sezioni unite civili; sentenza 7 febbraio 1989, n. 733; Pres. Bile, Est. Tilocca, P.M. Grossi (concl.conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato La Porta) c. Soc. Italinvest (Avv. Giovine). ConfermaComm. trib. centrale 2 novembre 1981, n. 4367Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 1677/1678-1683/1684Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184699 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
incompatibilità dell'accordo stesso con la normativa vigente. L'at
tribuzione del primo potere è stata ricavata dal testo dell'art. 12;
quella del secondo potere dalla dichiarazione a verbale.
Ma, cosi operando, il tribunale ha sottoposto il regolamento
negoziale ad una valutazione atomistica, che scinde la dichiara
zione a verbale dal testo della disposizione cui essa afferisce e
considera l'uno isolatamente dall'altra limitandosi al senso lette
rale delle parole impiegate nell'uno e nell'altro frammento ne
goziale. Per tale via, la sentenza impugnata ha del tutto obliterato il
canone ermeneutico della totalità, imposto dall'art. 1363 c.c. (e
tanto più vincolante in modo penetrante allorché si tratti di di
sposizione di contratto collettivo e di relativa dichiarazione a ver
bale) ed ha altresì obliterato il canone che impone d'indagare
la comune volontà delle parti (ossia la ratio del regolamento ne
goziale), al di là del senso letterale delle parole (art. 1362 c.c.):
canone, quest'ultimo, fondamentale perché inteno a definire il
risultato cui deve tendere l'interpretazione ed al cui raggiungi
mento sono intese le successive regole legali d'interpretazione e
10 stesso canone della totalità, appena ricordato.
Non v'è infatti traccia, nella sentenza impugnata, di una qual
siasi ricerca del senso complessivo del regolamento d'interesse per
seguito dalle parti stipulanti e quindi della congruenza logica com
plessiva dei precetti negoziali atomisticamente ricostruiti. Corre
lativamente, la sentenza in esame non si dà carico dell'adeguatezza
del risultato interpretativo cui perviene ed omette di considerare
l'illogicità di un regolamento negoziale che prima attribuisce ad
una parte un potere potestativo di approvazione (esercitabile quindi
nel modo più lato possibile) per poi assegnarle un ulteriore potere
di invalidazione dell'assetto negoziale approvato (in esito, ripete
si, ad una valutazione assolutamente libera e quindi spaziante
attraverso una gamma tendenzialmente infinita di motivi), limita
to — questo secondo potere — da una verifica di compatibilità
dell'assetto dato con la normativa vigente.
Per tale via, per un verso, si esalta l'elemento potestativo del
primo potere, sino a farne una sorta di condizione meramente
potestativa, scollegato da qualsiasi fattore soggettivo e oggettivo
atto ad incidere sul suo esercizio e perciò espressione di mero
arbitrio (cfr. Cass. 1747/80, Foro it., Rep. 1980, voce Contratto
in genere, n. 150 e 1432/83, id., Rep. 1983, voce cit., n. 187),
come tale invalidante l'intero regolamento (art. 1355 c.c.): con
clusione, questa, che vieppiù avrebbe dovuto indurre a dubitare
dell'interpretazione adottata, alla luce del canone della conserva
zione del contratto (art. 1367 c.c.); per altro verso si attribuisce
alla volontà negoziale la costruzione di un meccanismo, non sol
tanto macchinoso ed inutilmente ridondante, ma addirittura illo
gico, poiché non è dato vedere la ragione per la quale l'eventuale
verifica di compatibilità con la normativa vigente non debba es
ser esercitata all'atto dell'approvazione e debba invece essere ri
messa ad un momento successivo, facendo dell'operatività del re
golamento, alla cui confezione pur è inteso l'intero accordo, un
risultato estremamente incerto; conclusione non conveniente alla
natura ed all'oggetto del contratto (art. 1369 c.c.).
Lo stesso dato letterale, sul quale il tribunale fa leva, del resto,
viene assunto in modo assolutamente meccanico e svincolato da
qualsiasi controllo di logicità: osserva, infatti, la sentenza impu
gnata che «il testo parla di eventuali verifiche» e che tale even
tualità vale a porre le verifiche stesse su di un piano diverso dal
l'approvazione (che non è eventuale ma indefettibile). In tal mo
do, peraltro, si finisce col postulare che un ente pubblico (di cui,
per altro verso, si rivendica un atteggiamento di dovuta solidarie
tà con gli indirizzi economici in materia di spesa pubblica) proce
da all'approvazione dell'accordo senza compiere le suddette veri
fiche e che queste, rinviate ad un momento successivo, possano
essere solo eventuali.
La considerazione delle regole ermeneutiche sopra richiamate
impone invece di leggere unitariamente l'art. 12 e la relativa di
chiarazione a verbale e di considerare, al di là del senso delle
parole, la seconda come una limitazione, nel senso della ragione
volezza/adeguatezza (in funzione della natura di uno dei soci del
l'Ania) del potere di approvazione conferito all'Ina con la for
mula dell'art. 12.
b) Una tale lettura pone appunto il problema della verifica della
compatibilità del regolamento negoziale complessivo con la di
sposizione dell'art. 46 1. 833/78, che recita:
«La mutualità è libera. È vietato agli enti, imprese ed aziende
pubbliche contribuire sotto qualsiasi forma al finanziamento di
11 Foro Italiano — 1990.
associazioni mutualistiche liberamente costituite aventi finalità di
erogare prestazioni integrative dell'assistenza sanitaria prestata dal
servizio sanitario nazionale».
Al riguardo, non può essere condivisa l'affermazione del giudi
ce del merito che ha ritenuto l'accordo in esame incompatibile
con la suddetta disposizione perché il divieto riguarderebbe qual
siasi integrazione dell'assistenza sanitaria a carico della spesa pub
blica, «indipendentemente dall'esistenza di associazioni mutuali
stiche destinatarie di erogazioni, che non rappresenta un elemen
to essenziale della fattispecie di divieto».
Innanzitutto, non sembra lecito — in materia d'interpretazione
di leggi (tanto più se impositiva di divieti) — prescindere total
mente dalla lettera della legge (cfr. il diverso tenore dell'art. 12/1
disp. prel. c.c. e dell'art. 1362/1 c.c. a proposito d'interpretazio
ne negoziale).
Ma, soprattutto, — se è ben vero che la polizza in esame costi
tuisce una forma d'integrazione dell'assistenza sanitaria (non già
in regime mutualistico, peraltro, ma attraverso il ben diverso mec
canismo del contratto d'assicurazione ex art. 1882 ss. c.c.) —
non è di contro esatto che a tale integrazione concorre la spesa
pubblica: il premio del contratto di assicurazione privata, il cui
onere attraverso l'accordo in esame l'Ina assume su di sé, rappre
senta, infatti, giusta quanto osservano i ricorrenti, solo una «par
tita» salariale, una forma indiretta di retribuzione, che nel com
plessivo assetto normativo-economico delineato dalla contratta
zione collettiva concorre a delineare il regolamento da questo
impresso ai rapporti di lavoro. La scelta di tale forma di retribu
zione indiretta realizza uno specifico interesse delle imprese assi
curatrici (e dell'Ina che opera sul mercato in regime privatistico
e di concorrenza) in quanto consente loro di attribuire un vantag
gio apprezzabile ai lavoratori a costi, per l'impresa, sensibilmente
inferiori al valore di mercato del beneficio accordato, in tal mo
do realizzando un reciproco vantaggio per le parti del rapporto
ed un soddisfacente equilibrio dei rispettivi interessi. Né è da tras
curare l'effetto promozionale del prodotto che per tale via le im
prese assicuratrici (e l'Ina tra queste) realizzano.
Escludere l'Ina da tale possibilità contrattuale determinerebbe,
verosimilmente, un diverso regolamento contrattuale con diverse,
e per esso più onerose, poste, si che proprio la tutela della spesa
pubblica (impropriamente richiamata dalla sentenza impugnata)
verrebbe in definitiva a soffrirne, attraverso la limitazione degli
strumenti contrattuali a disposizione dell'impresa pubblica e l'at
tenuata concorrenzialità di quest'ultima, che pure opera sul mer
cato in condizioni di concorrenza. È proprio la considerazione
della genesi di tale onere delle dinamiche del mercato del lavoro
degli addetti alle imprese assicuratrici che priva l'esborso stesso
del carattere di integrazione dell'assistenza sanitaria (il quale sus
siste solo come effetto mediato e riflesso dell'accordo) conferen
dogli, invece, la natura di elemento del costo complessivo del
contratto collettivo e quindi, in ultima analisi, del servizio pro
dotto dall'impresa assicuratrice (pubblica o privata), elemento di
costo prescelto, a differenza di altri, nell'esercizio di una valuta
zione di convenienza affidata alla competente sede contrattuale.
c) La sostanziale fondatezza dei due motivi sopra esaminati
impone dunque l'accoglimento del ricorso e l'annullamento del
l'impugnata sentenza con rinvio della causa al Tribunale di Viter
bo che si conformerà ai principi di diritto ed ai criteri sopra
enunciati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 7 feb braio 1989, n. 733; Pres. Bile, Est. Tilocca, P.M. Grossi (conci,
conf.); Min. finanze (Aw. dello Stato La Porta) c. Soc. Ita
linvest (Aw. Giovine). Conferma Comm. trib. centrale 2 no
vembre 1981, n. 4367.
Tributi locali — Invim — Imponibile — Maggiorazione del valo
re iniziale — Spese per oneri di urbanizzazione — Natura ed
efficacia della normativa (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 643, istitu
zione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli im
mobili, art. 13; d.p.r. 23 dicembre 1974 n. 688, disposizioni integrative e correttive del d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 643, con
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1679 PARTE PRIMA 1680
cernente istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili, art. 1).
In tema di Invim, l'art. 1 d.p.r. 23 dicembre 1974 n. 688, nella
parte in cui ha sostituito l'art. 13 d.p.r. 26 ottobre 1972 n.
643, prevedendo, ai fini del computo dell'incremento imponibi le, la maggiorazione del valore iniziale del bene mediante le
spese per oneri di urbanizzazione, ancorché non eseguite alla data del trasferimento, è norma avente natura correttiva — e non interpretativa od esplicativa — delle precedenti disposizio ni; pertanto, si applica, con effetto retroattivo, anche alle alie
nazioni intervenute anteriormente alla sua entrata in vigore, sempre che il relativo rapporto tributario non sia ancora esaurito. (1)
Motivi della decisione. — 1. - L'amministrazione ricorrente de nuncia la violazione dell'art. 13 d.p.r. n. 643 del 1972 e la falsa
applicazione dell'art. 1 d.p.r. n. 688 del 1974, sostenendo che tal ultima norma enuncia un principio opposto a quello vigente secondo l'originario testo dell'art. 13 e perciò non può classifi carsi fra le norme interpretative e «di conseguenza, in difetto di una specifica disposizione relativa alla sua applicazione retroatti
va, non può che riguardare i presupposti d'imposta venuti in es sere dopo la sua entrata in vigore». Inoltre «il problema di costi tuzionalità è mal posto nell'impugnata decisione, giacché non è
configurabile un'ingiustificata disparità di trattamento nel succe dersi tra normative diverse».
Il ricorso va rigettato 2. - La 1. 9 ottobre 1971 n. 825 delegò il governo a riformare
quasi per intero il sistema tributario «secondo i principi costitu zionali del concorso di ognuno in ragione della propria capacità contributiva e della progressività e secondo i principi, i criteri direttivi e tempi determinati» da essa stessa (art. 1), «con uno o più decreti aventi valore di legge ordinaria» da emanarsi previo «il parere di una commissione composta da quindici senatori e
quindici deputati, nominati dai presidenti delle rispettive assem blee» (art. 17, 1° comma). La legge inoltre autorizzò (art. 17, 2° comma) il governo ad emanare «disposizioni integrative e cor
rettive, nel rispetto dei principi e criteri direttivi determinati» da essa stessa (ossia quelli fissati nell'art. 1, sopra riprodotti) «e pre vio parere della commissione parlamentare innanzi indicata. La
(1) La tesi dell'efficacia retroattiva dell'art. 1 d.p.r. 688/74 è general mente accolta dalla giurisprudenza, pur se sulla scorta di presupposti non sempre omologhi. Con riguardo ai precedenti decisi dalla Cassazione — soltanto parzialmente in linea con la pronunzia in rassegna —, essa si fonda sul rifiuto della natura interpretativa della norma medesima e, dun que, sull'affermazione circa le finalità di mera precisazione dei presuppo sti del tributo e di riformulazione della disposizione sostituita, al di là di ogni intento sostanzialmente modificatore della portata precettiva di questa; sul punto, v. sent. 25 gennaio 1989, n. 414, Foro it., Mass., 67 e Fisco, 1989, 1190, con nota di Thomas; 16 luglio 1987, n. 6252, Foro it., Rep. 1987, voce Tributi locali, n. 221 (la cui massima non rende in modo sufficientemente preciso il senso della decisione), pronunziata tra le stesse parti della sentenza in epigrafe, con nota di A. Venegoni, La retroattività della disciplina delle spese di urbanizzazione, in Dir. e pratica trib., 1988, II, 47. Nelle sentenze dei giudici tributari, invece, l'applicabilità ex tunc della norma in discorso viene dedotta proprio dalla funzione autenticamente ermeneutica spiegata nei confronti dell'art. 13 d.p.r. 643/72 (cfr. Comm. trib. centrale 26 gennaio 1987, n. 687, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 229; 1° febbraio 1986, n. 1000, id., Rep. 1986, voce cit., n. 223; 13 marzo 1984, n. 2401, id., Rep. 1985, voce cit., n. 242; 13 marzo 1984, n. 2412, id., Rep. 1984, voce cit., n. 294; 25 novembre 1983, n. 4148, ibid., n. 297).
Secondo Comm. trib. centrale 12 febbraio 1982, n. 837, id., Rep. 1983, voce cit., n. 346, invece, il d.p.r. 688/74, avendo valore innovativo, e non interpretativo, in quanto correttivo ed integrativo della previgente disciplina legislativa, si applica esclusivamente agli atti posti in essere do po la sua entrata in vigore.
Lo stesso iter logico è seguito da Cass. 6 marzo 1987, n. 2368, id., Rep. 1987, voce cit., n. 259, con riferimento si all'art. 1 d.p.r. 688/74, ma nella parte in cui ha sostituito il 3° comma dell'art. 20 d.p.r. 643/72 (relativo alla notifica dell'avviso di accertamento).
Circa la ricomprensibilità tra le spese di urbanizzazione, detraibili dal l'incremento di valore dell'immobile alienato, della cessione gratuita al comune di una parte di terreno, nell'ambito di una lottizzazione conven zionata, v. Cass. 13 gennaio 1988, n. 186, id., 1989, I, 1579, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 1990.
legge in particolare stabili (art. 1, 1° comma, III) l'«istituzione
dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili» e la «contemporanea abolizione dell'imposta sull'incremento di valore delle aree fabbricabili e dei contributi di miglioria» fissan do, poi, «i principi e i criteri direttivi» ai quali doveva unifor marsi la disciplina delegata del nuovo tributo (art. 6). Fra tali
«principi e criteri direttivi» occorre qui ricordare quello secondo il quale nella determinazione della differenza imponibile fra il valore finale dell'immobile ed il suo valore iniziale, quest'ultimo doveva essere «aumentato delle spese di acquisto, di costruzione e incrementative». L'imposta in parola venne istituita con d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 643, il quale stabilisce, all'art. 11, che «ai fini del calcolo dell'incremento imponibile il valore iniziale del bene è maggiorato delle spese di acquisto, di costruzione ed in crementative riferibili al periodo considerato per la determinazio ne dell'incremento stesso» e, all'art. 13, che «si considerano spe se di costruzione ed incrementative quelle relative ad opere ed utilità esistenti alla data di determinazione del valore finale del
bene», includendosi «fra le utilità la liberazione del bene da ser
vitù, oneri reali ed altri vincoli». Il d.p.r. 23 dicembre 1974 n. 688, che s'intitola «disposizioni
integrative e correttive del d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 643, concer nente istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore
degli immobili» e che nel preambolo richiama, fra l'altro, «la 1. 9 ottobre 1971 n. 825» e dà atto dell'espresso «parere della commissione parlamentare istituita a norma dell'art. 17» della detta legge, dispone nell'art. 1: «Al d.p.r. 26 novembre 1972 n. 643 ... sono apportate le seguenti integrazioni e correzioni:
Art. 13 è sostituito dal seguente: «Spese di costruzione ed in crementative. - Si considerano spese di costruzione e incrementa tive quelle specificamente relative ad opere ed utilità esistenti alla data di determinazione del valore finale, comprese le spese effet tuate per liberare l'immobile da servitù, oneri e altri vincoli e
per demolire le costruzioni esistenti sulle aree utilizzate ai fini edificatori.
Per le opere eseguite in economia, qualora siano documentate soltanto le spese di acquisto del materiale impiegato, il relativo
importo è aumentato del cinquanta per cento. Per le aree fabbricabili la cui edificazione è subordinata a nor
ma di legge all'accollo delle spese per l'urbanizzazione primaria 0 secondaria, il valore iniziale è maggiorato anche della quota parte di tali spese, ancorché non eseguite alla data del trasferi mento, da computarsi, con riferimento all'edificabilità specifica dell'area, in base all'importo risultante dalle convenzioni o da altri atti di impegno stipulati con i comuni ovvero dalle delibere adottate in merito dai comuni stessi. Il contribuente deve versare
l'imposta corrispondente alla maggiorazione qualora non provve de all'ultimazione delle opere di urbanizzazione nei termini sta biliti».
3. - La questione su cui si controverte nel presente giudizio è se tal ultimo comma sia o meno applicabile alle situazioni ma turatesi prima dell'entrata in vigore del relativo decreto, giacché gli atti di alienazione, cui nella specie si ha riferimento, conclusi, appunto, nella vigenza del testo originario dell'art. 13, riguarda no terreni per la cui urbanizzazione la società venditrice era ob bligata ad accollarsi le future spese.
La decisione impugnata, come sopra si è precisato, ha accolto la soluzione positiva motivandola, soprattutto, con l'affermazio ne che «la modifica all'art. 13 si deve considerare interpretativa e come tale applicabile anche ai rapporti sorti prima della sua entrata in vigore».
La sentenza n. 6252 del 1987 {Foro it., Rep. 1987, voce Tributi locali, n. 221) della prima sezione civile di questa corte, pronun ciata fra le stesse parti e a seguito di impugnazione di una deci sione pure della Commissione centrale, che aveva anch'essa rav visato nell'art 1 d.p.r. n. 688 una norma interpretativa dell'origi nario art. 13, ha esattamente osservato che «il concetto di norma interpretativa non si addice ad una norma sostitutiva (qual è l'art. 1 cit.), la quale assume come proprio referente non la norma anteriore ma (direttamente) la fattispecie sostanziale regolata e si porge, perciò, come norma di primo grado».
Non si può tuttavia condividere il ragionamento posto nella citata sentenza a fondamento del giudizio espresso, secondo il quale «la norma sostitutiva» (in esame, cioè il 3° comma del nuovo testo dell'art. 13) «deve ritenersi applicabile anche ai rapporti an teriori non ancora definiti». Sostiene, in particolare, la sentenza che nell'ambito delle «disposizioni integrative e correttive», pre
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
viste dall'art. 17, 2° comma, 1. n. 825 del 1971, si debbono di
stinguere disposizioni innovative, valevoli — come tali — solo
per l'avvenire, e disposizioni non innovative, dotate di efficacia
retroattiva e che queste ultime si esauriscono nella «semplice ri
formulazione di precetti normativi che ne esprima più adeguata mente la portata senza modificarne la sostanza, rimediano, cioè, ad inadeguatezze espressive delle norme sostituite senza rimetter
ne in discussione l'efficacia nel tempo». Di questa tecnica si serve
normalmente il legislatore delegato quando le proprie norme pre sentino siffatte inadeguatezze «non potendo egli fruire autono
mamente dell'alternativa offerta dalla retroattività propria del
l'interpretazione autentica». Indi, prosegue la sentenza, «una volta
verificata l'identità di contenuto precettivo fra nuovo e vecchio
testo, la norma sostitutiva deve ritenersi applicabile anche ai rap
porti anteriori non ancora definiti». Appunto, la norma dell'art.
I d.p.r. n. 688 del 1974 nella parte in cui sostituisce l'art. 13
non è che una riformulazione del medesimo, anche per quanto
riguarda la computazione, ai fini della determinazione del valore
iniziale, delle spese di urbanizzazione non ancora effettuate al
l'atto del trasferimento.
Certo, il nostro ordinamento giuridico conosce disposizioni me
ramente ripetitive di altre già in vigore, come, ad es., nell'ipotesi di testi unici che si limitano a riprodurre tali quali (spesso pure nella forma) disposizioni anteriori, emanate in tempi diversi, ai
fini di una loro più agevole individuazione ed applicazione (a
proposito si parla di t.u. non innovativi o compilativi di contro
a t.u. innovativi: Corte cost. n. 54 del 1957, id., 1957, I, 1740). Sebbene da una parte della dottrina si sostenga che anche il mu
tare l'ordine e la collocazione delle norme precedenti o una sem
plice operazione di coordinamento formale delle medesime com
porti una modificazione, sia pur minima, da escludere che si pos sa parlare di ripetizione, la dottrina tuttora largamente prevalente e la giurisprudenza della Corte costituzionale ritengono che le
disposizioni meramente ripetitive siano prive di contenuto nor
mativo ed abbiano soltanto valore di fonti di cognizione, mentre
conservano vigore le norme riprodotte e sono esse che disciplina no la relativa materia.
Ora, a parte il rilievo che la sentenza citata applica la nozione
di disposizione ripetitiva (o «non innovativa») anche all'ipotesi in cui la disposizione successiva, senza assumere la connotazione
di norma d'interpretazione autentica, venga emanata al fine di
rimediare ad inadeguatezze espressive della disposizione precedente
e, quindi, di superare i dubbi interpretativi cui quest'ultima abbia
dato o potesse dar luogo, a parte, inoltre, la considerazione che
la sentenza a siffatta disposizione attribuisce ad un tempo carat
tere non innovativo e l'efficacia di regolare direttamente la fatti
specie, persino quelle perfezionatesi anteriormente, va osservato
che la disposizione qui in esame, lungi dal costituire una mera
riformulazione di un precetto già in vigore, pone e crea, invece, un precetto sicuramente non contenuto nell'originaria normativa.
L'art. 13, 1° comma, del primitivo testo esigeva, senza alcuna
eccezione, ai fini della maggiorazione del valore iniziale dell'im
mobile, che le spese incrementative fossero state già effettuate.
II 3° comma del testo vigente, che non trova assolutamente ri
scontro nel testo precedente, oltre che includere fra le dette spese
quelle «per la urbanizzazione primaria e secondaria» delle «aree
fabbricabili la cui edificazione è subordinata a norma di legge all'accollo» delle medesime, dispone che esse debbano detrarsi
«ancorché non eseguite alla data del trasferimento». E in conse
guenza di tale innovazione il 3° comma stesso introduce la dispo
sizione, ovviamente inesistente nel testo originario, secondo la quale «il contribuente deve versare l'imposta corrispondente alla mag
giorazione qualora non provveda all'ultimazione delle opere di
urbanizzazione nei termini stabiliti». Che l'art. 11 (rimasto tutto
ra invariato), pure sopra trascritto, richieda che le spese incre
mentative siano «riferibili al periodo considerato per la determi
nazione dell'incremento stesso» non comportava, nella vigenza del vecchio testo del successivo art. 13, che le spese per l'urbaniz
zazione fossero detraibili pur se ancora non effettuate (come si
ritiene nella cit. sent. n. 6252 del 1987), poiché esso andava coor
dinato con quest'ultimo articolo che consentiva, appunto, la com
putazione, senza alcuna deroga, delle sole spese già sopportate dall'alienante. L'art. 11 stabilisce il periodo al quale debbano ri
ferirsi le spese incrementative per poter concorrere alla determi
nazione del valore iniziale dell'immobile e l'art. 13 del vecchio
testo limitava, dal suo canto, la detrazione, fra le spese riferibili
al detto periodo, esclusivamente di quelle eseguite.
Il Foro Italiano — 1990.
4. - A proposito del cenno critico che nella più volte citata
sentenza viene rivolto alla circolare 30 gennaio 1975, n. 3 del
ministero delle finanze (indicata anche nella decisione impugnata) si deve osservare che la deroga prevista dal 3° comma del vigente art. 13 attiene al presupposto dell'imposta, ossia al momento ge netico del rapporto tributario, tant'è vero che in astratto la com
putazione delle spese per l'urbanizzazione, pure se ancora non
effettuate, potrebbe elevare il valore iniziale ad un importo pari od addirittura superiore a quello finale con la conseguenza che
non sorgerebbe l'obbligazione tributaria. Proprio il fatto che la
nuova disposizione investa il presupposto dell'imposta, dovrebbe
far ritenere, contrariamente a quanto sembra affermarsi nella suin
dicata sentenza, che essa, ove non ne sia altrimenti desumibile
la retroattività, non possa farsi risalire alle situazioni maturatesi
anteriormente alla sua entrata in vigore. Infatti, è principio fon
damentale che ogni fattispecie tributaria, salvo che non sia diver
samente stabilito, è regolata, quanto ai suoi momenti costitutivi, dalla legge vigente alla data in cui essa si è perfezionata. Solo
gli effetti non esauriti di un rapporto giuridico sorto antecedente
mente possono essere disciplinati dalla norma nuova e ciò, per di più, solo quando questa sia diretta a regolare soltanto gli ef
fetti medesimi, in se stessi ed indipendentemente dal fatto cui
essi si ricollegano. 5. -1 risultati fin qui raggiunti, e cioè che il 3° comma dell'art.
13 del nuovo testo ha carattere innovativo, non ha natura di nor
ma di interpretazione autentica ed investe il presupposto dell'In
vim, non consentono di attribuirgli efficacia retroattiva. Tutta
via, l'esame va ulteriormente approfondito e poiché il governo,
per sostituire il testo originario dell'art. 13, si è valso, come si
è già detto, della delega legislativa ad emanare «disposizioni inte
grative correttive, di cui all'art. 17, 2° comma, 1. n. 825 del 1971, occorre in particolare accertare se siffatte disposizioni possano essere dotate di efficacia retroagente in conseguenza della loro
natura e funzione.
Disposizioni integrative sono quelle che esplicano e sviluppano
principi, aspetti, precetti non espressi da precedenti disposizioni ma in questi sottintesi e perciò già deducibili in via di interpreta zione. A differrenza delle disposizioni di attuazione che sono ne
cessarie perchè altre disposizioni diventino concretamente operanti
(ex nunc), quelle integrative non hanno la funzione di rendere
possibile l'applicazione, che già ha e può aver luogo, delle dispo sizioni alle quali si riconnettono, ma soltanto di esplicitare e di
spiegare, con valore vincolante, tutto quanto tali ultime disposi zioni sono suscettibili di rappresentare, seppure non emergenti dal loro contenuto immediato.
Le disposizioni integrative soddisfano l'esigenza della certezza
e dell'uguaglianza di trattamento giuridico di fronte alla variabi
lità e soggettività delle integrazioni non legislative. Ricorre perciò un fenomeno analogo all'interpretazione autentica; tuttavia, la
disposizione integrativa si differenzia nettamente da quella di in
terpretazione autentica poiché essa, pur presupponendo (al pari di quest'ultima) già esistente il precetto giuridico che enuncia, non si pone il problema di stabilire ed imporre un determinato
significato, fra i vari astrattamente possibili, di una norma ante
cedente, ma di individuare (con valore vincolante) il preciso pre cetto deducibile dalla norma o dalle norme cui accede.
Disposizioni correttive sono, invece, quelle dirette ad emendare
disposizioni già in vigore che presentano secondo l'apprezzamen to del legislatore delegato (ed ovviamente del parlamento) un vi
zio di illegittimità perchè contrastino direttamente con una nor
ma costituzionale o violino i criteri fissati dalla legge delega o
comunque i limiti della delega stessa o, infine, perchè si rivelino
irragionevoli. Si tratta di un potere attribuito al governo dal parlamento (che
potrebbe provvedervi direttamente) al fine di prevenire una pro nuncia di illegittimità da parte della Corte costituzionale e co
munque al fine di armonizzare la disposizione precedente all'or
dinamento costituzionale nell'interesse della collettività nazionale
alla stabilità e certezza della normativa in un settore di particola re rilevanza generale, qual è la materia tributaria. Perciò, per accertare in concreto se si tratti di disposizione modificativa in
senso proprio (non inclusa nell'ambiente della delega legislativa) o di disposizione correttiva occorre risalire alla ratio legis e consi
derare, altresì', se la precedente disposizione che si dichiara even
tualmente nel titolo o nel preambolo (come nel decreto n. 688
del 1974) o nel testo del decreto delegato di correggere, ponga o meno un'attendibile questione di legittimità costituzionale (cosi
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1683 PARTE PRIMA 1684
come bisogna far capo alla ratio legis e considerare la norma
precedente se si tratti effettivamente o meno di norma integrativa). Il legislatore delegato per operare la correzione talvolta aggiun
ge al testo in vigore o sopprime dal medesimo parole, incisi, parti di espressione o commi interi; e talvolta sostituisce in tutto o in parte il testo originario con un altro, per cui può accadere
che il nuovo testo ripeta tal quale, anche formalmente, la disposi zione precedente, con la sola eliminazione della parte illegittima o con l'aggiunzione di una parte ritenuta idonea a renderla legit tima (il che ricorre, appunto, a proposito dell'art. 13, qui in con
siderazione). Analogo è il procedimento di cui di solito si serve il legislatore delegato per le disposizioni integrative: esso, precisa
mente, talvolta le emana lasciando immutata la disposizione prin cipale corrispondente e talvolta sostituisce quest'ultima disposi zione riformulandola già con l'integrazione.
6. - Le disposizioni integrative e quelle correttive hanno, per ragioni diverse, efficacia retroattiva, salvo che non si tratti di
situazioni esaurite.
L'efficacia retroattiva delle disposizioni integrative si evidenzia sicuramente ove ci si soffermi a considerare che esse esplicitano, come si è detto, precetti già sottintesi o impliciti nelle corrispon denti disposizioni principali e dispiegabili in sede d'interpretazio ne. I precetti esplicitati vengono posti con la stessa norma princi pale e derivano dalla medesima fonte dalla quale questa proma na, mentre la disposizione integrativa si limita ad individuarli e formularli in un apposito testo legislativo, con valore perciò vin colante e sotto questo riflesso essa ha indubbio carattere normativo.
L'efficacia retroattiva delle disposizioni correttive si spiega con 11 rilievo che esse sono rivolte ad emendare norme che presentano secondo l'apprezzamento del governo vizi di legittimià costituzio nale e, quindi, di invalidità ex tunc nelle parti che vengono ap punto emendate. In sostanza, la legge delegata, che si propone di prevenire la dichiarazione di illegittimità da parte della Corte
costituzionale, deve poter incidere sul testo normativo come avreb be inciso siffatta dichiarazione. Sarebbe un non senso che la leg ge delega corregga una disposizione che si palesa illegittima, la sciandola in vigore per le situazioni perfezionatesi anteriormente ma ancora non esaurite e consentendo per queste il ricorso alla Corte costituzionale, che essa si propone di prevenire e di evitare nell'interesse generale alla stabilità e certezza della normativa in settori di particolare e delicata rilevanza sociale.
D'altro canto se il parlamento ha delegato il governo ad ema nare disposizioni integrative e correttive che per la loro finalità e natura sono destinate ad incidere con efficacia retroattiva sulle
disposizioni integrate e corrette, sembra logico escludere che oc corresse un esplicito conferimento al governo del potere di legife rare con siffatta efficacia, nonché un'apposita dichiarazione nella
legge delegata che le disposizioni correttive ed integrative da essa contenute si applichino anche alle situazioni anteriori non esaurite.
Giova sottolineare che le disposizioni integrative e correttive
operano ex tunc, con il limite del giudicato, sia nei confronti dell'amministrazione che nei confronti del contribuente, e questo loro retroagire non può incontrare preclusioni per il rilievo che
potrebbe ledere aspettative già createsi, poiché aspettative merite voli di tutela non possono fondarsi su deduzioni integrative ad
opera dell'interprete (necessariamente soggettive e perciò dubbie e modificabili finché non siano trasfuse in un accertamento pas sato in giudicato) e tantomeno su disposizioni che si rivelino co stituzionalmente illegittime e, pertanto, sempre suscettibili di es sere eliminate con efficacia ex tunc ed erga omnes (ad opera della Corte costituzionale), con salvezza soltanto delle situazioni già esauritesi.
7. - Una volta già escluso che la disposizione — introdotta dall'art. 1 d.p.r. n. 688 del 1974 con l'aggiunta del 3° comma al testo riformulato dell'art. 13 del decreto istitutivo dell'Invim — che include fra le spese detraibili anche quelle relative ad oneri di urbanizzazione, ancorché non eseguite, fosse deducibile dal te sto originario del detto art. 13 o potesse essere ricavabile dall'art. 12 o da altra norma dello stesso decreto istitutivo dell'Invim, ne discende che la menzionata disposizione non può inquadrarsi fra le disposizioni di carattere integrativo nel senso sopra illustrato. È certo, invece, che quella disposizione si sussuma nell'ambito delle disposizioni correttive. Era, infatti, sicuramente irragione vole (per le penetranti considerazioni svolte al riguardo nella più volte citata sentenza n. 6252) che nel testo originario dell'art. 13 non fossero incluse fra le spese computabili per la determina zione del valore iniziale dell'immobile quelle per l'urbanizzazione
Il Foro Italiano — 1990.
primaria e secondaria, ancorché non ancora eseguite alla data dell'alienazione. Il fatto che l'alienante avesse già ottenuto a tale
data, con la stipulazione della convenzione di urbanizzazione, la
possibilità di edificare sul fondo si traduceva in una maggiore appetibilità del fondo medesimo e, quindi, in un aumento del
valore finale, valutabile ai fini dell'accertamento dell'imponibile, mentre non si poteva tener conto, nel calcolare il valore iniziale, delle spese, ormai obbligatoriamente gravanti sull'alienante stes
so, per attuare l'urbanizzazione e determinare, perciò, quell'in cremento del valore finale dell'immobile. Tanto più che, qualora l'alienante non vi avesse ottemperato, avrebbe potuto essere chia mato al versamento dell'imposta corrispondente all'attribuita mag giorazione del valore iniziale. Pertanto, con il 3° comma dell'at tuale testo legislativo dell'art. 13 il legislatore delegato si è propo sto di rimediare a tali irragionevolezze; trattandosi, dunque, di una disposizione con funzione correttiva, essa si applica agli atti di alienazione ai quali ha riferimento la controversia, seppure con
clusi anteriormente all'entrata in vigore del d.p.r. n. 688 del 1974 con il quale venne introdotta la detta disposizione.
CORTE D'APPELLO DI ROMA; sentenza 9 aprile 1990; Pres.
Anedda, Est. Elefante; Min. trasporti c. Soc. Cantiere nava le Rodriquez (Aw. Albanese, Siracusano).
CORTE D'APPELLO DI ROMA;
Opere pubbliche — Appalto — Costruzione di aliscafo — Confi
gurabilità — Revisione prezzi — Materiali esclusi da clausola revisionale — Domanda — Giurisdizione amministrativa —
Estremi (Cod. civ., art. 1655; cod. nav., art. 241; 1. 22 feb braio 1973 n. 37, proroga dell'art. 2 1. 19 febbraio 1970 n.
76, recante norme per la revisione dei prezzi degli appalti di
opere pubbliche, art. 2).
Stante la riconducibilità all'appalto di opera pubblica del con tratto con il quale un cantiere navale si impegna a costruire e fornire alla pubblica amministrazione committente aliscafo realizzato secondo i disegni dalla medesima predisposti, la co
gnizione della domanda di revisione prezzi per i materiali, es clusi dalla corrispondente clausola contrattuale limitata alla sola mano
d'opera, proposta dal costruttore in base all'art. 2 l. n. 37 del
1973, investendo la facoltà della stessa pubblica amministrazio ne di procedere alla revisione, rientra nella giurisdizione del
giudice amministrativo. (1)
(1) 11 contratto, in relazione al quale è insorta la controversia revisiona le che ha dato luogo all'affermazione riassunta in massima, si è concluso il 15 gennaio 1975: di qui l'applicabilità al medesimo (contratto) della 1. n. 37 del 1973, invocabile solo per i rapporti sorti dopo la sua entrata in vigore (Cass. 30 marzo 1984, n. 2083, Foro it., 1984, I, 1536, con nota di richiami), e l'ininfluenza, ai fini del decidere, dei richiami della corte d'appello alla 1. n. 741 del 1981, per il suo art. 1, non riferibile a vicende contrattuali (per entità ed epoca di conclusione), del tipo di quella in discussione (sez. un. 8 luglio 1985, n. 4088, id., 1986, I, 1008, con ulteriori indicazioni).
Ciò posto e considerato che il generico riferimento della corte romana ad un riconoscimento parziale della revisione, disgiunto da ogni ulteriore ed utile specificazione, non consente di apprezzare il riconoscimento stes so sub specie di corresponsione di acconto, in ipotesi rilevante per il ri parto della giurisdizione (in motivazione, cit. sent. n. 4088 del 1985), è il caso di aggiungere che la cassazione, dopo le puntualizzazioni di sez. un. n. 4088 del 1985 cit., ha più volte ribadito che nelle controversie in materia revisionale sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo ove si contesti 1 'an dell'operazione, mentre si delinea la cognizione del giudice ordinario allorché si discuta della liquidazione del quantum (fra le più recenti, sez. un. 27 ottobre 1989, n. 4507, id., Mass., 634; 13 gennaio 1989, n. 107, id., 1989, I, 3464, con osservazioni e richiami di C.M. Barone).
Per quanto riguarda, poi, la 1. 21 dicembre 1974 n. 700 (secondo Cian fìone, L'appalto di opere pubbliche, Giuffrè, Milano, 1985, 812-813, implicante la trasformazione della revisione «da facoltà della pubblica amministrazione in un vero e proprio obbligo legale contrattuale») mette conto avvertire che, secondo Cass. 23 aprile 1987, n. 3930, Foro it., 1988, I, 890, con nota di richiami, siffatta legge ha caducato la disciplina con tenuta nel d.l. n. 1501 del 1947.
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