sezioni uniti civili; sentenza 12 novembre 1988, n. 6125; Pres. Brancaccio, Est. Taddeucci, P. M.Caristo (concl. conf.); Formusa (Avv. Del Castillo) c. Anas (Avv. dello Stato La Porta). ConfermaApp. Palermo 26 novembre 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1988), pp. 3573/3574-3575/3576Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181591 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dalle consolidate acquisizioni della giurisprudenza sulla portata dell'art. 907 c.c., sul suo ambito di applicazione e sul significato dei termini «fabbricare» e «costruzione» usati nella norma —
l'argomentazione della corte d'appello circa l'irrilevanza della pree sistente consistenza di «prefabbricato» del manufatto in questio ne ai fini del decorso della prescrizione acquisitiva e che la rilevata
illegittimità di detta argomentazione si ripercuote anche sulle con
seguenti enunciazioni formulate dalla corte d'appello per negare
ingresso alle richieste istruttorie dell'attuale ricorrente. Tali ri
chieste, dirette a fare accertare la data della originaria realizza
zione, erano, invece, imprenscindibili, essendo le sole in grado di consentire al Dionisi (che, avendo invocato il compimento del
la usucapione a suo favore, era tenuto al relativo onere della pro
va) di fornire l'unico elemento probatorio di carattere decisivo
non ancora acquisito al processo, vale a dire la data di originaria esecuzione del manufatto. La dimostrazione, attraverso l'espleta mento degli incombenti istruttori, dell'avvenuta collocazione del
manufatto fin dal 1951, rendeva, invero, inattaccabile la situazio
ne del proprietario, per il maturarsi della prescrizione acquisitiva. Il ricorso merita accoglimento. La corte del merito ha disatteso
il quinto motivo dell'appello proposto dal Dionisi, con il quale si deduceva che il manufatto in questione esisteva da oltre venti
anni, osservando che all'atto dell'acquisto, compiuto dal Dionisi
nel 1973, detto manufatto era costituito da elementi prefabbrica
ti, alcuni dei quali successivamente sostituiti con strutture in mu
ratura. Solo in epoca successiva al 1973 esso, quindi, aveva assunto
le caratteristiche di un fabbricato soggetto alla norma di cui al
l'art. 907 c.c. E dall'acquisto alla data di notifica della citazione
introduttiva del giudizio, idonea ad interrompere il termine pre scrizionale ai sensi dell'art. 903 c.c., non si era maturata l'eccepi ta usucapione.
Attese, poi, le stesse ammissioni fatte dal Dionisi al consulente
tecnico circa l'epoca nella quale egli aveva sostituito alcune strut
ture prefabbricate del manufatto con altre in muratura, la prova
testimoniale, ad avviso della corte d'appello, si rivelava inammis
sibile in ordine ad alcune delle dedotte circostanze ed irrilevante
in ordine alle altre. Come pure andava disattesa la richiesta di
supplemento di consulenza tecnica, avendo il Dionisi sollecitato
l'accertamento di circostanze contrastanti con le sue ammissioni
in sede di consulenza e del tutto irrilevanti al fine della dimostra
zione dell'asserita intervenuta usucapione. Le argomentazioni anzidette non possono esser condivise. Non
è esatto, invero, che in presenza di elementi prefabbricati un ma
nufatto non possa farsi rientrare nel concetto di costruzione o
fabbrica, soggetta alla norma di cui all'art. 907 c.c. per quanto
riguarda il rispetto della distanza dalle vedute.
Questa corte già ha avuto occasione di affermare che, ai fini
dell'art. 907 c.c., diretto a preservare l'esercizio delle vedute da
ogni eventuale ostacolo con carattere di stabilità, la nozione di
costruzione è comprensiva non soltanto dei manufatti in calce
e mattoni, ma di qualsiasi opera che, indipendentemente dalla
forma e dal materiale con cui è stata realizzata, determini un
ostacolo all'esercizio della veduta (v. sent. 21 ottobre 1980, n.
5652, Foro it., Rep. 1980, voce Luci e vedute, n. 15), tra le altre,
per la quale «fabbricare» vuol dire eseguire qualsiasi opera che
si elevi stabilmente dal suolo ed ostacoli l'esercizio della veduta). Anche un manufatto realizzato con elementi prefabbricati rien
tra, dunque, nel concetto di costruzione voluto dalla indicata
norma.
Su questo presupposto non poteva, pertanto, negarsi ingresso alle richieste istruttorie del Dionisi, tendenti a dimostrare l'epoca di realizzazione del manufatto, le sue caratteristiche originarie e
l'infissione del medesimo su base di cemento, circostanze utili
ai fini della dedotta usucapione.
L'impugnata sentenza va, perciò, cassata con rinvio della cau
sa ad altra sezione della stessa corte d'appello.
Il Foro Italiano — 1988 — Parte 1- 68.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni uniti civili; sentenza 12 no
vembre 1988, n. 6125; Pres. Brancaccio, Est. Taddeucci, P.
M. Caristo (conci, conf.); Formusa (Avv. Del Castillo) c.
Anas (Aw. dello Stato La Porta). Conferma App. Palermo
26 novembre 1983.
Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione d'urgenza
illegittima — Realizzazione dell'opera pubblica — Proprietà del
terreno — Acquisto — Danni al privato — Azione risarcitoria — Prescrizione (Cod. civ., art. 934, 948, 2043, 2497; 1. 25 giu
gno 1865 n. 2359, espropriazioni per causa di pubblica utilità, art. 50, 73).
Occupato illegittimamente dalla pubblica amministrazione, per de
corso del termine biennale previsto dall'art. 73 I. 25 giugno 1865 n. 2359, un terreno appartenente a privato, destinato alla
esecuzione di opera pubblica, la radicale trasformazione del fon
do, conseguente alla irreversibile realizzazione dell'opera, de
termina l'acquisto, a titolo originario, della proprietà da parte della medesima pubblica amministrazione e l'insorgere del di
ritto del privato ai danni, conseguibili attraverso l'esercizio del
l'azione risarcitoria soggetta alla prescrizione quinquennale. (1)
Svolgimento del processo. — Antonio Formusa, con atto noti
ficato il 25 novembre 1975 conveniva in giudizio, davanti al Tri
bunale di Palermo, l'Azienda nazionale autonoma delle strade
e ne chiedeva la condanna al risarcimento dei danni arrecatigli con la definitiva occupazione di un'area di mq. 1.300 di sua pro
prietà utilizzata per la costruzione dell'autostrada Palermo-Catania;
occupazione autorizzata in via temporanea e d'urgenza, iniziata
nel 1967, e divenuta illegittima per effetto della scadenza del ter
mine biennale all'uopo assegnato e per la successiva realizzazione
in loco della opera pubblica, senza che alcun provvedimento abla
torio fosse stato adottato.
Resistente l'azienda convenuta, il tribunale rigettava la doman
da sul rilievo che il diritto al risarcimento del danno si era pre scritto per l'inutile decorso del termine quinquennale, cominciato
a decorrere sin dalla data dell'inizio della costruzione dell'opera
pubblica.
Interposto dal Formusa gravame (al quale l'Anas resisteva), la Corte d'appello di Palermo con sentenza del 26 novembre 1983
rigettava la impugnazione, previa correzione della motivazione
adottata dal primo giudice. In piena adesione ai principi di diritto enunciati da queste se
zioni unite con pronuncia n. 1464 del 1983 (Foro it., 1983, I,
626), osservava quella corte che in caso di occupazione da parte della pubblica amministrazione di un suolo privato occorrente per la realizzazione di un'opera di pubblica utilità (occupazione dive
nuta illegittima per la consumazione del termine finale del decre
to autorizzativo prima che sia intervenuta pronunzia di
provvedimento ablatorio) la radicale trasformazione del bene con
la sua irrevocabile destinazione alla realizzazione dell'opera pub blica comporta l'estinzione del diritto del privato ed il contestua
le acquisto, a titolo originario, della proprietà da parte dell'ente;
che il fatto commesso dalla pubblica amministrazione non costi
tuisce un illecito permanente ma integra un illecito istantaneo, sia pure ad effetti permanenti, il quale si consuma nel momento
della irreversibile trasformazione del terreno nei sensi sopraindi
cati, ed appunto a questo momento (non già a quello dell'inizio
della costruzione, come ritenuto dal tribunale), si ricollega la de
correnza iniziale del termine di cinque anni per l'esercizio della
azione risarcitoria; che, nella fattispecie, il diritto al risarcimento
si presentava irrimediabilmente perduto in quanto fatto valere,
con l'atto di citazione del 25 novembre del 1975, a quinquennio
decorso, e ciò in quanto la irreversibile trasformazione del suolo
doveva ritenersi avvenuta anteriormente al 23 novembre 1970 (data
di ultimazione dei lavori stradali, risultante dal relativo e non
contestato certificato). Per la cassazione di tale sentenza Antonio Formusa ha propo
sto ricorso, affidato a unico ma articolato motivo di censura.
L'Azienda nazionale autonoma delle strade statali ha resistito con
controricorso.
(1) Nello stesso senso, la citata Cass. 10 giugno 1988, n. 3940, Foro
it., 1988, I, 2262 con nota di richiami, che, avendo riguardo agli stessi
precedenti ricordati nella parte motiva della riportata sentenza, si è sof
fermata anche sulla questione della prescrizione applicabile all'azione ri
sarcitoria del privato.
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3575 PARTE PRIMA 3576
Motivi della decisione. — Sotto la comune rubicazione di vio
lazione e falsa applicazione di norme di diritto, omessa insuffi
ciente e contraddittoria motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., in relazione agli art. 42 Cost., 12 e 14 disp. sulla legge in genera
le, 822, 823, 832, 834, 934, 938, 939, 948, 2043, 2946, 2947 c.c., art. 132 e 118 disp. att. c.p.c., art. 13 e 71 1. n. 2359 del 1865,
art. 4 1. n. 2248, ali. E, del 1865) il ricorrente raduna una serie
di svariate censure rivolte tutte a contestare la fondatezza logico
giuridica dell'orientamento giurisprudenziale originato dalla sen
tenza n. 1464 del 16 febbraio 1983 resa da questa Corte suprema a sezioni unite; orientamento seguito dalle decisioni impugnate, ed a tenore del quale sulle ipotesi in cui la pubblica amministra
zione (od un suo concessionario) occupi un fondo di proprietà
privata per la costruzione di un'opera pubblica e tale occupazio ne sia illegittima, per totale mancanza di provvedimento autoriz
zativo, o per decorso dei termini in relazione ai quali la
occupazione si configura legittima, la radicale trasformazione del
fondo con l'irreversibile sua destinazione al fine della costruzione
dell'opera pubblica comporta la estinzione del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione a titolo originario della
proprietà in capo all'ente costruttore; ed inoltre costituisce un
fatto illecito (istantaneo sia pure con effetti permanenti), che abi
lita il privato a richiedere, nel termine prescrizionale di cinque anni dal momento della trasformazione del fondo nei sensi indic
ti, la condanna dell'ente medesimo a risarcire il danno derivante
dalla perdita del diritto di proprietà (mediante il pagamento di
una somma pari al valore che il fondo aveva in quel momento
con la eventuale rivalutazione sino al giorno della liquidazione). I sopra ricordati principi di diritto, oltre ad essere stati condi
visi ed applicati in quest'ultimo quinquennio dalla pressoché co
stante giurisprudenza dei giudici di merito e delle sezioni semplici di questa corte, salvo sporadiche eccezioni, di cui la più significa tiva è rappresentata da Cass. n. 3872 del 1987 (id., 1987, I, 1727)
sono stati tenuti fermi e ribaditi da queste sezioni unite con una
serie di pronunzie emesse nella medesima udienza nella quale è
stato discusso il ricorso ora in esame (cfr. sent. n. 3940 del 1988,
id., 1988, I, 2262). Mentre a tali pronunzie ci si riporta per una più organica trat
tazione dei temi di fondo (comuni a quelli ed a questo giudizio), economia processuale consiglia di limitare la indagine, in questa
sede, agli specifici motivi di critica e di dissenso illustrati dal ri
corrente. (Omissis) In ordine alla prospettazione del ricorrente, secondo cui — pur
avendo egli perduto irreversibilmente il materiale godimento del
suo terreno occupato dalla sede autostradale e pur non potendo ne più ottenere il rilascio coattivo per il divieto di cui all'art.
4 1. n. 2248, alla. E, del 1865 — l'azione rivolta contro l'Anas
per ottenere il pagamento del valore del suolo avrebbe natura
reale ex art. 948 c.c. e sarebbe pertanto imprescrittibile, occorre
considerare che la radicale trasformazione e la irreversibile desti
nazione del fondo del privato alla realizzazione dell'opera pub
blica, la perdita della individualità fisico-giuridica del bene del
privato perché assorbita in quella, nuova, del bene pubblico, com
portano la vanificazione del diritto di proprietà con effetti analo
ghi a quelli scaturenti dalla perdita definitiva dell'oggetto del diritto
medesimo.
Ora, ponendosi sul piano della disciplina prevista dall'art. 948
c.c., emerge evidente come la situazione fatta valere in giudizio dal privato che si dolga della irreparabile privazione o trasforma
zione del suo fondo occorso per la costruzione dell'opera pubbli
ca, sia pienamente assimilabile a quella della distruzione materiale
della cosa (con conseguente impossibilità della sua restituzione), mentre presenta ben scarsi punti di contatto con la diversa ipotesi della impossibilità di restituzione della res da parte del convenuto
il quale, successivamente alla domanda abbia della cosa, per fat
to proprio, perduto il possesso. Senonché soltanto in quest'ultima ipotesi può ritenersi, secon
do la migliore dottrina, che l'azione di rivendicazione rivesta na
tura reale a carattere restitutorio imprescrittibile, pur avendo ad
oggetto il controvalore della cosa, mentre nella prima ipotesi la
azione mirante ad ottenere il valore pecuniario del bene distrutto
assume natura risarcitoria e resta quindi soggetta alla prescrizio ne quinquennale.
Il Foro Italiano — 1988.
In questi sensi si è in passato più volte espressa questa Supre ma corte, non senza mancare di precisare (cfr. Cass. n. 1269 del
1962, id., Rep. 1962, voce Rivendicazione, n. 9; n. 2135 del 1966,
id., Rep. 1966, voce cit., n. 48), che è ammissibile l'azione perso nale di risarcimento del danno e non quella reale di rivendicazio
ne allorché la cosa al momento della domanda più non esiste
nella sua individualità. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 18 agosto
1988, n. 4969; Pres. Losurdo, Est. Fiduccia, P. M. Scala
(conci, conf.); Min. difesa c. Papotto (Avv. Barroni). Confer ma App. Bari 30 aprile 1983.
Responsabilità civile — Immobili costruiti e utilizzati in base a
concessione amministrativa — Danneggiamento da parte di am
ministrazione diversa dalla concedente — Diritto del concessio
nario al risarcimento — Sussistenza (Cod. civ., art. 2043). Concessioni amministrative — Sdemanializzazione del bene dato
in concessione — Estinzione «ipso facto» del rapporto conces
sorio — Esclusione.
Al concessionario di un terreno demaniale spetta (in quanto tito
lare del diritto di godimento degli immobili costruiti e utilizzati in base alla concessione, diritto che deriva dal rapporto di con
cessione ed è assimilabile ai diritti reali parziari per l'assolutez
za e la pienezza dei mezzi di tutela nei confronti di tutti i soggetti diversi dall'amministrazione concedente) il risarcimento per il
danno arrecato a detti immobili da amministrazione dello Sta
to diversa da quella concedente. (1)
(1) Non risultano precedenti negli esatti termini.
Circa la qualificazione dei diritti che una concessione amministrativa
di beni demaniali attribuisce al concessionario, cfr. Coli. arb. 10 agosto 1984, Foro it., Rep. 1986, voce Demanio, n. 10 (in extenso in Dir. marit
timo, 1985, 853, con nota di Rossello) in cui, dopo aver ammesso la
configurabilità di un c.d. uso speciale anche su beni demaniali estranei, come oggetto specifico, alla concessione, ma in relazione ai quali il con
cessionario risulti abilitato uti singulus a trarre utilità maggiori ed even tualmente diverse dalle utilità che vi possono trarre tutti i membri della
collettività, si afferma che di fronte ai terzi tale interesse assume la veste
di diritto soggettivo perfetto. Il principio, ritenuto ormai ius receptum dalla decisione odierna, per cui «i diritti di natura privata, che dalla con
cessione scaturiscono a favore del concessionario, (...) si atteggiano come
diritti reali di godimento, sia pure anomali, i quali, specie sotto il profilo strutturale, presentano strette analogie con i diritti reali regolati dal codi
ce civile», trova un costante riscontro nella giurisprudenza della Suprema corte: cfr. sent. 11 giugno 1975, n. 2308, Foro it., Rep. 1975, voce Con
cessioni amministrative, n. 5 (in extenso in Foro amm., 1976, I, 1223); 18 ottobre 1971, n. 2932, Foro it., Rep. 1971, voce Demanio, n. 15 (in extenso in Riv. fise., 1972, 1187), in cui si precisa che «le concessioni
di uso eccezionale di beni demaniali, se di regola danno luogo alla costi
tuzione di diritti reali, nondimeno a volte possono avere un contenuto
diverso e dar luogo ad un diritto personale che trovi la sua disciplina in un contratto a effetti obbligatori, qualificabile come un contratto ati
pico o tipo anomalo di locazione»; 21 settembre 1970, n. 1638, Foro
it., Rep. 1971, voce cit., n. 7 (in extenso in Rass. avv. Stato, 1971, I,
60); 28 gennaio 1970, n. 176, Foro it., Rep. 1970, voce cit., n. 10 (in extenso in Giusi civ., 1970, 708); 6 febbraio 1970, n. 252 e 21 gennaio 1970, n. 130, entrambe in Foro it., 1970, I, 2141, con nota di richiami.
L'ultima decisione citata precisa che «il diritto d'uso eccezionale su bene
demaniale, pur se equiparabile per il concessionario ad un diritto reale, non esclude di per sé la permanenza di un uso limitato dello stesso bene
da parte della collettività. Nella decisione n. 252/70, e nella n. 1638 dello
stesso anno, già citata, il principio è formulato in modo diverso ma equi valente: «la disposizione contenuta nel 2° comma dell'art. 832 c.c. com
porta soltanto l'impossibilità giuridica di costituire sui beni demaniali diritti
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