sezioni unite civili; sentenza 27 ottobre 1990, n. 10422; Pres. Carotenuto, Est. Rapone, P.M.Grossi (concl. conf.); Associazione naz. volontari del sangue (Avv. Di Cerbo) c. Mauta (Avv.Prozzo). Regolamento preventivo di giurisdizioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 1151/1152-1153/1154Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185398 .
Accessed: 28/06/2014 15:51
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 193.142.30.239 on Sat, 28 Jun 2014 15:51:27 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE PRIMA
trasferimento, con individuazione specifica delle relative man
canze, ha comportato una valutazione preventiva di quei deter
minati comportamenti, come tali da implicare necessariamente
proprio quelle esigenze organizzative e produttive richieste dal
cit. art. 2103 c.c. (e ritenute sufficienti dalla citata giurispru
denza di questa Suprema corte per rendere legittimo il trasferi
mento), talché la norma contrattuale risulta legittima proprio in quanto non contraria (ai sensi dell'ultimo comma) alla nor
ma di ordine pubblico. Né ciò può dirsi in verità estraneo alla
specifica fattispecie, atteso che sia l'ipotesi contestata al n. 2) che quella al n. 7) della parte IV del citato accordo, individua
no comportamenti idonei a compromettere la collaborazione,
rispetto ai quali l'allontanamento del colpevole si pone come
esigenza nello stesso tempo «tecnica» e, non si può dimenticar
lo, per lui più favorevole.
In conclusione, mentre per un verso mancano elementi suffi
cienti per ritenere che il legislatore con l'espressione «mutamen
ti definitivi del rapporto di lavoro» (art. 7, 4° comma) abbia
inteso anche riferirsi ad un elemento importante ma non essen
ziale quale il luogo destinato a rendere la prestazione (almeno secondo la valutazione fattane in concreto dalle parti sociali,
come si è visto), per altro verso la pattuizione collettiva che
abbia previsto la sanzione disciplinare del trasferimento, non
può ritenersi, di per sé, contraria alla norma di ordine pubblico
posta dall'art. 13 dello statuto, almeno tutte le volte nelle quali le parti abbiano in concreto individuato fattispecie di responsa bilità disciplinare che si configurino in modo sufficientemente
sicuro come fattori di disordine organizzativo, tecnico e produt
tivo, rimovibile con il trasferimento, senza necessità di produrre i ben più lesivi effetti della risoluzione del rapporto.
Si respinge perciò il terzo motivo del ricorso. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 27 ot
tobre 1990, n. 10422; Pres. Carotenuto, Est. Rapone, P.M.
Grossi (conci, conf.); Associazione naz. volontari del sangue
(Avv. Di Cerbo) c. Mauta (Avv. Prozzo). Regolamento pre ventivo di giurisdizione.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 18 ot
tobre 1990, n. 10149; Pres. Carotenuto, Est. Rapone, P.M.
Grossi (conci, conf.); Associazione naz. volontari del sangue
(Avv. Di Cerbo) c. Palma. Regolamento preventivo di giuri
sdizione.
Impiegato dello Stato e pubblico — Avis — Rapporto di lavoro — Controversie — Giurisdizione ordinaria (L. 20 febbraio
1950 n. 49, riconoscimento giuridico dell'associazione nazio
nale volontari italiani del sangue; 1. 14 luglio 1967 n. 592,
raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano).
L'Associazione nazionale volontari del sangue (e, di conseguen
za, le sue sezioni comunali che ne dipendono gerarchicamen
te) non è ente pubblico; pertanto, il relativo rapporto di lavo
ro ha natura privatistica e le relative controversie sono devo
lute alla giurisdizione del giudice ordinario. (1)
(1) Con le due sentenze in epigrafe (della seconda si omette la moti
vazione, identica alla prima), la Cassazione modifica le precedenti sta tuizioni sulla natura dell'Avis, già ritenuta — con esplicito riferimento alle sue sezioni comunali — pubblica nella sent. 26 gennaio 1978, n.
350, Foro it., 1978, I, 875, con nota di richiami, implicatamente ribadi ta nelle successive Cass. 27 ottobre 1983, n. 6350, id., 1984, I, 118 e 19 luglio 1985, n. 4262, id., Rep. 1986, voce Cosa giudicata civile, n. 16; la conseguente natura pubblica del rapporto di lavoro con l'Avis non risulta in precedenza mai contestata dal giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24 febbraio 1981, n. 69, id., Rep. 1981, voce
Impiegato dello Stato, n. 1056), mentre nell'ambito della giurispru
II Foro Italiano — 1991.
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso 28 ottobre 1987
al Pretore di Benevento quale giudice del lavoro, Mauta Pa
squale, dipendente della sezione di Benevento dell'Avis, chiede
va dichiararsi illegittimi gli ordini di servizi che gli imponevano il trasporto del sangue, nonché le sanzioni disciplinari inflitte
gli, per essersi rifiutato di eseguire tali ordini; in via gradata
ridursi le medesime sanzioni.
L'Avis si costituiva resistendo alla domanda. Eccepiva quin
di, con note autorizzate 10 ottobre 1988, il difetto di giurisdi
zione del giudice adito, avendo la causa, per oggetto, provvedi
menti relativi ad un rapporto di pubblico impiego.
Per gli stessi motivi ha poi proposto ricorso per regolamento
preventivo di giurisdizione, cui resiste il Mauta con controricor
so, illustrato da memoria.
Motivi della decisione. — Assume la ricorrente che l'Avis (As
sociazione nazionale volontari del sangue) è ente pubblico non
economico.
Tale associazione, infatti: a) è riconosciuta dallo Stato con
1. 20 febbraio 1950 n. 49; b) persegue uno scopo di interesse
generale, quale la raccolta e conservazione di sangue umano,
che si inquadra nella funzione di tutela della salute che compete
allo Stato in adempimento all'art. 32 Cost.; c) è sottoposta,
ad ogni livello, a controllo da parte degli organi statali, specie
per effetto della 1. 14 luglio 1967 n. 592.
Al concorso dei requisiti dianzi elencati, sufficienti per l'iden
tificazione di un ente pubblico, si aggiunge che l'Avis gode di
contributi statali, previsti dagli art. 8 e 23 1. 592/67, con conse
guenti controlli contabili, partecipa alla funzione statale attra
verso l'inserimento di propri rappresentanti negli organi del ser
vizio sanitario pubblico (art. 19 dello statuto) e, in caso di scio
glimento, è sottoposta a gestione commissariale da parte del
ministro della sanità (art. 9 dello statuto).
La funzione civica e sociale dell'Avis, indicata nella legge di
riconoscimento giuridico («promuove, coordina e disciplina,
ecc.») nell'art. 3 dello statuto e nell'art. 2 1. 592/67, indicano,
infine, la natura «non economica» dell'ente.
Alla natura pubblicistica dell'Avis partecipano poi — secon
do l'assunto della ricorrente — le sezioni provinciali e comuna
li, che ne costituiscono la struttura e che con l'associazione na
zionale hanno rapporto di dipendenza gerarchica. Il ricorso è infondato. Queste sezioni unite, con la sentenza
n. 350 del 1978 (Foro it., 1978, I, 875) hanno già affrontato
la questione ed hanno affermato: che le sezioni comunali del
l'Avis sono organi dell'Avis nazionale e non già associazioni
di fatto, distinte dall'ente centrale che ha natura di ente pubbli co non economico; che, pertanto, le controversie di lavoro dei
loro dipendenti attengono a un rapporto di impiego pubblico e sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Va però osservato che in quella occasione la Suprema corte
non ebbe ad occuparsi specificamente della natura di ente pub blico dell'Avis nazionale (natura pacificamente ammessa, all'e
poca, dai giudici ordinari di merito e dai giudici amministrativi) bensì della natura delle sezioni comunali dello stesso Avis, es
sendo sorta questione se le stesse dovessero essere considerate
semplici associazioni di fatto, suscettibili di acquistare persona lità giuridica mediante il riconoscimento a norma dell'art. 12
c.c. (nemmeno in tal caso, però divenendo enti pubblici) oppu re veri e propri organi dell'Avis nazionale.
Questa seconda tesi venne ritenuta fondata da questa corte,
dopo ampia disamina delle disposizioni dello statuto e del rego lamento dell'ente le quali chiaramente dimostrano «gli stretti
collegamenti tra le Avis ai vari livelli e gli incisivi poteri eserci
tati da quelle superiori sulle inferiori, caratteristiche queste, che
denza ordinaria si segnala Pret. Ancona 11 giugno 1988, id., Rep. 1989, voce Lavoro (rapporto), n. 1641, che ha deciso in materia di rapporto di lavoro instaurato da una sezione comunale dell'Avis.
Sui presupposti per l'individuazione della natura pubblica di un ente
e del relativo rapporto di lavoro, v. Cass. 22 giugno 1990, n. 6319
(sulle sezioni comunali dell'Unione italiana tiro a segno) e Tar Toscana, sez. I, 22 settembre 1990, n. 831 (sui consigli di aiuto sociale), id.,
1991, I, 825 e III, 80, con note di richiami.
This content downloaded from 193.142.30.239 on Sat, 28 Jun 2014 15:51:27 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
mal si spiegherebbero ove le Avis comunali fossero associazioni
distinte dall'Avis nazionale».
Ciò precisato, rileva il collegio che, mentre deve essere qui riaffermata la natura unitaria dell'ente (per le ragioni già am
piamente espresse nella menzionata precedente decisione) — pie namente compatibile con l'autonoma legittimazione negoziale e processuale delle articolazioni periferiche dell'ente stesso (v.,
per la Croce rossa italiana, Cass. 9 novembre 1977, n. 4786,
ibid., 926) — va effettuata una verifica sulla sua natura, pub blica o privata, verifica tanto più necessaria in quanto è ormai
enucleabile un preciso indirizzo dell'ordinamento giuridico di
retto a limitare rigorosamente il numero degli enti pubblici e
a basare la relativa individuazione su atti di carattere formale
(istituzione o riconoscimento della natura pubblica in forza di
legge, ricognizione della natura dell'ente). Sul punto deve considerarsi che con la 1. 20 marzo 1975 n.
70 è stata dettata una nuova organica disciplina del regime delle
persone giuridiche pubbliche, disponendosi la soppressione di
diritto di tutti gli enti pubblici ad esclusione di quelli indicati
nell'art. 1, 2° e 3° comma — e cioè di quelli compresi nelle
sette categorie dell'allegata tabella — che non fossero costituiti
od ordinati da leggi o da atti aventi valore di legge, delegandosi il governo ad integrare la detta tabella e a far luogo ad eventua
li ristrutturazioni o soppressioni, e stabilendosi inoltre — il che
è di fondamentale importanza — che nessun nuovo ente pubbli co avrebbe potuto essere istituito o riconosciuto come tale se
non per legge (art. 4). Il d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616 ha poi
proceduto al riesame generale della consistenza e degli scopi di molteplici enti, disponendo procedure di accertamento della
natura pubblica o privata di essi e stabilendo l'assunzione della
personalità giuridica di diritto privato da parte di un complesso di enti di carattere associativo e ciò mediante l'emanazione di
appositi decreti presidenziali (art. 115 e tabella B). Al che si
è già in molti casi provveduto (si veda il d.p.r. 31 luglio 1980
n. 613 che, all'art. 1, dispone il riconoscimento dell'associazio
ne italiana della Croce rossa quale «ente privato di interesse
pubblico», subordinandolo all'approvazione del nuovo statuto:
v. sez. un. 6440/85, id., Rep. 1985, voce Impiegato dello Stato,
n. 133; 1345/89, id., Rep. 1989, voce cit., n. 155), nel mentre
vi è stato altresì il diretto intervento legislativo per l'autentica
definizione della natura privata di alcuni di essi (cfr. la 1. 27
marzo 1980 n. 112 sugli istituti di patronato e di assistenza so
ciale: v. sez. un. 2584/85 e 3216/85, id., Rep. 1985, voce cit.,
nn. 144, 141).
Devesi, poi, ricordare che le istituzioni regionali ed infrare
gionali di assistenza e beneficenza, per effetto della declaratoria
di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 1 1. 17 luglio 1890
n. 6972 (sent. Corte cost. n. 396 del 1988, id., 1989, I, 46),
non hanno, in ogni caso, la natura di enti pubblici, anche al
fine del carattere pubblicistico del rapporto di lavoro con il per sonale e della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
sulle controversie ad esso inerenti, ma possono essere enti pub blici o privati, secondo i comuni parametri che distinguono gli
uni dagli altri, in relazione a requisiti strutturali e funzionali, nonché all'inserimento o meno nell'ambito dell'organizzazione della pubblica amministrazione (v. sez. un. 6249/88 e 2995/89,
id., Rep. 1989, voce Istituzioni pubbliche di assistenza, nn. 9,
13; 3283/89, id., 1990, I, 577). Un tale indirizzo impone, pertanto, un certo riesame dei tra
dizionali criteri che dottrina e giurisprudenza avevano elaborato
ai fini della determinazione della natura pubblica di un ente,
fra cui quello tradizionale della coincidenza degli scopi dell'ente
stesso con quelli propri dello Stato, posto che la natura privata di una persona giuridica non è esclusa dalla circostanza che essa
operi, anche esclusivamente, nelle materie afferenti a tipiche fi
nalità pubbliche (cfr. art. 116 d.p.r. 616/77). Se, peraltro, l'elemento del tipo di organizzazione dell'ente
sembra aver acquistato un maggior rilievo rispetto a quello del
la natura dei fini onde individuarne il carattere pubblico o pri
vato (v. sez. un. 1788 e 4212 del 1982, id., Rep. 1982, voce
Impiegato dello Stato, nn. 97, 107, 115, 125, 137, 1221) e se
in determinati casi può essere utile considerare entrambi i sud
detti profili, tuttavia, ove essi non soccorrano adeguatamente
e difetti (all'infuori delle previsioni di cui ai commi 2° e 3°
dell'art. 1 1. n. 70 del 1975 e della tabella allegata nonché delle
successive riforme) un atto di natura legislativa di istituzione
e di riconoscimento del loro carattere pubblicistico (art. 2 e 3
Il Foro Italiano — 1991.
della stessa legge) la soluzione è necessariamente nel senso che
si tratta di persone giuridiche private con tutte le relative conse
guenze giuridiche. Nella specie, non risulta che l'Avis (ente non ricompreso —
a differenza della Croce rossa — nella tabella allegata alla 1.
n. 70 del 1975) sia collocato dall'ordinamento in una posizione
giuridica particolare, differente da quella propria dei soggetti di diritto comune (anche se di particolare rilevanza sociale), cioè
che tale ente sia assoggettato ad un regime giuridico il quale
gli conferisca poteri e prerogative di diritto pubblico. Come emerge dallo statuto acquisito agli atti, l'Avis sorse
nel 1927 come associazione spontanea con lo scopo precipuo della «promozione, coordinamento e disciplina del volontariato
italiano del sangue»; ha poi ottenuto il riconoscimento della
personalità giuridica con la 1. 20 febbraio 1950 n. 49.
Detta legge, però, contrariamente a quanto sostenuto dalla
ricorrente, non ha attribuito all'ente la personalità di diritto
pubblico, né lo ha assoggettato ad alcuna disciplina di carattere
pubblicistico, e ciò è già, di per sé, un elemento assai significa tivo per escludere che possa avere la natura di ente pubblico
(cfr. sez. un. 5812/85, id., 1987, I, 1792). Nemmeno per un siffatto riconoscimento sono valide le ulte
riori argomentazioni svolte dalla ricorrente.
Irrilevante, come si è già visto, è il perseguimento di finalità
pubbliche, comuni anche ad enti privati. La 1. 14 luglio 1967 n. 592 non prevede, poi, alcuna ingeren
za pubblica sull'attività dell'Avis: si limita a riconoscere «la fun
zione civica e sociale delle associazioni aventi come attività isti
tuzionale preminente la donazione volontaria del sangue» (art.
2) ed a sottoporre a vigilanza le sole «attività relative alla pro
paganda ed al reclutamento dei donatori» (art. 18), ma non
prevede alcuna ingerenza nel processo di formazione della vo
lontà dell'Avis, né alcun controllo sui suoi atti di gestione; pari
menti, attribuisce al ministero della sanità la facoltà di concede
re contributi (art. 8 e 23), ma non prevede alcun controllo con
tabile sull'Avis. Quest'ultima, in vista delle finalità perseguite,
gode anche di agevolazioni tributarie (v. 1. 18 dicembre 1964
n. 1415), ma, anche questa, è una manifestazione notoriamente
comune a non pochi enti di natura non pubblica (vedi, infatti, la 1. 21 marzo 1958 n. 259, la quale riguarda enti pubblici e
privati). La partecipazione (art. 19 dello statuto) di rappresentanti del
l'Avis ad organismi pubblici è priva di qualsiasi rilevanza, po sto che anche associazioni private possono essere chiamate a
far parte di organismi pubblici, in quanto rappresentative di
determinati gruppi o interessi.
L'art. 9 dello statuto dell'Avis, infine, che attribuisce al mi
nistro della sanità la competenza per la nomina del commissa
rio liquidatore, non ha rilevanza essendo la nomina di liquida tori da parte governativa prevista per varie ipotesi di persone
giuridiche private (enti bancari, assicurativi e altri). In conclusione, un insieme di risultanze fa escludere l'inseri
mento dell'Avis nazionale (e, di consgeuenza, delle Avis comu
nali, che con l'associazione nazionale hanno un rapporto di di
pendenza gerarchica) nella categoria degli enti pubblici, in con
formità dei principi di diritto sopra enunciati.
Il rapporto di lavoro de quo ha, di conseguenza, natura pri
vatistica, costituendo requisito essenziale per il rapporto di pub blico impiego la natura pubblica del datore di lavoro.
La controversia quindi rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. (Omissis)
II
(Omissis)
This content downloaded from 193.142.30.239 on Sat, 28 Jun 2014 15:51:27 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions