sezioni unite civili; sentenza 22 agosto 1989, n. 3736; Pres. Falcone, Est. Beneforti, P.M. DiRenzo (concl. diff.); Di Grecchio (Avv. Manigro) c. Proc. gen. Cass. ed altri. Conferma Cons.sup. magistratura, sez. disciplinare, 12 febbraio 1988Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 1915/1916-1921/1922Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184739 .
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1915 PARTE PRIMA 1916
ma poiché la stessa legge di depenalizzazione n. 689 del 1981 ha
introdotto un sistema di diritto amministrativo punitivo ispirato ai dettami propri del diritto penale, non si vede come possano restarne emarginati principi generalissimi peculiari ai concetti di
colpevolezza e punibilità, quale quello della buona fede esimente
dell'elemento soggettivo dell'illecito.
Si deve tuttavia tenere presente che non sempre può ricorrere
il dato positivo della buona fede, per cui sarebbe piuttosto auspi cabile identificare un'ottica che investa radicalmente l'art. 95 cod.
strad., si da addivenire ad una sistematica essenzialmente uniforme.
Occorre allora riflettere che, giusto in tema di inescusabilità
dell'ignoranza della legge penale, si è pronunciata la Corte costi
tuzionale dichiarando l'illegittimità dell'art. 5 c.p. nella parte in
cui non esclude dall'inescusabilità l'ignoranza inevitabile.
La corte ha cosi profondamente inciso sull'ordinamento rimo
dellando questa norma di «sbarramento» in termini di retta ar
monia con la subiettività intrinseca ed imprescindibile della col
pevolezza. La Consulta ha puntualizzato che la colpa non può mai essere data per presunta poiché la responsabilità penale, do
vendo essere personale, ai sensi del 1° comma dell'art. 27 Cost.,
sorge con l'effettiva presenza dell'elemento soggettivo, il quale
implica una relazione dell'agente con il fatto, non riduttivamente
inteso quale insieme di elementi oggettivi e materiali, ma conside
rato nel suo «integrale» disvalore antigiuridico. La relazione va
quindi giustamente posta fra agente e legge, per cui l'impossibili tà di conoscenza del precetto, dunque dell'illiceità, non attribui
bile alla volontà del soggetto esclude la punibilità. Per il cittadino, ha poi chiarito la corte, vi è l'obbligo di osser
vare la legge, non una soggezione alla stessa: pertanto, egli va
messo in condizione di non trasgredirla, ed è lo Stato che deve
assicurare la riconoscibilità delle norme previa giusta conformità
dell'apparenza al contenuto.
Premessi questi rilievi, la richiamata sentenza ha poi spiegato che il passaggio fra l'oggettiva conoscibilità garantita dallo Stato
e l'effettiva conoscenza avviene tramite la mediazione dell'attivi
tà conoscitiva del singolo soggetto, il quale ha strumentali e spe cifici doveri d'informazione e ragguaglio. Però, insegna la corte, deve essere vagliata la sua reale possibilità di conoscenza anche
assolvendo a tali doveri.
L'apprezzamento d'inevitabilità dell'ignoranza, quindi, va con
dotto in base a parametri oggettivi puri, se la conoscenza del
precetto del divieto è impossibile per ogni consociato, ad esempio
per assoluta oscurità del testo o caotico atteggiamento interpreta tivo da parte della giurisprudenza, oppure attraverso criteri misti, con l'analisi delle particolari cognizioni e abilità del singolo, si
da fondare la scusa anche su un fattore di soggettività, per la
tutela costituzionalmente dovuta a chi versa in condizioni di infe
riorità. Ne deriva che, in determinati campi, solo dalle persone fornite di specifica preparazione tecnica sono esigibili doveri di
approfondita diligenza, considerata soprattutto la rilevanza pena le oggi conferita a tanti fatti privi di disvalore sociale.
Le argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale in tema di
ignoranza scusabile non possono restare estranee ad una conside razione all'art. 95 cod. strad., i cui significati non trovano espres sione chiara nella lettera della norma, ma presuppongono uno
sforzo interpretativo richiedibile solo a chi ha una spiccata attitu dine professionale negli ambiti che ne vengono contemplati. Es
sendo quindi plausibile un'errata ricezione del testo, il giudizio
d'ignoranza inevitabile, dunque scusabile, è decisamente sostenibile.
Per le considerazioni dianzi fatte sull'unicità concettuale del
diritto punitivo (penale amministrativo), la statuizione della corte
è legittimamente estensibile alle infrazioni amministrative, tanto
più che la stessa Consulta, proprio nella citata sentenza, ha espli citamente rilevato che il dovere di osservare le norme penali non
è che una specificazione dell'obbligo generale di osservare le leggi della repubblica sancito dal 1° comma dell'art. 54 Cost. È quindi ovvio che le delucidazioni stese sull'oggettiva conoscibilità di pre cetti legislativi hanno un respiro totalizzante ed abbracciano tutto il diritto positivo.
Nel caso in questione, poiché non vi sono motivi per escludere
Sisi Roberto dal novero dei cittadini avulsi da particolari cogni zioni tecnico-giuridiche, tali da generargli il preciso dovere ogget tivo di attenersi al vaglio interpretativo legittimo della norma giu ridica anche quando quest'ultima è oscura e non intelligibile, la
sua condotta, per l'intrinseca scusabilità dell'errore, è scevra da fattori di censura.
Non sussistendo la responsabilità contestata, l'illecito va nega to e l'opposizione è da accogliere, con annullamento dell'ordi
nanza impugnata.
Il Foro Italiano — 1990.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 22 ago sto 1989, n. 3736; Pres. Falcone, Est. Beneforti, P.M. Di
Renzo (conci, diff.); Di Grecchio (Aw. Manigro) c. Proc. gen. Cass. ed altri. Conferma Cons. sup. magistratura, sez. discipli
nare, 12 febbraio 1988.
Ordinamento giudiziario — Provvedimenti disciplinari contro ma
gistrati — Ricorso in Cassazione — Ordine della discussione — Rinvio alla disciplina del codice di procedura civile — Que stione manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art.
3, 24; cod. proc. civ., art. 379; cod. proc. pen. del 1930, art.
468; 1. 24 marzo 1958 n. 195, norme sulla costituzione e sul
funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, art.
17; d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, disposizioni di attuazione
e di coordinamento della 1. 24 marzo 1958 n. 195, art. 60). Ordinamento giudiziario — Procedimenti disciplinari contro ma
gistrati — Ricorso in Cassazione — Omesso deposito della co
pia autentica del provvedimento impugnato — Utilizzabilità della
copia presente nel fascicolo del Consiglio superiore della magi stratura — Improcedibilità — Esclusione (Cod. proc. civ., art.
369). Ordinamento giudiziario — Procedimenti disciplinari contro ma
gistrati — Magistrato sottoposto a procedimento penale — So
spensione preventiva dalle funzioni e dallo stipendio — Com
petenza della sezione disciplinare — Fattispecie (R.d.leg. 31 mag
gio 1946 n. 511, guarentigie della magistratura, art. 31; 1. 24
marzo 1958 n. 195, art. 17; d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, art. 58).
Ordinamento giudiziario — Procedimenti disciplinari contro ma
gistrati — Sospensione preventiva di magistrato sottoposto a
procedimento penale — Decisione sull'istanza di revoca — Ne
cessità di sentire il ministro di grazia e giustizia richiedente il
provvedimento — Esclusione (Cost., art. 97; r.d.leg. 31 mag
gio 1946 n. 511, art. 31; d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, art. 58). Ordinamento giudiziario — Procedimenti disciplinari contro ma
gistrati — Sospensione preventiva di magistrato sottoposto a
procedimento penale — Termine minimo per la difesa e audi
zione preventiva — Necessità — Esclusione (Cost., art. 24; cod.
proc. pen. del 1930, art. 407, 409, 630; r.d.leg. 31 maggio 1946
n. 511, art. 30, 31, 33).
Il procedimento di impugnazione delle decisioni emesse dalla se
zione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura da
vanti alle sezioni unite della Cassazione è regolato esclusiva
mente dalle disposizioni del codice di procedura civile sul pro cedimento per cassazione; è, pertanto, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, ultimo com
ma, l. 24 marzo 1958 n. 195, nella parte in cui, attraverso il
richiamo all'art. 379 c.p.c., stabilisce un ordine nella discussio
ne in cui la trattazione orale delle conclusioni del p.m. segue la difesa degli avvocati e non concede quindi, ai sensi dell'art.
468 c.p.p. del 1930, al difensore il diritto di parlare per ultimo, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost. (1)
Non dà luogo ad una pronuncia di improcedibilità, ai sensi del
l'art. 369, 2° comma, c.p.c., l'omesso deposito da parte del
ricorrente avverso una decisione della sezione disciplinare del
Consìglio superiore della magistratura di copia autentica del
provvedimento impugnato, quando a ciò può validamente sop
perirsi utilizzando la copia autentica esistente nel fascicolo del
Consiglio superiore della magistratura. (2)
(1) Per l'esplicita affermazione secondo cui nel procedimento avanti la Corte di cassazione avente ad oggetto il ricorso contro le decisioni della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura deb bono necessariamente operare le disposizioni del codice di procedura civi
le, sia per quanto riguarda l'ammissibilità e la procedibilità dell'impugna zione, sia i motivi deducibili e l'iter del giudizio di legittimità, v. Cass. 15 novembre 1982, n. 6085, Foro it., 1983, I, 680, con nota di richiami.
In tema di difesa davanti alla sezione disciplinare del Consiglio supe riore della magistratura, v. Cass. 12 aprile 1985, n. 2412, id., 1985, I, 2941, con nota di richiami, circa l'obbligo, per il magistrato incolpato, di essere difeso da altro magistrato.
(2) Nel senso che il ricorso per cassazione non è improcedibile per man cato deposito di copia autentica della sentenza impugnata, quando sia certa la conformità all'originale della copia (non autentica) prodotta, la
quale può essere anche contenuta nel fascicolo d'ufficio o essere prodotta dal resistente, v. Cass. 26 marzo 1977, n. 1193, Foro it., Rep. 1977, voce Cassazione civile, n. 252. In senso analogo, v. pure Cass. 5 dicembre
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il potere, già riconosciuto al ministro di grazia e giustizia, di so
spendere preventivamente dalle funzioni e dallo stipendio il ma
gistrato sottoposto a procedimento penale per delitto non col
poso spetta alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della
magistratura e non al plenum del consiglio stesso. (3) La sentenza penale assolutoria dell'incolpato con la formula «il
fatto non costituisce reato» non osta a che il fatto, la cui esi
stenza è positivamente accertata, sia posto a fondamento della
sospensione disciplinare del magistrato ovvero di un provvedi mento confermativo di questa. (4)
È legittimo il provvedimento di rigetto dell'istanza di revoca ov
vero confermativo della precedente ordinanza di sospensione cautelare di magistrato sottoposto a procedimento penale adot
tato dopo aver sentito il procuratore generale e non il ministro
di grazia e giustizia il quale aveva richiesto la misura cautelare, dal momento che la funzione requirente nel processo discipli nare spetta esclusivamente all'organo del p.m., indipendente mente da chi abbia promosso l'azione disciplinare o abbia ri
chiesto il provvedimento provvisorio. (5) Ai sensi dell'art. 31 r.d.leg. 31 maggio 1946 n. 511, per la difesa
del magistrato di cui sia richiesta la sospensione preventiva dal
le funzioni e dallo stipendio in pendenza di procedimento pe
nale, non è previsto un termine minimo per la difesa del magi strato stesso né, a differenza di quanto stabilito dall'art. 30
stesso r.d.leg. per la sospensione disciplinare, che sia preventi vamente sentito. (6)
Motivi della decisione. — In punto di ammissibilità della pro duzione documentale offerta dal p.g. ed avente ad oggetto certi
ficazione della cancelleria attestante che con sentenza in data del
7 luglio 1988 la citata sentenza assolutoria della corte d'appello è stata cassata con rinvio ad altro giudice per riesame, le sezioni
unite, a conferma della precedente ordinanza di rigetto della ri
chiesta, rilevano che il documento non attiene alla nullità della
sentenza impugnata né all'ammissibilità del ricorso o del contro
ricorso, non versandosi, perciò, nelle uniche ipotesi in cui, a nor
ma dell'art. 372, 1° comma, c.p.c., è ammesso il deposito di atti
e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo. Né il documento riguarda eventi sopravvenuti di cui debbasi
in ogni caso tener conto, perché tali da incidere nelle condizioni
di procedibilità dell'azione disciplinare e da influire, perciò, sul
l'esito del presente giudizio.
1986, n. 7241 e 23 giugno 1986, n. 4172, id., Rep. 1986, voce cit., nn.
106, 103; 23 ottobre 1985, n. 5197, id., Rep. 1985, voce cit., n. 92.
(3-6) In ordine alla misura della sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio del magistrato sottoposto a procedimento penale, previ sta dall'art. 31 r.d.leg. 511/46, v. Cass. 11 maggio 1987, n. 4319, 1°
aprile 1987, n. 3115, 18 marzo 1987, n. 2720, Foro it., Rep. 1987, voce Ordinamento giudiziario, nn. 115, 113, 114; 30 gennaio 1985, n. 550, id., Rep. 1985, voce cit., n. 195, circa i limiti dell'obbligo di motivazione da parte della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistra tura; 5 febbraio 1983, n. 975, id., 1983, I, 298, con nota di richiami e osservazioni di C.M. Barone, per l'impugnabilità davanti alle sezioni unite della Cassazione del d.p.r. che, in conformità del precedente prov vedimento della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magi stratura, sospende provvisoriamente dalle funzioni e dallo stipendio il ma
gistrato sottoposto a procedimento penale. Sulla misura della sospensione provvisoria dalle funzioni e dallo stipen
dio del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare, ai sensi del l'art. 30 r.d.leg. 511/46, v. Cass. 4 marzo 1986, n. 1383, id., Rep. 1986, voce cit., n. 186, secondo cui il provvedimento che commina tale misura ha una propria sostanziale autonomia, nell'ambito del procedimento me
desimo, e come tale è separatamente impugnabile; Cass. 2 aprile 1984, n. 2144, id., 1984, I, 1207, con nota di richiami, la quale ha ritenuto che il provvedimento in questione è applicabile fino al momento in cui il procedimento disciplinare non sia terminato con decisione divenuta de finitiva a seguito della conferma della sentenza della sezione disciplinare da parte della Cassazione o per scadenza del termine per proporre il ri
corso; Cass. 21 marzo 1984, n. 1897, ibid., 1208, con nota di richiami, secondo cui il procedimento cautelare disciplinare non richiede né l'inter vento del p.m. nell'adunanza in cui si provvede né la formale convoca
zione dell'incolpato, ma esige soltanto che quest'ultimo abbia avuto la
concreta possibilità di discolparsi e di esporre le sue ragioni mediante audizione personale e l'eventuale assistenza tecnica di altro magistrato; 20 luglio 1983, n. 4999, id., Rep. 1984, voce cit., n. 135; 20 luglio 1983, n. 4998, id., 1983, I, 3047, con nota di richiami, in ordine alla motivazio ne necessaria per l'irrogazione della sospensione provvisoria.
In tema di procedimento disciplinare contro magistrati, v., da ultimo, Cass. 21 aprile 1989, n. 1924, in questo fascicolo, I, 1965, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 1990.
Il rigetto dell'istanza dell'avvocato del ricorrente, diretta ad ot
tenere per ultimo la parola trae, a sua volta, fondamento dal
rilievo che il procedimento d'impugnazione delle decisioni emesse
dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistra tura davanti a queste sezioni unite ex art. 60 d.p.r. 16 settembre
1958 n. 916, recante disposizioni di attuazione e di coordinamen
to della 1. 24 marzo 1958 n. 195 (norme sulla costituzione e del
funzionamento del Consiglio superiore della magistratura) è re
golato esclusivamente dalle disposizioni del codice di procedura civile sul procedimento per cassazione (art. 360 ss.).
Né a questo indifferenziato regime processuale, valido, in ge
nere, per tutti i ricorsi proposti contro i provvedimenti delle giuris dizioni speciali o specializzate, si oppone la diversità del rito os
servato nel procedimento a quo, siccome previsto da ordinamenti
particolari (cfr., ad esempio, art. 19 1. 11 agosto 1973 n. 533
sul nuovo processo in materia di lavoro, previdenza e assistenza
obbligatoria). Il procedimento di cassazione è, infatti, unico ed invariabile
nella sua autonomia strutturale e funzionale né tollera l'interpo lazione di norme processuali eterogenee o tali da farne un proce dimento le cui componenti possano mutare a seconda del rito
osservato dal giudice a quo. Manifestamente infondata risulta, poi, l'eccezione di incostitu
zionalità dell'art. 379 c.p.c., in relazione agli art. 3 e 24 della
Carta costituzionale, quale è stata sollevata dal ricorrente sul ri
lievo che la norma, stabilendo un ordine nella discussione, in cui
la trattazione orale delle conclusioni del p.m. segue la difesa degli
avvocati, non permette al ricorrente un esercizio del diritto di
difesa conforme alle norme del rito penale che hanno regolato la precedente fase processuale.
Deve rilevarsi in via preliminare che la norma investita dalla
denuncia di incostituzionalità si identifica più propriamente in
quella dell'art. 17, ultimo comma, 1. 24 marzo 1958 n. 916 e
che nell'assoggettare a ricorso per cassazione i provvedimenti in
materia disciplinare, nell'assenza di altre fonti regolatrici, recepi sce il complesso delle norme sul procedimento di cassazione, fra
cui appunto l'art. 379 c.p.c.
Quello dell'inapplicabilità al procedimento di cassazione delle
norme del rito penale, fra cui l'art. 468 che attribuisce al difenso
re il diritto di parlare per ultimo, è, infatti, un dato normativo
direttamente riferibile alla disposizione che rinvia piuttosto che
a quella richiamata.
Nella particolare struttura di questo procedimento le fonda
mentali esigenze del contraddittorio e della difesa trovano, d'al
tra parte, adeguata tutela nelle varie norme che regolano le for
me, i mezzi e le garanzie essenziali stabilite a favore dei soggetti del processo.
In questo contesto, l'art. 379, 2° e 3° comma, stabilisce un
ordine di discussione razionalmente diverso da quello del rito pe
nale, perché dettato dalle particolari esigenze della discussione
orale nel giudizio di legittimità, assicurando, in ogni caso, al di
fensore la facoltà di presentare brevi osservazioni scritte alle con
clusioni del p.m. (ultimo comma). Le diverse caratteristiche strutturali e funzionali proprie del pro
cedimento di cassazione rispetto a quelle del procedimento disci
plinare dei magistrati, ove per ragioni di affinità si applicano, in quanto compatibili, le norme del processo penale (cfr. art. 32
r.d.leg. n. 511 del 1946), sono invero d'ostacolo a che il processo
penale possa essere preso a modello di perfezione per il procedi mento di cassazione introdotto con ricorso contro i provvedimen ti disciplinari.
È, del resto, ius receptum nella giurisprudenza costituzionale
che la diversità di trattamento processuale possa trovare giustifi cazione nella particolarità del rapporto da regolare o nella diver
sa natura degli interessi tutelati ovvero nella differente funzione
dei procedimenti o gradi di essi (cfr. Corte cost. 22 aprile 1980, n. 65, Foro it., 1980, I, 1241; 15 luglio 1975, n. 213, id., 1975, I, 1572; 18 maggio 1972, n. 89, id., 1972, I, 1525) principio, questo, ampiamente riscontrabile, per quanto sopra rilevato, nel
caso di specie. Ciò ritenuto, osserva la corte, ancora in linea pregiudiziale di
rito, che, diversamente dall'assunto espresso dal p.g., l'omesso
deposito da parte del ricorrente di copia autentica dell'impugnata ordinanza in data 12 febbraio 1988 confermativa del provvedi mento di sospensione cautelare ex art. 31 citato, non possa dare
luogo alla chiesta pronuncia d'improcedibilità del ricorso a nor
ma dell'art. 369, 2° comma, c.p.c.
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1919 PARTE PRIMA 1920
Pur risultando depositate con il ricorso introduttivo soltanto
la copia autentica della citata ordinanza in data 12 ottobre 1987
e la copia della successiva ordinanza di sospensione per il proce dimento disciplinare, coeva a quella confermativa della già dispo sta sospensione ex art. 31, al mancato deposito dell'ordinanza
impugnata può validamente sopperirsi utilizzandone la copia au
tentica esistente nel fascicolo del Consiglio superiore della magi stratura che è allegato agli atti del procedimento 2408/88 intro
dotto con separato ricorso ed assunto in decisione alla stessa
udienza.
Essendo stata proposta rituale istanza di trasmissione del fasci
colo d'ufficio ex art. 369, ultimo comma, c.p.c., la circostanza
che l'unica copia degli atti trasmessi dal Consiglio superiore della
magistratura sia stata materialmente inserita nel fascicolo dell'al
tro procedimento non può risolversi in pregiudizio del ricorrente,
poiché lo stesso fascicolo d'ufficio deve intendersi acquisito an
che al presente procedimento. Opera conseguentemente la piena
equipollenza, per i fini della norma, fra la copia autentica del
provvedimento impugnato che era onere del ricorrrente deposita re e la copia di esso esistente nel suddetto fascicolo d'ufficio,
questa essendo, non meno della prima, idonea a fornire certezza
sia del contenuto enunciativo e precettivo del provvedimento im
pugnato sia della tempestività del ricorso, siccome soggetto al
termine di sessanta giorni ex art. 60 r.d. leg. n. 511 del 1946
(per varie applicazioni di questo principio, cfr. Cass. 7241/86 e
4172/86, id., Rep. 1986, voce Cassazione civile, nn. 106, 103;
5197/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 92; 1193/77, id., Rep. 1977, voce cit., n. 252; 2876/69, id., Rep. 1969, voce cit., n. 288).
Con il primo motivo si denunciano violazione e falsa applica zione degli art. 31, 3° e 4° comma, r.d. leg. 31 maggio 1946
n. 511, 58 d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916, 17 1. 24 marzo 1958
n. 195, sostenendosi, in particolare, che la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, semplice organo con
sultivo, non era competente ad emettere il provvedimento di so
spensione preventiva del magistrato sottoposto a procedimento
penale, competente essendo, viceversa, il plaenum del Consiglio
superiore della magistratura cui la citata 1. n. 195 del 1958 ha
trasferito il relativo potere, già attribuito al ministro, ragion per cui il provvedimento impugnato è affetto da nullità e comunque
inefficacia, dovuta all'assoluta carenza di potestà decisoria da parte della sezione disciplinare.
Il motivo, osserva preliminarmente la corte, nonostante il ten
tativo di coinvolgere nell'impugnazione anche il precedente prov vedimento in data 12 ottobre 1987, è da ritenersi proposto soltan
to contro l'ordinanza in data 12 febbraio 1988 con cui fu rigetta ta l'istanza di revoca della sospensione cautelare ex art. 31 cit.,
disposta con tale prima ordinanza (provvedimento questo che, tra l'altro, non risulta neppure impugnato nel termine di rito).
Oggetto di specifica censura è, infatti, il diniego di revoca della
sospensione che la sezione disciplinare ha espresso con l'ordinan
za in data 12 febbraio 1988, dopo avere proceduto ad una nuova valutazione circa la legittimità e l'opportunità della conservazio
ne della misura cautelare, quale era imposta dalla sentenza pena le d'assoluzione in grado d'appello.
Cosi definito l'oggetto della presente impugnazione, il motivo
di ricorso, rileva la corte, risulta privo di qualsiasi fondamento,
poiché proprio la norma dell'art. 58 richiamato dal ricorrente attribuisce in forma del tutto univoca alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura il potere già ricono
sciuto al ministro di grazia e giustizia (art. 31, 3° e 4° comma, cit. r.d.leg. n. 511 del 1946) di sospendere preventivamente dalle
funzioni e dallo stipendio il magistrato sottoposto a procedimen to penale per delitto non colposo.
Né a diverso avviso, tanto meno nel senso che alla sezione di
sciplinare siano attribuite in materia funzioni meramente consul
tive, può indurre la particolare formulazione della norma («I prov vedimenti previsti nell'art. 31, 3° e 4° comma, r.d. leg. 31 mag
gio 1946 n. 511 sono adottati in conformità di deliberazione della
sezione disciplinare su richiesta del ministro o del pubblico mini
stero») riproduce, infatti, la dizione dell'art. 17 1. 24 marzo 1958 n. 195 («tutti i provvedimenti riguardanti magistrati sono adotta ti in conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore della
magistratura con decreto del presidente della repubblica, contro
firmato dal ministro», con ciò descrivendo puntualmente l'iter
procedimentale di formazione del provvedimento definitivo, in
piena aderenza ad un dato fondamentale del sistema, secondo
cui anche i provvedimenti in materia disciplinare, non esclusi quelli
Il Foro Italiano — 1990.
di sospensione preventiva del magistrato sottoposto a procedi mento penale, sono demandati alla sezione disciplinare, quale or
gano del Consiglio superiore della magistratura e poi «adottati»
con decreto del presidente della repubblica, pur essendo autono
mamente impugnabili in sede di legittimità (art. 17, ultimo comma). Con il secondo motivo si denunciano violazione e falsa appli
cazione degli art. 31 r.d.leg. 31 maggio 1946 n. 511, 58 d.p.r. 16 settembre 1958 n. 916 nonché vizio di motivazione per avere
la sezione disciplinare, con argomentazioni illogiche, incongrue ed ultronee, ritenuto che per l'effetto della sentenza assolutoria
d'appello non fossero venuti meno i presupposti del provvedi mento cautelare.
La doglianza è infondata. La sezione disciplinare non solo in
piena aderenza alle norme ed ai principi che regolano la materia, ma anche attraverso un corretto processo logico-giuridico forma
tivo del convincimento, ha ritenuto che non fosse d'ostacolo alla
conservazione del provvedimento cautelare ex art. 31 citato l'in
tervenuta pronuncia assolutoria del Di Crecchio dall'imputazione del reato continuato di cui all'art. 324 c.p.
Con corretta interpretazione della sentenza penale, la sezione
disciplinare ha, invero, ritenuto accertati «in buona misura» i
fatti materiali posti a base dell'imputazione, ed in particolare quelli di cui agli episodi primo e terzo, valutandone poi la perdurante rilevanza ai fini della conservazione della misura cautelare.
L'impugnata decisione si è, inoltre, pienamente uniformata al
consolidato principio secondo cui la sentenza penale assolutoria
dell'incolpato con la formula «il fatto non costituisce reato» non
osta a che il fatto, la cui esistenza è positivamente accertata, sia
posto a fondamento della sospensione disciplinare (ovvero di un
provvedimento confermativo di questa) (cfr. sez. un. 28 maggio
1987, n. 4787, id., Rep. 1987, voce Ordinamento giudiziario, n.
108; 19 aprile 1985 n. 2582, id., Rep. 1985, voce cit., n. 186). Né l'assoluzione in diritto può ritenersi d'ostacolo alla protra
zione della misura cautelare, quand'anche adottata, a mente del
l'art. 31 citato, contro il magistrato sottoposto a procedimento
penale, nel caso in cui, come nella specie, la conservazione del
provvedimento sia stata consigliata sia dalla obiettiva gravità dei
fatti materiali accertati sia dalla pendenza di impugnazione con
tro la sentenza assolutoria, cioè da elementi tali da giustificare la protrazione della misura cautelare, siccome normalmente desti
nata a produrre gli effetti provvisori ad essa propri fino a quan do la decisione della sezione disciplinare acquisti autorità di giu dicato.
In questo preciso contesto normativo si colloca anche la richia
mata disposizione dell'art. 31, ultimo comma, r.d.leg. n. 511 del
1946 che, nel riconoscere all'incolpato prosciolto nel processo pe nale il diritto al pagamento degli stipendi ed assegni non percepiti
per effetto della sospensione, chiaramente subordina la reintegra zione alla sentenza di proscioglimento in fase istruttoria ovvero
alla sentenza di assoluzione divenuta irrevocabile, parallelamente a quanto dispone il successivo art. 36 per il caso di sentenza defi nitiva di assoluzione dell'incolpato o di sua condanna a sanzione
diversa dalla destituzione o rimozione.
Sotto ogni profilo l'impugnata ordinanza appare, pertanto, in
censurabile.
Con il terzo motivo si denunciano violazione e falsa applica zione degli art. 31 r.d.leg. n. 511 del 1946, 58 d.p.r. n. 916 del
1958 e 97 Cost., sostenendosi, in particolare, che, nel rispetto delle citate norme, il provvedimento di rigetto dell'istanza di re voca ovvero confermativo della precedente ordinanza di sospen sione cautelare avrebbe potuto essere adottato solo dopo che si
fosse sentito il ministro di grazia e giustizia e non già il procura tore generale, essendo stata la sospensione richiesta soltanto dal
primo. Anche questa doglianza, osserva la corte, è infondata, poiché
con essa, assumendosi che il p.g. non poteva sostituirsi al mini
stro il quale aveva richiesto la misura cautelare, si postula un'i
nammissibile confusione fra il ruolo del ministro (o del p.m. presso la sezione disciplinare) quale titolare dell'azione disciplinare e del
connesso potere di adottare provvedimenti di sospensione caute lare ex art. 57 e 58 d.p.r. n. 916 del 1958 e la funzione requirente che, nel processo disciplinare, compete esclusivamente all'organo del p.m., abbia esso promosso o non l'azione disciplinare; abbia richiesto o non il provvedimento provvisorio.
Cadono, conseguentemente, le ulteriori argomentazioni del ri
corrente secondo cui: 1) il ministro aveva un proprio interesse ad essere udito prima del provvedimento confermativo; 2) la par
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tecipazione del p.m. che già aveva chiesto la sospensione discipli nare è avvenuta con pregiudizio per l'imparzialità del suo interve
nuto nel procedimento disciplinare. Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli art. 31
e 33 r.d.leg. n. 511 del 1946, 407, ultimo comma, 409, ultimo
comma, e 630 c.p.p., comportante nullità della citazione e del
procedimento. Si sostiene, in particolare, che, essendo stata la citazione noti
ficata soltanto 1*8 febbraio 1968 per l'udienza del 12 successivo,
non fu rispettato il termine minimo di dieci giorni per la difesa,
fissato dall'art. 33 per la discussione nel giudizio disciplinare ed
applicabile, si assume, anche nel procedimento ex art. 31 di so
spensione preventiva del magistrato perché sottoposto a procedi mento disciplinare. Si lamenta, poi, che non siano stati comun
que rispettati né il termine di otto giorni stabilito dall'art. 407,
ultimo comma, c.p.p. per la comparizione dell'imputato davanti
al pretore, né, infine, quello di cinque giorni previsto dall'art.
630 c.p.c. per gli incidenti d'esecuzione, termini, questi, suscetti
bili d'applicazione analogica ove non si ritenga applicabile la norma
per prima indicata.
Anche questo motivo, osserva la corte, risulta infondato, poi
ché la norma dell'art. 31 citato mentre non prevede un termine
minimo per la difesa del magistrato di cui sia richiesta la sospen sione preventiva dalle funzioni e dallo stipendio in pendenza di
procedimento penale, a differenza da quanto è stabilito dall'art.
30 per la sospensione disciplinare, nemmeno prescrive che il ma
gistrato sia sentito preventivamente. Né essa può ritenersi passi
bile di integrazione da parte di alcuna delle richiamate disposizio ni processuali, attese le maggiori e diverse esigenze difensive cui
soccorrono i termini ivi previsti. D'altra parte, osserva la corte, le fondamentali esigenze del
contraddittorio e della difesa (art. 24 Cost.) risultano nella specie
pienamente soddisfatte mediante la comunicazione dell'adunanza
fissata per il giorno 12 febbraio 1988, che il dir. Di Crecchio
ricevette P8 precedente, avendo potuto cosi disporre di tre giorni liberi per la difesa, termine, questo, che la sezione disciplinare
ha implicitamente ritenuto congruo, stante anche l'assenza di ec
cezioni o istanze del magistrato, tali da giustificare un rinvio.
Avuto riguardo anche alle limitate esigenze difensive connesse
al processo incidentale di sospensione, il ricorrente non può quin di fondatamente sostenere che sia stato pregiudicato in qualche modo il suo diritto di difesa.
Con il quinto motivo si denunciano omessa motivazione su punto
decisivo della controversia e nullità della decisione (art. 360, 1°
comma, nn. 4 e 5, c.p.c.) per avere la sezione disciplinare con
l'ordinanza in data 12 febbraio 1988 reiterato il provvedimento di sospensione preventiva già emesso il 12 ottobre 1987 e, con
ordinanza in pari data, disposto la sospensione disciplinare del
l'incolpato, nonostante l'impossibilità logico-giuridica di una co
esistenza fra le due misure cautelari.
Anche questo motivo, osserva la corte, deve essere disatteso,
perché nessun dato d'ordine logico-sistematico permette di ravvi
sare la denunciata incompatibilità fra i due tipi di sospensione
preventiva che, pur producendo un identico effetto, operano au
tonomamente su piani diversi e per esigenze differenziate, in fun
zione cioè del possibile esito diverso del processo penale e del
processo disciplinare. Le norme regolatrici, come già si è rilevato, subordinano la
cessazione della misura cautelare del «proscioglimento» dall'im
putazione penale e ad una pronuncia assolutoria dall'incolpazio ne disciplinare, che per espressa disposizione dell'art. 36 r.d.leg.
n. 511 del 1946, deve essere definitiva.
Stante la eadem ratio, deve ritenersi che anche la sentenza pe
nale assolutoria debba divenire irrevocabile, per aversi la caduca
zione della misura cautelare. La specifica finalità della norma
dell'art. 31 sarebbe, infatti, completamente vanificata se alla sen
tenza penale assolutoria si dovesse riconoscere effetto estintivo
della misura cautelare, nonostante la proposta impugnazione del
la sentenza stessa e la possibilità di un esito diverso del processo.
La funzione preventiva ed anticipatoria, comune ad entrambe le
misure cautelari, è assicurata dall'ordinamento fino all'esito defi
nitivo del processo penale o del procedimento disciplinare e per
ciò fino a quel momento esse possono legittimamente concorrere
a produrre l'effetto sospensivo loro proprio. Entrambi conformi a legge risultano, pertanto, i coevi provve
dimenti di conferma della misura cautelare già adottata ex art.
31 e di sospensione disciplinare a norma dell'art. 30.
Il Foro Italiano — 1990.
Le precedenti considerazioni portano anche a disattendere il
sesto e ultimo motivo del ricorso, con cui si denuncia violazione
dell'art. 31, ultimo comma, r.d.leg. n. 511 del 1946, in cui la
sezione disciplinare sarebbe incorsa omettendo di reintegrare il
ricorrente nelle funzioni dopo l'intervenuta sentenza penale asso
lutoria, benché si trattasse di provvedimento strettamente conse
guenziale al ripristino degli emolumenti anche arretrati, previsto da tale norma in caso di proscioglimento.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 9 agosto
1989, n. 3673; Pres. Montanari Visco, Est. Rotunno, P.M.
Benanti (conci, conf.); Bianchi (Aw. Gava) c. Rossi e altri;
Rossi e altri (Avv. Diurni) c. Bianchi. Conferma Trib. Roma
23 gennaio 1985.
Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Negozio avente
ad oggetto ampliamento di una strada — Qualificazione giuri dica — Fattispecie (Cod. civ., art. 1362).
È correttamente motivata e immune da vizi logici la sentenza di
merito che abbia qualificato come «negozio a titolo oneroso»
una scrittura privata intitolata «cessione liberatoria di terreno
per l'ampliamento di strada gravata da servitù di passaggio», sottoscritta dai titolari di fondi latistanti una strada con la qua le i medesimi soggetti, attraverso la cessione da parte di ognu no delle porzioni di suolo di volta in volta occorrenti, mirava
no ad allargare la strada esistente e si assumevano l'obbligo di partecipare alle spese per l'uso, la conservazione e la manu
tenzione della via stessa (nella specie, la corte ha respinto la
tesi del ricorrente secondo la quale il negozio doveva conside
rarsi una donazione nulla per difetto della forma prescritta). (1)
(1) Animati dall'intenzione di ampliare una via esistente, al fine di ren
derla più idonea al transito veicolare, i proprietari dei fondi ad essa lati
stanti sottocrivevano una scrittura privata intitolata 'cessione liberatoria
di terreno per l'ampliamento di strada gravata da servitù di passaggio', con la quale gli stessi concordavano di estendere fino a m. 7,60 la lar
ghezza della strada per tutta la sua lunghezza pari a circa m. 500 attra
verso la reciproca cessione da parte di ognuno delle porzioni di suolo
necessarie allo scopo. Con il medesimo atto i sottoscrittori si impegnava no a concorrere alle spese necessarie per l'uso, la conservazione e la ma
nutenzione della servitù. Investita del gravame di uno dei firmatari che, individuata nell'atto
menzionato una donazione, ne eccepiva la nullità per difetto di forma, si' da ottenere la condanna degli altri trentasei proprietari alla restituzione
della porzione di suolo di proprietà del ricorrente necessaria al prefigura to ampliamento della strada, la Suprema corte avalla la decisione d'ap
pello (che aveva qualificato la scrittura privata in discorso come negozio a titolo oneroso), ritenendola congruamente motivata e immune da errori
giuridici e distorsioni logiche. Se riguardata dall'angolo di visuale della cause suffisante (se si preferi
sce, della consideration), la pronuncia trova una sua ratio. Di fronte ad
argomentazioni difensive tese a mettere in evidenza unicamente un'asseri
ta mancanza di corrispettività del sacrificio patrimoniale del ricorrente, alla Cassazione basta attingere agli incisi dell'atto che attestano la reci
procità degli oneri e dei vantaggi per escludere la configurabilità di una
donazione e sbarazzarsi cosi dell'eccezione di nullità per difetto di forma.
Ma restano le perplessità. Al fine di descrivere la fattispecie, tanto nel
la massima quanto nell'esordio di queste righe, si è attinto in maniera
pressoché letterale alle scarne indicazioni che i giudici hanno fornito per
inquadrare il problema in discussione. Il risultato è tutt'altro che appa
gante. Si ha la sensazione che il contesto della vicenda appaia chiaro
unicamente agli iniziati, ovvero ai diretti destinatari della pronuncia che,
conoscendo gli atti processuali, sono in grado di intendere appieno le
valutazioni della corte. La circostanza di per sé può apparire trascurabile:
non è raro trovare pronunce degli organi superiori di giustizia affatto
indifferenti alla preoccupazione di fornire paradigmi interpretativi e ap
plicativi dei canoni giuridici. Nel caso in esame, però, la sinteticità con
cui è stata descritta la fattispecie è fonte di ambiguità e paradossi tutt'al
tro che tranquillizzanti. A ben vedere, la pronuncia non mette in grado il lettore di capire quale tipo di negozio le parti abbiano sottoscritto,
sino a rendere inintellegibile o, comunque, marginale il principio riporta to in massima.
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