di dati concreti di riscontro la qualifi cazione attribuita dagli ispettori dell'ente ai rapporti «conven
zionali» dei suddetti specialisti non può avere altro valore che
quello di una personale (ed indimostrata) opinione dei verbaliz
zanti, inidonea a contrastare validamente il contenuto e l'ogget to della convenzione, nella quale espressamente si esclude il vin
colo della subordinazione tra i professionisti e le Usi.
Va, pertanto, rigettato anche il secondo motivo di gravame
e, con esso, l'intero ricorso.
VI
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 28 ottobre 1988
Pignatelli dr. Ruggiero esponeva che esplicava l'attività di me
dico presso la divisione di chirurgia del presidio ospedaliero del
l'Usi BA/1 di Barletta con le mansioni di assistente; che aveva
svolto all'interno della struttura ospedaliera, negli anni 1985 e
1986, attività libero-professionale ai sensi dell'art. 47 d.p.r. n.
130 del 1969 e dell'art. 35 d.p.r. n. 761 del 1979, con le modifi
cazioni apportate dagli art. 62 ss. d.p.r. 348/83; che in base
al numero di ore effettuate in plus-orario, del reddito lordo
dell'istante, del fatturato di reparto e degli acconti percepiti era
creditore verso l'ente, giusta i conteggi allegati, delle seguenti somme: lire 854.165 per il 1985 e lire 925.110 per il 1986; tanto
premesso, chiedeva che l'Usi Ba/1 fosse condannata al paga mento della complessiva somma di lire 1.779.275, con svaluta
zione monetaria, interessi legali e spese.
Costituitasi, l'Usi Ba/1 resisteva alla domanda preliminarmente
eccependo il difetto di giurisdizione dell'a.g.o. e l'incompetenza
per materia; nel merito, chiedeva il rigetto della pretesa perché
giuridicamente infondata con particolare riferimento alle som
me indicate. Con provvedimento del 7 aprile 1989 veniva ordi
nato all'Usi di pagare al ricorrente la somma non contestata
ex art. 423 c.p.c. di lire 312.415. (Omissis) Motivi della decisione. — Preliminarmente, il decidente rile
va che occorre riesaminare il profilo della competenza giuris dizionale a conoscere della domanda proposta dal dipendente della convenuta Usi.
Importa sottolineare che le unità sanitarie locali appartengo no alla categoria degli enti pubblici non economici; tale asse
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
gnazione esalta l'aspetto relativo alla funzionalizzazione del ser
vizio, per cui i rapporti di lavoro costituiti con i loro dipendenti hanno natura di pubblico impiego.
È noto, almeno per quel che riguarda il personale medico, l'orientamento delle sezioni unite della Cassazione, secondo le
quali l'attività svolta dal dipendente Usi, in regime di plus-orario, è estranea al rapporto di impiego, avendo natura di attività libero
professionale, sicché la domanda per prestazioni in plus-orario esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo per rientra
re nella cognizione del giudice ordinario.
Lo scrivente ritiene, invece, che la controversia spetta alla
giurisdizione amministrativa, in quanto la situazione giuridica dedotta è, più correttamente, collegata in modo inscindibile al
lavoro dipendente pubblico e involge uno degli aspetti funzio
nali del rapporto di impiego del personale sanitario, che gli ac
cordi nazionali di lavoro sin dal 1983 (d.p.r. 348/83 e d.p.r.
270/87) hanno delineato secondo tratti di novità rispetto al
passato. Occorre innanzitutto rilevare che la disciplina delle attività
libero-professionali dei medici ospedalieri ha riscontro normati
vo nel d.p.r. 27 marzo 1969 n. 130, il cui art. 47 aveva previsto che il consiglio di amministrazione poteva autorizzare i medici
con funzione di diagnosi e cura all'esercizio della libera profes sione nell'ambito dell'ospedale.
A tal fine gli ospedali dovevano predisporre sale separate,
qualitativamente idonee per il ricovero di malati paganti in pro
prio con un numero di letti variabile dal quattro al dieci per cento del totale, ove i medici potevano esercitare la loro attività
professionale sulla base di un tariffario approvato dall'ente ospe daliero.
L'Anul del 23 giugno 1974 e il successivo del 17 febbraio
1979 sottolineavano il. carattere di libera professione della c.d.
attività sanitaria «intramurale», che individuava nell'ente pub blico esclusivamente il soggetto competente a deliberare il tarif
fario, a riscuotere l'onorario versato dai pazienti ed a trasferir
lo (previo incasso di una quota, in relazione alle maggiori spese
approntate per tali attività e all'uso delle strutture ospedaliere) ai medici che avevano eseguito le prestazioni.
Analoga è la logica dell'istituto delle compartecipazioni nella
nuova legge di riforma istitutiva del servizio sanitario nazionale
(1. 23 dicembre 1978 n. 833) e nel d.p.r. n. 761 del 20 dicembre
1979 di attuazione, nonché nella prospettiva dell'ultimo Anul
per il personale ospedaliero (24 giugno 1980), il quale ha ribadi
to la configurazione dell'attività libero-professionale, di cui al
previgente ordinamento.
Con riguardo alla disciplina contenuta nel primo accordo per il personale dell'Usi, le cui norme sono state emanate con il
d.p.r. n. 348 del 1983, va tuttavia rilevata la sostanziale modifi
ca del precedente sistema delle compartecipazioni, nella prospet tiva della ricerca di un modello d'incentivazione della produtti
vità, idoneo alla valorizzazione e comunque al pieno utilizzo
del servizio sanitario pubblico (cfr. art. 59 d.p.r. 348/83). Espli citamente (art. 59, 4° comma) si afferma che le parti hanno
inteso attuare una «ridefinizione» dell'ex istituto della compar
tecipazione, al fine di «ricercare» un «istituto d'incentivazione
alla produttività». «Viene valutata come produttività aggiuntiva la quota parte
delle prestazioni complessive prodotte dall'équipe in plus-orario in rapporto proporzionale a quanto effettuato nell'orario ordi
nario o secondo altre modalità operative che comportino un
incremento di impegno dei componenti dell 'équipe stessa» (art.
61, 1° comma). Il plus-orario ordinario, concordato con le organizzazioni sin
dacali e successivamente deliberato dall'amministrazione, costi
tuisce «debito-orario e, pertanto, deve essere programmato nei
piani di lavoro» (art. 64, 5° comma). Gli incrementi di produttività realizzati, non derivanti da au
mento di organico, vengono valutati ai fini dell'attribuzione dei
corrispettivi economici ed personale interessato, fermo restando
l'obbligo dell'effettiva proporzionale prestazione di plus-orario
(art. 61, 7° comma). Il plus-orario non è altro che il prolungamento dell'orario
settimanale di servizio allo scopo di far fronte a richieste di
prestazioni sanitarie per esterni, che si prevede di non poter soddisfare nel normale orario di lavoro.
In conclusione, il plus-orario che dà luogo all'incentivazione
di produttività non è più un orario in cui si svolge attività libero
II Foro Italiano — 1991.
professionale e neppure un orario compensativo di attività libero
professionali, prestate per ragioni tecniche durante il normale
orario di servizio, bensì un particolare prolungamento dell'ora
rio di servizio che, anziché essere retribuito nelle normali forme
(del lavoro ordinario o straordinario), è compensato (art. 64
d.p.r. 348/83) su base tariffaria (e non stipendiale) in ragione di un numero di prestazioni professionali, individuato e propor zionale al numero delle prestazioni, di uguale natura, effettuate
durante il normale orario di servizio.
Ne deriva che una maggiore produttività (in termini di pre
stazioni), registrata durante l'orario, viene ad aumentare (e in
ciò è il fine dell'attuale istituto) il compenso dovuto per il plus orario, inteso a fornire un servizio migliore nei confronti di
un'utenza indifferenziata.
Sembra allo scrivente evidente che l'attuale regime del plus orario comporta la sua stabile attuazione nell'ambito delle pre stazioni effettuate nello svolgimento del rapporto d'impiego, dal
momento che — se non per le modalità del compenso — non
è possibile distinguere «qualitativamente» fra attività svolte in
orario ordinario e in plus-orario, ricollegandosi entrambe in
scindibilmente al rapporto subordinato di pubblico impiego fra
il medico e l'Usi.
Pervero, non è possibile individuare, nell'arco della giornata lavorativa, in quale momento il medico ospedaliero stia lavo
rando in plus-orario. Comunque le diverse modalità del com
penso non sono sufficienti a configurare un qualsivoglia rap
porto di prestazione d'opera. Né la facoltatività delle prestazio ni rese in plus-orario può essere considerato elemento sufficiente
a ricostruire l'istituto quale rapporto di prestazione d'opera, at
tesoché anche compiti liberamente declinabili dal dipendente pos sono rientrare nel rapporto d'impiego, comportandone semmai
la modifica in relazione alla loro assunzione (es. particolari in
carichi, ecc.).
Eppoi la prestazione lavorativa dedotta in giudizio non confi
gura un rapporto di natura privatistica privo del requisito della
subordinazione, in quanto quell'attività non fa capo a un'auto
noma e distinta struttura, con connotati imprenditoriali, del
l'ente pubblico non economico, il quale invece espleta la mede
sima con la propria organizzazione tipica e fondamentale, nel
l'ambito della quale il dipendente è effettivamente inserito.
È allora evidente come la prestazione resa in plus-orario sia
ormai soggetta alla potestà gerarchica ed auto-organizzativa (spe cie sui mezzi e il personale occorrente) dell'ente datore di lavo
ro e riconnessa all'espletamento del rapporto di pubblico servi
zio, assunto dal ricorrente quale cardine e radice della sua pretesa.
Insomma, il sanitario è assoggettabile alla disciplina di tutto
il personale dipendente dalla Usi, priva di qualunque finalità
speculativa. L'art. 59 d.p.r. n. 348 delinea una nuova struttura
zione del servizio sanitario nazionale, d'interesse pubblico, che
viene valorizzato mediante un più ampio contributo del perso nale dipendente (art. 59, 4° comma).
Detto fine pubblico, da attuarsi con pubblici dipendenti, è
perseguito in primo luogo con l'incentivazione della produttivi tà attraverso «l'attività svolta in plus-orario» (art. 64, 1° comma).
Di conseguenza, per univoche esigenze di logica giuridica, si
impone la considerazione di un'attività espletata da dipendenti
pubblici per una finalità eminentemente pubblica perseguita da
enti pubblici. Il d.p.r. 20 maggio 1987 n. 270, di recezione del nuovo accor
do per il personale sanitario, ha disciplinato significativamente in modo distinto l'incentivazione della produttività e l'attività
libero professionale, offrendo il definitivo chiarimento nella ma
teria, che già con il d.p.r. 348 del 1983 aveva mostrato i segni di una profonda ridefinizione.
Non par dubbio, quindi, come nel rapporto di lavoro consi
derato assumano rilievo ampiamente i caratteri del rapporto di
pubblico impiego. La domanda avanzata deve essere rivolta, in virtù degli art.
29 r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 e 7 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo, essendo l'a
dito pretore non munito al riguardo di giurisdizione.
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