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sentenza 17 ottobre 1990 (causa 10/89); Pres. Due, Avv. gen. Jacobs (concl. conf.); Soc. CNL-Sucal MV c. Hag GF AG.Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE QUARTA: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA ESTRANIERA (1991), pp. 121/122-125/126Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187364 .
Accessed: 28/06/2014 18:13
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121 GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA 122
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; sen
tenza 17 ottobre 1990 (causa 10/89); Pres. Due, Avv. gen. Jacobs (conci, conf.); Soc. CNL-Sucal MV c. Hag GF AG.
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; s
Comunità europee — Cee — Libera circolazione delle merci — Diritto di marchio — Origine comune — Acquisizione a
seguito di espropriazione (Trattato Cee, art. 30, 36, 177, 222).
Non contrasta con gli art. 30 e 36 del trattato Cee il fatto che
una legislazione nazionale consenta ad un'impresa, titolare
di un diritto di marchio in uno Stato membro, di opporsi
all'importazione di prodotti simili, provenienti da altro Stato
membro ed ivi legittimamente marcati in modo identico o con
fusorio, allorché il segno distintivo dei prodotti importati sia
appartenuto in origine ad una filiale dell'impresa che si oppo ne all'importazione e sia stato acquisito da impresa terza a
seguito di espropriazione di tale filiale. (1)
(1) La tentazione da vincere (impresa nient'affatto semplice) è quella di concludere che un'interpretazione dell'ordito comunitario tenga sin
quando vale ad aprire il varco transfrontaliero ad interessi teutonici, salvo venir meno a tavole rovesciate. Ma procediamo con ordine, par tendo dai fatti, tanto risaputi da lasciarsi liquidare in due battute.
In principio era Hag, contrassegno, destinato alla notorietà, di caffè decaffeinato. Il titolare, tedesco, aveva provveduto, nell'intervallo tra le due guerre, a cedere il marchio depositato in Belgio alla filiale locale, di cui deteneva il pieno controllo (si che al frazionamento legale faceva riscontro un'assoluta coesione sostanziale). Senonché, con la caduta del terzo Reich, la filiale fu messa sotto sequestro ed espropriata, come bene nemico: col risultato di dar luogo ad una produzione belga, affat to indipendente dall'originaria casa-madre, ma recante, con tutti i cri smi della legalità, lo stesso segno distintivo.
Di qui, il precedente, analogo ma speculare nell'esito, alla decisione in epigrafe. Quando, infatti, la casa di Brema incominciò, all'inizio
degli anni '70, ad esportare in Lussemburgo, il titolare del marchio Benelux si oppose, per sentirsi rispondere, da Corte giust. 3 luglio 1974, causa 192/73 [Hag /], Foro it., 1975, IV, 15, che, quando segni distinti vi simili o identici, per derivare dalla stessa origine, fanno capo a sog getti diversi nei vari Stati membri, il titolare dell' un contrassegno non
può valersi della tutela nazionale per impedire l'importazione di merci lecitamente messe in commercio, con lo stesso marchio, in altro qua drante comunitario. Come dire, in soldoni, che l'esportazione tedesca non poteva essere contrata.
Di fronte al fenomeno (uguale ma) di segno opposto (questa volta, sono i belgi a proporre il loro prodotto sul mercato teutonico), i giudici di Lussemburgo si prestano ad uno fra i più spettacolari overruling della loro storia.
Di là dai crudi fatti, va, peraltro, sottolineata la costante rappresen tata dalla tensione evidente fra ('«integration model» degli art. 30 a 34 del trattato, che mirano a garantire il free trade fra Stati membri come condizione irrinunziabile perché la concorrenza produca i suoi
benefici, e la valenza limitativa dell'art. 36 che, tra l'altro, fa salva la proprietà industriale, normalmente ancorata alla legislazione nazio nale: con tanto di pericolo che, per il tramite della tutela di marchi, brevetti, ecc., transiti il disegno di segregare i mercati interni, mercé la registrazione di diritti paralleli nei singoli Stati membri (cfr., ad es., Corte giust. 30 gennaio 1985, causa 35/83, id., 1986, IV, 65, e Cass. 4 giugno 1983, n. 3807, id., 1983, I, 2454, con nota di O. Troiano; in una letteratura sconfinata, o quasi, v. riassuntivamente V. Mangini, Il marchio e gli altri segni distintivi, in Trattato diretto da Galgano, Padova, 1982, V, 41 ss., nonché A. Frignani e M. Waelbroeck, Di
sciplina della concorrenza nella Cee, 3a ed., Napoli, 1983, 349 ss., e P.J.G. Kapteyn and P. Verloren van Themaat, Introduction to the Law of the European Communities After the Coming into Force of the Single European Act, 2a ed. a cura di L.W. Gormley, Deventer, 1990, 397 ss.). Va da sé che la tensione, strutturale, non potrà mai esser del tutto assorbita fino al momento in cui i regimi nazionali sa ranno rimpiazzati da una protezione community-wide (per quest'ordine di considerazioni, cfr. A. Vanzetti, Commento alla prima direttiva del
consiglio [89/104] Ce 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legisla zioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, in Nuove leggi civ., 1989, 1428, 1430 e M. Migliazza, Sviluppi giurisprudenziali e nor
mativi comunitari in tema di protezione del marchio, in Dir. comunita rio scambi internaz., 1987, 673, 692 ss.). Nel frattempo, bisogna accon
tentarsi del miglior compromesso possibile. Ed è questa la direzione in cui ha lavorato la Corte di giustizia.
A dire il vero, Hag I sembrò indulgere al radicalismo e segnare un
deciso passo verso lo svuotamento del diritto di marchio, non foss'altro
perché lasciava intravedere una ratio decidendi a compasso allargatissi mo, in forza della quale la possibilità di reazione del titolare del segno distintivo sarebbe caduta quante volte controparte avesse dedotto un titolo legittimo, nel proprio Stato, ad apporre il proprio marchio (cfr. H. Johannes, Anwendung der Prinzipien des Kaffee-Hag-Urteil auf nicht
II Foro Italiano — 1991 — Parte IV-4.
1. - Par ordonnance du 24 novembre 1988, parvenue à la
Cour le 13 janvier 1989, le Bundesgerichtshof a posé, en vertu
de l'article 177 du traité Cee, plusieurs questions préjudicielles relatives à l'interprétation des articles 30, 36 et 222 de ce mème
traité, en rapport avec le droit des marques. 2. - Les questions ont été soulevées dans le cadre d'un litige
opposant la société belge CNL-SUCAL et la société allemande HAG GF AG. Celle-ci produit et commercialise du cafè déca
féiné selon un procédé qu'elle a découvert. Elle détient en Ré
publique fédérale d'Allemagne de nombreuses marques — la
plus ancienne ayant été enregistrée en 1907 — dont l'élément
essentiel est le mot «HAG» qui figure également dans sa déno
mination sociale.
3. - Elle a déposé en 1908 en Belgique deux marques compor tant la dénomination «Kaffee HAG». En 1927, elle a créé en
Belgique une filiale sous le nom de «Café HAG SA», placée sous son contróle et lui appartenant entièrement. Celle-ci a dé
posé au moins deux marques, dont l'une comporte entre autres
ursprungsleiche Warenzeichen und Freizeichen, in RIW/A WD, 1976, 10). Ma le poche voci favorevoli ad un approccio tanto «integrazioni sta» (fra cui conviene ricordare quella di F.G. Jacobs, odierno avvoca to generale, evidentemente pentito, Industriai Property and the EEC
Treaty: A Reply, in ICLQ, 1975, 643) furono sopraffatte da un altissi mo coro di critiche (citando nel mucchio: G. Ghidini, Sul caso «Hag», in Riv. dir. comm., 1975, II, 1; M. Ricolfi, Begrenzung des Warenzei chenschutzes im Gemeinsamen Markt, in RIW/AWD, 1975, 158; J?
Kemp, The Erosion of Trade Mark Rights in Europe, in CMLR. 1974, 360; M. Waelbroech, The Effect of the Rome Treaty on the Exercise
of the National Industriai Property Rights, in Antitrust Bull., 1976, 99; ancora di recente, G. Marenco and K. Banks, Intellectual Proper ty and the Community Rules on Free Movement: Discrimination Un
hearted, 15 European L. Rev. 224 (1990), ivi a p. 252, nota 56, ulteriori riferimenti bibliografici), che propiziò una prima, rapida smentita di
questa chiave di lettura. Mentre, infatti, la commissione Ce si sforzava di sottolineare l'eccezionalità del caso, i giudici di Lussemburgo, nel caso Terrapin v. Terranova (sent. 22 giugno 1976, causa 119/75, Foro
it., 1976, IV, 433), ebbero modo di precisare che l'ombra lunga di quel precedente non si proiettava sui marchi indipendenti: la ratio di Hag I finiva cosi per risolversi nella teoria dell'origine comune, risultante dalla suddivisione, volontaria o coattiva, del diritto originariamente in
capo ad un solo titolare. Quel che più conta, iniziava un processo di
aggiustamento che, agli iniziali sospetti, avrebbe sostituito più consape voli indagini circa le reali funzioni dei diritti in parola, fino ad appro dare a decisioni mature quale quella resa in Pharmon v. Hoeschst (sent. 9 luglio 1985, causa 19/84, id., Rep. 1987, voce Comunità europee, n. 251). Senonché, proprio quest'ultimo caso sollevava un dilemma co scienziale (tradotto da P. Demaret, Patent-und Vrheberrechtsschutz, Zwangslizenzen und freier Warenverkehr im Gemeinschaftsrecht, in
GRUR, Int. Teil, 1987, 1, 8, nella decisa esortazione alla corte perché sconfessasse Hag /: «so wurde zu Unrecht dem freien Warenverkehr
Vorrang vor dem Schutz der Funktion des Warenzeichens eingeràumt»). Nella circostanza, infatti, e sia pure riguardo ad un brevetto per inven zione industriale, il patentee si era visto riconoscere la possibilità di
opporsi all'importazione di prodotti fabbricati altrove sulla base di una licenza obbligatoria rispetto al suo diritto parallelo: come dire che il licenziarne obtorto collo (ma pur sempre percettore di una royalty, an corché presumibilmente inferiore a quanto egli avrebbe richiesto per cedere volontariamente il diritto) otteneva maggior tutela di chi era sta to espropriato in toto del diritto e non aveva alcun rapporto con chi ne fruiva nell'altro Stato membro. Il ragionamento a fortiori non è
esplicitamente invocato dalla corte; ma esso sembra aleggiare su una motivazione che, volta a valorizzare la funzione identificativa del mar chio (specificando come, nel nostro caso, esso abbia operato in ciascun ambito territoriale, garantendo la provenienza da una sola fonte: v. n. 18, peraltro platealmente smentito dall'esito di Hag I), si riallaccia alla linea che ne nega l'utilizzabilità contro le importazioni di un pro dotto che lo stesso titolare, terzi col suo consenso o da lui dipendenti in senso giuridico/economico abbiano legittimamente commercializzato in altra parte della Comunità: per concludere che, nella vicenda Hag,
l'espropriazione elideva qualsivoglia elemento di consenso. Morale. Hag II giunge con ritardo per l'inusualità della fattispecie
(«di situazioni rare» parla appunto l'avv. gen. Jacobs, senza nascon dersi che la conferma o il ripudio della teoria dell'identità d'origine avrebbe «implicazioni relativamente limitate»), ma la via all'overruling era segnata da tempo (v., infatti, art. 5 e 7 della prima direttiva su
richiamata). C'è solo da chiedersi se, su questa nuova base, i titolari
belgi del marchio in discorso potranno, d'ora in avanti, opporsi all'im
portazione, legittimata per tre lustri da Hag I, di prodotti tedeschi re canti lo stesso contrassegno. Paradossalmente (ma non troppo, in vista della circostanza cennata da ultimo), la risposta appare men che ovvia.
[R. Pardolesi]
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123 PARTE QUARTA 124
éléments la dénomination «Café HAG». La société HAG GF
AG a en outre cédé à cette filiale, avec effet à partir de 1935,
les marques qu'elle avait déposées à son propre nom en Belgique. 4. - En 1944, la Café HAG SA a été mise sous séquestre
en tant que bien ennemi. Par là suite les autorités belges ont
vendu l'ensemble des actions à la famille Van Oevelen. En 1971,
la Café HAG SA a cédé les marques dont elle disposait au Be
nelux à la société en commandite Van Zuylen Frères de Liège.
5. -La SA CNL-SUCAL NV est née de la modification de
la forme juridique et de la raison sociale de la société en com
mandite Van Zuylen Frères. Elle a commencé à importer du
café décaféiné en République fédérale d'Allemagne sous la dé
nomination «HAG».
6. - Afin de s'y opposer, la HAG AG, qui prétend que «Kaf
fee HAG» a acquis en Allemagne le statut d'une marque notoi
re et que le produit décaféiné qu'elle commercialise sous cette
dénomination est, gràce à un nouveau procédé de fabrication,
d'une qualité supérieure au café décaféiné qu'importe CNL
SUCAL en République fédérale, a introduit une action devant
les juridictions allemandes.
7. - C'est dans le cadre de ce litige que le Bundesgerichtshof, saisi en «Revision», a décidé, en application de l'article 177
du traité, de surseoir à statuer jusqu'à ce que la Cour de justice se soit prononcée à titre préjudiciel sur les questions suivantes:
«1. Le fait pour une intreprise établie dans un Etat membre
A de s'opposer en invoquant les droits au nom commercial et
à la marque dont elle est titulaire dans ce pays, à l'importation
par une entreprise établie dans un Etat membre B de produits
similaires lorsque ces produits ont été légalement revètus dans
l'Etat membre B d'une dénomination qui
a) est susceptible d'ètre confondue avec le nom commercial
et la marque, qui font l'objet dans l'Etat A d'une protection au bénéfice de l'entreprise qui y est établie et,
b) à l'origine, a également appartenu dans l'Etat B — dans
un ordre chronologiquement postérieur à celui de la dénomina
tion protégée dans l'Etat A — à l'entreprise établie dans l'Etat
A, avant d'ètre cédée par celle-ci à une filiale faisant partie du mème groupe de sociétés créée dans l'Etat B et,
c) à la suite de l'expropriation de cette filiale établie dans
l'Etat B, a été cédée par cet Etat en tant qu'élément du patri moine de la filiale mise sous séquestre et en mème temps que celui-ci à un tiers qui, à son tour, a vendu la marque au prédé cesseur juridique de l'entreprise qui importe maintenant dans
l'Etat A les produits revètus de cette dénomination
est-il compatible — compte-tenu également de l'article 222
du traité Cee — avec les dispositions relatives à la libre circula
tion des marchandises (articles 30, 36 du traité Cee)? 2. Dans l'hypothèses où il serait répondu négativement à la
question 1:
Doit-il ètre répondu différemment à la question précédente
lorsque la dénomination protégée dans l'Etat A y est devenue
une marque 'célèbre' et que, en raison de la notoriété excep tionnelle qu'elle a acquise, on doit s'attendre, au cas où une
entreprise tierce utiliserait la mème dénomination, à ce que l'in
formation des consommateurs au sujet de l'entreprise dont pro vient le produit ne puisse ètre assurée sans porter atteinte à la
libre circulation des marchandises?
3. Dans l'hypothèse également (de manière alternative) où il
serait répondu négativement à la question 1:
La mème réponse vaut-elle pour le cas où, dans l'Etat A, les consommateurs se font de la dénomination qui y est proté
gée certaines idées en ce qui concerne non seulement l'origine de fabrication, mais également les caractéristiques, notamment
de qualité, des produits sur lesquels elle est apposée et où les
produits importés de l'Etat B sous la mème dénomination ne
correspondent pas à cette attente?
4. Dans l'hypothèse où il serait répondu négativement aux
trois questions précédentes: La réponse se trouverait-elle modifiée du fait que les condi
tions séparément énoncées aux questions 2 et 3 se trouveraient
remplies cumulativement? »
8. - Pour un plus ampie exposé des faits du litige au princi
pal, du déroulement de la procédure ainsi que des observations
écrites déposées devant la Cour, il est renvoyé au rapport d'au
dience. Ces éléments du dossier ne sont repris ci-dessous que dans la mesure nécessaire au raisonnement de la Cour.
Il Foro Italiano — 1991.
Sur la première question
9. - Par la première question la juridiction nationale vise en
substance à savoir si les articles 30 et 36 du traité Cee font
obstacle à ce qu'une législation nationale permette à une entre
prise, titulaire d'un droit de marque dans un Etat membre, de
s'opposer à l'importation à partir d'un autre Etat membre, de
produits similaires légalement revètus dans ce dernier Etat d'u
ne marque identique ou prètant à confusion avec la marque
protégée, alors mème que la marque sous laquelle les produits
litigieux sont importés appartenait initialement à une filiale de
l'entreprise qui s'oppose aux importations, et a été acquise par une entreprise tierce à la suite de l'expropriation de cette filiale.
10. - Compte tenu des considérations de l'ordonnance de ren
voi et des débats devant la Cour en ce qui concerne la pertinen ce de l'arrèt de la Cour du 3 jullet 1974, Van Zuylen/Hag
(192/73, Ree. p. 731; Foro it., 1975, IV, 15) en vue de la répon se à la question posée par la juridiction nationale, il convient
de relever d'emblée que la Cour estime nécessaire de reconsidé
rer l'interprétation retenue dans cet arrèt à la lumière de la juris
prudence qui s'est établie progressivement dans le domaine des
rapports entre la propriété industrielle et commerciale et les rè
gles générales du traité, notamment dans le domaine de la libre
circulation des marchandises.
11. - A cet égard il y a lieu de rappeler que les interdictions
et restrictions d'importation justifiées par des raisons de protec
tion de la propriété industrielle et commerciale sont admises
par l'article 36, sous la réserve expresse qu'elles ne doivent con
stituer ni un moyen de discrimination arbitraire, ni une restric
tion déguisée dans le commerce entre les Etats membres.
12. - Selon une jurisprudence constante, l'article 36 n'admet
des dèrogations au principe fondamental de la libre circulation
des marchandises dans le marché commun que dans la mesure
où ces dèrogations sont justifiées par la sauvegarde des droits
qui constituent l'objet spécifique de cette propriété et que, par
conséquent, le titulaire d'un droit de propriété industrielle et
commerciale protégé par la législation d'un Etat ne saurait in
voquer cette législation pour s'opposer à l'importation ou à la
commercialisation d'un produit qui a étè écoulé licitement, sur
le marché d'un autre Etat membre, par le titulaire du droit lui
mème, avec son consentement ou par une personne unie à lui
par des liens de dépendance juridiques ou économiques (voir notamment arrèts du 8 juin 1971, Deutsche Grammophon, 78/70,
Ree. p. 487; Foro it., 1971, IV, 233; du 31 octobre 1974, Cen
trafarm/Winthrop, 16/74, Ree. p. 1183; Foro it., 1975, IV, 71;
et du 9 juillet 1985, Pharmon/Hoechst, 19/84, Ree. p. 2281;
Foro it., Rep. 1987, voce Comunità europee, n. 251). 13. - S'agissant du droit de marque, il convient de relever
que ce droit constitue un élément essentiel du système de con
currence non faussé que le traité entend établir et maintenir.
Dans un tei système, les entreprises doivent ètre en mesure de
s'attacher la clientèle par la qualité de leurs produits ou de leurs
services, ce qui n'est possible que gràce à l'existence de signes distinctifs permettant d'identifier ces produits et ces services.
Pour que la marque puisse jouer ce ròle, elle doit constituer
la garantie que tous les produits qui en sont revètus ont été
fabriqués sous le contròie d'une entreprise unique à laquelle
peut ètre attribuée la responsabilité de leur qualité. 14. - Par conséquent, ainsi que la Cour l'a reconnu à maintes
reprises, l'objet spécifique du droit de marque est notamment
d'assurer au titulaire le droit d'utiliser la marque pour la pre mière mise en circulation d'un produit, et de le protéger ainsi
contre les concurrents qui voudraient abuser de la position et
de la réputation de la marque en vendant des produits indù
ment pourvus de cette marque. En vue de déterminer la portée exacte de ce droit exclusif reconnu au titulaire de la marque, il faut tenir compte de la fonctions essentielle de la marque
qui est de garantir au consommateur ou à l'utilisateur final l'i
dentité d'origine du produit marqué, en lui permettant de di
stinguer sans confusion possible ce produit de ceux qui ont une
autre provenance (voir notamment arréts du 23 mai 1978, Hoffmann-La Roche, 102/77, Ree. p. 1139, point 7; Foro it.,
1978, IV, 437; et du 10 octobre 1978, Centrafarm/American
Home Products Corporation, 3/78, Ree. p. 1823, points 11 et
12; Foro it., 1979, IV, 17). 15. - Pour l'appréciation d'une situation telle que celle décri
te par la juridiction nationale au regard des considérations qui
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précèdent, le fait déterminant est l'absence de tout élément de
consentement de la part du titulaire du droit de marque protégé
par la législation nationale pour la mise en circulation, dans
un autre Etat membre, sous une marque identique ou prètant à confusion, d'un produit similaire fabriqué et commercialisé
par une entreprise n'ayant aucun lien de dépendance juridique ni économique avec ledit titulaire.
16. - En effet, dans ces conditions, la fonction essentielle de
la marque serait compromise si le titulaire du droit ne pouvait
pas exercer la faculté que la législation nationale lui confère
de s'opposer à l'importation du produit similaire sous une dé
nomination de nature à étre confondue avec sa propre marque,
car, dans cette hypothèse, les consommateurs ne seraient plus en mesure d'identifier avec certitude l'origine du produit mar
qué et le titulaire du droit pourrait se voir imputer la mauvaise
qualité d'un produit dont il ne serait nullement responsable. 17. - Cette analyse ne saurait ètre modifiée par le fait que
la marque protégée par la législation nationale et la marque similaire dont est revètu le produit importé en vertu de la légis lation de l'Etat membre de provenance ont appartenu initiale
ment au mème titulaire qui a été dépossédé de l'une d'entre
elles à la suite d'une expropriation effectuée par l'un des deux
Etats avant la création de la Communauté.
18. - En effet, à partir de l'expropriation et en dépit de leur
origine commune, chacune des marques a rempli de fagon indé
pendante dans le cadre territorial qui lui est propre sa fonction
de garantir que les produits marqués proviennent d'une seule
source.
19. - Il résulte de ce qui précède que, dans une situation com
me celle de l'espèce où la marque avait à l'origine un seul titu
laire et où cette unicité de titulaire a été rompue à la suite d'une
expropriation, chacun des titulaires du droit de marque doit
pouvoir s'opposer à l'importation et à la commercialisation, dans
l'Etat membre où la marque lui appartient, des produits prove nant de l'autre titulaire dès lors qu'il s'agit de produits similai
res revètus s'une marque identique ou prètant à confusion.
20. - Il convient donc de répondre à la première question
que les articles 30 et 36 du traité Cee ne font pas obstacle à
ce qu'une législation nationale permette à une entreprise, titu
laire d'un droit de marque dans un Etat membre, de s'opposer à l'importation, à partir d'un autre Etat membre, de produits similaires légalement revètus dans ce dernier Etat d'une marque
identique ou prètant à confusion avec la marque protégée, alors
mème que la marque sous laquelle les produits litigieux sont
importés appartenait initialement à une filiale de l'entreprise qui
s'oppose aux importations, et a été acquise par une entreprise tierce à la suite de l'expropriation de cette filiale.
Sur les deuxième, troisième et quatrième questions
21. - Compte tenu de la réponse donnée à la première que
stion, les deuxième, troisième et quatrième questions sont deve
nues sans objet.
Sur les dépens — (Omissis)
Par ces motifs, la Cour, statuant sur les questions à elle sou
mises par le Bundesgerichtshof, par ordonnance du 24 novem
bre 1988, dit pour droit:
Les articles 30 et 36 du traité Cee ne font pas obstacle à
ce qu'une législation nationale permette à una entreprise, titu
laire d'un droit de marque dans un Etat membre, de s'opposer à l'importation, à partir d'un autre Etat membre, de produits similaires légalement revètus dans ce dernier Etat d'une marque
identique ou prètant à confusion avec la marque protégée, alors
mème que la marque sous laquelle les produits litigieux sont
importés appartenait initialement à une filiale de l'entreprise qui
s'oppose aux importations, et a été acquise par une entreprise
tierce à la suite de l'expropriation de cette filiale.
Il Foro Italiano — 1991.
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; se zione IV; sentenza 26 ottobre 1989 (causa 125/87); Pres. Ka
kouris, Avv. gen. Misho (conci, conf.); Brown c. Corte di
giustizia delle Comunità europee.
Comunità europee — Dipendente della Corte di giustizia — Pas
saggio di categoria — Indennità differenziale — Retroattività — Limiti.
La decisione generale del presidente della Corte di giustizia, che
istituisce un regime più favorevole di indennità differenziale
spettante ai dipendenti della corte stessa passati ad una cate
goria superiore in esito a concorso, è priva di efficacia re
troattiva, sempre che l'indennità differenziale attribuita se
condo il previgente regime eviti comunque al dipendente una
riduzione dello stipendio. (1)
1. - Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della
corte il 10 aprile 1987, il sig. Leslie Brown, assistente aggiunto
presso la Corte di giustizia, ha proposto un ricorso mirante in
sostanza all'ottenimento, a decorrere dal 13 agosto 1981, data
della nomina nel grado B 5, o, in subordine, dal 1° febbraio
1985, dell'indennità differenziale calcolata conformente al me
todo precisato in una decisione generale adottata dal presidente della corte in data 10 aprile 1986.
2. - Il ricorrente, che era commesso di grado C 2, veniva
nominato assistente aggiunto di grado B 5 a decorrere dal 1°
agosto 1981. In questa occasione gli veniva attribuita un'inden
nità differenziale volta a compensare la differenza tra la retri
buzione percepita in forza del precedente inquadramento nel
grado C 2 e quella determinata dal nuovo inquadramento nel
grado B 5. Il 12 novembre 1981 il Brown presentava reclamo
(1) Nella sentenza viene ribadito il generale principio dell'irretroatti vità degli atti comunitari (principio che, per giurisprudenza consolidata e in omaggio all'esigenza di certezza del diritto, può subire deroghe solo in casi eccezionali e a determinate condizioni: v., in tal senso Corte
giust. 8 marzo 1988, causa 80/87, Foro it., 1988, IV, 233); ma l'atten zione si appunta sulla questione più specifica della retroattività dell'ef ficacia degli atti (nella specie, decisione generale del presidente della Corte di giustizia) che vadano ad incidere favorevolmente sul tratta mento del dipendente. Il metodo di calcolo dell'indennità differenziale, dovuta in seguito al passaggio del dipendente ad una categoria superio re, previsto nella decisione generale, sarebbe stato suscettibile di appli cazione retroattiva solo qualora il regime precedente fosse stato in con trasto con le linee applicative divisate dalla sentenza interpetativa della Corte di giustizia in data 29 gennaio 1985 (causa 273/83), citata in sen
tenza; tale pronuncia estende l'applicabilità dell'art. 46 dello statuto ai casi analoghi a quello di specie, al fine di evitare un pregiudizio economico al dipendente passato di categoria.
Le sentenze interpretative della corte valgono a stabilire come si sa rebbe dovuta applicare la norma fin dalla sua entrata in vigore (per una «parificazione», ai fini dell'applicabilità, tra diritto comunitario e sentenze interpretative della corte, v. Trib. Palermo 14 maggio 1987, id., Rep. 1988, voce Comunità europee, n. 205).
Il regime di indennità differenziale precedente alla decisione non com
porta, comunque, decurtazioni dello stipendio per effetto del passaggio di categoria. Il dipendente non può, quindi, vantare alcun diritto a che la decisione venga applicata retroattivamente, non sussistendo nella de cisione stessa alcuna esplicita previsione in tal senso.
Questa conclusione è in sintonia con le direttive elaborate, in tema di applicazione della norma lavoristica sopravvenuta, sia pure più favo revole per il lavoratore, dalla giurisprudenza nostrana. V., a tal propo sito, Cass. 28 maggio 1982, n. 3298, id., Rep. 1982, voce Lavoro (rap porto), n. 2202, nella quale si legge che «il trattamento di fine rapporto di lavoro è disciplinato dalla normativa che è in vigore in quel momen
to, talché è irrilevante ogni più favorevole trattamento successivamente introdotto dalla contrattazione collettiva, salvo che ne sia espressamen te prevista la retroattività»; 21 giugno 1989, n. 2967, id., Rep. 1989, voce cit., n. 2037; 9 dicembre 1986, n. 7297, id., Rep. 1987, voce Infor tuni sul lavoro, n. 307; 3 aprile 1985, n. 2277, id., Rep. 1985, voce
Lavoro (rapporto), n. 1828; 19 novembre 1984, n. 5904, id., Rep. 1984, voce Lavoro in materia di navigazione, n. 12; 23 novembre 1984, n.
6051, id., 1985, I, 434. Che la retroattività possa essere esplicitamente prevista sia nelle fonti
negoziali che legislative, è invece confermato da Cass. 21 aprile 1983, n. 2773, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1867 («nessuna norma del vigente ordinamento vieta che ad un contratto di lavoro po stcorporativo possa dalle parti stipulanti essere attribuita un'efficacia
retroattiva»); 2 dicembre 1982, n. 6574, id., Rep. 1982, voce Lavoro
(contratto), n. 53; 15 maggio 1981, n. 3213, ibid., voce Lavoro (rappor to), n. 2199; 3 dicembre 1981, n. 6414, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1211.
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