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PARTE QUARTA: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA || sentenza 16 dicembre 1980 (in causa 27/80);...

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sentenza 16 dicembre 1980 (in causa 27/80); Pres. Pescatore, Avv. gen Mayras (concl. conf.); Fietje Source: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE QUARTA: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA (1982), pp. 111/112-117/118 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23174413 . Accessed: 25/06/2014 05:38 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.40 on Wed, 25 Jun 2014 05:38:16 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 16 dicembre 1980 (in causa 27/80); Pres. Pescatore, Avv. gen Mayras (concl. conf.);FietjeSource: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE QUARTA: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA ESTRANIERA (1982), pp. 111/112-117/118Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174413 .

Accessed: 25/06/2014 05:38

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PARTE QUARTA

ne avrebbe potuto permettere al governo belga di considerare

che l'istituzione stessa aveva approvato la prassi controversa.

14. - Il ricorrente non ha fornito la prova della manifesta

zione di una opinione contraria; in particolare, tale manifesta

zione non risulta dalla semplice trasmissione agli altri Stati mem

bri, ai sensi dell'art. 8, n. 1, del regolamento n. 1041/67, delle

informazioni date dal governo belga sui documenti che essa con

siderava equivalenti a quelli contemplati dalla suddetta norma.

15. - Perciò il ricorrente non ha provato che l'errata applica zione delle disposizioni dell'art. 8 del regolamento n. 1041/67 da parte delle autorità belghe debba essere imputata alla Com

missione.

16. - Ne consegue che il ricorso dev'essere respinto. (Omissis) Per questi motivi, dichiara e statuisce:

1. Il ricorso è respinto. 2. Le spese sono poste a carico del ricorrente.

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; sen

tenza 16 dicembre 1980 (in causa 27/80); Pres. Pescatore, Avv. gen Mayras (conci, conf.); Fietje.

Comunità europee — CEE — Circolazione delle merci — Re

strizioni quantitative — Misure di effetto equivalente — De

nominazione delle bevande alcoliche — Limitazioni imposte ai prodotti di altri Stati membri — Divieto (Trattato CEE, art. 30, 177).

L'estensione, da parte di uno Stato membro, della disposizione che vieta la vendita di determinate bevande alcoliche sotto denominazione diversa da quella prescritta dalle leggi naziona

li, alle bevande importate da altri Stati membri in modo da

rendere necessaria la modifica dell'etichetta sotto la quale la

bevanda importata è legalmente distribuita nello Stato mem

bro esportatore, va considerata come una misura di effetto equi valente ad una restrizione quantitativa, vietata dall'art. 30 del

trattato CEE, qualora le indicazioni che si trovano sull'eti

chetta originale abbiano per i consumatori, per quanto ri

guarda la natura del prodotto, un contenuto informativo equi valente a quello della denominazione legalmente prescritta; le

valutazioni di fatto occorrenti per accertare l'esistenza di

siffatta equivalenza spettano al giudice nazionale. (1)

II

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; sen tenza 10 luglio 1980 (in causa 152/78); Pres. Kutscher, Avv.

gen. Reischl (conci, conf.); Commissione CE c. Repubblica francese.

Comunità europee — CEE — Circolazione delle merci — Re strizioni quantitative — Misure di effetto equivalente —

Pubblicità delle bevande alcoliche — Discriminazione a dan no dei prodotti degli altri Stati membri — Divieto — Deroga per la tutela della salute pubblica — Insussistenza (Trattato CEE, art. 30, 36, 177).

La legislazione nazionale che limiti la pubblicità delle bevande

alcoliche, pur essendo in principio giustificata da preoccupa zioni inerenti alla tutela della salute pubblica, costituisce non dimeno una discriminazione arbitraria nel commercio fra gli Stati membri, ai sensi dell'art. 36 del trattato CEE, nella mi sura in cui ammette la pubblicità per determinati prodotti na

zionali, mentre la pubblicità per determinati prodotti con ca ratteristiche analoghe, ma originari di altri Stati membri, è li mitata o del tutto vietata. (2)

(1-2) Le sentenze si inseriscono in un'abbondante ed ormai conso lidata giurisprudenza della Corte di giustizia circa la definizione della nozione di misura d'effetto equivalente a restrizioni quantitative: v., in particolare, Corte giust. 20 febbraio 1979, in causa 120/78, Foro it., 1981, IV, 290, con nota di richiami, cui adda le osserva zioni di Mattera in Rev. marché commuti, 1980, 505; e 26 giugno 1980, in causa 788/79, Foro it., 1981, IV, 423, con nota di richiami, cui adde le osservazioni di Meier, in Europarecht, 1981, 44, entrambe sul

I

Diritto. — 1. - Con sentenza 19 dicembre 1979, pervenuta in

cancelleria il 18 gennaio 1980, l'Economische Politierechter (giu dice di polizia in materia economica) presso l'Arrondissements

rechtbank di Assen ha sottoposto a questa corte, a norma del

l'art. 177 del trattato CEE, una questione pregiudiziale relativa

all'interpretazione dell'art. 30 dello stesso trattato, onde valutare

la compatibilità, col diritto comunitario, dell'art. 1 del « Li

keurbesluit » (decreto sui liquori) olandese, in quanto detto arti

colo prescrive l'obbligo di usare la parola « likeur » per le be

vande ivi definite.

2. - La questione è stata sollevata nell'ambito di un procedi mento penale a carico di un commerciante di bevande imputato di aver venduto una bevanda, importata dalla Repubblica fede

rale di Germania e denominata « Berentzen Appel - Aus Apfel mit

Weizenkorn. 25 voi. % », la quale non recava la denominazione « likeur » pur rientrando nella sfera d'applicazione della sud

detta disposizione.

3. - Il « Likeurbesluit » è stato emanato in base agli art. 14 e

15 della « Warenwet » (legge sulle merci) olandese del 28 di

cembre 1935 (Staatsblad) 793). Detti articoli dispongono, fra l'al

tro, che, allo scopo di tutelare la salute pubblica o di promuo vere la lealtà dei negozi commerciali, possono essere stabilite, con

regolamento amministrativo generale, le denominazioni che van

no usate negli scambi delle merci qualora queste siano di un

tipo o abbiano una composizione contemplati dal regolamento.

4. - L'art. 1, n. 1, del «Likeurbesluit» 11 settembre 1953

(Staatsblad 466), nella versione attualmente vigente recita:

« Qualsiasi prodotto avente come ingredienti caratteristici al

cool etilico, zucchero, sostanze aromatiche e/o succo di frutta,

purché sia conforme alle disposizioni di cui all'art. 3, può e de

ve essere esclusivamente designato con uno dei seguenti termini: ' likeur ',

' tusselinkeur ', ' verloflikeur' (il termine ' likeur '

può, eventualmente essere scritto '

liqueur ' o r likorette '), quest'ulti

mo termine dev'essere immediatamente seguito dall'indicazione del contenuto di alcool in percentuale di volume a 15°C. Dette

designazioni possono usarsi unitamente con termini che preci sano il gusto o l'aroma ».

L'art. 3 del « Likeurbesluit » dispone che qualsiasi prodotto denominato in conformità all'art. 1, n. 1, deve avere un determi

problema della compatibilità con l'art. 30 del trattato CEE di norme nazionali sulla commercializzazione di prodotti che abbiano l'effetto di vietare od ostacolare l'importazione di merci lecitamente commer ciabili in altri Stati membri (è da segnalare, peraltro, nella sentenza in causa 27/80, il ruolo conferito ai giudizi nazionali per l'apprezza mento in concreto della sussistenza dell'equivalenza delle denomi nazioni). Sullo stesso argomento, v. più di recente Corte giust. 28 gen naio 1981, in causa 32/80 e 19 febbraio 1981, in causa 130/80, tutte inedite. Per un problema analogo ma in un settore dove sono inter venute direttive d'armonizzazione v. Corte giust. 2 dicembre 1980, in causa 815/79, Dir. scambi internaz., 1981, 243, con nota di Oddo. L'importanza di questa giurisprudenza è stata sottolineata dalla Com missione CE la quale, in una Comunicazione della Commissione sulle conseguenze della sentenza emessa dalla Corte di giustizia delle Co munità europee il 20 febbraio 1979 nella causa 120J78 (« Cassis de Dijon »), in G.U.C.E., 1980, C 256, p. 2, ha affermato che, a suo avviso, « imo Stato membro non può, in linea di massima, vietare la vendita sul proprio territorio di un prodotto legalmente fabbricato e posto in commercio in un altro Stato membro, anche se tale pro dotto è fabbricato secondo prescrizioni tecniche o qualitative diverse da quelle imposte ai suoi prodotti». La Commissione, in particolare, fa riferimento alle normative nazionali concernenti « la composizione, la designazione, la presentazione ed il condizionamento dei prodotti, nonché alle normative che prescrivono l'osservanza di talune disposi zioni tecniche».

La giurisprudenza della corte, comunque, tempera le affermazioni di tali principi, ammettendo le deroghe necessarie al perseguimento di interessi superiori, quali quelli elencati, a titolo apparentemente indicativo, nella già richiamata sentenza 20 febbraio 1978, in causa 120/78. Nel caso esaminato della sentenza annotata trattavasi della tutela della salute delle persone, di cui all'art. 36 del trattato CEE: su questo problema, di recente, oltre a gran parte delle sentenze già richiamate, v. Corte giust. 12 luglio 1979, in causa 153/78, Foro it., 1981, IV, 427, e 8 novembre 1979, in causa 251/78, ibid., 425, con nota di richiami, sulla quale v. le osservazioni di Wyatt, in Eur. Law Rev., 1980, 476.

Per una sentenza apparentemente contrastante con i principi conte nuti nei precedenti innanzi citati v. Corte giust. 8 novembre 1979, in causa 15/79, Foro it., 1981, IV, 426, con nota di richiami, sulla quale le osservazioni di Alexander, in Common Market Law Rev., 1980, 283 e di Wyatt, in Eur. Law Rev., 1980, 484.

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

nato contenuto minimo di zucchero. Esso stabilisce pure che il

prodotto denominato « likeur » deve avere un contenuto d'alcool di almeno 22 % in volume e fissa contenuti d'alcool diversi, in

feriori a questo limite, per gli altri prodotti ivi indicati. Inoltre, l'art. 3 contiene varie altre disposizioni sulla composizione e la

qualità dei prodotti. A norma dell'art. 6, il nome stabilito per il

prodotto deve figurare su qualsiasi imballaggio destinato o ido

neo ad essere consegnato assieme al prodotto al consumatore.

5. - L'art. 2 del « Likeurbesluit » contempla talune deroghe al

l'obbligo d'usare le denominazioni di cui all'art. 1. Una di tali de

roghe riguarda i prodotti « designati con una denominazione ge neralmente in uso nella prassi commerciale corrente per indicare

un liquore », che abbiano un contenuto d'alcool di almeno 24 %

in volume e per i quali il direttore dell'ufficio competente abbia

concesso l'autorizzazione. Altre deroghe concernono bevande

enumerate nello stesso articolo e designate con denominazioni la

maggior parte delle quali sono tipicamente olandesi. Infine, l'art.

14, n. 4, della « Warenwet » conferisce ai ministri competenti il

potere di concedere deroghe, fra l'altro, alle norme del « Li keurbesluit ».

6. - Poiché l'imputato ha dedotto l'incompatibilità di detta nor

mativa nazionale con l'art. 30 del trattato CEE, l'Economische Politierechter ha ritenuto necessario, prima di pronunziarsi nel

procedimento penale, che la Corte di giustizia si pronunzi sulla

seguente questione:

« Se la nozione di ' misure di effetto equivalente alle restri

zioni quantitative all'importazione ' di cui all'art. 30 del trattato

CEE comprenda quanto dispone l'art. 1 del Likeurbesluit (de creto sui liquori) olandese, il quale prescrive l'obbligo di usare

la parola ' likeur '

per le bevande ivi indicate, e in conseguenza

del quale i prodotti di altri Stati membri che possiedano le ca

ratteristiche indicate in detto art. 1, ma per i quali negli Stati

membri non sussiste l'obbligo di usare detta parola, vanno eti

chettati in modo diverso per essere importati nei Paesi Bassi ».

7. - Prima di risolvere la questione sollevata, è opportuno ri

levare che, in mancanza di una normativa comune in materia di

produzione e di commercio dell'alcool, spetta, in linea di princi

pio, agli Stati membri disciplinare, ciascuno nell'ambito del pro

prio territorio, tutto ciò che riguarda il commercio delle bevan

de alcoliche, comprese la denominazione e l'etichettatura di

dette bevande, fatto salvo qualsiasi provvedimento comunitario

adottato al fine di ravvicinare le legislazioni nazionali in queste materie.

8. - Nello stadio attuale del diritto comunitario, gli elementi

interpretativi di cui il giudice nazionale necessita non riguarda no quindi la compatibilità, con detto diritto, dell'obbligo d'usare

una determinata denominazione nel commercio di determinate

bevande alcoliche. Come lo stesso giudice ha fatto capire con

la formulazione della questione pregiudiziale, trattasi di accer

tare se l'estensione d'un obbligo del genere alle bevande impor

tate da altri Stai membri, in maniera da rendere impossibile il

commercio del prodotto importato senza modificare l'etichetta

sotto la quale la bevanda è legalmente distribuita nello Stato

membro esportatore, vada considerata come una misura di effet

to equivalente ad una restrizione quantitativa, vietata dall'art. 30

del trattato.

9. - Onde risolvere la suddetta questione, occorre accertare se

l'estensione della normativa nazionale sia atta ad ostacolare la

libera circolazione delle merci fra gli Stati membri e, se del caso,

in qual misura un ostacolo del genere sia giustificato dai motivi

d'interesse generale che sono alla base della normativa nazionale.

10. - L'estensione ai prodotti importati dell'obbligo di usare

una determinata denominazione sull'etichetta, sebbene non esclu

da, in maniera assoluta, l'importazione nello Stato membro di cui

trattasi di prodotti originari di altri Stati membri o che si tro

vino ivi in libera pratica, può cionondimeno rendere il loro

smercio più difficile, soprattutto in caso d'importazione parallela.

Come ammette lo stesso governo dei Paesi Bassi nelle sue osser

vazioni, essa è quindi atta ad ostacolare, almeno indirettamente,

gli scambi fra gli Stati membri. Occorre quindi accertare se essa

possa essere giustificata da motivi d'interesse generale relativi alla

tutela dei consumatori, motivi che, secondo le osservazioni del

governo dei Paesi Bassi e come risulta dalla « Warenwet », sono

a fondamento della normativa di cui è causa.

11. - Ove una normativa nazionale concernente un determi

nato prodotto stabilisca l'obbligo d'usare una denominazione suf

ficientemente precìsa per consentire ali acquirente di conoscere la

natura del prodotto e di distinguerlo dai prodotti coi quali po

II Foro Italiano — 1982 — Parte IV-9.

trebbe esser confuso, può certamente esser necessario, onde forni

re ai consumatori una tutela efficace, estendere quest'obbligo an

che ai prodotti importati, anche se ciò renda necessaria la modi

fica delle etichette originarie di taluni di questi prodotti. Nel

l'ambito della normativa comunitaria, quest'eventualità viene am

messa da numerose direttive relative al ravvicinamento delle le

gislazioni degli Stati membri concernenti taluni prodotti alimen

tari, nonché dalla direttiva del Consiglio 18 dicembre 1978 n.

79/112, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati

membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pub blicità (G. U. L 33, pag. 1).

12. - Tuttavia, la necessità d'una siffatta tutela non esiste più

qualora le indicazioni figuranti sull'etichetta originaria del pro dotto importato abbiano un contenuto informativo, quanto alla

natura del prodotto, che comprenda almeno le stesse informa

zioni fornite dalla denominazione prescritta dalla normativa del

lo Stato importatore e sia altrettanto comprensibile per i consu

matori di questo Stato. Nell'ambito del procedimento ex art. 177

del trattato, le valutazioni di fatto necessarie onde accertare se

sussista o no tale equivalenza rientrano nella competenza del

giudice nazionale.

13. - Nelle loro osservazioni, tanto la Commissione quanto il

governo dei Paesi Bassi svolgono argomenti basati sull'esistenza,

nella normativa olandese, di numerose disposizioni che contem

plano deroghe. 11 governo olandese sottolinea la possibilità, a nor

ma dell'art. 2 del « Likeurbesluit », di consentire l'uso di deno

minazioni generalmente in uso nella prassi commerciale per de

signare i liquori, e fa notare che l'art. 14, n. 4, della « Warenwet »

contempla la possibilità di concedere deroghe a qualsiasi norma

adottata in forza dello stesso articolo. La Commissione, al con

trario, sostiene che le deroghe di cui all'art. 2 del « Likeurbesluit »

hanno l'effetto di operare una discriminazione nei confronti dei

prodotti importati e relativamente poco noti sul mercato olandese.

14. - Di fronte a questi argomenti, occorre ricordare che un

provvedimento che ricada sotto il divieto di cui all'art. 30 del

trattato non sfugge a detto divieto per il solo fatto che l'auto

rità competente sia autorizzata a concedere esenzioni, nemmeno

se essa si avvalga ampiamente di tale autorizzazione a favore dei

prodotti importati. Per contro, nel caso di provvedimenti giusti ficati da motivi ammessi dal trattato, quest'ultimo non vieta, in

via di principio, di prevedere eventuali deroghe da stabilirsi me

diante provvedimenti individuali lasciati alla discrezionaltà del

l'amministrazione. Tali deroghe non devono però condurre a fa

vorire i prodotti nazionali, poiché ciò costituirebbe una discrimi

nazione arbitraria od una restrizione dissimulata nei confronti dei

prodotti importati da altri Stati membri. Ferma restando que st'ultima riserva, non sembra che le esenzioni contemplate dalla

normativa olandese apportino elementi nuovi in relazione alla

questione sollevata dal giudice nazionale.

15. - Occorre quindi risolvere la questione pregiudiziale solle

vata nel senso che l'estensione, da parte di uno Stato membro, di

una disposizione che vieti la vendita di determinate bevande al

coliche sotto una denominazione diversa da quella prescritta dal

le leggi nazionali, alle bevande importate da altri Stati membri

in modo da rendere necessaria la modifica dell'etichetta sotto la

quale la bevanda importata è legalmente distribuita nello Stato

membro esportatore, va considerata come una misura di effetto

equivalente ad una restrizione quantitativa, vietata dall'art. 30 del

trattato, qualora le indicazioni che si trovano sull'etichetta origi nale abbiano per i consumatori, per quanto riguarda la natura

del prodotto, un contenuto informativo equivalente a quello della

denominazione legalmente prescritta. Le valutazioni di fatto oc

correnti per accertare l'esistenza di una siffatta equivalenza spet tano al giudice nazionale. (Omissis)

Per questi motivi, pronunziandosi sulla questione sottopostale con sentenza 19 dicembre 1979 dall'Economische Politierechter

presso l'Arrondissementsrechtbank di Assen, dichiara:

1) L'estensione, da parte di uno Stato membro, di una dispo sizione che vieti la vendita di determinante bevande alcoliche

sotto una denominazione diversa da quella prescritta dalle leggi

nazionali, alle bevande importate da altri Stati membri in modo

da rendere necessaria la modifica dell'etichetta sotto la quale la

bevanda importata è legalmente distribuita nello Stato membro

esportatore, va considerata come una misura di effetto equiva lente ad una restrizione quantitativa, vietata dall'art. 30 del trat

tato, qualora le indicazioni che si trovano sull'etichetta originale abbiano per i consumatori, per quanto riguarda la natura del

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PARTE QUARTA

prodotto, un contenuto informativo equivalente a quello della

denominazione legalmente prescritta.

2) Le valutazioni di fatto occorrenti per accertare l'esistenza di

una siffatta equivalenza spettano al giudice nazionale.

II

Diritto. — 1. - Con istanza del 6 luglio 1978, la Commissione ha proposto un ricorso ai sensi dell'art. 169 del trattato CEE, per far constatare che la Repubblica francese, nel disciplinare in mo do discriminatorio la pubblicità delle bevande alcoliche e nel mantenere cosi' ostacoli alla libertà degli scambi intracomunitari, è venuta meno agli obblighi derivanti dall'art. 30 del tratta to CEE.

2. - Il ricorso riguarda in modo specifico gli art. L 17 e L 18 del codice delle mescite e dei provvedimenti contro l'alcolismo

(« Code des débits de boissons et des mesures contre l'alcoolisme », in prosieguo: il « codice »), che hanno ad oggetto la disciplina della pubblicità delle bevande alcoliche. La Commissione sostiene che tale regime è stato organizzato in modo da vietare, o limitare, la pubblicità di determinati prodotti alcolici importati, pur la sciandola del tutto libera per i prodotti nazionali concorrenti. Que sto effetto di discriminazione sarebbe la conseguenza della riparti zione in categorie delle bevande alcoliche, compiuto dall'art. L 1 del codice, e dell'applicazione differenziata, a tali categorie, delle

disposizioni citate, relative alla disciplina della pubblicità. Le men zionate restrizioni alla commercializzazione dei prodotti di cui è causa originari di altri Stati membri dovrebbero essere qualifi cate misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative, vietate dall'art. 30 del trattato CEE.

3. - L'art. L 1 del codice suddivide le bevande, quanto alla disci

plina della fabbricazione, della messa in vendita e del consumo, in

cinque gruppi, il primo dei quali comprendente le bevande non alcoliche, gli altri le bevande alcoliche. Questi ultimi gruppi sono definiti dall'art. L 1 nei seguenti termini:

« 2° Bevande fermentate non distillate, cioè: vino, birra, sidro di mele e di pere, idromele, cui si aggiungono i vini dolci natu rali fruenti del regime fiscale dei vini, nonché le « crèmes de cassis » ed i succhi di frutta o di verdure fermentati contenenti da 1 a 3 gradi di alcool;

3° Vini dolci naturali diversi da quelli di cui al gruppo 2, vini liquorosi, aperitivi a base di vino e liquori di fragole, lamponi, ribes nero o ciliegie, con tenore di alcool puro non superiore ai 18°;

4° Rum, « tafia », alcolici provenienti dalla distillazione di vini, sidri di mele e di pere, o frutta, senza aggiunta di essenze, non ché liquori edulcorati mediante zucchero, glucosio o miele nella

proporzione minima di 400 g per litro per i liquori all'anice e di 200 g per litro per gli altri liquori, non contenenti più di Vi g di essenza per litro;

5" Tutte le altre bevande alcoliche ».

4. - Quanto al regime della pubblicità, dall'art. L 17 del codice risulta che è vietata la pubblicità, in qualsiasi forma, delle be vande del quinto gruppo. Tenuto conto del sistema di cui all'art. L 1 sono quindi esclusi dalla pubblicità tutti i prodotti alcolici non espressamente menzionati nei gruppi 2, 3 o 4.

5. - Ai termini dell'art. L 18, la pubblicità relativa alle bevande del gruppo 3 è libera quando indica esclusivamente la denomina zione e la composizione del prodotto, il nome e l'indirizzo del fab

bricante, degli agenti e dei depositari. L'imballaggio di queste be vande può essere riprodotto solo se non contiene indicazioni diver se da quelle sopra menzionate. Dall'art. L 1 risulta che le norme restrittive della pubblicità riguardano i vini dolci naturali diversi da quelli classificati nel gruppo 2, i vini liquorosi, gli aperitivi a base di vino ed i liquori di fragole, lamponi, ribes nero o ciliegie, con tenore di alcool puro non superiore ai 18 gradi.

6. - Non essendovi restrizioni, la pubblicità è libera per le be vande alcoliche dei gruppi 2 e 4, cioè, da un lato, per il vino, la birra, il sidro, i vini dolci naturali fruenti del regime fiscale dei vini, nonché per le « crèmes de cassis » ed i succhi di frutta fer mentati e, dall'altro, per il rum, il « tafia », gli alcolici derivanti dalla distillazione di vino, sidro di mele e di pere, o frutta, nonché per i liquori ed edulcorati.

7. - La Commissione ritiene che la classificazione di cui all'art. L 1, combinata con il disposto degli art. L 17 e L 18, abbia per ri sultato, in materia di pubblicità, di sfavorire, rispetto ai prodotti nazionali concorrenti, parecchi prodotti importati.

8. - Essa rileva in particolare che, per effetto di tale sistema, i vini dolci naturali fruenti del regime fiscale dei vini — agevo lazione consentita per i soli vini dolci nazionali — godono anche

del vantaggio di una pubblicità del tutto libera, mentre i vini dolci

naturali ed i vini liquorosi importati sono soggetti ad un regime

pubblicitario restrittivo.

9. - Essa fa valere inoltre che i rum e gli alcolici provenienti dalla distillazione di vini, sidri di mele e di pere, o frutta, nonché

i liquori edulcorati, fruiscono di libertà piena per quanto riguarda la pubblicità, mentre numerosi prodotti concorrenti, fra i quali in

particolare le acquaviti di cereali, come il whisky ed il ginepro,

importati nella quasi totalità, sono colpiti da divieto di pubblicità.

10. - Il governo francese fa valere a sua difesa due ordini di

argomenti: da un lato, la normativa sulla pubblicità non sarebbe, nel suo insieme, più favorevole ai prodotti francesi che ai prodotti

importati e non violerebbe quindi l'art. 30 del trattato; dall'altro, tale regime avrebbe per finalità la tutela della salute pubblica e

la lotta contro l'alcolismo e ad esso si applicherebbe quindi l'art. 36 del trattato.

Sull'applicazione dell'art. 30 del trattato. — 11. - È il caso di ri

levare, in via preliminare, che non si contesta fra le parti che una

limitazione apportata alle possibilità di pubblicità per determinati

prodotti possa costituire una misura di effetto equivalente ad una

restrizione quantitativa ai sensi dell'art. 30 del trattato. Una li

mitazione del genere, pur non condizionando direttamente le im

portazioni, è tale da restringerne il volume, poiché pregiudica le

possibilità di smercio dei prodotti importati. La questione dibat

tuta è quindi quella se i divieti e le restrizioni di pubblicità sta

biliti dalla legislazione francese sfavoriscano l'importazione di pro dotti alcolici da altri Stati membri.

12. - Al riguardo, il governo francese sostiene che i divieti e le

restrizioni di pubblicità criticati dalla Commissione riguardano anche importanti categorie di bevande francesi. Cosi, gli alcolici

all'anice, il cui consumo è in Francia particolarmente rilevante, sono soggetti a divieto totale di pubblicità, esattamente come le bevande ricomprese nella quinta categoria. Quanto alle limita zioni della pubblicità imposte alle bevande della terza categoria, il governo francese afferma che numerosi aperitivi a base di vi no, sebbene recanti marche apparentemente estere, sono in ef fetti prodotti francesi. Non si potrebbe quindi qui parlare di

discriminazione, poiché le categorie previste dal codice si appli cherebbero in modo oggettivo a seconda delle proprietà dei di versi prodotti e le proibizioni e le restrizioni della pubblicità riguarderebbero un numero considerevole di prodotti francesi al lo stesso modo dei prodotti importati.

13. - Questa difesa del governo francese non è concludente. In effetti, se è vero che il sistema istituito dal codice ha l'effetto di sottoporre a divieti o "restrizioni della pubblicità un determi nato numero di prodotti nazionali, fra cui prodotti di grande con

sumo, ciò non toglie che esso comporta nello stesso tempo in contestabili caratteri discriminatori. In particolare, è da rilevare il fatto che, grazie all'equiparazione fiscale ai vini, i vini dolci naturali francesi fruiscono di un regime di pubblicità libera, men tre i vini dolci naturali ed i vini liquorosi importati sono sog getti ad un regime di pubblicità ristretta. Parimenti, mentre gli alcolici distillati tipici della produzione nazionale, cioè i rum e gli alcolici provenienti dalla distillazione di vini, sidri o frutta, godono di libertà piena in materia di pubblicità, essa è vietata per prodotti similari essenzialmente di importazione, in partico lare gli alcolici prodotti con cereali, come il whisky ed il gine pro. Per quanto riguarda le relazioni di similarità e di concor renza fra i prodotti menzionati, è sufficiente rimandare alla sen tenza che la corte ha reso fra le stesse parti il 27 febbraio 1980, in causa 168/78 (Foro it., 1981, IV, 288), relativa al regime fisca le delle acquaviti.

14. - Da quanto precede risulta che, anche ammettendo che un numero considerevole di prodotti nazionali ricada sotto i divieti e le restrizioni di pubblicità previsti dagli art. L 17 e L 18 del codice, nondimeno le classificazioni che determinano l'applica zione di tali disposizioni sfavoriscono, rispetto ai prodotti nazio nali, i prodotti importati da altri Stati membri, e costituiscono pertanto una misura di effetto equivalente ad una restrizione quan titativa vietata dall'art. 30 del trattato.

Sull'applicazione dell'art. 36 del trattato. — 15. - In secondo luogo, il governo francese attira l'attenzione sul ruolo che hanno i divieti e le restrizioni della pubblicità nella lotta contro l'alco lismo e nella difesa della salute pubblica. Il governo francese ri tiene che a tale titolo la legislazione contestata sia coperta dal l'art. 36 del trattato CEE, ai cui termini le disposizioni relative

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Page 5: PARTE QUARTA: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA || sentenza 16 dicembre 1980 (in causa 27/80); Pres. Pescatore, Avv. gen Mayras (concl. conf.); Fietje

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

alla libera circolazione delle merci non sono di ostacolo ai di vieti o alle restrizioni all'importazione giustificati da motivi di tutela della salute e della vita delle persone. Il governo francese

spiega in proposito che la legislazione contestata dalla Commis sione si basa sulla distinzione fra bevande consumate abitual mente quali «aperitivi» e bevande consumate quali «digestivi», assodato che soprattutto le prime, essendo prese a digiuno, costi

tuiscono un pericolo per la salute pubblica. Ora, il sistema del

codice è organizzato in modo tale che i divieti e le restrizioni

della pubblicità si applicano anzitutto alla categoria degli aperiti vi, quali gli aperitivi a base di vino arricchito, i « pastis » ed il

whisky. Quanto agli alcolici distillati della quarta categoria, di cui è libera la pubblicità, si tratterebbe di alcolici consumati

quali digestivi e pertanto meno nocivi per la salute.

16. - Un'osservazione preliminare s'impone quanto alla distin

zione fra « aperitivi » e « digestivi ». Come la corte ha avuto oc

casione di far notare nella già citata sentenza del 27 febbraio

1980, tale distinzione non costituisce un criterio utile per valu

tare le relazioni di concorrenza tra le diverse categorie di be

vande alcoliche. Quelle osservazioni, formulate nell'ambito di una

lite relativa al trattamento fiscale delle bevande in questione, si

applicano, essendo identici i motivi, alla valutazione degli osta

coli di carattere commerciale, di cui agli art. 30 e 36 del trattato.

17. - Per contro, si deve ammettere la sussistenza del nesso

istituito dal governo francese fra la disciplina della pubblicità delle bevande alcoliche e la lotta contro l'alcolismo. Non è in ef

fetti contestabile che la pubblicità costituisca un incitamento al

consumo e che la normativa litigiosa non sia quindi indifferente

dal punto di vista delle necessità della salute pubblica, ricono

sciute dall'art. 36 del trattato. Si deve tuttavia far notare che,

nello stesso articolo, si specifica espressamente che i divieti o

le restrizioni di tal genere « non devono costituire un mezzo di

discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al com

mercio tra gli Stati membri ».

18. - Ora, non si può contestare che parecchie bevande alco

liche la cui pubblicità è libera in base alla legislazione francese

hanno per la salute pubblica gli stessi efletti nocivi, in caso di

consumo eccessivo, dei prodotti similari importati che, in quanto

tali, sono soggetti a divieti o a restrizioni di pubblicità. Se è

vero che motivazioni relative alla tutela della salute pubblica non

sono assenti dalla legislazione criticata, ciò non toglie che essa

abbia l'effetto di concentrare soprattutto sui prodotti importati

lo sforzo tendente a circoscrivere un consumo eccessivo di al

cool. Risulta quindi che la legislazione contestata, pur essendo,

nella sua concezione, giustificata da preoccupazioni inerenti alla

tutela della salute pubblica, costituisce nondimeno una discrimi

nazione arbitraria nel commercio fra gli Stati membri, nella mi

sura in cui ammette la pubblicità per determinati prodotti na

zionali, mentre la pubblicità per prodotti con caratteristiche ana

loghe, ma originari di altri Stati membri, è limitata o del tutto

vietata. Una legislazione restrittiva della pubblicità delle bevan

de alcoliche è conforme alle esigenze dell'art. 36 soltanto se si ap

plica in modo identico a tutte le bevande interessate, indipenden

temente dall'origine delle stesse.

19. - Anche questa difesa del governo francese è quindi in

concludente.

20. - Ne risulta che si deve constatare l'inadempimento della

Repubblica francese, per il fatto che la disciplina della pubbli

cità delle bevande alcoliche prevista dal combinato disposto de

gli art. L 17, L 18 ed L 1 del codice francese delle mescite, è

contraria all'art. 30 del trattato CEE, in quanto comporta una

restrizione indiretta all'importazione di prodotti alcolici originari

di altri Stati membri, nella misura in cui la commercializzazione

di tali prodotti è sottoposta a disposizioni più rigorose, sia in

diritto, sia in fatto, di quelle che si applicano ai prodotti nazio

nali o concorrenti. (Omissis)

Per questi motivi, dichiara e statuisce:

1. La repubblica francese, nel disciplinare in modo discrimina

torio la pubblicità delle bevande alcoliche e nel mantenere cosi

ostacoli alla libertà degli scambi intracomunitari è venuta meno

agli obblighi derivanti dall'art. 30 del trattato CEE.

2. La Repubblica francese è condannata alle spese.

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; Sezione II; sentenza 11 dicembre 1980 (in causa 1252/79); Pres.

Pescatore, Avv. gen. Capotorti (conci, conf.); Soc. Acciaierie

e ferriere Lucchini c. Commissione CE.

Comunità europee — CECA — Regimi di prezzi minimi — Alli

neamento su prezzi inferiori — Inammissibilità (Trattato CECA, art. 60, 61).

Poiché la facoltà, contemplata dall'art. 60, n. 2, lett. b), del trat

tato CECA, di allineare i prezzi fissati da un'impresa siderur

gica per i propri prodotti su quelli di altri produttori non può risolversi in una violazione dei prezzi minimi fissati per i pro dotti in questione con decisione generale della Commissione ai

sensi dell'art. 61 dello stesso trattato, la vendita di tali pro dotti effettuata, mediante allineamento, a prezzi inferiori ai

prezzi minimi costituisce violazione sia dell'art. 60 sia dell'art.

61 ed è quindi passibile di ammenda. (1)

Diritto. — 1. - Con atto introduttivo depositato nella cancelle

ria della corte il 21 dicembre 1979, l'impresa italiana Lucchini

ha proposto in base all'art. 36 del trattato CECA un ricorso in

teso all'annullamento, e in subordine alla modifica, della deci

sione individuale 31 ottobre 1979, con la quale la Commissione

le ha inflitto un'ammenda di 25.000 UCE, pari a 28.770.000 lire,

per infrazioni della decisione generale CECA 28 dicembre 1977

n. 3000, che fissa prezzi minimi per i nastri larghi a caldo, i la

minati mercantili e i tondi per cemento armato (G. U. L 352,

pag. 1). La decisione impugnata è stata adottata a seguito di un

controllo effettuato presso l'impresa Lucchini, cui viene fatto

carico, per quanto concerne talune vendite di laminati mercantili

in Francia, di avere praticato prezzi inferiori ai prezzi minimi

fissati dalla decisione n. 3000/77/CECA, e, per quanto riguarda talune vendite della stessa merce nella Repubblica federale di

Germania, di avere praticato, omettendo di applicare determi

nati extra di qualità e di quantità contemplati dai listini tede

schi, prezzi di vendita eflettivi inferiori ai prezzi d'allineamento,

che avrebbero dovuto essere pari o superiori ai prezzi minimi.

2. - La ricorrente aveva inizialmente chiesto l'annullamento

della decisione individuale per illegittimità della decisione di base

n. 3000/77/CECA. Successivamente, essa ha preso atto, nella re

plica, della sentenza 18 marzo 1980 (cause riunite 154/78, 205 e

206/78, 226-228/78, 263 e 264/78, 31, 39, 83 e 85/79, s.p.a Fer

riera Valsabbia e altre), nella quale la corte ha respinto il mezzo

dedotto dalle ricorrenti relativo all'illegittimità della decisione

generale CECA 4 maggio 1977 n. 962 (G.U. L 114, pag. 1), di

cui la decisione n. 3000/77/CECA costituisce solo la proroga, per quanto concerne i tondi per cemento armato, e l'estensione ai

nastri larghi a caldo e ai laminati mercantili. Di conseguenza, la ricorrente ha limitato la sua domanda all'annullamento della

decisione individuale di sanzione 31 ottobre 1979 per illegitti mità «originata da vizi suoi propri»; in subordine, essa ha chie

(1) Non constano precedenti in termini. Circa la fissazione di prezzi minimi, v. Corte giust. 18 marzo 1980, in cause riunite 26 e 86/79 e in cause riunite 154, 205-206, 226-228, 263-264/78 e 39, 31, 83 e

85/79, Raccolta della giurisprudenza della corte, 1980, 1083 e 907. Sull'obbligo di pubblicare il listino dei prezzi nonché sulle condizioni cui l'art. 60, n. 2, lett. b, del trattato CECA sottopone la possibilità di allineamenti ai prezzi di listino di altri produttori Corte giust. 12

luglio 1979, in causa 149/79, Raccolta, cit., 1979, 2523.

In dottrina, recentemente, Folz-Zehetner, in Europarecht, 1978, 32 e Zehetner, in Recht der Internationalen Wirtschaft, 1979, 311.

Circa gli altri motivi invocati a sostegno del ricorso, il principio della tutela del legittimo affidamento è stato affrontato in Corte giust. 16 maggio 1979, in causa 84/79, Foro it., 1979, IV, 309, con nota di

richiami, mentre per la esimente dello « stato di necessità » o della « forza maggiore » v. Corte giust. 18 marzo 1980 e 12 luglio 1979, cit.

In dottrina, da ultimo, Flynn, Force majeure pleas in proceedings before the European Court, in Eur. Law Rev., 1981, 102.

Quanto al principio della non discriminazione invocata dalla ri

corrente, un caso molto simile è stato esaminato, nell'ambito della

disciplina della concorrenza CEE, da Corte giust. 12 luglio 1979, in

cause riunite 32, 36-82/78, Foro it., 1981, IV, 187, con osservazioni di

R. Pardolesi, anche riguardo ai poteri della Commissione circa la

determinazione delle ammende; su quest'ultimo punto v. anche Corte

giust. 13 febbraio 1979, in causa 85/76, id., 1979, IV, 357, con osser

vazioni di R. Pardolesi.

A proposito dell'obbligo di motivare le decisioni v., oltre a Corte

giust. 18 marzo 1980 già citata, Corte giust. 29 ottobre 1980, in cause

riunite 209-215 e 218/78, Raccolta, cit., 1980, 3125 e 14 gennaio 1981, in causa 819/79, in questo fascicolo, IV, 103.

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