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PARTE QUARTA: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA || CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO (1°...

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO (1° luglio - 31 dicembre 1992) Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE QUARTA: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA (1994), pp. 187/188-227/228 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23273599 . Accessed: 28/06/2014 18:18 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 78.24.220.173 on Sat, 28 Jun 2014 18:18:29 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO (1° luglio - 31 dicembre 1992)Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE QUARTA: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA ESTRANIERA (1994), pp. 187/188-227/228Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23273599 .

Accessed: 28/06/2014 18:18

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PARTE QUARTA

di costante revisione. I! diritto, invece, ha il compito di risolvere le

controversie in modo tempestivo e definitivo. Congetture che si rivela

no probabilmente errate sono di pochissimo aiuto in un procedimento

legale ... Va riconosciuto che concretamente il ruolo di filtro svolto

dal giudice, per quanto elastico sia, potrebbe talvolta impedire alla giu ria di venire a conoscenza di genuine scoperte e di importanti innova

zioni. Questo è il punto di equilibrio dettato dalla legge federale, la

quale . . . non ha certo il compito di comprendere l'universo».

Cosi chiude la corte nella asciutta opinione di Blackmun: il caso tor

na ai giudici di merito, che dovranno applicare il principio di diritto

enunciato dalla corte. È probabile che nel caso concreto il filtro del

giudice significhi una vittoria della scienza ufficiale, che raccoglie i con

sensi della maggioranza della comunità scientifica: la sfida tra maggio ranza e minoranza è comunque aperta. Merito della sentenza Daubert

è stato quello di aver permesso il superamento delle strettoie in cui

si era venuta a creare la giurisprudenza nordamericana per i limiti me

todologici presenti nella pronuncia Frye; pur mantenendo la loro auto

nomia, il diritto e la scienza sembrano in grado di reggere la sfida nei

confronti degli altri e più impegnativi compiti che saranno posti dalla

nuova era tecnologica.

3 .-La nozione di nesso di causalità e la figura di «mass tort» presente nel diritto nordamericano della responsabilità civile. Il caso Bendectin in

curiosisce l'osservatore italiano per svariate ragioni: da una parte, si ela

borano concezioni in tema di nesso di causalità e si avanzano soluzioni

in tema di mass tort litigation ancora improponibili nel diritto italiano.

Infatti, a livello di nesso di causalità, da una concezione tradizionale

in cui era preciso onere processuale degli attori dimostrare la sussisten za di un danno attuale, si è passati ad una concezione del nesso di

causalità nella quale l'attore assolve l'onere della prova dimostrando

unicamente l'esistenza di un aumento del rischio che il danno possa verificarsi. Nel caso Bendectin il danno sofferto esisteva, ma non era

assolutamente certo il nesso di causalità: quindi, si cerca di introdurre

un nesso di causalità sempre più funzionalmente piegato a soddisfare

l'ansia di compensation che dovrebbe costituire l'obiettivo primario del

nuovo modello di responsabilità civile. Anche la categoria di mass tort, con l'utilizzo dello strumento proces

suale delle class action, è ancora del tutto sconosciuta nell'ordinamento italiano [per ulteriori elementi, cfr. il mio contributo, Mass Tort in Ita

lian Law, in Italian National Report for XIV International Congress Com

parative Law, Atene 1994, in corso di pubblicazione, Milano, 1994], Per le tre principali ipotesi di mass tort conosciute nell'esperienza

nordamericana [cioè i «mass accidents», i «pollution mass torts» e i

«products liability mass torts»] il sistema italiano non offre alcuna nor

ma sulla quale poter elaborare una figura generale, particolarmente là dove non vengono offerte indicazioni circa:

a) il tipo di danno sofferto dagli indeterminati danneggiati come con

seguenza dell'uso o dell'esposizione all'azione di una sostanza tossica;

b) l'accertamento di un effettivo nesso di causalità tra l'azione della sostanza tossica e il danno sofferto;

c) l'estensione temporale all'interno della quale il fatto può assumere

rilevanza, e soprattutto d) la determinazione di un limite all'ammontare globale del risarci

mento del danno posto a carico dell'ente responsabile. Oltre a segnalare le diverse situazioni presenti oltreoceano e nel no

stro diritto, il caso Daubert suggerisce ulteriori osservazioni assai inte ressanti in una prospettiva di comparazione. In particolare, la reazione che deve essere assunta dall'ordinamento quando si trova di fronte ad un dubbio che non riguarda tanto il diritto e la sua interpretazione, quanto, diversamente, il fatto: non esiste un consenso unanime su ciò che possa essere considerato valida causa. È in gioco uno dei principi fondamentali del sapere moderno: il concetto di causa che, come Ari stotele ci ricorda, è alla base della scienza moderna.

Come deve essere risolta l'incertezza fattuale presente nella concreta

fattispecie? Se, adottando un criterio quantitativo, è possibile indivi duare una maggioranza del pensiero scientifico che esclude la sussisten za di una causa, la responsabilità dovrebbe essere conseguentemente esclusa. Se, invece, i contributi scientifici non evidenziassero un'opinio ne «guida», il giudice non potrà non utilizzare regole extralegali di in

terpretazione della legge [cfr. per una visione d'insieme R. Guastini, Le fonti del diritto e l'interpretazione, Giuffrè, Milano, 1993, e anche

gli spunti contenuti in P. G. Monateri, Interpretazione del diritto, vo ce del Digesto civ., Torino, 1993, X, 31 ss.).

Sembra riproporsi, ad oltre cent'anni dalla sua originaria formulazio

ne, con una nuova originalità, l'insegnamento di Oliver Wendell Holmes: in assenza di una colpa, la perdita ricollegabile alla condotta del danneg giarne deve rimanere a carico del soggetto danneggiato. Qui, i costi del l'incertezza fattuale (determinata da un dissenso presente nella comunità

scientifica) devono rimanere a carico del danneggiato, anche quando è in dubitabile il danno sofferto. Oppure, in omaggio ad inderogabili principi costituzionali di solidarietà ex art. 2 Cost. e ad una prevalente funzione

riparatoria delle regole di responsabilità civile deve essere concesso il ri sarcimento?

Giulio Ponzanelli

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO (*)

(] ° luglio - 31 dicembre 1992)

Sommario Sommario

1. Assistenza giudiziaria, diritto alla (art. 6, par. 3, lett. c).

2. Composizione stragiudiziale della controversia e cancella

zione della causa dal ruolo (reg. della corte, art. 49, par.

2 e 4). 3. Convenzione, violazione, parti lese, equa soddisfazione (art.

50). 4. Decisioni della corte, obbligo di conformarsi alle (art. 53).

5. Detenzione regolare di un alienato (art. 5, par. 3, lett. e).

6. Difesa, diritto alla (art. 6, par. 3). 7. Difesa, diritto alla, portata (art. 6, par. 3, lett. b).

8. Diritto ad essere giudicato da un giudice o da un magistra

to (art. 5, par. 3).

9. Diritto ad essere giudicati entro un termine ragionevole (art.

5, par. 3).

10. Diritto ad un tribunale (art. 6, par. 1).

11. Diritto alla vita (art. 2, par. 1).

12. Disposizioni della convenzione, divieto di interpretazione in

senso distruttivo o limitativo dei diritti e delle libertà in essa

riconosciuti (art. 17).

13. Disposizioni della convenzione, divieto di interpretazione in

senso pregiudizievole o limitativo di altri diritti o libertà

fondamentali (art. 60). 14. Divieto di discriminazione (art. 14). 15. Esaurimento delle vie di ricorso interne (art. 26).

16. Legalità della detenzione (art. 5, par. 1).

17. Innocenza, principio della presunzione di (art. 6, par. 2).

18. Legalità delia detenzione, diritto ad essere ascoltato da un

giudice indipendente ed imparziale (art. 5, par. 3).

19. Legalità della detenzione, diritto ad ottenere una decisione

del tribunale entro brevi termini (art. 5, par. 4).

20. Legittimazione a presentare ricorso davanti alla commissio

ne (art. 25, par. 1).

21. Libertà di espressione, diritto alla (art. 10). 22. Libertà di ricevere informazioni, diritto alla (art. 10).

23. Processo entro un termine ragionevole, diritto ad un (art.

6, par. 1).

24. Processo equo, diritto ad un (art. 6, par. 1).

25. Ricorso effettivo dinanzi ad un'istanza nazionale, diritto ad

un (art. 13).

26. Rispetto dei propri beni, diritti al (prot. n. 1, art. 1). 21. Rispetto al domicilio, diritto al (art. 8).

28. Rispetto della corrispondenza, diritto al (art. 8).

29. Rispetto della vita privata e familiare, diritto al (art. 8).

30. Testimoni in materia penale (art. 6, par. 3, lett. A).

31. Trattamenti inumani e degradanti, divieto di (art. 3). 32. Tribunale indipendente ed imparziale, diritto ad un (art.

6, par. 1).

(*) La rubrica si propone di fornire periodicamente una rassegna sin

tetica, ma organica e tendenzialmente completa, delle sentenze della Corte

europea dei diritti dell'uomo. A tal fine, e per assicurare la tempestività

dell'informazione, ci si avvarrà delle sintesi preparate dal cancelliere

della corte e rese note attraverso gli appositi comunicati stampa del

consiglio d'Europa. Le sentenze sono riportate in ordine cronologico. Ai fini di una

più agevole consultazione, ciascuna rassegna è preceduta da un som

mario delle «voci» rilevanti e da un elenco degli articoli della con

venzione europea dei diritti dell'uomo e dei relativi protocolli che

sono stati oggetto di specifico esame nelle sentenze riportate. Il

testo di tali articoli viene comunque riprodotto in appendice. La

presente rassegna è stata curata da Silvana Arbia e Susanna Fortuna

to. [A. Tizzano]

Il Foro Italiano — 1994.

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

Convenzione

Art. 2, par. 1: Diritto alla vita: caso Open Door & Dublin

Well Woman (sub XVI). Art. 3: Divieto delle torture e di pene e trattamenti inu

mani e degradanti: casi Tornasi (sub 1/ Vijayanathan & Pu

sparajah (sub ii/ Herczegfalvy (sub VI/ Y. (sub XVIII/ Art. 5, par. 1, lett. a), c), e J): Legalità della detenzione:

casi Herczegfalvy (sub VI), Kolompar (sub vii/ Art. 5, par. 3: Diritto ad essere giudicati da un giudice

o da un magistrato: caso Brincat (sub XIX/ Art. 5, par. 3: Diritto ad essere giudicati entro un termi

ne breve: caso Tornasi (sub 1/

Art. 5, par. 4: Diritto ad ottenere una decisione del tri

bunale SULLA LEGALITÀ DELLA DETENZIONE ENTRO BREVI TERMI

NI: caso Kolompar (sub vii/

Art. 6, par. 1: Diritto ad un processo equo: casi Artner

(sub iii/ Pham Hoang (sub IX/ T. (sub XI/ Cesarmi (sub XII/ Salerno (sub XIII/ Mlynek (sub XIV/ Olsson (sub XXII/ Hadjianastassiou (sub XXVI/ Edwards (sub XXIX/

Art. 6, par. 1: Diritto ad un processo entro un termine

ragionevole: casi Tornasi (sub 1/ F.M. (sub V/ Boddaert (sub

X/ Abdoella (sub XVIII/ Francesco Lombardo (sub XX/ Gian

carlo Lombardo (sub XXI/ Olsson (sub XXII/ M.R. (sub

XXIII/ Art. 6, par. 1: Diritto ad un tribunale: casi Olsson (sub

XXII/ Hennings (sub XXIV/ De Geouffre de la Pradelle (sub

XXVIII/ Art. 6, par. 1: Diritto ad un tribunale indipendente ed

imparziale: caso Sainte-Marie (sub XXVII/ Art. 6, par. 2: Principio della presunzione di innocenza:

casi Pham Hoang (sub IX/ Hadjinastassiou (sub XXVI/

Art. 6, par. 3: Diruto alla difesa: caso Hennings (sub

XXIV/ Art. 6, par. 3, lett. a): Diritto ad essere informato detta

gliatamente e in lingua comprensibile della natura e dei

motivi di accusa: caso T. (sub XI/

Art. 6, par. 3, lett. b): Diritto a disporre del tempo e del

le facilitazioni per predisporre la difesa: casi Boddaert (sub

X/ Hadjinastassiou (sub (XXVI/ Art. 6, par. 3, lett. c): Diritto all'assistenza giudiziaria

gratuita: casi Croissant (sub vili/ Pham Hoang (sub IX/ Art. 6, par. 3, lett. d): Diritto ad interrogare o a far

interrogare testimoni a carico e a discarico alle stesse con

dizioni: casi Artner (sub iii/ Edwards (sub XXIX/

Art. 8: Diritto al rispètto della vita privata e familiare:

casi Open Door & Dublin Well Woman (sub XVI/ Y. (sub

XVII/ Olsson (sub (XXII/ Niemetz (sub XXV/ Art. 8: Diritto al rispetto del domicilio: caso Niemetz (sub

XXV/ Art. 8: Diritto alla corrispondenza: caso Herczegfalvy (sub

vi/ Art. 10: Diritto alla libertà di espressione: casi Schwabe

(sub IV/ Hadjianastassiou (sub XXVI/ Art. 10: Libertà di ricevere informazioni: casi Herczegfal

vy (sub VI/ Open Door & Dublin Well Woman (sub XVI/

Art. 13: Diritto ad un ricorso effettivo dinanzi ad un'i

stanza nazionale: casi Herczegfalvy (sub VI/ Y: (sub XVII/

Olsson (sub XXII/ De Geouffre de la Pradelle (sub XXVIII/

Art. 14: Divieto di discriminazione: caso Open Door & Du

blin Well Woman (sub XVI/

Art. 17: Divieto di interpretazione delle disposizioni del

la convenzione in senso distruttivo o limitativo dei diritti

in essa riconosciuti: casi Open Door & Dublin Well Woman

(sub XVI/ Art. 25, par. 1: Legittimazione e presentare ricorso di

nanzi alla commissione: casi Vijanathan & Pusparajah (sub ii/

Art. 26: Regola del previo esaurimento dei mezzi interni

di ricorso: caso Open Door & Dublin Well Woman (sub XVI/

Art. 50: Potere della corte di accordare un'equa soddi

sfazione: casi Tornasi (sub 1/ Schwabe (sub ii/ Herczegfalvy

Il Foro Italiano — 1994.

(sub VI/ T. (sub xi/ Vidal (sub XV/ Abdoella (sub XVIII/ Brincat (sub XIX/ Giancarlo Lombardo (sub XXI/ Olsson (sub

XXII/ Niemetz (sub XXV), Hadjianastassiou (sub XXVI/ De Geouffre de la Pradelle (sub XXVIII/

Art. 53: Obbligo di conformarsi alle decisioni della cor

te: caso Olsson (sub XXII/ Art. 60: Divieto di interpretazione delle disposizioni del

la CONVENZIONE IN senso PREGIUDIZIEVOLE o LIMITATIVO RISPET

TO ai diritti DELL'UOMO E ALLA LIBERTÀ FONDAMENTALI RICONO

SCIUTE IN BASE A LEGGI DEGLI stati CONTRAENTI o AD ACCORDI

internazionali DI CUI TALI STATI FACCIANO PARTE: caso Open Door & Dublin Well Woman (sub XVI/

Protocollo n. 1

Art. 1: Diritto al rispetto dei propri beni: caso Niemetz (sub

XXV/

Regolamento della corte

Art. 49: Cancellazione della causa dal ruolo per composi

zione stragiudiziale della controversia: casi Mlynek (sub

XIV/ Y. (sub XVII/ M.R. (sub XXIII/

i

Sentenza 27 agosto 1992-, Pres. Ryssdal; Tornasi c. Francia.

Il ricorrente, di cittadinanza francese, veniva arrestato dalla

polizia per sospettata implicazione nell'omicidio e nel tentativo

di omicidio, commessi dall'ex Fronte di liberazione nazionale

della Corsica e rimaneva in stato di arresto fino al 25 marzo

1983, allorché veniva posto in carcerazione preventiva in quali

tà di imputato. Il procedimento a suo carico si concludeva con l'assoluzione,

pronunciata dalla Corte di assise della Gironda il 22 ottobre

1988 e la commissione per le indennizzazioni gli attribuiva la

somma di trecentomila franchi a titolo di riparazione. Durante

il periodo della carcerazione preventiva il Tornasi aveva propo

sto ventitré istanze di scarcerazione, tutte respinte, ed aveva,

altresì, sporto querela contro il sig. X chiedendo, in data 29

marzo 1983, il risarcimento dei danni per le sevizie subite.

Con pronuncia del 20 marzo, la Cassazione annullava tutti

gli atti dell'istruzione, in quanto posti in essere da giudice non

competente e, per la rinnovazione degli stessi, designava il giu

dice di Bordeaux, il quale emanava ordinanza di non luogo a

procedere, confermata in sede di appello e di ricorso per cas

sazione.

Con ricorso del 10 marzo 198i, il ricorrente adiva la commis

sione, la quale ne dichiarava la ricevibilità e, dopo aver inutil

mente tentato una composizione amichevole, redigeva rapporto

con la constatazione dei fatti formulando parere, secondo il quale

sussisteva, nella specie controversa, la violazione degli art. 3

(con dodici voti contro due), 6, par. 1 (con tredici voti contro

uno) e 5, par. 3 (all'unanimità).

La corte, investita del caso dalla commissione oltre che dal

governo francese, ha esaminato e deciso le questioni poste dal

ricorrente e, precisamente:

a) Con riferimento alla lamentata violazione dell'art. 5, par.

3, la corte ha preliminarmente esaminato le eccezioni sollevate

dal governo ed afferenti al mancato previo esaurimento dei mezzi

di ricorso interni, nonchi alla perdita di qualità di vittima del

ricorrente, escludendone la fondatezza, in considerazione, da

un lato, della distinzione tra il diritto di ottenere una misura

privativa della libertà personale e quello di ricevere una ripara

zione per la privazione stessa e dall'altro dell'art. 149 del codi

ce di procedura penale il quale subordina il conseguimento di

un'indennità alla presenza di precise condizioni, non richieste

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PARTE QUARTA

dall'art. 5, par. 3, della convenzione rilevando, altresì, che il

ricorso a Strasburgo è stato inoltrato dal Tornasi dopo quattro anni di detenzione. La contestata qualità di vittima, poi, urte

rebbe, ad avviso della corte, con l'eccezione del mancato esau

rimento delle vie interne.

Nel merito, premesso che la dilazione rilevante si è protratta

per 5 anni e 7 mesi, la corte osserva che i motivi in base ai

quali il giudice istruttore aveva respinto le istanze di scarcera

zione, con riguardo alla gravità dei fatti, alla tutela dell'ordine

pubblico, al rischio di pressione sui testimoni e di collusione,

nonché al pericolo di fuga, erano sufficienti e pertinenti inizial

mente, ma non anche nel prosieguo del tempo; inoltre, le giuris dizioni interessate non avevano operato con la rapidità necessa

ria, né le more processuali potevano imputarsi alla complessità del caso o al comportamento dell'imputato.

Tali le ragioni per le quali all'unanimità è stata ritenuta la

violazione dell'art. 5, par. 3.

b) In ordine alla denunzia della violazione dell'art. 3 per le

sevizie lamentate dal ricorrente, la corte, dopo aver respinto l'eccezione relativa al mancato previo esaurimento delle vie in

terne, in quanto tardivamente sollevata dal governo, nel merito, considerate le valutazioni mediche sulla natura delle lesioni ri

scontrate a carico del Tornasi, e sul nesso eziologico tra le stesse

e la carcerazione, ha ritenuto, all'unanimità, la violazione del

l'art. 3, rilevando che, pur in presenza di indubbie esigenze di

lotta contro la criminalità ed il terrorismo, non possono co

munque ridursi le garanzie a tutela dell'integrità della persona.

c) Relativamente alla durata della procedura sulla querela e

la costituzione di parte civile del ricorrente, la corte, dopo aver

dichiarato l'inammissibilità dell'eccezione del governo, in ordi

ne al mancato previo esaurimento delle vie interne, in quanto

tardiva, e dopo aver affermato l'applicabilità nella specie in esame

dell'art. 6, par. 1, in quanto il diritto all'indennizzazione ha

carattere civile anche se azionato davanti al giudice penale con

la costituzione di parte civile, ne ha ritenuto, all'unanimità, la

violazione, osservando che la durata del processo, protrattasi

per più di 5 anni e 10 mesi, non era giustificata dalla complessi tà del caso, né il ricorrente aveva contribuito a ritardare il pro cesso stesso.

d) Sulla domanda del ricorrente di risarcimento dei danni mo

rali e materiali, in applicazione dell'art. 50, la corte, tenendo

conto degli elementi per i quali si era pronunciata la commissio

ne di indennizzazione, gli ha assegnato, con decisione all'unani

mità, la somma di 700.000 franchi, oltre a 300.000 franchi per

spese ed esborsi, in via equitativa. [S.A.]

II

Sentenza 27 agosto 1992; Pres. Ryssdal; Vijayanathan e Pu

sparajah c. Francia.

I ricorrenti, cittadini dello Sri Lanka, entrati in Francia clan

destinamente nel 1989, avevano domandato asilo politico, ma

la domanda era stata rigettata, in prima istanza, dall'ufficio

per la protezione dei rifugiati e degli apolidi e, in seconda istan

za, dalla commissione competente per i ricorsi.

II rigetto era conseguito al mancato riscontro dei fatti addotti

e dei timori di persecuzione lamentati.

Nel dicembre 1990 e nel gennaio 1991 le autorità competenti avevano invitato i ricorrenti a lasciare il territorio francese en

tro un mese altrimenti sarebbero stati assoggettati alla sanzione

amministrativa dell'accompagnamento alla frontiera.

Tale invito non veniva ottemperato; fino alla data della pro

posizione del ricorso alla commissione, la sanzione anzidetta

non era stata posta in essere ed i ricorrenti risiedevano ancora

nel territorio francese.

La commissione, adita con ricorsi del 10 giugno 1990 e del

10 gennaio 1991, ne disponeva la riunione, dichiarandone la

ricevibilità e, dopo aver tentato invano una composizione ami

chevole, redigeva rapporto con la constatazione dei fatti e, con

nove voti contro sei, formulava parere, secondo il quale nella

11 Foro Italiano — 1994.

specie controversa non sussisteva la lamentata violazione del

l'art. 3; quindi deferiva il caso alla corte.

Quest'ultima, premessa la distinzione fra la fattispecie in esa

me e quella relativa ai casi Soering contro Regno unito e Vilva

rajah ed altri contro Regno unito, nei quali l'espulsione dei ri

correnti era già in atto al momento della proposizione dei ri

spettivi ricorsi alla commissione, ha rilevato che in concreto,

malgrado la mancata ottemperanza all'invito di lasciare il terri

torio francese, nessun ordine di accompagnamento era stato posto in essere contro i ricorrenti.

Inoltre, qualora il prefetto di polizia avesse deciso la loro

espulsione, gli interessati avrebbero potuto ricorrere ai sensi del

l'art. 22 bis dell'ordinanza amministrativa del 2 novembre 1945, con le garanzie previste dalla norma stessa.

In definitiva, la corte ha escluso, allo stato, la qualità di vitti

ma ai sensi dell'art. 25, par. 1, in capo ai ricorrenti, con assor

bimento di ogni altra questione. [S.A.]

III

Sentenza 28 agosto 1992; Pres. Ryssdal; Artner c. Austria.

Il 16 dicembre 1986, il Tribunale regionale di Vienna condan

nava M. Artner a tre anni di reclusione per il delitto di usura, commesso in due casi, per uno dei quali il giudizio di responsa bilità si fondava sulle dichiarazioni rese dalla vittima, una certa

sig. L., alla polizia e al giudice istruttore, nonché sui documenti

offerti dalla stessa. Questa non aveva assistito al processo e

non fu possibile reperirla per interrogarla come testimone, per cui le sue dichiarazioni furono lette in udienza.

Altro elemento cui il tribunale aveva attribuito rilevanza era

il fatto che la condotta del ricorrente, quale descritta dalla sig.

L., era molto simile a quella raffigurata dalla vittima dell'altro

caso di usura.

Artner aveva impugnato la sentenza di condanna adducendo, tra l'altro, la mancata audizione della sig. L., alla quale non

aveva rinunciato, anche se non ne aveva chiesto la comparizio

ne; tali motivi venivano disattesi dalla Corte di cassazione. Con

ricorso del 6 luglio 1987, lo stesso sig. Atner adiva la commis

sione, lamentando di essere stato condannato sulla sola base

delle dichiarazioni della denunciante ed invocando l'art. 6, par. 1 e 3, lett. d), della convenzione.

La commissione, ritenuta la ricevibilità del ricorso, dopo aver

tentato invano una composizione amichevole, con nove voti con

tro sei, ha formulato il parere secondo il quale non vi è stata

violazione dell'art. 6, par. 1 e 3, lett. d), e ha investito la corte

1*8 marzo 1991.

Quest'ultima, con cinque voti contro quattro, ha escluso la

violazione anzidetta, dopo aver osservato che la prova della re

sponsabilità del ricorrente per fatti di usura non era esclusiva

mente basata sulle dichiarazioni rese dalla querelante alla poli zia ed al giudice istruttore, ma anche su altri elementi, con par ticolare riguardo alla documentazione relativa al prestito ed al

comportamento tenuto dal ricorrente in altro caso di usura ad

debitatogli e, inoltre, che la mancata assunzione della testimo

nianza della sig. L. non era dovuta e negligenza degli organi

giurisdizionali, i quali avevano disposto le ricerche necessarie

per reperirla. Il ricorrente, pertanto, non essendosi mai presen tato nella fase istruttoria, nonostante i numerosi inviti, aveva

impedito il confronto con la querelante. [S.A.]

IV

Sentenza 28 agosto 1992\ Pres. Ryssdal; Schwabe c. Austria.

Il 26 settembre 1986, il Tribunale regionale austriaco di Kla

genfurt aveva inflitto al ricorrente un'ammenda di 3.000 scellini

per diffamazione e per aver contestato ad una persona un illeci

to penale per il quale aveva già espiato la pena. Il sig. Schwabe aveva redatto un comunicato stampa, che ve

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

niva pubblicato su un giornale il 20 agosto 1985, nel quale ri

cordava una condanna penale inflitta nel 1967 al vice presidente del governo della Carinzia per un incidente stradale, commesso

in stato di ebrezza, che aveva causato la morte di una persona ed il ferimento di molte altre. Tale comunicato, diffuso sotto

il titolo «due pesi e due misure», criticava apertamente il presi dente del governo della Carinzia per aver rimproverato ad un

sindaco della sua provincia di non essersi dimesso in seguito alla condanna che gli era stata inflitta per guida in stato di

ebrezza. Il presidente aveva infatti affermato che le importanti funzioni politiche che il sindaco era chiamato ad adempiere era

no incompatibili con il comportamento che egli aveva dimostra

to e che aveva causato l'incidente.

Il ricorrente sosteneva che il presidente del governo non pote va auspicare le dimissioni del sindaco quando uno dei suoi più alti funzonari — il suo vice — aveva alle spalle una grave con

danna per un incidente stradale commesso in stato di ebrezza.

Nel comunicato, il sig. Schwabe affermava che il presidente del

governo riservava trattamenti differenti al vice presidente, ap

partenente al suo stesso partito, ed al sindaco, appartenente ad

un altro partito. Il 5 febbraio 1987, il ricorrente impugnava la condanna di

nanzi alla Corte d'appello di Graz, affermando di aver redatto

il suo comunicato stampa nel contesto di una discussione politi

ca, rispondendo in maniera generale a critiche espresse dal pre sidente del governo contro un membro di un altro partito. Tut

tavia, la corte sosteneva che il sig. Schwabe non aveva nessun

obbligo di rispondere a tali critiche e, inoltre, il comunicato

si risolveva in un rimprovero riguardante un'infrazione per la

quale l'autore aveva già scontato la pena, contrario all'art. 113

del codice penale. La corte confermava, dunque, la decisione

di condanna del sig. Schwabe emessa dal tribunale regionale. Alla luce di tale rigetto, il ricorrente si rivolgeva al procura

tore generale di Vienna, invitandolo ad introdurre un ricorso

nell'interesse della legge, invocando, il diritto alla libertà d'e

spressione, garantito dall'art. 10 della convenzione. Il 27 otto

bre 1987, egli veniva informato del fatto che il procuratore ge

neale non intendeva deferire all'autorità giudiziaria la sua

domanda.

Adita il 1° febbraio 1988, la commissione, in data 11 ottobre

1989, ha dichiarato il ricorso ricevibile. Dopo aver tentato sen

za successo di arrivare ad una composizione amichevole della

controversia, nel suo rapporto dell'8 gennaio 1991 ha constata

to, con dieci voti contro sei, che vi fosse violazione dell'art. 10.

Il caso è stato sottoposto alla corte dalla commissione l'8

marzo 1991.

La corte ha in primo luogo constatato un elemento che non

era stato contestato dalle parti, riguardante la natura della con

danna del ricorrente. La corte ha ricordato che tale condanna

costituisce un'ingerenza nell'esercizio della libertà d'espressione

e tale ingerenza è prevista per legge e persegue lo scopo legitti

mo di proteggere la reputazione o i diritti altrui.

Alla luce di tale constatazione preliminare, la corte ha esami

nato la questione principale riguardante l'opportunità di inter

ferire, nella fattispecie in esame, nella libertà di espressione del

sig. Schwabe. La corte ha quindi valutato, alla luce della sua

giurisprudenza sulla libertà d'espressione, in particolare, i limiti

della critica ammissibili nell'ambito del dibattito pubblico su

una questione politica d'interesse generale, se l'ingerenza era

«necessaria in una società democratica». A tal fine, essa ha esa

minato le decisioni giudiziarie incriminate e tutti gli elementi

rilevanti della fattispecie in esame, valutando il comunicato stam

pa relativamente alla situazione globale.

La corte ha quindi potuto rilevare che il comunicato stampa

redatto dal sig. Schwabe era diretto, in particolar modo, a dif

fondere una opinione generale sulla moralità politica. Il ricor

rente non aveva voluto comparare i due incidenti dal punto di

vista giuridico e, inoltre, la menzione dell'incidente del vice pre

sidente del governo della Carinzia era inserita in un dibattito

generale sull'etica politica dei due partiti rivali ed aveva caratte

re meramente accessorio. Inoltre, secondo la corte, tali condan

ne penali, pronunciate in passato contro un uomo politico, pos

11 Foro Italiano — 1994.

sono essere rilevanti nella valutazione della sua capacità di eser

citare funzioni pubbliche. Per quel che riguarda i fatti sui quali il ricorrente aveva basa

to le sue affermazioni, la corte ha ritenuto non fondate le accu

se delle autorità austriache, sulle quali era basata la condanna

del sig. Schwabe, che gli rimproveravano di non aver provato tali affermazioni. La corte ha infatti rilevato che il ricorrente

aveva fondato le sue dichiarazioni su un articolo che era stato

già pubblicato su una rivista, aveva controllato i fatti diretta

mente con l'autore di essi ed aveva ripreso, in grandi linee, le

espressioni della decisione del 1967.

, La corte ha inoltre rilevato che le giurisdizioni austriache ave

vano condannato il ricorrente per non aver fornito prove suffi

cienti per giustificare le conclusioni alle quali il presidente era

giunto nel comunicato stampa. A questo proposito, la corte ha

rilevato che l'interessato aveva espresso semplicemente un giu dizio di valore, che non poteva, per la sua stessa natura, essere

provato oggettivamente. Il sig. Schwabe, basandosi su fatti og

gettivamente riscontrabili ed esprimendosi in buona fede, non

aveva oltrepassato i limiti posti alla libertà d'espressione e, di

conseguenza, l'ingerenza delle autorità austriache non era ne

cessaria in una società democratica. La corte ha quindi conclu

so che vi fosse violazione dell'art. 10.

In applicazione dell'art. 50, la corte ha accolto la domanda

del ricorrente per quel che riguarda il rimborso dell'ammenda

che gli era stata inflitta e delle spese che aveva subito, ma ha

respinto la domanda di rimborso supplementare. In relazione

al danno morale subito dal sig. Schwabe, la corte ha constatato

che, nella fattispecie, l'accertamento della violazione dell'art.

10 costituisce un'equa soddisfazione sufficiente per soddisfare

11 danno subito. [S.A.]

V

Sentenza 23 settembre 1992; Pres. Ryssdal; F.M. c. Italia.

In data 5 febbraio 1985, la sig. F.M., cittadina italiana, inva

lida civile, proponeva ricorso al Pretore di Roma nei confronti

del ministero degli interni, al fine di ottenere, ai sensi della 1.

11 febbraio 1980 n. 18, l'indennità di accompagnamento, che

gli organi della previdenza sociale le avevano precedentemente rifiutato.

La fase istruttoria aveva inizio all'udienza del 14 aprile 1986

e, dopo l'espletamento di una perizia medica disposta d'ufficio,

si concludeva all'udienza del 13 ottobre 1986.

In tale data, il pretore condannava il ministero degli interni

al versamento della predetta indennità a favore della ricorrente.

Il 10 gennaio 1987, il ministero soccombente proponeva ap

pello avverso tale sentenza, e, in data 15 gennaio 1987, il presi dente del Tribunale di Roma fissava l'udienza di discussione

della causa al 25 gennaio 1989.

L'appello veniva rigettato. La sig. F.M. ha proposto ricorso alla commissione il 2 marzo

1987, lamentando l'eccessiva lunghezza della procedura da lei

promossa e la conseguente violazione dell'art. 6, par. 1, della

convenzione.

La commissione ha dichiarato ricevibile il ricorso in data 2

luglio 1990. Nel suo rapporto del 20 febbraio 1992, ha concluso

(tredici voti contro otto) che vi fosse stata violazione dell'art.

6, par. 1.

Con una lettera del 17 luglio 1992, la sig. Angelozzi, difenso

re della ricorrente di fronte alla commissione, ha informato il

cancelliere di aver appreso del decesso della sig. F.M. e di aver

cercato invano gli eredi della stessa.

Il governo italiano, su richiesta della corte, si è espresso in

modo favorevole alla cancellazione della causa dal ruolo ai sen

si dell'art. 49, par. 2, del regolamento della corte.

Il delegato della commissione, dal canto suo, non ha espresso

osservazioni in merito.

Il decesso della ricorrente e l'insuccesso delle ricerche dei suoi

eredi costituiscono, ad avviso della corte, fatti tali da fornire

una soluzione della controversia.

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PARTE QUARTA

D'altro canto, la corte non ha ravvisato alcun motivo di ordi

ne pubblico che imponga il perseguimento della procedura, con

siderato anche che una lunga serie di cause l'hanno già portata

più volte ad esaminare sia il carattere «ragionevole» delle pro cedure contenziose in vari Stati membri (tra i quali l'Italia) sia

la natura e il contenuto degli obblighi che discendono dall'art.

6, par. 1, della convenzione.

Di conseguenza, la causa è stata cancellata dal ruolo. [S.F.]

VI

Sentenza 24 settembre 1992; Pres. Ryssdal; Herczegfalvy c.

Austria.

Il ricorrente, durante il periodo di espiazione di due pene de

tentive consecutive, dal 13 maggio 1972 al 13 maggio 1977, in

seguito ad una perizia psichiatrica, veniva dichiarato parzial mente incapace; successivamente, veniva imputato per nuovi fatti

criminosi commessi in carcere e per i quali veniva disposta la

carcerazione preventiva, con conseguente permanenza in carce

re dell'interessato, anche dopo il 13 maggio 1977.

Il presidente del tribunale, aderendo al parere di numerosi

esperti, aveva disposto la collocazione provvisoria dell'imputa to in un istituto per alienati e tale provvedimento veniva confer

mato in sede di appello. Il parere degli psichiatri determinava anche la modifica del

l'imputazione e la requisitoria del pubblico ministero, il quale chiedeva per l'imputato la condanna all'internamento in luogo della detenzione.

Il dibattimento sulle nuove imputazioni si svolgeva il 9 ed

il 10 gennaio, dopo alcuni rinvii dovuti, rispettivamente, allo

smarrimento del fascicolo processuale, alla richiesta del ricor

rente di assumere nuovi testimoni, all'assenza del presidente, al rinvenimento di prove supplementari, a negligenze nell'invio

delle citazioni ed al fatto che l'imputato aveva sputato in faccia

al presidente provocando cosi la contestazione di un reato sup

plementare. Il 10 gennaio 1979, il tribunale emanava la decisione, nella

quale, accertata la responsabilità dell'imputato, ne disponeva l'internamento ed il trasferimento temporaneo presso l'ospedale

psichiatrico, per le cure necessarie, effettuate le quali il ricor

rente sarebbe dovuto tornare in prigione, rimanendovi fino al

28 novembre 1984, data dalla sua liberazione condizionale.

Successivamente, il 3 ottobre 1979, era intervenuta la decisio

ne della Cassazione di parziale riforma del giudizio del 10 gen naio 1979, con annullamento dell'ordinanza di internamento e

rinvio al tribunale; l'imputato rimaneva, tuttavia, internato in

virtù dell'art. 429, par. 4, c.p.p. Il giudice di rinvio, accertata la responsabilità del ricorrente

per i fatti contestatigli, ne disponeva la collocazione in uno isti

tuto per alienati, in applicazione dell'art. 212, par. 1, c.p., sulla

base del precedente giudizio del 1979, nonché di tre perizie psi chiatriche e dei pareri espressi dai periti nel dibattimento.

La commissione, adita con ricorso del 27 novembre 1978, dichiarava la parziale ricevibilità dello stesso e, dopo aver ten

tato, invano, una composizione pacifica, redigeva un rapporto con l'accertamento dei fatti e formulava, in data 1° marzo 1991,

parere, ove, con decisione all'unanimità, veniva ritenuta la sus

sistenza delle violazioni: dell'art. 5, par. 1, poiché, per due pe riodi, la detenzione del ricorrente, in quanto alienato, non era

stata conforme alla disposizione di cu alla lett. e) dell'articolo

stesso; dell'art. 5, par. 4, in quanto le decisioni sulla legittimità del mantenimento in stato di detenzione non erano state adotta

te entro un termine breve ed in un lasso di tempo ragionevole; dell'art. 3; degli art. 8 e 10 per l'ingerenza nella corrispondenza del ricorrente e nel suo diritto di ricevere informazioni; con di

ciotto voti contro due, dell'art. 13, in relazione agli art. 3, 8 e 10.

La commissione ha, invece, escluso, con undici voti contro

nove, la violazione dell'art. 5, par. 1, relativamente ai motivi

della detenzione del ricorrente, con riferimento alle disposizioni di cui alle lett. c) ed e), durante il periodo di regolare detenzio

II Foro Italiano — 1994.

ne ed ha concluso all'unanimità, per la violazione dell'art. 5,

par. 3, escludendo, pure all'unanimità, la rilevanza dell'esame

sulla sussistenza o meno della violazione dell'art. 13 in relazio

ne all'art. 8.

La corte, investita dalla commissione il 19 aprile 1991, all'u

nanimità, ha ritenuto:

a) di non rinvenire, in alcuno dei periodi di detenzione, con

siderati con riferimento sia al par. 1, lett. c), sia al par. 1, lett.

e), dell'art. 5, alcuna violazione delle disposizioni della conven

zione ed ha riconosciuto che le decisioni delle autorità austria

che competenti hanno osservato la normativa interna senza ar

bitrii; b) di non constatare alcuna negligenza delle autorità nazio

nali tale da rallentare il corso della procedura, durante il primo

periodo e tale da determinare un prolungamento della detenzio

ne preventiva oltre il «termine ragionevole» di cui all'art. 5,

par. 3, e di non considerare eccessivo il secondo periodo avuto

riguardo alla composizione della giurisdizione chiamata a de

cidere;

c) che due delle decisioni contestate non hanno osservato le

condizioni poste dall'art. 5, par. 4, in ordine, non solo all'esi

genza di un «termine breve» per le decisioni delle giurisdizioni

competenti, ma anche a quella di ragionevoli intervalli della suc

cessione delle decisioni stesse;

d) che il trattamento medico denunciato dal ricorrente desta

preoccupazioni con riguardo all'uso di manette e di un letto

di sicurezza, soprattutto in considerazione dello stato di inferio

rità e di impotenza degli internati in ospedali psichiatrici, per i quali si rende necessaria una maggiore vigilanza sul rispetto della convenzione; tuttavia, gli elementi disponibili non consen

tono di disattendere la tesi del governo austriaco, secondo il

quale, all'epoca dei fatti considerati, con riferimento ai principi di psichiatria allora applicati, la prescrizione medica giustifica va il trattamento, con esclusione della violazione dell'art. 3;

e) che l'alimentazione forzata, effettuata con i trattamenti de

nunciati con riferimento all'art. 3, non ha costituito violazione

dell'art. 8, in mancanza di elementi idonei a disattendere la tesi

del governo, secondo il quale le malattie psichiatriche di cui

era affetto il ricorrente lo rendevano totalmente incapace di au

todeterminazione; al contrario, la pratica attuata nell'ospedale di inviare ogni lettera del ricorrente al curatore per una selezio

ne, ha violato l'art. 8 poiché l'ingerenza nel diritto garantito da tale disposizione non era prevista dalla legge austriaca ai

fini di cui al par. 2, ragioni per le quali la lamentata limitazione

all'accesso alle informazioni costituisce violazione anche ai fini

dell'art. 10;

f) che la decisione sull'eventuale violazione dell'art. 13 di

venta superflua, avuto riguardo alla decisione relativa agli art.

8 e 10;

g) la sussistenza della violazione dell'art. 5, par. 4 e dell'art.

8, con riferimento alla corrispondenza, ma non anche con ri

guardo al trattamento medico subito, nonché dell'art. 10;

h) l'esclusione della violazione dell'art. 5, par. 1 e 3, nonché

dell'art. 3, confermando quanto ritenuto dalla commissione sul

l'irrilevanza dell'esame del caso con riguardo all'art. 13.

Relativamente alle pretese avanzate dal ricorrente in ordine

alla riparazione pecuniaria di cui all'art. 50, la corte, con valu

tazione equitativa, ha attribuito al ricorrente la somma di 100.000

scellini, per il pregiudizio causato dalle ritenute violazioni, oltre

all'integrale rimborso delle spese. [S.A.]

VII

Sentenza 24 settembre 1992; Pres. Ryssdal; Kolompar c.

Belgio.

Il ricorrente era stato condannato dalla Corte d'assise d'ap

pello di Firenze a dieci anni di reclusione per tentativo di vio

lenza carnale ed omicidio e, poiché l'imputato si trovava in Bel

gio, nel maggio 1983, l'Italia ne richiedeva l'estradizione. Il 7

gennaio 1984 veniva arrestato su mandato del giudice istruttore

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

di Anversa, per reati ivi commessi e, nonostante la scadenza

del termine di carcerazione preventiva all'11 aprile, egli rimane

va in stato di detenzione ai fini estradizionali. L'estradizione veniva autorizzata il 2 maggio successivo; nel

frattempo, il Tribunale di Anversa, con sentenza confermata

in sede d'appello, condannava il ricorrente ad un anno di reclu

sione; computato il periodo di carcerazione preventiva, la pena residua terminava il 20 gennaio 1985.

Il 17 giugno il ricorrente sollecitava la propria scarcerazione

e, in attesa della relativa decisione, il ministro della giustizia

sospendeva l'estradizione.

L'istanza di scarcerazione veniva respinta con provvedimento del Tribunale di Anversa, confermato dalla Cassazione. Segui

va altra istanza del ricorrente del 17 settembre al presidente del

Tribunale di primo grado di Bruxelles, perché venisse impedita

l'estradizione e disposta la sua immediata liberazione; tale istanza

determinava un'ulteriore sospensione dell'estradizione fino al

l'esito (negativo) della stessa; l'interessato proponeva appello.

Il 13 settembre 1987, il ricorrente informava il ministro della

giustizia che egli non si opponeva più all'estradizione verso l'I

talia e non aveva più interesse all'esito del gravame; veniva,

quindi estradato in Italia e, beneficiando dell'amnistia, veniva

definitivamente liberato.

La commissione, adita con ricorso del 10 giugno 1985, ne

ha ritenuto la parziale ricevibilità e, dopo aver invano tentato

una composizione amichevole, ha redatto un rapporto con l'ac

certamento dei fatti, formulando un parere secondo il quale

vi è stata violazione del par. 1 (otto voti contro tre) e del par.

4 (dieci voti contro uno) dell'art. 5 della convenzione; quindi

il 19 aprile 1991 ha investito del caso la corte.

Nella procedura che ne è seguita il governo belga ha eccepito

che il ricorrente non aveva coltivato, fino all'esaurimento, la

procedura dello stesso instaurata avanti il presidente del Tribu

nale di Bruxelles, ma tale eccezione veniva respinta dalla corte,

in quanto gli argomenti addotti a sostegno della stessa erano

incompatibili con la tesi sostenuta dal governo dinanzi al giudi

ce nazionale.

Passando all'esame dei motivi dedotti dal ricorrente (il quale

asseriva di essere stato illegalmente privato della libertà perso

nale, in quanto la detenzione ai fini dell'estradizione era stata

utilizzata per assicurare, in maniera illegale, l'esecuzione della

pena che sarebbe stata comminata dalle autorità belghe e, inol

tre, la procedura di estradizione non si sarebbe svolta con un

ritmo ragionevole), la corte osserva che la detenzione per i reati

commessi in Belgio rispondeva alle esigenze contemplate nel

l'art. 5, par. 1, lett. a) e c), e quella ai fini estradizionali risulta

va giustificata, in linea di principio, con riferimento alla lett.

f) della stessa norma; occorreva, comunque, stabilire se, nella

fattispecie in esame, tale detenzione che si era protratta per due

anni e otto mesi, fosse rimasta per tutto il tempo compatibile

con la convenzione.

A tale ultimo riguardo la corte, pur rilevando l'inusuale lun

gaggine della procedura complessiva, osserva che quella riguar

dante propriamente l'estradizione si era compiuta in meno di

un mese dalla revoca del mandato di arresto relativo ai reati

perseguiti in Belgio a carico del ricorrente e che la protrazione

della detenzione di questi era derivata dalle sue richieste di so

spensione dell'estradizione o di liberazione ed anche dall'esigen

za di verificare in Danimarca l'alibi dallo stesso fornito.

Pertanto, le autorità, investite all'inizio della procedura avanti

il Tribunale di Bruxelles, si erano pronunciate in tempi norma

li, con indubbio rispetto dell'art. 5, par. 1, lett. /); per il perio

do successivo, poi, i ritardi dovevano imputarsi al comporta

mento del ricorrente che non poteva dolersi di una situazione

da lui stesso provocata in larga misura, con esclusione della

violazione dell'art. 5, par. 1.

In ordine all'ultimo motivo allegato nel ricorso, relativamen

te all'asserita mancanza di un ricorso effettivo, quale garantito

dell'art. 5, par. 4, la corte, premesso che la ritenuta insussisten

za di violazioni del par. 1 non la esonerava dal controllo sul

l'osservanza delle prescrizioni di cui al par. 4 dello stesso arti

colo (la cui rilevanza, specialmente in materia di estradizione,

Il Foro Italiano — 1994.

è stata costantemente ritenuta nella sua giurisprudenza) rileva

che il ricorrente, pur avendo contestato la legalità della propria detenzione ai fini estradizionali, innanzi al Tribunale di Bruxel

les, non aveva, neppure in via subordinata, dedotto che il pas

saggio del tempo aveva reso illegale la detenzione stessa; in ogni

caso, nella misura in cui la durata della detenzione potesse inci

dere sulla legalità della stessa, ai fini del par. 4 dell'art. 5, la

decisione della corte con riguardo al par. 1 risulta assorbente.

[S.A.]

Vili

Sentenza 25 novembre 1992; Pres. Ryssdal; Croissant c.

Germania.

Klaus Croissant, avvocato di nazionalità tedesca, nel 1976 ve

niva sottoposta a procedimento penale su iniziativa del Tribu

nale regionale di Stoccarda a causa dell'attività di consulenza

legale da lui svolta a favore di alcuni membri della «Frazione

armata rossa» (RAF). Il 2 agosto 1976, il ricorrente, in principio difeso da due av

vocati di sua fiducia, otteneva che gli stessi fossero nominati

difensori d'ufficio. L'11 gennaio 1978, il presidente del tribunale regionale nomi

nava un terzo difensore d'ufficio, il sig. Hauser.

Il sig. Croissant si opponeva al suddetto provvedimento, con

testando, da un lato, l'inutilità dello stesso, e, dall'altro, il fat

to che il difensore nominato, menbro del partito socialdemocra

tico, aveva idee politiche totalmente opposte alle sue.

Anche lo stesso avvocato Hauser chiedeva di essere sollevato

dall'incarico.

Il tribunale respingeva ambedue le richieste affermando sia

la necessità di un terzo difensore allo scopo di garantire un re

golare svolgimento del processo penale in corso, considerata la

complessità e la difficoltà del caso, sia l'idoneità del sig. Hau

ser a ricoprire l'incarico.

La corte d'appello, in data 6 marzo 1978, confermava tale

decisione.

Il 16 febbraio 1979, il tribunale condannava il ricorrente per

aver offerto sostegno ad un'associazione per delinquere ad una

pena di due anni e sei mesi di reclusione, con interdizione per

quattro anni di esercitare la professione di avvocato, oltre al

pagamento delle spese processuali. La Corte federale di giustizia, con sentenza del 14 novembre

1979, respingeva il gravame proposto dal sig. Croissant.

Il 27 dicembre 1979, l'ufficio esattoriale del tribunale regio

nale fissava le spese relative all'intero procedimento in 239.439,30

marchi, di cui 209.683,20 per spese ed onorari dei tre avvocati

nominati d'ufficio. In base ad una successiva liquidazione, la somma veniva defi

nitivamente fissata in 253.246,16 di cui 218.863,17 per la difesa d'ufficio.

Il ricorrente impugnava tale calcolo perché configgente con

quanto previsto dall'art. 6, par. 3, lett. c), della convenzione;

a suo avviso, il gratuito patrocinio, una volta concesso in via

definitiva, lo dispensava da qualsiasi obbligo di remunerazione

nei confronti dei difensori d'ufficio, soprattutto nei confronti

del sig. Hauser, che gli era stato imposto dal tribunale.

Il tribunale regionale, con sentenza del 20 novembre 1986,

respingeva l'obiezione del ricorrente, mentre la Corte d'appello di Stoccarda, adita dal ricorrente, accoglieva esclusivamente i

motivi di impugnazione riguardanti il quantum fissato in primo

grado, respingendo quelli concernenti il merito della condanna

alle spese. Il 23 giugno 1987, la Corte costituzionale federale rigettava

l'ulteriore ricorso del sig. Croissant giudicandolo del tutto in

fondato.

Nel frattempo, il ricorrente aveva più volte chiesto una pro

roga di pagamento, che gli veniva concessa dalla Corte di ap

pello di Stoccarda, la quale, nella sentenza del 18 agosto 1989,

affermava che la concessione di tale termine, in buona sostan

za, tendeva a facilitare la riabilitazione di un condannato.

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PARTE QUARTA

Il ricorrente negli anni 1985, 1987, 1988 tentava invano di

ottenere una remissione del debito.

L'ultima richiesta in tal senso, presentata in data 1° ottobre

1991, ha dato luogo ad un ordine del presidente della corte d'ap

pello di sospensione del procedimento in attesa della decisione

della Corte europea. Il sig. Croissant, infatti, ha presentato ricorso alla commis

sione in data 3 dicembre 1987, assumendo l'avvenuta violazione

dell'art. 6, par. 1 e 3, lett. c), per essere stato condannato al

pagamento di spese ed onorari a favore di tre avvocati nominati

d'ufficio. La commissione, dopo aver dichiarato ricevibile il ricorso,

nel suo rapporto del 7 marzo 1991, ha concluso nel senso che

nel caso di specie non si potesse ravvisare la lamentata violazio

ne, né per le spese dei due avvocati d'ufficio scelti dal ricorren

te (unanimità), né per il terzo, nominato dal tribunale e non

gradito al ricorrente (sette voti contro quattro). La corte, investita del caso da parte della commissione in

data 19 aprile 1991, ha rilevato che i motivi di ricorso, cosi

come formulati, vertono principalmente sul problema se uno

Stato agisca nel rispetto dell'art. 6 laddove tenti di recuperare da un imputato, dopo la condanna, gli onorari e le spese spet tanti agli avvocati nominati d'ufficio nell'interesse della giusti

zia, i quali hanno svolto la loro opera professionale a favore

dello stesso senza mai interpellarlo. La corte, in ordine alla nomina di uno o più avvocati d'uffi

cio nell'interesse della giustizia, non ha rilevato alcun elemento

di conflitto con i principi enunciati nella convenzione.

Tuttavia, il tribunale, prima di procedere in tal senso, deve

preventivamente sentire il parere dell'imputato, soprattutto se, come in Germania, proprio su quest'ultimo, in caso di condan

na, incombono le spese processuali. In merito, poi, alla nomina di un terzo avvocato d'ufficio

non gradito al ricorrente, la corte ha osservato che, per la veri

tà, il diritto riconosciuto dall'art. 6, par. 3, lett. c), ad avere

l'assistenza di un difensore di fiducia non ha carattere assoluto,

potendo subire limitazioni in materia di gratuito patrocinio; in

questi casi, il parere dell'imputato sul punto, pur dovendo esse

re preso in considerazione dall'autorità giudiziaria, può, comun

que, essere scavalcato laddove ciò si renda necessario nel supe riore interesse della giustizia.

La corte, nel caso di specie, considerando pertinenti e suffi

cienti le motivazioni addotte dai giudici nazionali a sostegno della decisione di nominare un terzo avvocato d'ufficio, sia in

merito all'opportunità della nomina, sia in merito alla scelta

della persona, ha ritenuto tale nomina non confliggente con il

combinato disposto dei par. 1 e 3, lett. c), dell'art. 6 della con

venzione (unanimità). Per ciò che riguarda il pagamento delle spese processuali di

sposto con ordinanza a carico del ricorrente, la corte ha rileva

to che in diritto tedesco la necessità di nominare dei difensori

d'ufficio, a prescindere dalla situazione finanziaria dell'imputa to, viene valutata esclusivamente alla luce degli imperativi det

tati dai superiori interessi di giustizia. È da tener presente, inoltre, che, sempre in diritto tedesco,

un imputato assolto non deve pagare le spese e gli onorari degli avvocati d'ufficio, quale che sia il suo patrimonio, mentre un

imputato condannato deve farsi carico interamente di tali spese; vi si ravvisa una conseguenza normale della pena.

Tale sistema, garantendo, in linea di massima, il carattere

equo del processo penale, non urta con i principi formulati dal

l'art. 6 della convenzione.

In conclusione, la corte ha giudicato compatibile con i princi

pi di cui all'art. 6, par. 3, lett. c), l'ordinanza di pagamento emessa nei confronti del ricorrente (otto voti contro uno). [S.F.]

IX

Sentenza 25 settembre 1992-, Pres. Ryssdai; Pham Hoang c.

Francia.

M. Tua Pham Hoang, cittadino francese, disoccupato, in da

II Foro Italiano — 1994.

ta 3 gennaio 1984 veniva fermato a Parigi con altre quattro

persone, originarie di Hong Kong, della Cambogia e del Viet

nam, mentre si trovava al volante di un'auto verso cui si dirige vano due delle persone fermate, le quali uscivano da un albergo

portando con sé due borse contenenti 2750 grammi di eroina

base e 85 grammi di eroina pura, oltre ad una bilancia recante

tracce della stessa sostanza stupefacente. Altre due persone venivano arrestate in seguito alla perquisi

zione di un appartamento, in cui si era recato anche il ricorren

te, all'interno del quale la polizia rinveniva armi e 5 kg di

caffeina.

Il 7 gennaio 1984, il giudice istruttore formulava nei confron

ti del ricorrente l'imputazione di violazione delle norme sugli

stupefacenti e ne disponeva la carcerazione preventiva. Con un'ordinanza del 25 marzo 1984, il giudice istruttore rin

viava a giudizio sia il ricorrente sia le altre persone sopra citate

per associazione a delinquere allo scopo di fabbricare, detenere

e cedere prodotti stupefacenti, nella specie eroina.

Nel corso del processo, il direttore generale delle dogane chie

deva che il tribunale dichiarasse gli imputati colpevoli di reato

doganale di contrabbando di merce proibita mediante veicoli

di autotrazione in gruppo di più di sei individui, e, per l'effetto, li condannasse ad una pena pecuniaria, oltre alle eventuali pene detentive.

Il 31 maggio 1985, il Tribunale di Parigi assolveva il ricorren

te ed altri due imputati con formula dubitativa, mentre al resto

degli imputati venivano inflitte pene dai sei ai dodici anni di reclusione.

Il direttore generale delle dogane, in ordine al reato doganale

contestato, impugnava la predetta sentenza nel capo in cui as

solveva il ricorrente e gli altri due imputati. Il 10 marzo 1986, la Corte d'appello di Parigi, in riforma

della pronuncia di primo grado, dichiarava il ricorrente colpe vole del reato di contrabbando e lo condannava ad una pena

pecuniaria da versare all'amministrazione doganale. Il giorno stesso della pubblicazione della sentenza d'appello,

il sig. Pham Hoang proponeva ricorso per cassazione.

Il difensore del ricorrente, preso atto del fatto che il cliente

non era in grado di sostenere ulteriori spese legali, chiedeva

al presidente del consiglio dell'ordine degli avvocati presso il

Consiglio di Stato e la Corte di cassazione di nominare un di

fensore d'ufficio.

Il 26 marzo 1986, il presidente dell'ordine respingeva tale ri

chiesta, in quanto non riteneva il caso tanto grave e complesso da esigere la concessione del gratuito patrocinio.

Il 7 agosto 1986, il ricorrente inviava alla cancelleria della

Corte di cassazione un lettera raccomandata in cui dichiarava

di depositare, a titolo di memoria difensiva, una copia della

comparsa conclusionale presentata in grado d'appello dai suoi

avvocati.

La Corte di cassazione, con decisione del 9 marzo 1987, ri

gettava il ricorso.

Il 20 agosto 1987, il sig. Pham Hoang adiva la commissione

lamentando di essere stato condannato sulla base di presunzioni di colpevolezza, fondate su alcune norme del codice doganale considerate contrarie all'art. 6, par. 1 e 2, della convenzione

in quanto incompatibili con il diritto di difesa e con il principio di presunzione di innocenza. Egli invocava, inoltre, la violazio

ne dell'art. 6, par. 3, lett. e), per non aver potuto beneficiare

dell'assistenza di un avvocato nel corso del processo svoltosi

di fronte alla Corte di cassazione.

La commissione, dopo aver dichiarato ricevibile il ricorso in

data 11 maggio 1990, nel suo rapporto del 26 febbraio 1991, ha concluso che, nel caso di specie, non vi fosse stata violazione

dell'art. 6, par. 1 e 2 (sette voti contro cinque), e che vi fosse

stata violazione dell'art. 6, par. 3, lett. c) (unanimità). La corte è stata adita da parte della commissione il 7 giugno

1991. In merito all'eccezione preliminare sollevata dal governo fran

cese — secondo cui l'interessato non avrebbe interamente espe rito le vie di ricorso interne per non aver indicato alla Corte

di cassazione né i capi di sentenza impugnati, né le disposizioni normative che si assumevano violate —, la corte, nel respinger

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

la, ha rilevato che, in realtà, il rifiuto di nominare un difensore

d'ufficio ha reso del tutto inefficace il ricorso proposto in sede

di legittimità. Entrando nel merito del ricorso, in ordine alla presunta vio

lazione dell'art. 6, par. 1 e 2, la corte, in primo luogo, ha preci

sato che il suo compito non è tanto quello di determinare se

in astratto le norme contenute nel codice doganale siano com

patibili con i principi della convenzione, quanto piuttosto quel

lo di stabilire se le stesse siano state applicate nel rispetto del

principio della presunzione di innocenza e, più in generale, con

il concetto di equo processo.

A tal proposito, la corte ha osservato che il ricorrente, in

realtà, non è stato in alcun modo privato delle sue facoltà di

difesa; egli poteva, infatti, dimostrare di aver agito in stato di

necessità oppure a seguito di errore non riconoscibile (erreur

invincible). Del resto, la presunzione di colpevolezza nei suoi

confronti non aveva certamente il carattere della incontestabi

lità. Viceversa, nella sentenza di condanna emessa in secondo gra

do, la corte d'appello ha preso atto del fatto che l'imputato

non ha mai invocato una delle succitate circostanze a propria

discolpa.

Lo stesso giudice, inoltre, senza dubbio non ha omesso

di soppesare con cura i vari dati in suo possesso prima di

emettere il verdetto di colpevolezza; evitando, cosi, di ricorre

re all'uso di presunzioni legali, esso ha applicato le norme

contenute nel codice doganale in modo assolutamente non

confliggente con i principi contenuti nell'art. 6, par. 1 e 2,

della convenzione, i quali, pertanto, non risultano violati (una

nimità). Per ciò che riguarda il rifiuto opposto dall'ordine degli avvo

cati alla nomina di un difensore d'ufficio — che, ad avviso

del ricorrente, configurerebbe una violazione dell'art. 6, par.

3, lett. c) —, la corte ha ricordato che nel sistema della conven

zione il diritto dell'imputato al gratuito patrocinio costituisce

uno degli elementi che concorrono a formare un processo pena

le equo.

Nel caso di specie, considerata la sussistenza in capo al ricor

rente di una delle condizioni richieste dall'art. 6, par. 3, lett.

e), ovverosia la mancanza di mezzi per ricompensare un difen

sore, è necessario esaminare se anche «gli interessi della giusti

zia» imponessero nel caso in questione di accordare al ricorren

te l'assistenza giudiziaria gratuita.

È da tener presente che solo successivamente all'emissione della

decisione dell'ordine degli avvocati, la legislazione francese ha

esteso anche al campo penale la competenza dell'ufficio per il

gratuito patrocinio già esistente presso la Corte di cassazione

per la materia civile.

Ciò non toglie, tuttavia, che la gravità e la complessità del

caso — il ricorrente intendeva eccepire la incompatibilità di al

cune norme del codice doganale con i principi contenuti nella

convenzione — non consentendo al ricorrente di sviluppare una

difesa appropriata, avrebbero comunque richiesto la nomina di

un difensore d'ufficio.

La corte, pertanto, ha rilevato l'avvenuta violazione dell'art.

6, par. 3, lett. c), della convenzione (unanimità).

La corte, in merito alle richieste di risarcimento avanzate ex

art. 50 della convenzione, per ciò che riguarda la violazione

dell'art. 6, part. 3, lett. c), della convenzione, ha ritenuto di

non dover accordare alcun risarcimento né per il pregiudizio

materiale subito dall'interessato a causa del rigetto del ricorso

per cassazione — non essendo in grado di valutare quale sareb

be stato l'esito del ricorso stesso nel caso fosse stato concesso

il gratuito patrocinio — né per il pregiudizio morale, che si

ritiene validamente risarcito in forza dell'accertamento dell'av

venuta violazione dell'art. 6.

La corte, viceversa, ha ritenuto di dover accordare al ricor

rente la complessiva somma di 30.000 franchi francesi a titolo

di rimborso delle spese legali sostenute nel procedimento svolto

si a Strasburgo. [S.F.]

Il Foro Italiano — 1994.

X

Sentenza 12 ottobre 1992; Pres. Bernhardt; Boddaert c.

Belgio.

Il 30 luglio 1980 il ricorrente veniva consegnato alle autorità

belghe, che avevano spiccato contro di lui un mandato di arre

sto, mentre egli si trovava all'estero; il 6 settembre 1985 veniva

rinviato a giudizio assieme al coimputato M. Piron con l'impu

tazione di omicidio volontario; il primo presidente della Corte

d'assise di Liegi ordinava la riunione del relativo giudizio con

quello instaurato contro il Piron, nei confronti del quale si pro cedeva anche per un altro omicidio.

Il 4 marzo 1986, la corte d'assise, ritenuta la colpevolezza del ricorrente, lo condannava a dieci anni di reclusione, con

dannando, altresì, il Piron alla pena capitale per i due omicidi;

contro tale condanna veniva proposto ricorso per cassazione,

rigettato il 22 ottobre 1986.

Nel ricorso alla commissione Boddaert lamentava la violazio

ne dell'art. 6 della convenzione, con particolare riguardo al ter

mine ragionevole di espletamento delle attività processuali di

cui al par. 1, nonché al diritto ad un termine ed a facilitazioni

necessarie per predisporre la difesa, di cui al par. 3, lett. b). La commissione, ritenuta la ricevibilità del ricorso con riguardo

al motivo relativo al par. 1 dell'art. 6, dopo aver invano tentato

una composizione amichevole, redigeva rapporto con l'accerta

mento dei fatti, e formulava, con nove voti contro due, parere,

secondo il quale vi è stata violazione dell'art. 6, par. 1; il 10

giugno 1991 ha deferito il caso alla corte.

Quest'ultima ha, invece, escluso l'anzidetta violazione, consi

derando che il comportamento delle autorità interne era compa

tibile con l'esigenza di un bilanciamento tra l'interesse di celeri

tà del processo e quello della buona amministrazione della giu

stizia. A fondamento di tali conclusioni la corte osservava che la

durata del processo in questione, di sei anni e ventidue giorni,

doveva essere valutata in relazione alle particolari difficoltà pro

cessuali derivanti dalla perpetrazione di due crimini nello stesso

luogo, con due persone implicate, dagli ostacoli incontrati nel

l'indagine, a causa dell'assenza di testimoni e dall'atteggiamen

to degli imputati che si accusavano a vicenda, nonché dall'esi

stenza di connessione tra l'imputazione a carico del ricorrente

e l'altra imputazione di omicidio di cui era accusato il Piron,

con conseguente riunione dei relativi giudizi. [S.A.]

XI

Sentenza 12 ottobre 1992; Pres. Ryssdal; T. c. Italia.

Il ricorrente, cittadino italiano, soggiornava all'estero al tem

po in cui le autorità giudiziarie italiane, nel febbraio 1983, gli

comunicavano un avviso di informazione in ordine ad un pro

cedimento penale instaurato contro di lui per il reato di violen

za carnale commesso in danno della figlia minorenne.

Egli affermava di non aver mai ricevuto tale avviso, pur am

mettendo di aver avuto, dopo il giugno 1982, conoscenza indi

retta del procedimento a suo carico.

Nel novembre 1983 il giudice istruttore di Genova dichiarava

l'irreperibilità del ricorrente, la quale veniva confermata, nelle

successive fasi processuali, all'esito di ricerche effettuate dalla

polizia; nell'ottobre 1984 il Tribunale di Genova, procedendo

in contumacia del ricorrente, ne accertava la responsabilità per

il reato addebitatogli, condannandolo a sette anni di reclusione.

In sede di appello, pure in contumacia dell'imputato, tale de

cisione veniva confermata ed il ricorrente, in esecuzione della

condanna, veniva arrestato a Copenaghen ed estradato nell'ot

tobre 1987 e, dopo aver invano sollevato incidente di esecuzio

ne, scontava la pena.

La commissione, adita con ricorso del 1° aprile 1988, ne di

chiarava la ricevibilità in parte e, dopo aver invano tentato una

composizione amichevole, redigeva rapporto con la constata

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PARTE QUARTA

zione dei fatti, formulando, all'unanimità, parere, secondo il

quale nella fattispecie controversa sussisteva la violazione del

l'art. 6, par. 1; quindi deferiva il caso alla corte.

Quest'ultima ha ritenuto, all'unanimità, la violazione anzi

detta, affermando che la facoltà dell'imputato di partecipare

all'udienza, anche se non espressamente specificata nell'art. 6,

par. 1, può desumersi dall'oggetto e dallo scopo delle disposi

zioni della norma stessa globalmente considerata e che, per l'ef

fettivo esercizio di tale facoltà, l'informazione sulle imputazioni a carico costituisce un atto giuridico di rilevanza tale da render

ne necessari una forma ed un contenuto, idonei a garantire l'ef

fettivo esercizio dei diritti dell'imputato, mentre una conoscen

za vaga ed informale non potrebbe ritenersi sufficiente.

Relativamente ai danni lamentati dal ricorrente la corte ha

ritenuto sufficiente, ai fini della ripazione del danno morale,

ai sensi dell'art. 50, la dichiarazione della violazione dell'art.

6, par. 1; inoltre, ha respinto le istanze relative alle spese, aven

do il ricorrente beneficiato dell'assistenza giudiziaria nelle pro cedure avanti gli organi di Strasburgo. [S.A.]

XII

Sentenza 12 ottobre 1992-, Pres. Bernhardt; Cesarmi c. Italia.

Il ricorrente, cittadino italiano, conveniva in giudizio il pro

prio datore di lavoro avanti il Pretore di Roma per sentire di

chiarare l'illegittimità del collocamento in cassa integrazione, a partire dal giugno 1982, con il riconoscimento del proprio diritto alla retribuzione dalla stessa data.

Con sentenza del Tribunale di Roma del febbraio 1984, veni

va confermato il giudizio di primo grado che aveva escluso la

fondatezza della domanda.

Durante lo svolgimento del giudizio di cassazione, nel gen naio 1989 le parti pervenivano alla conciliazione della contro

versia, con rinuncia al ricorso da parte del lavoratore e conse

guente estinzione del giudizio. La commissione, adita con ricorso dell'11 settembre 1985,

ne dichiarava la ricevibilità e, dopo aver tentato, invano, una

composizione amichevole, redigeva rapporto con la constata

zione dei fatti e formulava, con quattordici voti contro cin

que, parere, affermativo sull'accertamento della violazione del

l'art. 6, par. 1.

La corte, investita del caso dalla commissione, con riguardo al lamentato ritardo della trattazione della causa, oltre il termi

ne ragionevole di cui all'art. 6, par. 1, ha osservato che la ra

gionevolezza o meno della durata di un processo deve essere

valutata con riferimento ai criteri elaborati dalla propria giuri

sprudenza, nonché in relazione alle circostanze concrete della

singola fattispecie da considerare globalmente, ed ha ritenuto

che, nella vicenda processuale del ricorrente, svoltasi attraverso

tre gradi di giurisdizione e conclusasi transattivamente, non si

riscontrano ritardi talmente rilevanti da farli ritenere eccessivi, con conseguente giudizio unanime di esclusione della violazione

dell'art. 6, par. 1. [S.A.]

XIII

Sentenza 12 ottobre 1992\ Pres. Bernhardt; Salerno c. Italia.

Il ricorrente, cittadino italiano, avendo esercitato per dician

nove anni le funzioni di notaio vicario, proponeva ricorso avanti

la Cassazione per il riconoscimento del proprio diritto all'iscri

zione presso la cassa notai ed al conseguimento delle relative

prestazioni.

Con successiva azione, promossa l'8 aprile 1982, chiedeva il

rimborso dei contributi versati alla cassa anzidetta.

Tale domanda veniva respinta, con giudizio definitivo dalla

Cassazione che pronunciava sentenza il 12 giugno 1986.

Con ricorso del 18 gennaio 1986 veniva adita la commissione

Il Foro Italiano — 1994.

che ne dichiarava la parziale recevibilità e, dopo aver, invano,

tentato una composizione amichevole, redigeva rapporto con

la constatazione dei fatti, formulando parere, secondo il quale,

con sedici voti contro quattro, sussisteva, nella fattispecie con

siderata, la violazione dell'art. 6, par. 1; quindi deferiva il caso

alla corte.

Quest'ultima, dopo aver rilevato che l'art. 6, par. 1, si riferi

sce a controversie inerenti a diritti civili azionabili, riconosciuti

dall'ordinamento interno, a prescindere dal fatto che gli stessi

siano o meno tutelati dalla convenzione, ha affermato che i

diritti azionati dal ricorrente rientrano nella categoria anzidetta.

In relazione alla norma richiamata, poi, premesso che la du

rata rilevante nella fattispecie controversa va dall'8 aprile 1982

al 1° aprile 1987 e che la ragionevolezza o meno della durata

del processo deve essere valutata alla stregua di principi elabo

rati dalla giurisprudenza della corte stessa, nonché in relazione

alle circostanze del caso concreto, da valutare globalmente, ha

ritenuto, all'unanimità, l'insussistenza della violazione dell'art.

6, par. 1, considerando che i ritardi riscontrati e riferiti a tre

gradi di giurisdizione non appaiono cosi rilevanti da farli rite

nere eccessivi rispetto al limite del termine ragionevole. [S.A.]

XIV

Sentenza 27 ottobre 1992\ Pres. Ryssdal; Mlynek c. Austria.

In data 30 maggio 1984, il sig. Mlynek, in seguito a procedi mento penale iniziato il 21 maggio 1980, veniva condannato

dal Tribunale regionale di Vienna per i reati di appropriazione indebita e truffa.

Il 30 gennaio 1987, la Corte suprema cassava la sentenza di

condanna, rinviando la causa allo stesso tribunale, che riapriva il processo in data 11 gennaio 1988.

Il 19 settembre 1989, in seguito ad un primo ricorso presenta to dall'interessato, la commissione europea dei diritti dell'uomo

riteneva che, in violazione dell'art. 6, par. 1, della convenzione

europea dei diritti dell'uomo, la durata dell'intero processo pe nale avesse sorpassato il «tempo ragionevole»; raccomandava,

pertanto, che fosse versata al ricorrente una somma di denaro

a titolo di equa soddisfazione.

Nel frattempo, il 23 marzo 1988, il ricorrente era stato con

dannato dal Tribunale regionale di Vienna per appropriazione indebita e bancarotta semplice con sentenza che veniva annulla

ta successivamente, in data 1° giugno 1990, dalla Suprema cor

te, la quale rinviava di nuovo il giudizio al Tribunale regionale di Vienna.

Il processo è tuttora pendente, ma limitatamente al reato di

bancarotta semplice. Il sig. Mlynek proponeva nuovamente ricorso alla commis

sione in data 21 marzo 1989 assumendo che la procedura svol

tasi dal 10 marzo 1988 in poi aveva sorpassato il «tempo ragio nevole» di cui all'art. 6, par. 1, della convenzione.

Nel suo rapporto del 9 dicembre 1991, la commissione ha

concluso all'unanimità che vi fosse stata violazione del predetto articolo della convenzione.

La causa è stata rimessa alla corte in data 21 febbraio 1992.

La corte ha preso atto dell'accordo concluso tra il governo austriaco e il ricorrente, secondo il quale:

— il governo si impegna ad ottemperare alla richiesta che

sarà presentata dal sig. Mlynek a conclusione dell'intero proce dimento al fine di ottenere l'integrale rimborso delle spese legali

sostenute; — il governo e il ricorrente — che dichiarava privi di oggetto

i suoi ricorsi pendenti a Strasburgo (uno di fronte alla commis

sione ed uno di fronte alla corte) — assicurano che non faranno

valere presso alcuna autorità austriaca o internazionale, alcuna

pretesa che sia in rapporto con l'oggetto dei predetti ricorsi.

La corte non ha ravvisato alcun motivo di ordine pubblico che impedisca la cancellazione della causa dal ruolo (art. 49,

par. 2 e 4, del regolamento). [S.F.]

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

XV

Sentenza 28 ottobre 1992; Pres. Ryssdal; Vidal c. Belgio.

Per i fatti di causa si rinvia alla sentenza emessa dalla Corte

di giustizia in data 22 aprile 1992, con la quale è stata rilevata

una violazione dell'art. 6 della convenzione: la Corte d'appello di Bruxelles, in sede di giudizio di rinvio dalla Cassazione, con clusosi con sentenza dell'11 dicembre 1985, aveva opposto un

rifiuto tacito e non motivato ad una richiesta presentata dal

l'avvocato difensore del ricorrente di audizione di quattro testi

moni a discarico.

La predetta corte, sulla sola base dei documenti contenuti

nel fascicolo d'ufficio e delle dichiarazioni rese dall'imputato, aveva aggravato la pena inflitta al ricorrente dalla corte di Liegi

(giudice di primo grado) e, in seguito, la Corte di cassazione

aveva rigettato il secondo ricorso presentato sempre dall'impu tato sig. Vidal.

Quest'ultimo, a conclusione del procedimento di fronte alla

Corte europea dei diritti dell'uomo, chiedeva che questa si ri

servasse di pronunciarsi in ordine alla richiesta ex art. 50 di

indennizzo per danni e rimborso spese, tenuto conto del possi bile ristoro che il diritto interno belga poteva prevedere per can

cellare le conseguenze dell'avvenuta violazione, nonché della pro

spettiva di una composizione amichevole della controversia.

Accogliendo la richiesta del ricorrente, la corte si è riservata

di decidere sulla questione, concedendo un termine alle parti

per produrre osservazioni scritte in merito.

Dopo aver ricevuto tali osservazioni da parte dell'interessato,

del governo belga e della commissione, la corte ha rilevato che

il ricorrente ha effettivamente subito un danno morale, anche

se, alla luce dell'impossibilità di stabilire quale sarebbe stato

il risultato del processo se la Corte di appello di Bruxelles aves

se consentito l'audizione dei testimoni proposti dalla difesa, non

è dato stabilire neanche il nesso di causalità tra la violazione

dell'art. 6 e il pregiudizio sofferto dal ricorrente.

La corte, pertanto, ritiene equo accordare al ricorrente la som

ma di 250.000 f.b. per danni morali e 300.000 f.b. per spese.

[S.F.]

XVI

Sentenza 29 ottobre 1992; Pres. Ryssdal; Open Door, Du

blin Well Woman ed altri c. Irlanda.

La fattispecie sottoposta alla corte è stata introdotta con due

ricorsi alla commissione: l'uno della società Open Door che svolge

attività di consulenza e di aiuto a favore di donne incinte in

Irlanda, interessate all'aborto; l'altro proposto dalla società Du

blin Well Woman che svolge analoga attività, nonché dalla sig.

Maher, cittadina statunitense e dalla sig. Downes irlandese, en

trambe consulenti della seconda società e dalle signore X e Ge

raghty, cittadine irlandesi in età feconda. I fatti dedotti riguardavano il provvedimento emesso dalla

Corte suprema irlandese, in seguito a ricorso dell'avvocato ge

nerale, su domanda della Society for the Protection of Unborn

Children, consistente in un'ingiunzione che vietava alle società

anzidette, come pure ai loro impiegati o agenti, di aiutare in

alcun modo le donne incinte, soggette alla propria giurisdizio

ne, a recarsi all'estero per eseguire aborti.

Le società intimate, e le altre ricorrenti, adivano la commis

sione, con ricorsi del 10 agosto e del 15 settembre 1988, dedu

cendo la violazione dell'art. 10 della convenzione.

La commissione, dichiarata la ricevibilità dei ricorsi, dopo aver tentato, invano, una composizione amichevole, ha redatto

un rapporto con la constatazione dei fatti, formulando parere, secondo il quale:

l'ingiunzione della corte irlandese ha violato l'art. 10 in dan

no delle società e delle sig. Maher e Downes (otto voti contro

cinque); la medesima violazione sussiste anche nei confronti delle si

gnore X e Geraghty (sette voti contro sei);

Il Foro Italiano — 1994.

non è necessario ulteriore esame dei motivi addotti dalle si

gnore X e Geraghty, con riguardo all'art. 8 (sette voti contro

due e quattro astensioni); non vi è stata violazione dell'art. 8 né dell'art. 14 nei con

fronti della società Open Door (unanimità). Nella procedura avanti alla corte, adita sia dalla commissione

che dal governo irlandese, la società Dublin Well Woman e le

sue consulenti deducavano, per la prima volta, anche la viola

zione dell'art. 8, ma la corte, ricordando che l'ambito della pro

pria competenza è circoscritto dalla decisione della commissio

ne, ha dichiarato l'inesaminabilità del nuovo motivo.

In ordine alle eccezioni preliminari, sollevate dal governo ir

landese, la corte ha ritenuto che non soltanto le società ricor

renti ma anche le consulenti di esse e le cittadine in età feconda

potevano subire le limitazioni imposte con l'ingiunzione dell'au

torità nazionale che toccava direttamente la loro sfera giuridica; ha ritenuto, inoltre, che l'inosservanza del termine di sei mesi

di cui all'art. 26 era stata tardivamente eccepita; osservava, inol

tre, che il mancato esaurimento dei ricorsi interni non rileva

nella specie in esame, in considerazione delle argomentazioni e delle deduzioni della Corte suprema irlandese, a sostegno del

provvedimento dalla stessa disposto. Relativamente al merito la corte, dopo aver premesso che il

governo irlandese ha riconosciuto che l'ingiunzione oggetto di

controversia lede la libertà delle società ricorrenti di comunicare

informazioni e che essa influisce anche sul medesimo diritto delle

consulenti nonché su quello delle ricorrenti X e Geraghty a rice

vere quelle informazioni, ha esaminato se la restrizione in que stione fosse prevista dalla legge e perseguisse fini legittimi, con

cludendo nel senso negativo, dal momento che, pur riconoscen

do che la legge irlandese protegge il diritto alla vita dei nascituri,

lo Stato non possiede, nel campo della tutela della morale, un

potere discrezionale assoluto ed insuscettibile di controllo, ma

tale potere è limitato dalla condizione di compatibilità con la

convenzione e di conseguenza occorre verificare se la restrizione

imposta ai ricorrenti fosse proporzionale rispetto ai fini e neces

saria in una società democratica.

A tale ultimo riguardo, la corte rileva che la libertà di espres sione vale anche per le informazioni o idee che urtino o inquie tino lo Stato o una parte della popolazione e che l'interdizione

della corte irlandese ha carattere assoluto e non consente di scri

minare le diverse situazioni, con riguardo all'età ed allo stato

di salute delle donne interessate, nonché alle ragioni che le pos sano determinare alla decisione di abortire; conseguentemente, con quindici voti contro otto, l'interdizione è stata ritenuta spro

porzionata rispetto ai fini perseguiti e, non rispettosa dell'art.

10, con assorbimento delle censure formulate in relazione agli

art. 8 e 14.

Peraltro, la tesi del governo irlandese, basata sugli art. 17

e 60 e secondo la quale l'art. 10 non può essere interpretato alla stregua di un mezzo per limitare o distruggere il diritto

alla vita del nascituro, cui la legge interna accorda una tutela

speciale, è stata disattesa dalla corte, in considerazione del

fatto che l'ingiunzione non ha vietato anche l'aborto all'estero

né ha vietato che le donne, intezionate ad interrompere la

gravidanza, attingessero le informazioni necessarie da altre

fonti.

Infine, relativamente alle disposizioni di cui all'art. 50, la corte

ha attribuito, con decisione presa con diciassette voti contro

sei, alla società Dublin Well Woman la somma di 25.000 lire

irlandesi a fronte del mancato guadagno, conseguente all'ingiun

zione, oltre alle somme riconosciute ad entrambe le società ri

correnti, a titolo di rimborso delle spese sostenute per la proce

dura interna e per quella di Strasburgo. [S.A.]

XVII

Sentenza 29 ottobre 1992; Pres. Ryssdal; 7. c. Regno unito.

Il 29 settembre 1983, Y., allora quindicenne, studente esterno

di una scuola privata in Inghilterra, mentre si trovava all'inter

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PARTE QUARTA

no della scuola, veniva gettato a terra da un compagno che

inseguiva un altro ragazzo più giovane. In seguito a questo incidente, Y. l'indomani mattina strappa

va la copertina di uno schedario dello stesso compagno.

Per punizione Y. veniva mandato dal direttore, il quale gli

dava quattro colpi di bastone sui glutei sopra i pantaloni.

Appena tornato a casa, sua madre lo conduceva immediata

mente dal medico di famiglia, il quale riscontrava sui glutei del

l'adolescente quattro contusioni ciascuna di circa 15 cm di lun

ghezza e 1,23 cm di larghezza, accompagnate da grossi emato

mi e da gonfiore su ambedue le parti.

La polizia, in un primo tempo, riteneva che si trattasse di

un caso di lesioni e percosse, ma, dopo un esame più approfon

dito, decideva di non perseguire il direttore per il reato di cui

sopra. Nel luglio 1986, un giudice della County Court rigettava l'i

stanza presentata dai genitori del ragazzo in sede civile, con

cui si chiedeva, tra l'altro, il risarcimento dei danni, con l'ag

giunta degli interessi legali, per violenza; si rilevava, infatti, che

i genitori avevano concluso con la scuola un contratto che auto

rizzava l'istituto ad infliggere agli allievi anche dei colpi di ba

stone come mezzi educativi e di correzione.

La forza impiegata per eseguire tale punizione, che non pote va non lasciare traccia, doveva comunque essere adeguatamente

misurata; il giudice, tuttavia, nel caso di specie, non ravvisava

nulla di eccessivo o di anormale, ma, al contrario, riteneva as

solutamente sproporzionata la reazione dei genitori di fronte

all'incidente.

I genitori non impugnavano tale decisione, seguendo il consi

glio del loro avvocato, ad avviso del quale un appello non avreb

be avuto alcuna possibilità di accoglimento.

Y. proponeva, dunque, ricorso alla commissione, assumendo

che la punizione inflitta costituiva una pena degradante contra

ria all'art. 3 della convenzione europea dei diritti dell'uomo e

violava il suo diritto al rispetto della vita privata e familiare,

garantito dall'art. 8 della stessa convenzione.

Assumeva, inoltre, che, contrariamente a quanto disposto dal

l'art. 13 della convenzione, non aveva alcuna possibilità di pre sentare un ricorso avanti ad una magistratura nazionale per de

nunciare la violazione di diritti e libertà riconosciuti dalla con

venzione stessa.

Nel suo rapporto dell'8 ottobre 1991, la commissione ha rite

nuto — otto voti contro due — che vi fosse stata violazione

degli art. 3 e 13, e che non vi fosse motivo di analizzare distin

tamente la presunta violazione dell'art. 8.

II caso è stato portato innanzi alla corte dalla commissione

il 7 dicembre 1991. La corte ha preso atto della composizione amichevole della

controversia cui sono giunti il ricorrente e il governo britanni

co, secondo la quale:

a) senza riconoscere alcuna mancanza rispetto alle esigenze della convenzione, il governo britannico pagherà al ricorrente

8.000 sterline oltre alle spese;

b) il ricorrente rinuncia al suo ricorso di fronte alla corte

e si impegna a non presentare alcuna nuova istanza contro il

governo avanti a giurisdizioni nazionali o internazionali.

La corte, pertanto, non ha ravvisato alcun motivo di ordine

pubblico che impedisca la cancellazione della causa dal ruolo

(art. 49, par. 2 e 4 del regolamento). [S.F.]

XVIII

Sentenza 25 novembre 1992; Pres. Ryssdal; Abdoella c. Pae

si Bassi.

Il 18 gennaio 1983, il ricorrente veniva arrestato e accusato

di istigazione all'omicidio per aver promesso denaro ed eroina

ad un'altra persona, incaricandola di aiutarlo ad uccidere un

terzo. Lo stesso giorno era posto sotto custodia cautelare.

Il 17 maggio 1983, il Tribunale circondariale di La Haye lo

li Foro Italiano — 1994.

riteneva colpevole dei reati a lui contestati e lo condannava a

dodici anni di reclusione, cui doveva essere sottratto il tempo

già trascorso in carcere in attesa del processo.

La corte d'appello, in seguito all'impugnazione proposta dal

sig. Abdoella, il 29 agosto 1983 confermava la sentenza di pri

mo grado. Il sig. Abdoella proponeva ricorso alla Corte di cassazione,

la quale, con sentenza del 15 gennaio 1985, annullava la deci

sione d'appello per vizi procedurali e rinviava il giudizio alla

Corte d'appello di Amsterdam.

L'udienza del 28 giugno fissata di fronte a quest'ultima veni

va rinviata su richiesta del ricorrente e ripresa, con il consenso

dello stesso, il 20 settembre 1985.

Il 4 ottobre 1985, la corte di rinvio riconosceva l'imputato

colpevole e lo condannava a dieci anni di reclusione, cui si do

veva sottrarre il periodo già trascorso in stato di detenzione

in attesa del processo.

Il sig. Abdoella presentava di nuovo ricorso per cassazione,

che veniva respinto dalla Corte suprema con sentenza del 19

maggio 1987.

Successivamente, il segretario di Stato alla giustizia respinge va la domanda di grazia presentata dal ricorrente e la Corte

di cassazione dichiarava inammissibile il ricorso in revisione pre sentato dallo stesso.

La commissione, adita con ricorso del 9 febbraio 1987 —

in cui l'interessato sosteneva che vi fosse stata violazione del

l'art. 6, par. 1 — lo ha dichiarato ricevibile in data 10 aprile 1991.

Dopo aver cercato invano una composizione amichevole della

controversia, nel suo rapporto del 14 ottobre 1991, la commis

sione ha concluso all'unanimità che vi fosse stata violazione

dell'art. 6, par. 1.

Il governo olandese ha investito la corte del caso in data 2

gennaio 1992.

In udienza il governo olandese ha eccepito che il ricorrente

non ha esperito tutti i ricorsi interni per ciò che concerne il

periodo anteriore al secondo giudizio di cassazione.

La corte, tuttavia, in conformità al regolamento di procedu

ra, ha giudicato tale eccezione tardiva in quanto avrebbe dovu

to essere presentata in una fase processuale anteriore.

Entrando nel merito del ricorso, la corte ha ritenuto che, po sto che la procedura si è svolta in ben cinque gradi di giudizio, la durata totale non è da considerarsi irragionevole (quattro an

ni, quattro mesi ed un giorno). Nell'ambito del primo ricorso per cassazione, tuttavia, tra la

data della sentenza della Corte d'appello di La Haye e l'invio

del fascicolo d'ufficio alla Corte suprema di cassazione è tra

scorso un periodo di tempo superiore a dieci mesi; analogamen

te, il secondo ricorso per cassazione è stato esaminato undici

mesi e mezzo dopo la pubblicazione della sentenza della Corte

d'appello di Amsterdam.

Considerato che si sono raggiunti cosi più di ventuno mesi

dei cinquantadue che sono occorsi per raggiungere la definizio

ne dell'intero procedimento, la corte ha ritenuto che questi tem

pi sono assolutamente inaccettabili, trattandosi per di più di

un imputato detenuto, ed ha rilevato, di conseguenza, l'avvenu

ta violazione dell'art. 6, par. 1.

La corte ha ritenuto, inoltre, che la constatazione di una vio

lazione del suddetto articolo costituisca di per sé un'equa soddi

sfazione sufficiente a risarcire qualsiasi danno morale che il ri

corrente sia stato in grado di provare. La corte ha accordato, infine, all'interessato, per spese ed

onorari una somma di 10.901,88 fiorini olandesi, meno 8.825

franchi francesi versati per l'assistenza giudiziaria a Strasburgo.

[S.F.]

XIX

Sentenza 26 novembre 1992; Pres. Ryssdal; Brincat c. Italia.

Il ricorrente, sig. Brincat, è avvocato e membro del parla

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

mento maltese nonché dell'assemblea del consiglio d'Europa. Un cliente del ricorrente, M.S., il 19 novembre 1987 veniva coin

volto in un grave incidente stradale in Italia, sul quale il sig. Brincat riceveva incarico della compagnia di assicurazioni di re

digere un rapporto. Il successivo 5 dicembre il ricorrente si recava con la moglie

del suo assistito (sig. S.) nel luogo in cui la vettura era tenuta

in deposito.

Il proprietario del deposito, avendo visto la sig. S. mentre

tentava di recuperare degli oggetti nascosti dentro al serbatoio

della benzina, chiamava la polizia, la quale rinveniva degli og getti e dei biglietti di banca, tra cui ve ne era uno proveniente dal riscatto pagato per un rapimento.

Il sig. Brincat e la sig. S., dopo essere stati condotti al posto

di polizia, erano posti in stato di arresto e trasferiti l'indomani

al carcere di Lagonegro (Potenza).

Il 7 dicembre il sostituto procuratore interrogava il ricorren

te, assistito da due avvocati, e decideva di convalidare l'arresto.

Il sig. Brincat proponeva reclamo contro tale decisione, ma

il magistrato si dichiarava nel frattempo incompetente ratione

loci e trasmetteva per posta il fascicolo al procuratore di Paola

(Cosenza), che lo riceveva in data 18 dicembre.

Quest'ultimo, nello stesso giorno, spiccava un mandato di cat

tura e ordinava il trasferimento dell'imputato a Cosenza.

Il 28 dicembre il Tribunale di Cosenza, cui il sig. Brincat

aveva proposto ricorso contro il mandato di cattura spiccato

nei suoi confronti, annullava il provvedimento e ordinava la

scarcerazione immediata del sig. Brincat per mancanza di indizi

sufficienti. Il sig. Brincat ha proposto ricorso alla commissione in data

8 gennaio 1988, assumendo l'avvenuta violazione degli art. 3

e 5, par. 3, della convenzione.

Il 13 luglio 1990 la commissione ha dichiarato ricevibili i mo tivi di ricorso che si riferiscono all'art. 5, par. 3, mentre ha

rigettato il resto del ricorso.

Nel suo rapporto del 28 maggio 1991, la commissione ha con

cluso all'unanimità che vi fosse stata violazione della predetta

disposizione della convenzione.

La commissione ha investito la corte del caso in data 12 lu

glio 1991. La corte, per ciò che riguarda la presunta violazione degli

art. 3 e 5, par. 5, ha rilevato che questa esula dai confini della

questione oggetto del giudizio, delimitati dalla decisione della commissione sulla ricevibilità.

Per ciò che concerne, invece, la presunta violazione dell'art.

5, par. 3, il ricorrente sostiene che il sostituto procuratore di

Lagonegro, che lo aveva interrogato e aveva convalidato il suo

arresto avvenuto due giorni prima, non era da considerarsi «un

magistrato» ai sensi dell'art. 5, par. 3.

A questo proposito la corte ha rilevato che, nel caso di spe

cie, il ricorrente non pone in discussione l'indipendenza del pub

blico ministero rispetto all'esecutivo, né assume che questi ab

bia agito in maniera prevenuta; il punto attualmente in discus

sione, invece, è la sua imparzialità oggettiva. Secondo la giurisprudenza della corte, la circostanza per cui

un magistrato competente a statuire sulla detenzione possa in

tervenire nelle ulteriori fasi della procedura a titolo di parte

che promuove l'azione penale rischia di suscitare nei cittadini

sottoposti alla legge penale dubbi più che legittimi circa l'im

parzialità dello stesso magistrato. La corte, sul punto, non ha ritenuto di doversi discostare

da questa giurisprudenza, contrariamente a quanto auspicato

dal governo italiano.

Ha precisato, inoltre, che nella sua valutazione in merito ven

gono prese in considerazione solo ed esclusivamente le circo

stanze obiettive esistenti al momento della decisione sulla deten

zione: se è vero che il magistrato che per legge esercita le fun

zioni giudiziarie può intervenire in una fase successiva del

procedimento come rappresentante dell'autorità promotrice del

l'azione penale, si può giustificatamente dubitare della sua im

parzialità.

Il Foro Italiano — 1994 — Parte IV-8.

E proprio una situazione di questo tipo si presentava il 7 di

cembre 1987, quando il sostituto procuratore di Lagonegro pre se la decisione di convalidare l'arresto del ricorrente. Poco im

porta che successivamente abbia dichiarato la propria incompa tenza territoriale.

Per gli stessi motivi il procuratore di Paola non era nelle con

dizioni di un magistrato che deve statuire sulla detenzione di

un imputato; lo stesso procuratore, peraltro, non ascoltò nem

meno il sig. Brincat prima di spiccare contro di lui il mandato

di cattura.

La corte, pertanto, ha ritenuto che vi sia stata violazione del

l'art. 5, par. 3.

La corte ha respinto la richiesta del ricorrente di risarcimento

dei danni derivanti dal lucro cessante, mancando un collega

mento causale diretto con la violazione accertata, ma ha con

cesso allo stesso, a titolo equitativo, 1000 Lm per danni morali.

Ha accolto, inoltre, parzialmente la domanda di rimborso delle

spese avanzata dal ricorrente di fronte all'autorità giudiziaria italiana (spese di viaggio per un parente, spese ed onorari di

un avvocato maltese, per complessive 821,43 Lm).

Per ciò che concerne, infine, la procedura di fronte agli orga

ni della convenzione, la corte ha ordinato che siano rimborsate

le spese di viaggio dell'interessato (400 sterline); non gli ha con

cesso, viceversa, l'indennità richiesta per il lavoro da lui svolto

attinente la preparazione della sua stessa difesa. [S.F.]

XX

Sentenza 26 novembre 1992; Pres. Ryssdal; Francesco Lom

bardo c. Italia.

Il ricorrente, che ha presentato servizio nell'arma dei carabi

nieri dal 1946 al marzo 1974, data in cui veniva riformato a

causa di due malattie (un'ulcera ed una neoplasia) che lo aveva

no reso invalido, percepisce dal gennaio 1975 una pensione di

vecchiaia ordinaria.

Nel giugno 1974, il sig. Lombardo presentava domanda al

fine di ottenere una «pensione privilegiata ordinaria», in consi

derazione del fatto che le malattie che avevano dato origine

all'invalidità erano interamente dovute a ragioni di servizio.

Il ministro della difesa, con decisione del maggio 1977, am

metteva la pensione privilegiata per una sola delle due malattie,

respingendo in parte le richieste avanzate dal ricorrente.

Con lettera raccomandata del 20 dicembre 1977, il sig. Lom

bardo presentava ricorso avverso tale decisione alla Corte dei

conti, che l'accoglieva con sentenza del 5 febbraio 1989 (deposi

tata in cancelleria il 7 luglio 1989). Il sig. Lombardo in data 3 ottobre 1984 ha proposto ricorso

alla commissione, assumendo che l'esame delle proprie richieste

da parte della Corte dei conti si è prolungato oltre il «tempo

ragionevole» di cui all'art. 6, par. 1, della convenzione.

La commissione ha dichiarato ricevibile il ricorso in data 5

marzo 1990 e, dopo aver tentato invano una composizione ami

chevole della controversia, nel suo rapporto del 10 luglio 1991

ha concluso che, nel caso di specie, vi fosse stata violazione

dell'art. 6, par. 1 (tredici voti contro sei).

La corte è stata investita della causa da parte della commis

sione in data 1° settembre 1991.

In merito all'applicabilità dell'art. 6, par. 1, della convenzio

ne, la corte ha rilevato l'assenza di una nozione europea unifor

me in ordine alla natura giuridica del diritto alle prestazioni

previdenziali. Ciononostante, anche se le contestazioni concernenti l'assun

zione, la carriera ed il collocamento a riposo di funzionari esu

lano, in linea generale, dall'ambito di applicazione dell'art. 6,

par. 1, l'intervento di un'autorità pubblica prevista da legge

o regolamento non ha impedito alla corte in molti altri casi

di concludere per la natura civilistica del diritto in contestazione.

A tal proposito, infatti, è stato precisato che nonostante gli

evidenti aspetti di diritto pubblico, l'attuale controversia con

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PARTE QUARTA

cerne, in buona sostanza, l'obbligo che incombe allo Stato di

corrispondere le pensioni in conformità alla legislazione vigente.

Adempiendo a quest'obbligo, lo Stato non fa uso di preroga tive discrezionali; esso può essere comparato ad un datore di

lavoro che è parte di un contratto disciplinato dal diritto privato. Di conseguenza, il diritto di un carabiniere a percepire una

«pensione privilegiata ordinaria», qualora, ovviamente, sussi

stano tutte le condizioni richieste per legge, deve essere conside

rato come un «diritto di carattere civile», e, come tale, rien

trante nella sfera di applicazione dell'art. 6, par. 1.

In merito all'accertamento dell'avvenuta violazione del pre detto art. 6 nel caso di specie, il periodo da considerare va dal

22 dicembre 1977, data del ricorso alla Corte dei conti, al 7

luglio 1989, data di deposito della sentenza (undici anni e quat tro maesi circa).

La corte ha precisato che il carattere ragionevole di una pro cedura si valuta, da un lato, secondo i criteri stabiliti dalla giu

risprudenza e, dall'altro, avendo riguardo alle circostanze di fatto

delle singole fattispecie. Sotto quest'ultimo profilo, la corte ha rilevato che effettiva

mente le questioni che si sono presentate nel caso del ricorrente

non erano di facile soluzione (si trattava, infatti, di stabilire

se le malattie invalidanti fossero state o meno causate dalla pre stazione del servizio), ma, in ogni caso, non giustificano la ec

cessiva lunghezza della procedura. In merito, poi, alle argomentazioni addotte dal governo, fon

date sul sovraccarico di lavoro delle autorità giudiziarie, la cor

te le ha ritenuto del tutto irrilevanti: l'art. 6, par. 1, della con

venzione obbliga gli Stati contraenti ad organizzare il proprio sistema giudiziario in modo tale da garantire che le autorità

giudiziarie possano soddisfare le esigenze nascenti dal rispetto della convenzione stessa.

La corte, pertanto, ha ritenuto all'unanimità che vi sia stata

violazione dell'art. 6, par. 1.

Non avendo il ricorrente avanzato richiesta di un'equa soddi

sfazione ex art. 50 della convenzione, la questione non richiede

un esame d'ufficio. [S.F.]

XXI

Sentenza 26 novembre 1992\ Pres. Ryssdal; Giancarlo Lom

bardo c. Italia.

In data 11 novembre 1980, il sig. Lombardo impugnava con

ricorso alla Corte dei conti un decreto del ministro di grazia e giustizia che aveva respinto la sua domanda di revisione della

pensione da lui percepita quale magistrato a riposo. Nella stessa sede, il ricorrente sollevava questione di legittimi

tà costituzionale di disposizioni di legge che creavano disparità tra le pensioni corrisposte ad individui aventi lo stesso grado e la stessa anzianità di servizio, ma collocati a riposo in date

differenti.

Il procedimento veniva sospeso in attesa che la Corte costitu zionale si pronunciasse su questioni riguardanti le stesse dispo sizioni normative, risolte con pronunce di incostituzionalità del

marzo 1984 e dell'aprile 1988.

La Corte dei conti, in virtù di tali pronunce abrogative delle

predette disposizioni di legge, con sentenza del 13 marzo 1989

(pubblicata in data 20 marzo 1989) accoglieva in parte la do

manda del ricorrente, ordinando, di conseguenza, la revisione

della sua pensione, con l'aggiunta di rivalutazione monetaria

ed interessi legali sulle somme dovute.

Il sig. Lombardo ha proposto ricorso alla commissione in

data 29 luglio 1986, assumendo che la durata dell'intero proce dimento di fronte alla Corte dei conti avesse superato il «termi ne ragionevole» di cui all'art. 6, par. 1, della convenzione.

Il ricorso è stato dichiarato ricevibile in data 9 novembre 1990.

Dopo aver tentato invano una composizione amichevole della

controversia, la commissione, nel suo rapporto del 14 ottobre

1981, ha concluso all'unanimità che nel caso in questione vi

fosse stata violazione dell'art. 6, par. 1.

Il Foro Italiano — 1994.

La corte è stata investita della causa da parte della commis

sione il 13 dicembre 1991.

In ordine all'applicabilità dell'art. 6, par. 1, al caso di specie, si veda quanto affermato dalla corte nella sentenza del 26 no

vembre 1992, caso F. Lombardo c. Italia (riportata sub XX). In merito all'accertamento della violazione del suddetto arti

colo della convenzione, il periodo da considerare ha inizio I'll

novembre 1980 (data di deposito del ricorso alla Corte dei con

ti) e termina il 20 marzo 1989 (data di pubblicazione della

sentenza). La corte ha rilevato che, in effetti, nel caso in esame le que

stioni sollevate di fronte alla Corte costituzionale presentavano una certa complessità, ma questo certo non giustifica gli otto

anni e quattro mesi di durata dell'intero procedimento (in meri

to alle argomentazioni addotte dal governo, si veda la sentenza

26 novembre, F. Lombardo c. Italia, cit.). La corte, pertanto, ha ritenuto all'unanimità che vi è stata

violazione dell'art. 6, par. 1 della convenzione.

Per ciò che concerne, infine, la richiesta di risarcimento per il pregiudizio subito ex art. 50 della convenzione, la corte ha

ammesso che il ricorrente ha subito un danno morale, ma, nel

caso di specie, ha ritenuto che l'accertamento di una violazione

dell'art. 6, par. 1, della convenzione costituisca già di per sé

stessa un'equa soddisfazione. [S.F.]

XXII

Sentenza 27 novembre 1992\ Pres. Ryssdal; Olsson c. Svezia.

I ricorrenti, una coppia di coniugi svedesi, Stig e Gun Ols

son, hanno tre figli: Stefan, Helena e Thomas, nati rispettiva mente in giugno 1971, dicembre 1976 e gennaio 1979.

Nel settembre 1980, tutti e tre i bambini venivano sottratti

alla potestà dei genitori dall'assistenza pubblica, che provvede va a collocarli in affidamento presso famiglie diverse.

La Corte amministrativa d'appello nel febbraio 1987 restitui

va Stefan ai suoi genitori; una decisione analoga veniva adotta

ta nel giugno 1987 nei riguardi di Helena e Thomas.

I provvedimenti di allontanamento dei bambini dalla famiglia erano stati precedentemente oggetto di un'altra causa di fronte

alla Corte europea, la quale, con sentenza del 24 marzo 1988, aveva stabilito che le modalità con cui erano stati eseguiti i sud

detti provvedimenti erano in contrasto con le disposizioni del

l'art. 8 della convenzione, mentre li aveva ritenuti del tutto le

gittimi nel merito.

In seguito, la Corte amministrativa suprema e altre autorità

amministrative e giudiziarie avevano deciso di impedire ai ricor

renti di riprendere Helena e Thomas dalle famiglie affidatane, in quanto, a loro avviso, un repentino cambiamento avrebbe

nuociuto alla salute fisica e mentale degli stessi bambini (art. 28 della legge svedese sui servizi sociali); era stato stabilito, inol

tre, che fosse drasticamente limitato il diritto di visita dei genitori.

Questi nuovi provvedimenti erano oggetto di vari giudizi di

fronte ai tribunali amministrativi svedesi, nel corso dei quali veniva designato per due volte un curatore ad litem per i bambini.

Nell'agosto 1987, i coniugi Olsson presentavano di nuovo do

manda, ma senza successo, per riottenere l'affidamento di He

lena e Thomas, ai sensi del cap. 21 del codice del diritto di

famiglia svedese.

Nel gennaio 1991, in seguito alla richiesta presentata dal con

siglio sociale di distretto, il Tribunale del distretto di Alingsas affidava definitivamente i due bambini alle rispettive famiglie adottive, decisione successivamente confermata dalla Corte d'ap

pello della Svezia occidentale nel gennaio 1992. Nel momento

in cui era stata emessa tale decisione, non erano stati ancora

esaminati i ricorsi dei coniugi Olsson contro lo stesso provvedi mento e contro altri provvedimenti che avevano vietato il ritor no dei bambini nella famiglia d'origine e avevano ristretto ulte

riormente il diritto di visita. In data 23 ottobre 1987, i coniugi Olsson hanno presentato

ricorso alla commissione, assumendo non solo l'avvenuta viola

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

zione dell'art. 8 sotto vari profili, ma anche che i servizi sociali

hanno ostacolato sia la ricostituzione del loro nucleo familiare

sia il semplice contatto con Helena e Thomas. Nello stesso ri

corso, inoltre, si afferma l'avvenuta violazione degli art. 6, 13

e 53 della convenzione.

La commissione ha dichiarato ricevibile il ricorso in data 7

maggio 1990.

Dopo aver tentato invano una composizione amichevole della

controversia, la commissione, nel suo rapporto del 17 aprile

1991, ha stabilito che:

a) vi fosse stata violazione dell'art. 8, in forza del fatto che

le restrizioni al diritto di visita imposte ai genitori nei confronti

dei bambini non erano previste da alcuna disposizione normati

va (unanimità); b) vi fosse stata violazione dell'art. 8 per ciò che riguarda

il divieto di riprendere i bambini dalle famiglie affidatarie (di ciassette voti contro tre);

c) vi fosse stata violazione dell'art. 6, par. 1, considerato che

i ricorrenti non avevano a disposizione alcun tipo di impugna zione da proporre avverso i provvedimenti restrittivi del loro

diritto di visita (unanimità); d) non vi fosse stata violazione dell'art. 6, par. 1, della con

venzione in ordine alla durata della procedura relativa alla re

voca dell'affidamento di Stefan, Helena e Thomas (quattordici voti contro sei);

e) non vi fosse stata violazione dell'art. 6, par. 1, in conside

razione del fatto che la Corte amministrativa suprema non ha

tenuto udienza per esaminare il ricorso proposto dai coniugi

Olsson contro il divieto di riprendere i bambini (diciannove voti

contro uno);

g) non vi fosse stata violazione dell'art. 6, par. 1, per ciò

che riguarda la nomina del primo curatore ad litem (unanimità);

0 non vi fosse necessità di considerare l'eventualità di una

violazione dell'art. 1 sotto il profilo delle restrizioni al diritto

di visita nei confronti dei bambini (unanimità); j) non vi fosse stata violazione dell'art. 13 per ciò che riguar

da la prima nomina del curatore ad litem (unanimità).

Il governo svedese ha investito la corte della causa in data

20 agosto 1991.

La corte, in primo luogo, ha ritenuto di dover limitare l'og

getto del giudizio a quei motivi di ricorso riguardanti: il divieto

imposto ai genitori di riprendere i bambini; il mantenimento

di tale divieto e le restrizioni al diritto di visita; la durata dei procedimenti interni e la mancanza di un'udienza di discussione

dell'appello proposto di fronte alla Corte amministrativa supre

ma, nonché l'assenza di ricorsi effettivi da proporre avverso

alcuni tipi di provvedimento. Non sono stati esaminati, pertanto, tutta una serie di motivi

di ricorso presentati dai coniugi Olsson in un momento succes

sivo alla decisione sulla ricevibilità del ricorso stesso da parte

della commissione.

In ordine alla violazione dell'art. 8 della convenzione, la cor

te ha ritenuto che i provvedimenti concernenti il divieto impo sto ai genitori di riprendere i propri bambini e le restrizioni

al diritto di visita costituiscono senza dubbio ingerenze nell'e

sercizio, da parte dei ricorrenti, del loro diritto al rispetto della

vita familiare.

Tali ingerenze, tuttavia, proprio ai sensi dell'art. 8 della con

venzione, trovano la loro giustificazione in precise disposizioni

normative svedesi in materia, e, precisamente, in una legge del

1990. Di conseguenza, solo i provvedimenti restrittivi del diritto di

visita adottati anteriormente all'entrata in vigore della predetta

legge del 1990 (e cioè quelli adottati dal 23 giugno 1987 al 1°

luglio 1990) sono da ritenere contrastanti con le disposizioni

di cui all'art. 8. La corte, del resto, ha rilevato che tali provvedimenti aveva

no come unico e legittimo scopo quello di proteggere la salute,

i diritti e le libertà dei bambini. Secondo i ricorrenti, infine, le misure adottate dalle autorità

svedesi nei loro confronti non costituiscono ingerenze «necessa

II Foro Italiano — 1994.

rie in una società democratica».

La corte, sotto questo profilo, ha rilevato che le motivazioni

addotte dalle autorità svedesi a sostegno della decisione di im

pedire che i bambini venissero tolti alle famiglie affidatarie so

no pertinenti alla luce di quanto disposto dall'art. 8 della con

venzione (lo scopo ultimo era, infatti, quallo di garantire la

salute psico-fisica dei bambini). Per ciò che concerne, poi, la questione se tali motivazioni

siano, oltre che pertinenti, anche sufficienti a giustificare l'ado

zione di simili provvedimenti, la corte ha rilevato che un giudi zio sul punto deve necessariamente essere preceduto dalla consi

derazione della ragione per cui i contatti tra i ricorrenti e i bam

bini che dovevano precedere la riunione dell'intera famiglia siano

stati sempre inferiori alle esigenze reali.

In buona sostanza, si tratta di stabilire se le autorità svedesi,

sempre tenendo conto di un certo margine di discrezionalità a

loro concesso, hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per

apprestare i preparativi necessari alla ricostituzione del nucleo

familiare.

Sul punto, la corte ha rilevato che i giudici svedesi che hanno

avuto occasione di esaminare il caso in questione hanno sempre

presentato i ricorrenti come i principali responsabili dell'inido

neità di questi contatti preparatori.

Da ciò discende che il mantenimento dei provvedimenti re

strittivi del diritto di visita e che impediscono di riprendere i bambini dalle famiglie affidatarie è da considerarsi sufficiente

mente motivato.

Alla luce di quanto esposto, pertanto, la corte ha ritenuto

che vi sia stata violazione dell'art. 8 solo per ciò che riguarda

le restrizioni al diritto di visita imposte tra il 23 giugno 1987

e il 1° luglio 1990 (unanimità); non ha ritenuto, viceversa, sus

sistente tale violazione per ciò che concerne il divieto di ripren dere i bambini alle famiglie adottive e le restrizioni al diritto

di visita imposte dopo il 1° luglio 1990 (sei voti contro tre). In ordine alla presunta violazione dell'art. 53 della conven

zione da parte del governo svedese (il quale, secondo quanto assunto dal ricorrente, non avrebbe rispettato le statuizioni del

la corte in merito al precedente ricorso proposto dagli stessi

coniugi Olsson), la corte ha richiamato il contenuto della riso

luzione OH (88)18 del 26 ottobre 1988 con cui il comitato dei

ministri ha stabilito che il governo svedese ha ottemperato alle

decisioni prese dalla corte con sentenza del 24 marzo 1988.

La corte ha rilevato, inoltre, che i motivi di ricorso riguar

danti l'art. 53 sollevano in realtà nuovi problemi, estranei alla

precedente sentenza della corte, ma esaminati in occasione della

proposizione dell'attuale ricorso, anche se poi giudicati infondati.

In ordine alle pretese violazioni dell'art. 6, par. 1, della con

venzione, la corte ha ritenuto (all'unanimità), senza che vi fos

sero contestazioni sul punto, che l'assenza di un'azione giudi

ziaria da esperire nei confronti dei provvedimenti restrittivi del

diritto di visita adottati tra il 23 giugno 1987 e il 1° luglio 1990, costituisca una violazione del predetto art. 6.

Per ciò che riguarda, invece, il rispetto del «termine ragionevo le» di cui allo stesso art. 6, par. 1, la corte ha ritenuto che la du

rata globale del procedimento relativo ad uno dei due ricorsi pro

posti dai coniugi Olsson per la revoca dell'affidamento all'assi

stenza pubblica dei bambini, non deve essere considerato eccessivo.

In merito, invece, al procedimento introdotto dai ricorrenti

ai sensi dell'art. 21 del codice della famiglia svedese al fine di

ottenere la restituzione dei bambini, la corte ha ritenuto che,

pur trattandosi di un giudizio concernente l'esercizio di un de

terminato diritto e non l'accertamento della sua esistenza o del

suo contenuto, esso ha comunque influito in modo decisivo sul

l'esercizio da parte dei ricorrenti della potestà sulla prole; la

stessa corte, tuttavia, non ha giudicato eccessiva la durata del

suddetto procedimento.

Anche in riferimento alla nomina del secondo curatore, il pro

cedimento si è concluso in un «termine ragionevole».

La corte, pertanto, ha concluso all'unanimità che sotto tali

profili non vi sia stata alcuna violazione dell'art. 6, par. 1, della

convenzione.

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PARTE QUARTA

Per ciò che riguarda gli altri motivi di ricorso vertenti sul

l'art. 6, par. 1, della convenzione, non essendo stati ripresi da

gli interessati di fronte alla corte, quest'ultima non ha ritenuto

necessario esaminarli d'ufficio (unanimità).

La corte, infine, ha riconosciuto ai ricorrenti la somma di

50.000 corone svedesi per danni morali e 55.000 corone svedesi

per spese, meno 6.900 già ricevuti da parte del consiglio d'euro

pa per l'assistenza in giudizio. [S.F.]

XXIII

Sentenza 27 novembre 1992\ Pres. Ryssdal; M.R. c. Italia.

M.N., marito della ricorrente (entrambi cittadini italiani), fun zionario del ministero delle finanze in pensione dal 1973, in

virtù di un decreto del ministro delle finanze del 14 aprile 1980,

a seguito di una serie di procedure durate in totale venticinque

anni, otteneva il riconoscimento retroattivo ad essere inquadra

to in una categoria superiore, e, di conseguenza, il diritto a

percepire la differenza di retribuzione corrispondente.

Il 19 ottobre 1984, la ricorrente, in qualità di erede di M.N.

nel frattempo deceduto, adiva il Tar del Lazio al fine di ottene

re la condanna del ministero del tesoro e dell'Enpas al versa

mento della somma dovuta a titolo di rivalutazione degli stipen di riconosciuti al marito a seguito della ricostituzione della car

riera operata dal sopracitato decreto del ministro delle finanze.

Il Tar del Lazio, con sentenza pubblicata in data 24 settem

bre 1987, accoglieva le richieste della ricorrente e condannava,

di conseguenza, il ministero delle finanze e l'Enpas al versa

mento di un somma secondo le modalità da lui stesso indicate.

M.C. ha proproposto ricorso alla commissione in data 10 giu

gno 1987 lamentando l'eccessiva durata della procedura di fronte

al Tar del Lazio e assumendo, di conseguenza, l'avvenuta viola

zione dell'art. 6, par. 1, della convenzione.

La commissione, dopo aver dichiarato ricevibile il ricorso in

data 14 ottobre 1991, nel suo rapporto dell'8 aprile 1992, ha

concluso all'unanimità che vi fosse stata violazione del predetto art. 6.

La corte, avendo più volte invano invitato la ricorrente a ma

nifestare le sue intenzioni circa la prosecuzione o meno del pro

cedimento, ha rilevato che il silenzio mantenuto dalla stessa ri

corrente costituisce una circostanza tale da far supporre l'avve

nuta soluzione amichevole della controversia.

La corte, pertanto, non ha ravvisato alcun motivo di ordine

pubblico che impedisce la cancellazione della causa dal ruolo

(unanimità). [S.F.]

XXIV

Sentenza 16 dicembre 1992; Pres. Ryssdal; Hennings c.

Germania.

Il 15 aprile 1984, il ricorrente, di nazionalità tedesca, a bordo

di un treno che lo conduceva da Kurfstein, in Austria, a Mona

co, aveva un alterco con il controllore, la quale — si tratta,

infatti, di una donna — impossessatasi del documento di rico

noscimento del sig. Hennings, veniva da quest'ultimo rincorsa

e percossa in modo tale da risultare per alcuni giorni inabile

al lavoro.

Il 9 agosto 1984, in seguito alle indagini svolte dalla polizia di frontiera di Kiefersfelden, la procura presso il Tribunale re

gionale di Traunstein informava l'interessato di essere stato messo

sotto accusa per violenza, concedendogli, comunque, la possibi lità di evitare la sottoposizione a processo penale mediante pa

gamento di un'ammenda di 300 marchi.

Il sig. Hennings, non avendo provveduto tempestivamente al

pagamento dell'ammenda richiesta, veniva sottoposto a proce dimento penale all'esito del quale, con ordinanza penale del 7

novembre 1984, emessa al termine di un procedimento somma

li Foro Italiano — 1994.

rio, il Tribunale di Rosenheim lo condannava al pagamento di

un'ammenda di 40 marchi al giorno per venticinque giorni per

violazione nonché per percosse e lesioni, reato quest'ultimo non

menzionato fino a quel momento.

L'ordinanza veniva notificata al ricorrente, assente al momento

del passaggio del fattorino, mediante avviso, depositato nella

cassetta delle lettere in data 12 novembre 1984, con cui era invi

tato a ritirare il plico giacente presso l'ufficio postale di Obe

raudorf.

Sull'avviso, peraltro, si sottolineava che il deposito del docu

mento presso l'ufficio postale in attesa di ritiro valeva come

notifica, a prescindere dalla conoscenza effettiva da parte del

destinatario, e che, pertanto, da quel momento cominciava a

decorrere il termine utile per proporre opposizione al provvedi

mento ivi contenuto.

Il 26 novembre 1984, nonostante il termine di decadenza di

due settimane previsto dalla legge fosse ormai decorso, il ricor

rente proponeva opposizione all'ordinanza penale di condanna

e chiedeva di essere rimesso in termini assumendo di non aver

avuto conoscenza tempestiva del provvedimento per causa a lui

non imputabile.

In data 6 dicembre, il Tribunale di Rosenheim respingeva tale

richiesta, affermando che il ricorrente avrebbe potuto proporre

opposizione lo stesso giorno in cui aveva ritirato il plico presso l'ufficio postale di Oberaudorf, il 19 novembre, e, quindi, in

termini, e che, comunque, la suddetta opposizione era stata pro

posta ben oltre il termine legale di sette giorni a partire dalla

data in cui l'impedimento era cessato.

In seguito, il ricorrente presentava ricorso sia al Tribunale

regionale di Traunstein (24 gennaio 1985) sia alla Corte costitu

zionale federale (17 ottobre 1985): ambedue i ricorsi venivano

respinti. Adita il 16 aprile 1986, la commissione dichiarava ricevibile

il ricorso in data 4 settembre 1990.

Dopo aver tentato invano un'amichevole composizione della

controversia, la commissione nella sua memoria presentata il

30 maggio 1991, contenente la descrizione dei fatti di causa,

si è espressa nel senso che nella fattispecie, contrariamente a

quanto assunto dal ricorrente, non vi fosse stata violazione né

dell'art. 6, par. 1, della convenzione (nove voti contro quattro) né del combinato disposto del suddetto articolo con l'art. 14

(dodici voti contro uno). Investita del caso, la corte, in riferimento al preteso diniego

d'accesso al tribunale (violazione dell'art. 6, par. 1 e 3, a, b

e c), ha ritenuto che l'autorità giudiziaria tedesca non ha impe dito in alcun modo al ricorrente di rivolgersi ad un tribunale:

è piuttosto il ricorrente stesso che, a causa della sua negligenza, non ha provveduto a ritirare tempestivamente la corrisponden za a lui diretta, precludendosi, cosi, la possibilità di rispettare i termini perentori fissati dal diritto tedesco per proporre oppo sizione ad ordinanza penale di condanna.

La corte, infine, con voto unanime, ha ritenuto di non dover

esaminare il motivo di ricorso concernente una pretesa violazio

ne dell'art. 14 (divieto di discriminazione), combinato con l'art.

6, essendo tale motivo assorbito da quello più ampio riguardan te il diniego d'accesso ad un tribunale. [S.F.]

XXV

Sentenza 16 dicembre 1992\ Pres. Ryssdai; Niemetz c.

Germania.

In data 9 dicembre 1985, in occasione della celebrazione di un processo per ingiuria a carico di M.J. (che, in qualità di datore di lavoro, si era rifiutato di trattenere dallo stipendio dei suoi dipendenti, e poi di versare al fisco, l'imposta ecclesia

stica, su di essi gravante), veniva spedita via telex all'ufficio

postale di Friburgo una lettera indirizzata al giudice Miosge del

Tribunale cantonale di Freising. La lettera portava la firma di un tale «Klaus Wegner» —

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

forse un nome di fantasia — accompagnata dalle parole «a no

me del gruppo anticlericale della Bunte Liste di Friburgo». Il ricorrente, sig. Niemetz, esercente la professione di avvoca

to, era stato per qualche anno presidente della Bunte Liste, un

partito politico locale, ed anche il collega con cui divideva lo

studio legale aveva militato nello stesso partito. A causa del tenore della lettera, Klaus Wegner veniva accusa

to di ingiuria dalla Procura di Monaco, la quale, tuttavia, non

riusciva a rintracciarlo al fine di notificargli il mandato di com parizione.

Il Tribunale cantonale di Monaco, nel corso della fase istrut

toria, in data 8 agosto 1986, ordinava che fosse perquisito lo

studio del ricorrente e che fossero sequestrati tutti i documenti

che potessero rivelare la vera identità di Klaus Wegner. Tanto si era reso necessario a causa del fatto che fino al 1985

la corrispondenza postale destinata alla Bunte Liste era inviata

ad un casella postale il cui contenuto veniva poi trasmesso allo

studio del sig. Niemetz.

In seguito alla perquisizione, avvenuta in data 13 novembre

1986, venivano sequestrati quattro schedari contenenti dati su

alcuni clienti e venivano esaminati sei fascicoli, ma non si rinve niva alcun documento rilevante ai fini dell'indagine.

Il 27 marzo 1987, il Tribunale regionale di Monaco I dichia

rava inammissibile il ricorso presentato dal sig. Niemetz nei con

fronti del mandato di perquisizione, a causa del fatto che, es

sendo stato quest'ultimo già eseguito, non vi era più alcun inte

resse a constatarne l'illegittimità.

Il tribunale rilevava, inoltre, che non era logico pensare che

la corrispondenza postale destinata alla Bunte Liste potesse ri

guardare, in realtà, rapporti tra avvocato e clienti.

Il 18 agosto 1987 la Corte costituzionale federale dichiarava

inammissibile il ricorso del sig. Niemetz contro il mandato di

perquisizione e contro la decisione del tribunale regionale, non

essendo fornito di basi sufficienti ad ottenere una pronuncia

favorevole.

La commissione, adita dal sig. Niemetz in data 15 febbraio

1989, ha dichiarato ricevibile il ricorso il 5 aprile 1990.

Dopo aver tentato invano una composizione amichevole della

controversia, la commissione, nel suo rapporto del 29 maggio

1991, ha concluso all'unanimità che vi fosse stata violazione

dell'art. 8 della convenzione e che non vi fosse motivo di esami

nare distintamente la questione relativa alla violazione dell'art.

I del prot. n. 1.

La corte, investita della causa in data 12 luglio 1991, ha sta

bilito, in primo luogo, che vi sia stata una illegittima ingerenza

nei diritti riconosciuti al ricorrente dall'art. 8, respingendo, co

si, le argomentazioni del governo tedesco, ad avviso del quale

tale norma non offrirebbe alcuna protezione nei confronti di

una perquisizione effettuata nello studio di un avvocato.

Sul punto la corte rileva che:

a) Il rispetto della vita comprende, in una certa misura, il

diritto dell'individuo di stringere e sviluppare relazioni con i

suoi simili. Non vi è, dunque, alcun motivo di considerare estranee alla

nozione di «vita privata» le attività professionali e commerciali:

è proprio nell'ambito lavorativo, infatti, che la maggior parte

della gente ha occasione di allacciare relazioni sociali.

Si rischierebbe di giungere ad una ingiustificata differenza di

trattamento laddove si escludessero dal beneficio accordato dal

l'art. 8 le attività professionali: tale protezione continuerebbe

ad operare in favore di un individuo di cui non si possono scin

dere le attività professionali da quelle non professionali.

b) In alcuni degli Stati contraenti si ritiene che il termine «ho me» si estenda anche ai locali in cui si svolge l'attività profes

sionale dell'individuo, interpretazione che corrisponde alla ver

sione francese dell'art. 8 («domicile»). Se si attribuisse un senso più ristretto al termine «domicilio»

si rischierebbe di creare lo stesso trattamento ingiustamente dif

ferenziato di cui al punto a).

c) L'interpretazione delle parole «vita privata» e «domicilio»

II Foro Italiano — 1994.

come comprensive dei locali e delle attività professionali e com

merciali che vi si svolgono risponderebbe alla ratio sottesa al

l'art. 8; gli Stati contraenti conserverebbero, pur sempre, il di

ritto di «ingerenza» ai sensi del par. 2 della stessa disposizione.

d) Risulta, inoltre, dalle circostanze di causa che le operazio ni di perquisizione hanno anche riguardato la «corrispondenza» ai sensi dell'art. 8.

Ad avviso della corte, l'ingerenza da parte delle autorità giu diziarie tedesche era si «prevista dalla legge» e perseguiva scopi

legittimi ai sensi del par. 2 dell'art. 8, ma non si poneva certo

come «necessaria in una società democratica».

La corte, in particolare, ha ritenuto che, vista la natura degli

oggetti esaminati, la perquisizione ha leso il segreto professio nale in una misura sproporzionata rispetto alle esigenze delle

indagini. La corte, pertanto, ha concluso che vi sia stata violazione

dell'art. 8.

Per ciò che riguarda la presunta violazione dell'art. 1 del prot. n. 1, lamentata dal ricorrente per il fatto che la perquisizione ha nuociuto alla sua reputazione di avvocato, la corte ha rite

nuto che non si tratti di una questione da esaminare separa

tamente.

Per ciò che concerne, infine, la richiesta di indennizzo for

mulata dal ricorrente ai sensi dell'art. 50, la corte ha stabilito

che non è stato possibile determinare l'entità né di eventuali

danni materiali né di spese sostenute.

L'accertamento di una violazione dell'art. 8, peraltro, costi

tuisce un'equa soddisfazione per qualsiasi danno morale che l'in

teressato possa aver subito. [S.F.]

XXVI

Sentenza 16 dicembre 1992; Pres. Ryssdal; Hadjianastassiou

c. Grecia.

Il sig. Hadjianastassiou, ingegnere aeronautico greco, presta va servizio nell'areonautica militare in qualità di ufficiale.

Il 22 ottobre 1984, il Tribunale permanente dell'aeronautica

di Atene lo riconosceva colpevole di aver divulgato segreti mili

tari per il fatto di aver comunicato ad una società privata uno

studio sui missili guidati. Ad avviso del tribunale, quello studio

conteneva elementi di una precedente ricerca che il ricorrente

aveva effettuato per conto dell'aeronautica militare.

L'interessato impugnava la sentenza di fronte alla Corte d'ap

pello militare, la quale, dopo un'udienza pubblica, esaminava

in un'udienza a porte chiuse una serie di domande poste dal

presidente, cui veniva risposto si o no.

La sentenza, letta in udienza pubblica, condannava il ricor

rente a cinque anni di reclusione per divulgazione di segreti mi

litari di importanza minore.

Il 26 novembre 1985, l'interessato proponeva ricorso per cas

sazione per erronea interpretazione ed applicazione delle dispo

sizioni normative del codice penale militare, anche se solo suc

cessivamente a tale data, e cioè nel gennaio 1986, riusciva ad

avere copia del verbale dell'udienza a porte chiuse svoltasi di

nanzi alla Corte d'appello militare che conteneva l'esposizione

precisa dei motivi della sua condanna.

Il ricorrente, pertanto, in una memoria presentata alla Supre

ma corte, affermava che non era stato in grado di formulare,

nel breve termine di cinque giorni dal giorno della pronuncia

della corte d'appello a lui concesso per proporre ricorso per

cassazione, motivi di impugnazione sufficientemente chiari e pre

cisi, in considerazione del fatto che non aveva avuto modo di

prendere visione prima del decorso del suddetto termine dell'in

tera motivazione della sentenza di condanna.

Ciononostante, la Corte di cassazione, giudicando i motivi

di gravame troppo vaghi, respingeva il ricorso.

Adita dal sig. Hadjianastassiou in data 17 dicembre 1986, la commissione ha dichiarato ricevibile il ricorso il 4 ottobre 1990.

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PARTE QUARTA

La stessa, dopo aver tentato invano una composizione ami

chevole della controversia, nei suo rapporto del 6 giugno 1991,

ha ritenuto all'unanimità che vi fosse stata violazione dell'art.

6, par. 3, lett. b), della convenzione, in combinato disposto con l'art. 6, par. 1, ma non che vi fosse stata violazione del

l'art. 10.

La corte è stata investita della causa da parte della commis

sione in data 12 luglio 1991.

In merito alla violazione dell'art. 6, par. 2 e 3, lett. ti), della

convenzione, il ricorrente ha denunciato la mancanza di moti

vazione nella sentenza letta dal presidente della Corte d'appello militare e l'estrema brevità del termine a lui concesso per pro

porre ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza. Egli

era venuto a conoscenza, infatti, dei motivi della sua condanna

solo il giorno in cui il cancelliere gli aveva trasmesso il verbale

dell'udienza, e ciò aveva causato il rigetto del suo ricorso per cassazione.

La corte, in primo luogo, ha rilevato che se è vero che l'art.

93, par. 3, della Costituzione greca stabilisce che tutte le pro nunce di autorità giurisdizionali devono necessariamente essere

motivate in modo chiaro e circostanziato, è vero anche che il

par. 5 dello stesso articolo prevede che il rispetto di tale esigen

za, per le giurisdizioni militari, sia subordinata all'adozione di

una legge speciale. In attesa di questa legge, la Corte di cassazione può control

lare l'esatta applicazione del diritto penale da parte delle sud

dette giurisdizioni solo attraverso i quesiti posti dai presidenti del collegio e le risposte fornite dai membri dello stesso colle

gio, dalle quali si potranno dedurre le motivazioni della pro nuncia.

La corte europea, tuttavia, ha rilevato che se gli Stati con

traenti godono di un ampio margine di libertà nella scelta dei

mezzi idonei a permettere al proprio sistema giudiziario di ri

spettare gli imperativi posti dall'art. 6 della convenzione, i giu dici devono indicare in ogni caso con sufficiente chiarezza i mo

tivi su cui fondano le proprie decisioni; è solo cosi, infatti, che

l'imputato potrà esperire contro di esse i mezzi di gravame a

sua disposizione. Nel caso di specie, la sentenza letta dal presidente della Corte

d'appello militare, da un lato, non conteneva alcun riferimento

ai quesiti esaminati a porte chiuse, e, dall'altro lato, non conte

neva le stesse statuizioni della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale permanente dell'aeronautica militare.

Pertanto, nel formulare ricorso presentato nel termine di cin

que giorni previsto dall'art. 425, par. 1, del codice penale mili

tare, il sig. Hadjianastassiou non ha potuto fare altro che ba

sarsi su ciò che aveva inteso nel corso del dibattito svoltosi in

udienza pubblica, non avendo modo di specificare ulteriormen

te i motivi di gravame. Il diritto di difesa, cosi, ha subito limitazioni tali da impedire

che il sig. Hadjianastassiou beneficiasse di un equo processo. La corte, pertanto, ha ritenuto all'unanimità che vi sia stata

violazione dell'art. 6, par. 3, in combinato disposto con il par. 1. Per ciò che riguarda la lamentata violazione dell'art. 10, la

corte ha rilevato che la libertà di espressione, intesa nel senso

di cui al citato art. 10, vale sia per i militari che per tutti gli altri soggetti sottoposti alla giurisdizione degli Stati contraenti.

Pertanto, la condanna inflitta al ricorrente dal Tribunale per manente dell'aeronautica — poi ridotta dalla Corte d'appello militare — per aver divulgato informazioni militari di impor tanza minore ha costituito un'ingerenza nell'esercizio del diritto

alla libertà di espressione del ricorrente stesso.

Tali ingerenze sono vietate dall'art. 10 della convenzione, tran

ne nel caso in cui siano «previste per legge», siano dirette ad

uno degli scopi di cui al par. 2 e siano «necessarie in una socie

tà democratica».

La corte sul punto, in primo luogo, ha rilevato che nel caso

di specie l'ingerenza era prevista dalla legge, considerato che

la Corte d'appello militare non ha fatto altro che applicare cor

rettamente il dettato normativo degli art. 97 e 98 del codice

penale militare.

Il Foro Italiano — 1994.

La condanna inflitta al ricorrente, inoltre, tendeva palesemente a reprimere le divulgazioni di informazioni su progetti militari

segreti, a proteggere, dunque, la «sicurezza nazionale», scopo

questo senz'altro legittimo alla luce dell'art. 10, par. 1.

Per ciò che riguarda, poi, la necessità di tale condanna in

una società democratica, la corte ha considerato che, trattando

si nel caso di specie di un progetto di fabbricazione di missili teleguidati, la divulgazione dell'interesse di uno Stato per un

siffatto tipo di arma, nonché la divulgazione delle conoscenze

tecniche connesse — idonee a fornire indicazioni sul grado di

avanzamento della fabbricazione — possono senza dubbio cau

sare un grave pregiudizio alla sicurezza nazionale.

D'altra parte, si deve anche tener conto delle peculiarità della

vita militare, dei «doveri» e delle «responsabilità» proprie dei

membri delle forze armate.

Ciò considerato, l'interessato, responsabile di un programma di sperimentazione di un missile, si trovava vincolato da un ob

bligo di riservatezza per tutto ciò che concerneva l'esercizio del

le sue funzioni.

Alla luce di quanto sopra esposto, non si può certo affermare

che le decisioni delle autorità giudiziarie militari greche abbiano

oltrepassato il margine di discrezionalità concesso agli Stati in

materia di sicurezza nazionale.

La corte, pertanto, ha ritenuto all'unanimità che non vi sia

stata violazione dell'art. 10.

Per ciò che riguarda, infine, la richiesta di risarcimento avan

zata dal ricorrente, ai sensi dell'art. 50 della convenzione, la

corte ha ritenuto all'unanimità che debbano essere rimborsate

le spese relative al giudizio di cassazione e quello svoltosi a Stra

sburgo, nella misura di 29.260 franchi francesi e 590.000 drac

me. [S.F.]

XXVII

Sentenza 16 dicembre 1992; Pres. Ryssdal; Sainte-Marie c.

Francia.

Il 31 gennaio 1985, in seguito a due attentati dinamitardi com

messi in Francia nel novembre 1984 e nel gennaio 1985 contro

alcune caserme, uno dei quali veniva rivendicato dal movimen

to clandestino separatista basco Iparreterak, venivano contesta

ti al sig. Sainte-Marie i seguenti capi d'accusa: detenzione abu

siva di armi e partecipazione ad associazione per delinquere, da un lato; distruzione di bene immobile, dall'altro.

I procedimenti per i due capi d'accusa avanzavano in paralle

lo, sia per ciò che concerneva la carcerazione preventiva, sia

per ciò che concerneva l'istruttoria ed il giudizio. Nel marzo 1985, una richiesta di libertà provvisoria, presen

tata dall'imputato nel processo in corso per detenzione d'armi

abusiva, veniva respinta, in prima istanza, dal magistrato istrut

tore e, in appello, dalla sezione istruttoria della Corte d'appello di Pau.

II 4 luglio 1985, sempre nell'ambito della procedura relativa

al reato di detenzione di armi abusiva, il Tribunale correzionale

di Bayonne dichiarava la nullità dell'indagine condotta dalla po lizia giudiziaria nei confronti del sig. Sainte-Marie, cosi come di tutta la procedura ulteriore che su di essa si fondava.

Il 14 agosto 1985, la sezione istruttoria della Corte d'appello di Pau, cui il pubblico ministero aveva proposto appello, rifor

mava integralmente la predetta decisione, e il 29 ottobre, pro nunciandosi sul merito dei capi di imputazione contestati al ri

corrente, condannava quest'ultimo a quattro anni di reclusione.

Nel frattempo, nel corso della procedura relativa al reato di

distruzione di bene immobile, il magistrato istruttore in data

8 luglio 1985 aveva respinto la richiesta avanzata dall'imputato di libertà provvisoria.

Tale decisione veniva confermata anche in grado d'appello dalla sezione istruttoria della corte d'appello, della quale, peral

tro, facevano parte anche due magistrati (la sig. Bataille e Bie

cher) che in seguito avrebbero fatto parte anche del collegio

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

che si sarebbe pronunciato il 29 ottobre 1985 sul capo di impu tazione di detenzione abusiva di armi.

Il 10 aprile 1986, il Tribunale correzionale di Bayonne con

dannava il ricorrente a cinque anni di reclusione per distruzione

di bene immobile. La commissione, adita con ricorso del sig. Sainte-Marie il

9 aprile 1987, lo ha dichiarato ricevibile il 3 dicembre 1990.

Dopo aver tentato invano una composizione amichevole della

controversia nel suo rapporto del 10 luglio 1991, si è pronuncia

ta nel senso che non vi fosse stata violazione dell'art. 6, par.

1, della convenzione (quattordici voti contro cinque).

La corte è stata investita della causa da parte della commis

sione in data 13 settembre 1991.

In via preliminare, il governo francese ha eccepito il manca

to esperimento da parte del sig. Sainte-Marie di tutte le vie

di ricorso interne, in quanto non avrebbe mai contestato di

fronte agli organi giurisdizionali francesi la partecipazione dei

giudici Bataille e Berchier alla stesura della sentenza del 14

agosto 1985 (procedura relativa al reato di detenzione di armi

abusiva). Ad avviso della corte, tale eccezione non è pertinente, posto

che i motivi di gravame formulati dal sig. Sainte-Marie mirano

a stabilire se vi sia stato o meno un difetto di imparzialità della

corte d'appello a causa del fatto che i due giudici sopraindicati

si sono pronunciati prima (l'8 agosto 1985) su una richiesta di

rilascio dell'imputato nella procedura relativa al reato di distru

zione di bene immobile e, successivamente (il 29 ottobre 1985),

sulla colpevolezza dello stesso imputato in ordine al reato di

detenzione di armi abusiva e associazione per delinquere.

Tale eccezione, pertanto, è stata respinta.

Per ciò che riguarda la presunta violazione dell'art. 6, par.

1, della convenzione, il ricorrente, in buona sostanza, afferma

che per i due giudici precedentemente indicati l'aver statuito

in merito alla carcerazione preventiva comporta necessariamen

te un difetto di imparzialità oggettiva.

La corte, tuttavia, ha rilevato che, secondo una giurispruden

za costante (v. sentenza Hauschildst c. Danimarca del 24 mag

gio 1989) solo la presenza di circostanze particolari possono giu

stificare dubbi circa l'imparzialità di un giudice che abbia deci so altre questioni prima di entrare nel merito dei capi di

imputazione. La corte, nel caso di specie, non ha riscontrato una situazio

ne del tipo sopra descritto.

La sezione istruttoria della corte d'appello, infatti, nella sua

sentenza dell'8 agosto 1985 non faceva altro che richiamare

espressamente fatti già esaminati in una precedente sentenza del

5 aprile 1985, resa da un collegio del tutto diverso, nella quale

erano raccolte dichiarazioni ben precise dell'imputato, che non

le ha mai ritrattate, né ha mai preteso che gli fossero state estorte

(dichiarazioni, queste, confermate da prove materiali non con

testate).

I giudici che si sono pronunciati sulla carcerazione provviso

ria dell'imputato, dunque, si sono limitati semplicemente a veri

ficare in modo sommario i fatti al fine di stabilire se prima

facie i sospetti della polizia avessero una reale consistenza e

se vi fosse un concreto rischio di fuga dell'imputato.

Di conseguenza, la successiva partecipazione dei giudici Ba

taille e Biecher alla stesura della sentenza del 29 ottobre 1985,

che ha statuito nel merito, non ha in alcun modo pregiudicato

l'imparzialità del collegio giudicante. La corte, pertanto, non ha ritenuto che vi sia stata violazione

dell'art. 6, par. 1, della convenzione (otto voti contro uno). [S.F.]

XXVIII

Sentenza 16 dicembre 1992; Pres. Ryssdai; De Geouffre de

la Pradelle c. Francia.

Nel 1980 il ministro per l'ambiente dava inizio ad un procedi mento amministrativo al fine di dichiarare la vallata di Monta

li Foro Italiano — 1994.

ne, nel dipartimento della Corrèze, luogo di notevole interesse

paesaggistico. Tale zona comprendeva una parte di terreno di proprietà del

sig. Raymond da Geouffre de la Pradelle, avvocato di naziona

lità francese.

Quest'ultimo, dopo aver ricevuto formale notifica dell'inizio

della procedura, esercitava il diritto di comunicare alle autorità

competenti le proprie obiezioni in merito.

La dichiarazione di notevole interesse paesaggistico veniva

emessa con decreto ministeriale del 4 luglio 1983, pubblicato

in estratto sul Journal Officiel del 12 luglio, con l'avvertenza

che il testo completo poteva essere consultato presso la prefet

tura di Corrèze.

Il 13 settembre, il prefetto provvedeva a notificare il decreto

personalmente al ricorrente nel suo domicilio di Parigi.

Il 7 novembre 1983, il Consiglio di Stato, adito dal ricorrente

al fine di ottenere una pronuncia di annullamento per illegitti

mità del suddetto decreto, dichiarava il ricorso inammissibile

perché presentato oltre il termine previsto dalla legge (due mesi

dall'emanazione del provvedimento impugnato), precisando che

nell'ipotesi in cui un decreto, come nel caso di specie, non in

giunge al proprietario di modificare lo stato o la destinazione

dei luoghi, il termine di impugnazione decorre dalla pubblica

zione della decisione sul Journal Officiel. Il sig. De Geouffre de la Pradelle ha proposto ricorso alla

commissione in data 2 febbraio 1987, lamentando la violazione

dell'art. 6, par. 1 (diritto di accesso ad un tribunale chiamato

a statuire su diritti e obblighi di carattere civile) e dell'art. 13

della convenzione. Per ciò che concerne, in particolare l'art.

6, egli ha ravvisato la violazione del diritto di accesso ad un

tribunale nel fatto che l'amministrazione francese ha provvedu

to a notificargli il provvedimento dichiarativo del notevole inte

resse paesaggistico solo dopo il decorso del termine utile per

proporre impugnazione. La commissione ha dichiarato ricevibile il ricorso in data 5

ottobre 1990. Dopo aver tentato invano una composizione ami

chevole della controversia, nel suo rapporto del 4 settembre 1991,

la stessa si è espressa nel senso che vi fosse stata violazione

dell'art. 6, par. 1 (sette voti contro cinque) e che non vi fosse

necessità di esaminare il caso dal punto di vista dell'art. 13 (una

nimità). La corte è stata investita della causa da parte della commis

sione in data 13 dicembre 1991.

In via preliminare, il governo francese ha eccepito, da un

lato, che il sig. De Geouffre de la Pradelle non avrebbe esperito

tutte le vie di ricorso interne e, dall'altro, che, a sostegno del

suo ricorso di fronte al Consiglio di Stato, avrebbe addotto ar

gomentazioni fondate esclusivamente su norme di diritto fran

cese, senza far minimamente cenno agli articoli della convenzio

ne che potevano essere considerati pertinenti.

Ad avviso della corte, il ricorrente non solo ha attirato

l'attenzione del Consiglio di Stato su principi-cardine di cer

tezza giuridica e non discriminazione contenuti anche nella

convenzione, ma è riuscito soprattutto ad attingere dal diritto

interno argomenti atti a denunciare, in buona sostanza, un

grave attentato perpetrato a danno dei diritti garantiti dagli

art. 6 e 13 (il ricorrente, infatti, aveva sottolineato che stabi

lire la decorrenza del termine di impugnazione dalla pubblica

zione sul Journal Officiel solo per le decisioni che non con

tengono prescrizioni particolari poteva condurre ad un tratta

mento discriminatorio nei confronti dei proprietari di beni

oggetto di decisioni analoghe, ma di carattere individuale,

per le quali, invece, il termine decorre dal giorno della no

tifica). La corte ha rilevato che la norma che prevede un tipo di

pubblicità collettiva (art. 6 del decreto n. 69-607 del 13 giugno

1969) per i provvedimenti dichiarativi del notevole interesse pub

blico di un bene offre indubbiamente notevoli vantaggi.

È da tener presente, tuttavia, che l'applicazione di tale nor

mativa diviene molto più complessa laddove vi sia l'esigenza

di coordinare la legislazione relativa alla protezione delle bellez

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PARTE QUARTA

ze naturali con la giurisprudenza concernente la classificazione

dei vari tipi di atto amministrativo.

Nel caso di specie, tenuto conto del tipo di procedimento svol

tosi, è agevole rilevare l'estrema incertezza giuridica riguardo

l'esatta natura del decreto con cui è stato dichiarato il notevole

interesse paesaggistico della Vallata della Montane, ciò che com

porta, alla luce delle considerazioni che precedono, un'incertez

za altrettanto grave in riferimento al criterio di computo del

termine di impugnazione.

A tal proposito, la corte ha rilevato, in primo luogo, la pre

senza di una grande varietà di strumenti di pubblicità nelle di

sposizioni del decreto 13 giugno 1969.

In secondo luogo, la procedura avviata dall'amministrazione

francese riguardava, in effetti, una superfice di terreno limitata

e toccava in tutto o in parte solo otto proprietari. È da osservare, poi, che il sig. De Geouffre de la Predelle,

come gli altri sette interessati, era stato personalmente informa

to dell'avvio del predetto procedimento e della relativa indagine istruttoria.

Era più che legittimo, dunque, pensare che anche l'esito fina

le dello stesso procedimento sarebbe stato formalmente notifi

cato a ciascuno dei proprietari, senza che questi dovessero tuf

farsi per mesi, o addirittura per anni, nella lettura del Journal

Officiel. In conclusione, il ricorrente aveva tutto il diritto di

contare sulla coerenza di un sistema che fosse in grado di con

temperare in modo equo gli interessi dell'amministrazione ed

i propri; in particolar modo, egli aveva il diritto di disporre di una facoltà chiara, concreta ed efficace di impugnare un atto

amministrativo che interferiva direttamente nell'esercizio del suo

diritto di proprietà. La corte, pertanto, ha ritenuto che vi sia stata violazione del

l'art. 6, par. 1, in considerazione del fatto che il ricorrente non

ha beneficiato di un diritto di accesso concreto ed effettivo al

Consiglio di Stato (otto voti contro uno). Per ciò che riguarda la questione della violazione dell'art.

13, la corte non ha ritenuto di doverla esaminare separatamente

(unanimità). Per ciò che concerne, infine, la richiesta di risarcimento avan

zata dal ricorrente ai sensi dell'art. 50 della convenzione, la cor

te ha ritenuto che quest'ultimo abbia subito una perdita quanti ficabile in 100.000 franchi francesi.

Per le spese sostenute a Strasburgo, la corte ha accordato

la somma di 75.000 franchi francesi. [S.F.]

XXIX

Sentenza 16 dicembre 1992; Pres. Ryssdal; Edwards c. Re

gno unito.

Il 9 novembre 1984 la Crown Court di Sheffield, riconoscen

do il ricorrente colpevole del reato di rapina e di due furti con

scasso, lo condannava a dieci anni di reclusione per il primo reato e ad otto anni di reclusione per ciascuno degli altri due

delitti. Il 21 marzo 1986 il ministro degli interni, a seguito di un'au

tonoma indagine di polizia (rapporto Carmichael), la quale ave

va rilevato che alcuni testimoni non avevano fornito certe im

portanti informazioni nel corso del processo, adiva la Court

of Appeal (Criminal Division), in forza dell'art. 17, par. 1 a), della legge del 1968 che disciplina le impugnazioni in campo penale (Criminal Appeal Act 1968).

In particolare, la polizia non aveva rivelato, in primo luogo, che una delle vittime delle aggressioni, che veniva indicata come

uno dei soggetti in grado di riconoscere l'aggressore, non l'ave

va poi ritrovato nello schedario delle foto segnaletiche e, in se

condo luogo, che altre impronte digitali erano state rinvenute

sul luogo del delitto.

Le prove a carico del ricorrente consistevano in due confes

sioni dettagliate e verbalizzate da lui stesso rese in merito alla

sua partecipazione alla commissione dei vari reati.

Il Foro Italiano — 1994.

Dopo aver esaminato le deficienze nelle disposizioni rese da

gli ufficiali di polizia giudiziaria, la corte d'appello, ritenendo

che tali deficienze non avevano in alcun modo inficiato la vali

dità del verdetto, confermava integralmente la sentenza di pri

mo grado.

Il ricorrente ha adito la commissione in data 29 settembre

1986 lamentando, da un lato, di non aver beneficiato di un

processo equo, ai sensi dell'art. 6, par. 1, e in particolare, di

essersi visto negare, contrariamente a quanto stabilito dall'art.

6, par. 3, lett. d), il diritto di controinterrogare gli ufficiali di polizia che avevano reso testimonianza nel processo sulla base

dei nuovi elementi scaturiti dalla indagine sopra citata.

Dall'altro lato, il ricorrente lamentava la mancanza di ricorso

effettivo di fronte ad un'istanza nazionale, ai sensi dell'art. 13.

La commissione, in un primo tempo, ha rigettato il ricorso

per decorso del termine di sei mesi dalla decisione interna defi

nitiva, cosi come previsto ex art. 26 della convenzione.

Successivamente, il presidente della corte lo ha di nuovo ri

scritto a ruolo il 13 luglio 1988, dal momento che il ricorrente

ha dimostrato validamente di aver rispettato i suddetti termini.

La commissione ha dichiarato ricevibile il ricorso in data 9

ottobre 1990.

Dopo aver tentato una composizione amichevole della con

troversia, nel suo rapporto del 10 luglio 1991, ha ritenuto che

non vi fosse stata violazione dell'art. 6, par. 1, in combinato

disposto con il par. 3, lett. d) (otto voti contro sei) e che non

si ponesse una questione distinta nell'ambito dell'art. 13 (dodici voti contro due).

Per ciò che riguarda la violazione dell'art. 6, par. 3, la corte

rileva che le previsioni in esso contenute attengono profili parti colari del diritto ad un processo equo.

Nel caso di specie, è superfluo esaminare il contenuto del

predetto par. 3, posto che il ricorrente si è limitato a denunciare

genericamente il carattere non equo del processo. La corte, limitando, dunque, il suo esame a questo preciso

profilo, in primo luogo, ha ritenuto di dover considerare il pro cesso nel suo complesso, ivi compreso il ruolo che ha rivestito

l'autorità giudiziaria d'appello.

È da rilevare, peraltro, che non rientra nelle attribuzioni

della corte quella di sostituire i propri apprezzamenti dei fatti

a quelli già espressi dalle giurisdizioni interne, alle quali sole

spetta la valutazione degli elementi probatori da loro stessi

raccolti.

Il compito precipuo della corte, invece, è quello di stabilire

se il processo, unitariamente considerato, presenta un carattere

equo, soprattutto sotto il profilo del sistema probatorio. La corte ha rilevato che fra i principi-cardine dell'equità —

riconosciuti anche dal diritto inglese — rientra anche l'obbligo di comunicare alla difesa tutti gli elementi probatori che abbia

no una certa importanza, siano essi a carico o a discarico del

l'imputato; nel caso di specie, l'inosservanza di tale obbligo ha

irrimediabilmente compromesso la validità del processo di pri mo grado.

La Court of Appeal, tuttavia, prima di pronunciarsi, ha esa

minato attentamente i resoconti delle udienze, ivi comprese le

testimonianze indicate dal ricorrente, considerando in modo spe cifico l'incidenza delle nuove informazioni raccolte sul verdetto

finale si condanna.

Senza dubbio è vero che la Court of Appeal non ha ascoltato

direttamente gli ufficiali di polizia che avevano deposto in pri mo grado, ma è anche vero che il ricorrente in grado di appello non si è avvalso della facoltà di richiedere alla stessa corte di

citare di nuovo gli interessati come testimoni.

Il ricorrente, inoltre, non ha neanche provveduto a presenta re istanza alla corte d'appello, come era in suo potere, al fine

di ottenere la produzione in giudizio di quel rapporto Carma

chael che aveva dato origine all'impugnazione della sentenza

di primo grado da parte del ministro degli interni.

Ciò si potrebbe spiegare laddove si consideri che la Corona

si sarebbe potuta rifiutare in nome di un interesse generale: ma

tale argomentazione non è validamente sostenibile dal momento

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

che la Court of Appeal in nessun caso avrebbe mutato la sua

decisione.

La corte, pertanto, ha concluso che in grado d'appello sono

stati sanati tutti i vizi del processo di prima istanza.

Né è stato evidenziato alcun elemento che sia indice del carat

tere non equo dell'intera procedura. Non vi è stata, dunque, violazione dell'art. 6, par. 1 (sette

voti contro due). Per ciò che riguarda la pretesa violazione dell'art. 13 della

convenzione, il ricorrente ha rinunciato a far valere tale motivo

di gravame, che la corte, quindi, non deve esaminare (unanimi

tà). [S.F.]

♦ * *

A) Convenzione

Art. 2

1. Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno

può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione

di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nei casi in cui

il delitto sia punito dalla legge con tale pena.

Art. 3

Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pena o trattamento

inumani o degradanti.

Art. 5

1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà salvo che nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge:

a) se è detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un

tribunale competente;

b) se è in regolare stato di arresto o di detenzione per violazione

di un provvedimento legittimamente adottato da un tribunale ovvero

per garantire l'esecuzione di un obbligo imposto dalla legge;

c) se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all'auto

rità giudiziaria competente quando vi sono ragioni plausibili per sospet tare che egli abbia commesso un reato o ci sono motivo fondati per ritenere necessario di impedirgli di commettere un reato o di fuggire

dopo averlo commesso;

d) se si tratta della detenzione regolare di un minore, decisa per sor

vegliare la sua educazione, o di sua legale detenzione al fine di tradurlo

dinanzi all'autorità competente;

e) se si tratta della detenzione regolare di una persona per prevenire la propagazione di una malattia contagiosa, di un alienato, di un alcoo

lizzato, di un tossicomane o di un vagabondo;

f) se si tratta dell'arresto o della detenzione legali di una persona

per impedirle di penetrare irregolarmente nel territorio, o di una perso na contro la quale è in corso un procedimento d'espulsione o d'estra dizione.

3. Ogni persona arrestata o detenuta nelle condizioni previste dal par. 1 (c) del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi

a un giudice o un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare

funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine

ragionevole o di essere posta in libertà durante l'istruttoria. La scarce

razione può essere subordinata ad una garanzia che assicuri la compari zione della persona all'udienza.

4. Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione

ha diritto di indirizzare un ricorso ad un tribunale affinché esso decida, entro brevi termini, sulla legalità della sua detenzione e ne ordini la

scarcerazione se la detenzione è illegale.

Art. 6

1. Ogni persona ha diritto a un'equa e pubblica udienza entro un

termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e

dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa

Il Foro Italiano — 1994 — Parte IV-9.

penale che gli venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamen te, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e

al pubblico durante tutto o una parte del processo nell'interesse della

morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società

democratica, quando lo esigano gli interessi dei minori o la tutela della

vita privata delle parti nel processo, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale quando, in speciali circostanze, la pubblicità

potrebbe pregiudicare gli interessi della giustizia. 2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente sino a

quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.

3. Ogni accusato ha più specialmente diritto a:

a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a

lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi del

l'accusa elevata a suo carico;

b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa;

c) difendersi da sé o avere l'assistenza di un difensore di propria scelta e, se non ha i mezzi per ricompensare un difensore, poter essere

assistito gratuitamente da un avvocato d'ufficio quando lo esigano gli interessi della giustizia;

d) interrogare o far interrogare i testimoni a carico ed ottenere la

convocazione e l'interrogazione dei testimoni a discarico nelle stesse con

dizioni dei testimoni a carico;

e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nell'udienza.

Art. 8

1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familia

re, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell'esercizio di

tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e

in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è

necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere eco

nomico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute

e della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Art. 10

1. Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto in

clude la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare infor

mazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il presente articolo non impedisce che gli Stati sottopongano a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione.

2. L'esercizio di queste libertà, comportando doveri e responsabilità,

può esser sottoposto a determinate formalità, condizioni, restrizioni o

sanzioni previste dalla legge e costituenti misure necessarie in una socie

tà democratica, per la sicurezza nazionale, l'integrità territoriale o l'or

dine pubblico, la prevenzione dei disordini e dei reati, la protezione della salute e della morale, la protezione della reputazione o dei diritti

altrui, o per impedire la divulgazione di informazioni confidenziali o

per garantire l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario.

Art. 13

Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti

a un'istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa

da persone agenti nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali.

Art. 14

Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente con

venzione deve essere assicurato senza distinzione di alcuna specie, come

di sesso, di razza, di colore, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di appartenenza a una

minoranza nazionale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.

Art. 17

Nessuna disposizione della presente convenzione può essere interpre tata come implicante il diritto per uno Stato, gruppo o individuo di

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PARTE QUARTA

esercitare un'attività o compiere un atto mirante alla distruzione dei

diritti o delle libertà riconosciuti nella presente convenzione o porre a questi diritti e a queste libertà limitazioni maggiori di quelle previste in detta convenzione.

Art. 25

1. La commissione può essere investita di una domanda indirizzata

al segretario generale del Consiglio d'Europa da ogni persona fisica,

ogni organizzazione non governativa o gruppo di privati, che pretenda d'essere vittima di una violazione da parte di una delle alte parti con

traenti dei diritti riconosciuti nella presente convenzione, nel caso in

cui l'alta parte contraente chiamata in causa abbia dichiarato di ricono

scere la competenza della commissione in tale materia. Le alte parti contraenti che hanno sottoscritto una tale dichiarazione s'impegnano a non ostacolare in alcun modo l'effettivo esercizio di tale diritto.

Art. 26

La commissione non può essere adita che dopo l'esaurimento delle

vie di ricorso interne, qual è inteso secondo i principi di diritto interna

zionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a par tire dalla data della decisione interna definitiva.

Art. 50

Se la decisione della corte dichiara che una decisione presa o una

misura ordinata da un'autorità giudiziaria o da ogni altra autorità di

una parte contraente si trova interamente o parzialmente in contrasto

con obbligazioni che derivano dalla presente convenzione, e se il diritto

interno di detta parte non permette che in modo incompleto di elimina

re le conseguenze di tale decisione o di tale misura, la decisione della

corte accorda, quando è il caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa.

Art. 53

Le alte parti contraenti si impegnano a conformarsi alle decisioni

della corte nelle controversie nelle quali sono parti.

Art. 60

Nessuna delle disposizioni della presente convenzione può essere in

terpretata come recante pregiudizio o limitazioni ai diritti dell'uomo

e alle libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base a

leggi di qualunque Stato contraente o di altri accordi internazionali di

cui tale Stato sia parte.

B) Protocollo addizionale

Art. 1

Ogni persona fisica o morale ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nes suno può essere privato della sua proprietà salvo che per causa d'utilità

pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi giudicate necessarie per regola re l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicura

re il pagamento delle imposte o di altre contribuzioni o delle ammende.

C) Regolamento della corte

Art. 49

1. Lorsque la Partie requérante devant la Cour fait connaTtre au gref fier son intention de se désister et si les autres Parties acceptent le dési

stement, la chambre décide, aprés avoir consulté la Commission et le

requérant, s'il y a lieu ou non d'homologuer le désistement et par suite de rayer l'affaire du róle.

Il Foro Italiano — 1994.

2. Lorsque la chambre regoit communication d'un règlement amia

ble, arrangement ou autre fait de nature à fournir une solution du liti

ge, elle peut, le cas échéant, après avoir consultò les Parties, les délé

gués de la Commission et le requérant, rayer l'affaire du ròle.

3. La radiation du ròle donne lieu à un arret que le président

communique au Comité des Ministres pour lui permettre de surveiller, conformément à l'article 54 de la Convention, l'exécution des engage ments auxquels ont pu ètre subordonnès le désistement ou la solution

du litige. 4. La chambre peut, eu égarde aux responsabilités incombant à

la Cour aux termes de l'art. 19 de la Convention, décider de porsul vre l'examen de l'affaire nonobstant le désistement, règlement amia

ble, arrangement ou fait visés aux paragraphes 1 et 2 du présent article.

LEGISLAZIONE DELL'UNIONE EUROPEA (*)

(ottobre-dicembre 1993)

Comunità europea

Cittadinanza

Direttiva del consiglio del 6 dicembre 1993 n. 93/109/Ce, relativa

a modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni

del parlamento europeo per i cittadini dell'unione che risiedono in uno

Stato membro di cui non sono cittadini (G.U. 30 dicembre 1993, L

329, 34).

Agricoltura

Pesca

Direttiva del consiglio del 23 novembre 1993 n. 93/103/Ce riguar dante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute per il lavoro a

bordo delle navi da pesca (tredicesima direttiva particolare ai sensi del

l'articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/Cee) (G.U. 13 dicem bre 1993, L 307, 1).

(*) La rubrica si propone di fornire un'informazione sulla c.d. legis lazione comunitaria nei suoi aspetti più significativi, specie per quanto riguarda l'Italia. Per tal motivo, vengono segnalati, a titolo principale,

gli atti «autoritativi» del consiglio e della commissione delle Comunità

europee («regolamenti», «direttive», «decisioni» Cee ed Euratom: «de

cisioni» e «raccomandazioni» Ceca); nonché, in misura più limitata,

gli atti non autoritativi delle medesime istituzioni (pareri, raccomanda

zioni). Quando inoltre per l'interesse della materia ciò è parso opportu no, si è tenuto conto anche di atti di diversa natura o provenienza, quali, ad es., le risoluzioni dei rappresentanti degli Stati membri, le

proposte di regolamenti e di direttive, gli atti del parlamento europeo, ecc., nonché, all'occorrenza, delle convenzioni stipulate tra gli Stati mem

bri in materie di rilevanza comunitaria.

Gli atti sono distinti secondo la Comunità cui si riferiscono: nell'or

dine Cee, Ceca, Euratom, con una sezione finale per le disposizioni comuni. All'interno delle singole Comunità, la distinzione, quando è

necessaria, segue tendenzialmente lo schema dei trattati (solo per la Cee è aggiunta una sezione finale «Varie», che concerne essenzialmente gli atti basati sull'art. 235 del trattato o non riconducibili ad altre voci). Nell'ambito delle singole voci, infine, è rispettato l'ordine cronologico di pubblicazione degli atti. I più importanti di tali atti appaiono dal 1978 anche su Le Leggi. [A. Tizzano]

LEGISLAZIONE DELL'UNIONE EUROPEA (*)

(ottobre-dicembre 1993)

Comunità europea

Cittadinanza

Direttiva del consiglio del 6 dicembre 1993 n. 93/109/Ce, relativa

a modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni

del parlamento europeo per i cittadini dell'unione che risiedono in uno

Stato membro di cui non sono cittadini (G.U. 30 dicembre 1993, L

329, 34).

Agricoltura

Pesca

Direttiva del consiglio del 23 novembre 1993 n. 93/103/Ce riguar dante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute per il lavoro a

bordo delle navi da pesca (tredicesima direttiva particolare ai sensi del

l'articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/Cee) (G.U. 13 dicem bre 1993, L 307, 1).

(*) La rubrica si propone di fornire un'informazione sulla c.d. legis lazione comunitaria nei suoi aspetti più significativi, specie per quanto riguarda l'Italia. Per tal motivo, vengono segnalati, a titolo principale,

gli atti «autoritativi» del consiglio e della commissione delle Comunità

europee («regolamenti», «direttive», «decisioni» Cee ed Euratom: «de

cisioni» e «raccomandazioni» Ceca); nonché, in misura più limitata,

gli atti non autoritativi delle medesime istituzioni (pareri, raccomanda

zioni). Quando inoltre per l'interesse della materia ciò è parso opportu no, si è tenuto conto anche di atti di diversa natura o provenienza, quali, ad es., le risoluzioni dei rappresentanti degli Stati membri, le

proposte di regolamenti e di direttive, gli atti del parlamento europeo, ecc., nonché, all'occorrenza, delle convenzioni stipulate tra gli Stati mem

bri in materie di rilevanza comunitaria.

Gli atti sono distinti secondo la Comunità cui si riferiscono: nell'or

dine Cee, Ceca, Euratom, con una sezione finale per le disposizioni comuni. All'interno delle singole Comunità, la distinzione, quando è

necessaria, segue tendenzialmente lo schema dei trattati (solo per la Cee è aggiunta una sezione finale «Varie», che concerne essenzialmente gli atti basati sull'art. 235 del trattato o non riconducibili ad altre voci). Nell'ambito delle singole voci, infine, è rispettato l'ordine cronologico di pubblicazione degli atti. I più importanti di tali atti appaiono dal 1978 anche su Le Leggi. [A. Tizzano]

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