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PARTE QUARTA: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA || sentenza 3 febbraio 1982 (in cause riunite...

Date post: 31-Jan-2017
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sentenza 3 febbraio 1982 (in cause riunite 62 e 63/81; Pres. Mertens De Wilmars, Avv. gen. Verloren Van Themaat (concl. conf.); Soc. Seco e altro c. Etablissement d'assurance contre la vieillesse et l'invalidité Source: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE QUARTA: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA (1982), pp. 465/466-473/474 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23174440 . Accessed: 28/06/2014 13:27 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.139 on Sat, 28 Jun 2014 13:27:41 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 3 febbraio 1982 (in cause riunite 62 e 63/81; Pres. Mertens De Wilmars, Avv. gen.Verloren Van Themaat (concl. conf.); Soc. Seco e altro c. Etablissement d'assurance contre lavieillesse et l'invaliditéSource: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE QUARTA: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA ESTRANIERA (1982), pp. 465/466-473/474Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174440 .

Accessed: 28/06/2014 13:27

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; Se zione I; sentenza 1° luglio 1982 (in causa 222/81); Pres. Bo

sco, Avv. gen. Rozes (conci, conf.); B.A.Z. Bausystem A.G.

c. Finanzamt Miinchen fiir Kòrperschaften.

Comunità europee — CEE — Imposta sul valore aggiunto —

Base imponibile — Interessi moratori — Esclusione (Tratta to CEE. art. 177; direttiva 11 aprile 1967 n. 67/228/CEE del

Consiglio, seconda direttiva in materia di armonizzazione del

le legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla

cifra d'affari - Struttura e modalità d'applicazione del sistema

comune d'imposta sul valore aggiunto, art. 8).

La base imponibile di cui all'art. 8, 1° comma, lett. a), della se

conda direttiva del Consiglio 11 aprile 1967 n. 67/228, in ma

teria di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri

relative alle imposte sulla cifra d'affari, non comprende gli in

teressi moratori. (1)

Diritto. — 1. - Con ordinanza 30 giugno 1981, pervenuta in

cancelleria il successivo 22 luglio, il Rinanzgericht di Monaco

ha sottoposto alla corte, a norma dell'art. 177 del trattato CEE, una questione vertente sull'interpretazione della nozione di « con

trovalore » di cui all'art. 8, 1° comma, lett. a), della seconda

direttiva del Consiglio 11 aprile 1967 n. 67/228, in materia di

armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative al

le imposte sulla cifra d'affari - Struttura e modalità d'applica zione del sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (G. U.

1967, del 14 aprile 1967, pag. 1303). 2. - La causa principale verte sull'inclusione degli interessi di

mora nella base di calcolo dell'imposta sulla cifra d'affari che si

pretende dall'attrice, l'impresa Bausystem di Zurigo. 3. - L'attrice aveva ricevuto da un consorzio di quattro im

prese tedesche l'incarico di eseguire dei lavori in un parcheg

gio a Berlino-ovest. Avendo essa subappaltato una parte del

l'opera ad un'altra impresa, la quale non l'aveva eseguita a

regola d'arte, i' 2 luglio 1973 il consorzio d'imprese chiedeva

la risoluzione del contratto con la Bausystem. Poiché il consor

zio rifiutava di pagare il corrispettivo dei lavori eseguiti dalla

Bausystem, questa otteneva, con sentenza 24 novembre 1978

dell'Òberlandesgericht di Monaco che decideva sull'appello propo sto dal consorzio con la sentenza di primo grado del Landgericht, la liquidazione del suddetto corrispettivo in DM 584.249,63 più

gli interessi al 5 % a decorrere dal 15 gennaio 1974, data della

valutazione del suddetto credito da parte della Bausystem. 4. - In seguito ad un controllo, l'amministrazione tedesca del

le finanze stabiliva in DM 191.050,85 l'imposta sul valore ag

giunto dovuta dalla Bausystem per il 1973, includendo nella

base imponibile l'importo degli interessi versati in forza della

sentenza dell'Òberlandesgericht, pari a DM 143.628.

5. - Poiché la sua opposizione contro l'accertamento di un de

bito d'imposta di DM 14.233,40 a titolo di i.v.a. sugli interessi

pagati dal consorzio veniva respinta, la Bausystem adiva il Fi

nanzgericht di Monaco, il quale solleva la questione del « co

me vada interpretata la nozione di controvalore nell'art. 8, 1"

comma, lett. a), della seconda direttiva del Consiglio 11 aprile 1967 in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati

mebri relative alle imposte sulla cifra d'affari - Struttura e mo

dalità d'applicazione del sistema comune d'imposta sul valore

aggiunto, e se essa comprenda anche le prestazioni che l'im

(1) Sull'interpretazione del termine « controvalore » di cui all'art. 8 della direttiva 67/228, cfr. da ultimo, in senso ugualmente restrittivo, Corte giust. 5 febbraio 1981, in causa 154/80, Foro it., 1982, IV, 99, con nota di richiami.

Sul regime degli interessi di mora nella B.D.R., alla luce dei §§ 288 BGB e 352 HGB, v. riassuntivamente J. Basedow, Die Aufgabe der

Verzugszinsen in Recht und Wirtschaft, in ZHR 143 (1979) 317. Nell'ordinamento tributario tedesco prevale, non da oggi, l'idea che

gli interessi, ivi compresi quelli da tardivo adempimento, vadano ri

compresi neU'Entgelt assoggettato ad imposizione: cfr. BFH 16 di cembre 1971, BStBl II 1972, 508, e, prim'ancora, 29 novembre 1955,

id., Ili 1956, 53; in dottrina, per tutti, H. Schumann, in Umsatz

steuergesetz (Mehrwertsteuer) - Kommentar. a cura di Rau Dìjrr

wàchter, Flick und Geist, Kòln, fogli mobili, Aum. 55-57 § 10.

È rimasta cosi isolata la tesi (« burgerlich-rechtlich », civilistica, e

perciò in contrasto con la logica pragmatica dell'UStRecht, che « tassa

non già contratti, ma eventi economici »: A. v. Wedelstadt, Verzugs-,

Stundungs- Zielzinsen bei der Umsatzstener, in DB, 1975, 1001, 1002)

di chi osservava che i Verzugszinsen costituiscono un risarcimento del

danno, sottratto all'imposta sul valore aggiunto proprio perché « man

ca una prestazione » (W. Friedrich, Reform der Rechtsprechung

zur Umsatzsteuer, in BB, 1957, 107). Tesi fatta propria, nella sentenza

su riportata, dai giudici di Lussemburgo e condivisa dal legislatore, italiano: cfr. art. 15 d.p.r. 29 gennaio 1979 n. 24.

Il Foro Italiano — 1982 — Parte IV-36.

prenditore riceve in più, oltre al corrispettivo convenuto per la

cessione di beni o per la prestazione di servizi, in quanto tale

corrispettivo non sia stato versato alla scadenza (con la preci sazione che la prestazione supplementare viene calcolata sotto

forma di interessi sul credito insoddisfatto e il creditore deve

essere indennizzato degli svantaggi causati dal ritardato paga

mento). 6. - L'art. 8, 1° comma, della seconda direttiva del Consiglio

recita quanto segue: « La base imponibile per le cessioni e pre stazioni di servizi è costituita: a) da tutto ciò che compone il

controvalore della cessione del bene o della prestazione di ser

vizi, comprese tutte le spese ed imposte ad eccezione della stes

sa imposta sul valore aggiunto; ...».

7. - Il punto 13 dell'allegato A, che costituisce parte integrante della direttiva, precisa: « per

' controvalore ' s'intende tutto ciò

che è ricevuto quale corrispettivo della cessione del bene o

della prestazione di servizi, comprese le spese accessorie (im

ballaggio, trasporto, assicurazioni, ecc.), vale a dire non solo

l'importo delle somme riscosse, ma anche, ad esempio, il va

lore dei beni ricevuti in cambio o, in caso di espropriazione ef

fettuata dalla p. a. o in suo nome, l'importo dell'indennità

riscossa ».

8. - Considerate le suddette disposizioni, si deve constatare

che gli interessi di cui trattasi nella causa principale non sono

connessi con la prestazione o con l'esecuzione della prestazione

e non costituiscono il corrispettivo (« Entgeld ») di un'operazio

ne commerciale. Essi sono invece un mero rimborso spese,

un indennizzo dovuto per il pagamento tardivo.

9. - La tesi dell'amministrazione tedesca delle finanze, secon

do cui i suddetti interessi rientrano fra le « spese accessorie »

di cui al punto 13 dell'allegato A sopra menzionato in quanto

spese che il destinatario di una prestazione paga oltre il vero

e proprio corrispettivo e si debbono considerare come compen

so particolare dovuto indipendentemente dalla prestazione del

l'imprenditore, non può essere accolta.

10. - Infatti, l'imprenditore è stato costretto a concedere al

destinatario della sua prestazione di servizi una mora non pre

vista nel contratto. Gli interessi che costituiscono il corrispettivo

di tale mora sono stati fissati da un giudice che ha applicato

norme tanto del codice civile quanto di quello commerciale. Ciò

premesso, la concessione di un credito è solo lontanamente con

nessa alla prestazione principale. Gli interessi relativi a tale

credito non possono quindi considerarsi una prestazione sup

plementare. 11. - Da tali considerazioni risulta che la questione sollevata

dal giudice a quo va risolta nel senso che la base imponibile

di cui all'art. 8, 1° comma, lett. a), della seconda direttiva del

Consiglio 11 aprile 1967, in materia di armonizzazione delle le

gislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'af

fari, non comprende gli interessi attribuiti all'imprenditore con

provvedimento giurisdizionale qualora la concessione degli stessi

sia dovuta al fatto che il saldo del controvalore della presta

zione di servizi non è stato versato alla scadenza. (Omissis)

Per questi motivi, pronunziandosi sulla questione sottopostale

'dal Finanzgericht di Monaco con ordinanza 30 giugno 1981, di

chiara:

La base imponibile di cui all'art. 8, 1° comma, lett. a), della

seconda direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, in materia di

armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle

imposte sulla cifra d'affari, non comprende gli interessi attri

buiti all'imprenditore con provvedimento giurisdizionale, qua

lora la concessione degli stessi sia dovuta al fatto che il saldo

del controvalore della prestazione di servizi non è stato versato

alla scadenza.

I

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; sen

tenza 3 febbraio 1982 (in cause riunite 62 e 63/81; Pres. Mer

tens De Wilmars, Avv. gen. Verloren Van Themaat (conci,

conf.); Soc. Seco e altro c. Etablissement d'assurance contre

la vieillesse et l'invalidité.

Comunità europee — CEE — Libera prestazione dei servizi —

Datore di lavoro stabilito in altro Stato membro — Servizio

prestato mediante lavoratori cittadini di paesi terzi — Obbligo

di versamento dei contributi di previdenza sociale nello Stato

della prestazione — Insussistenza — Condizioni (Trattato CEE,

art. 59, 60, 177)."

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PARTE QUARTA

Il diritto comunitario vieta che uno Stato membro obblighi un

datore di lavoro, stabilito in altro Stato membro e che eser

cita temporaneamente, mediante lavoratori cittadini di paesi terzi, lavori nel primo Stato, a versare la parte dei contributi

di previdenza sociale dovuti dal datore di lavoro per questi la

voratori, qualora il datore di lavoro sia già soggetto ad ana

loga contribuzione per gli stessi lavoratori e per lo stesso pe riodo di attività, in forza della legislazione del suo Stato di

stabilimento, e qualora i contributi versati nello Stato dove

tale prestazione viene effettuata non diano diritto ad alcun

beneficio sociale per questi lavoratori; tale obbligo non è

nemmeno giustificato nel caso in cui esso ha come scopo di

compensare i vantaggi economici che il datore di lavoro ha

potuto trarre dall'inosservanza della normativa in materia di

salario sociale minimo dello Stato in cui si effettua la presta zione. (1)

II

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; sen

tenza 17 dicembre 1981 (in causa 279/80); Pres. Mertens De

Wilmars, Avv. gen. Slynn {conci, conf.); Weeb.

Comunità europee — CEE — Libera prestazione dei servizi —

Nozione — Imprese di fornitura di manodopera — Obbligo di

licenza — Legittimità — Condizioni ((Trattato CEE, art. 59,

60, 177).

Nella nozione di « servizi », di cui all'art. 60 del trattato CEE, è compresa anche la fornitura di manodopera ai sensi della

«.Wet op het ter beschikking stellen van arbeidskrachten ». (2) L'art. 59 non osta a che uno Stato membro nel quale le imprese

di fornitura di manodopera sono soggette all'obbligo di munirsi di licenza imponga tale obbligo al prestatore di servizi sta bilito in altro Stato membro e che eserciti tale attività nel

suo territorio, anche qualora il prestatore di servizi sia ti tolare di licenza rilasciata dallo Stato in cui è stabilito, a

condizione, da una parte, che lo Stato membro destinatario della prestazione non operi, per ciò che riguarda l'esame delle domande di licenza ed il rilascio di questa, alcuna discrimina zione in base alla nazionalità o al luogo di stabilimento del

prestatore di servizi e, dall'altra, ch'esso tenga conto della do cumentazione e delle garanzie già presentate dal prestatore di servizi per poter esercitare la propria attività nello Stato mem bro in cui è stabilito. (3)

I

Diritto. — 1. - Con ordinanza 26 febbraio 1981, pervenuta alla corte il 19 marzo 1981, la Cour de Cassation del Granducato del

Lussemburgo ha proposto, in forza dell'art. 177 del trattato CEE, due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione delle norme del trattato in materia di libera prestazione di servizi con ri

guardo alla normativa lussemburghese relativa ai contributi per l'assicurazione contro la vecchiaia e l'invalidità.

2. - Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di contro versie tra, da un lato, due imprese aventi sede in Francia e spe cializzate in opere di costruzione e manutenzione delle infra strutture di reti ferroviarie, le società anonime SECO e Desquenne & Gyral, e, dall'altro, l'Etablissement d'assurance contre la vieil lesse et l'invalidité, ente di previdenza sociale lussemburghese. Queste imprese effettuavano, nel 1974 e, rispettivamente, nel 1977, vari lavori nel granducato del Lussemburgo. A tal fine esse di staccavano provvisoriamente lavoratori che non erano cittadini di uno Stato membro né provenivano da un paese legato al Lus

semburgo, per il periodo di cui trattasi, da una convenzione in ternazionale in materia di previdenza sociale. Per tutta la du rata dei lavori effettuati in Lussemburgo detti lavoratori restava no obbligatoriamente affiliati al regime previdenziale francese.

3. - In forza del codice lussemburghese delle assicurazioni so ciali, i lavoratori occupati nel territorio lussemburghese sono, in via di principio, obbligatoriamente sottoposti al regime di assicu

(1-3) Non constano precedenti in termini. Peraltro, nel senso del di vieto di gravare il prestatore di servizi di limitazioni incompatibili con i principi di liberalizzazione e per la necessità di valutare, a tal fine, l'eventuale « equivalenza » delle condizioni e- degli oneri già im posti nello Stato di stabilimento, cfr. Corte giust. 3 dicembre 1974, in causa 33/74, Foro it., 1975, IV, 81; 26 novembre 1975, in causa 39/75, id., 1976, IV, 79; 18 gennaio 1979, in cause 110 e 111/78, id., 1979, IV, 170, tutte con nota di richiami. In dottrina: Tizzano, Circola zione dei servizi nei paesi della CEE, voce del Novissimo digesto, appendice, 1979, I, 1208, 1216; nonché, specificamente in nota alle due sentenze e in piena adesione: Druesne, Liberté de prestation des services et travailleurs salariés, in Revue trim, droit européen, 1982, 75.

razione contro la vecchiaia e l'invalidità. I contributi sono per metà a carico dei datori di lavoro e per metà a carico dei lavora tori. Tuttavia, in base all'art. 174, 2° comma, di detto codice, il

governo lussemburghese può esentare dall'obbligo assicurativo gli stranieri residenti solo tempestivamente nel granducato. In questo caso, in forza dell'art. 174, 3° comma, dello stesso codice, il da tore di lavoro deve comunque versare la parte di contributi a suo

carico; tuttavia questi contributi non attribuiscono ai lavoratori interessati il diritto a vantaggi previdenziali.

4. - Emerge dal fascicolo che le disposizioni suddette sono mo tivate dalla duplice considerazione che non sarebbe equo perce pire contributi da lavoratori che rimangono solo temporanea mente nel territorio lussemburghese e che è opportuno impedire che il datore di lavoro sia indotto, per alleggerire il proprio onere

contributivo, a ricorrere alla mano d'opera straniera. In pratica, tuttavia, la quota contributiva del datore di lavoro non è più ri chiesta nel caso di lavoratori che risiedano temporaneamente nel territorio lussemburghese e siano cittadini di uno Stato membro o persone ad essi equiparate.

5. - Nella fattispecie, le imprese SECO e Desquenne & Girai ottenevano la dispensa dal versamento della quota dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori, ai sensi dell'art. 174, 2° com ma, del codice delle assicurazioni sociali, ma venivano dichiarate, dall'ente lussemburghese, debitrici della quota di contributi a ca rico del datore di lavoro, ai sensi dell'art. 174, 3° comma, dello stesso codice. Esse proponevano ricorso contro quest'ultima deci sione, sostenendo che la normativa lussemburghese di cui trattasi era inapplicabile nei loro confronti in quanto discriminatoria e tale da ostacolare la libera prestazione di servizi all'interno della Comunità.

6. - Ritenendo che la decisione da emettere dipenda dal se la normativa nazionale suddetta sia compatibile con le norme del di ritto comunitario in materia di libera prestazione di servizi, la Cour de Cassation del granducato del Lussemburgo ha sollevato le seguenti questioni:

1. « Se le disposizioni dell'art. 60 del trattato di Roma vadano intese nel senso che uno Stato membro delle Comunità europee può pretendere, in forza della sua legge nazionale, il versamento della quota dei contributi previdenziali dovuta dai datori di la voro per l'assicurazione vecchiaia ed invalidità, come dei propri cittadini, anche da una persona fisica o giuridica straniera, sta bilita in uno Stato membro della Comunità e che svolga tempo raneamente lavori nel primo Stato occupando lavoratori che, data la loro cittadinanza, non sono affatto soggetti alla disciplina co munitaria, oppure se questa pretesa sia contraria alle disposizioni comunitarie summenzionate, o a qualsiasi altra, nel senso che co stituisce una pratica discriminatoria e pregiudizievole per la li bera circolazione dei servizi, giacché detto prestatore di servizi comunitario risulta soggetto una prima volta, nel suo paese d'ori gine o di stabilimento, al versamento, tra l'altro, della quota a ca rico del datore di lavoro per i suoi operai stranieri e, una se conda volta, al versamento della quota dovuta dal datore di la voro nello Stato in cui presta temporaneamente i suoi servizi occupando mano d'opera straniera ».

2. « Qualora la prima questione venga risolta nel senso che la pratica summenzionata costituisce, in linea di massima, una pra tica discriminatoria vietata, se la soluzione debba essere inevi tabilmente la stessa, oppure possa essere differente, qualora il

prestatore compensi di fatto lo svantaggio del duplice versamento della quota dovuta dal datore di lavoro mediante altri fattori eco nomici, quali i salari corrisposti alla propria mano d'opera stra niera, inferiore al salario sociale minimo stabilito nello Stato in cui sono fornite le prestazioni di servizi oppure ai salari imposti dai contratti collettivi di lavoro vigenti in detto Stato ».

7. - Tali questioni mirano, in sostanza, ad accertare se il di ritto comunitario osti a che uno Stato membro obblighi un datore di lavoro, stabilito in un altro Stato membro e che effettui tempo raneamente avvalendosi dell'opera di lavoratori cittadini di paesi terzi, lavori nel primo Stato, a versare la quota dei contributi previdenziali dovuti dal datore di lavoro per detti lavoratori, qua lora tale datore di lavoro debba già versare contributi analoghi, per gli stessi lavoratori e per gli stessi periodi di attività, in forza delle leggi dello Stato in cui è stabilito e allorché i contributi ver sati nello Stato in cui detta prestazione viene effettuata non diano diritto ad alcun vantaggio previdenziale per i lavoratori stessi. In particolare, si chiede se tale obbligo possa essere giustificato in quanto compensi i vantaggi economici che il datore di lavoro abbia potuto trarre dall'inosservanza della normativa in materia di retribuzione sociale minima vigente nello Stato dove la presta zione viene effettuata.

8. - Ai termini degli art. 59 e 60, 3° comma, del trattato, il prestatore può, per l'esecuzione della sua prestazione, esercitare,

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

in via temporanea, la sua attività nel paese in cui la prestazione è fornita, alle stesse condizioni imposte da tale paese ai propri cittadini. Tali disposizioni comportano, come la corte ha ripetu tamente sottolineato, da ultimo nella sentenza 17 dicembre 1981

(causa 279/80, Webb, Foro it., 1982, IV, 465), l'eliminazione di

qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore in ragione della sua cittadinanza o del fatto che egli è stabilito in uno Stato

membro diverso da quello in cui la prestazione deve essere for

nita. In tal modo, esse vietano non solo le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza del prestatore, ma anche qualsiasi forma

di discriminazione dissimulata che, sebbene basata su criteri in

apparenza neutri, produca in pratica lo stesso risultato.

9. - Tale è il caso di una normativa nazionale come quella di

cui trattasi, allorché l'obbligo di versare la quota dei contributi

previdenziali a carico del datore di lavoro, imposto ai prestatori stabiliti nel territorio nazionale, viene esteso ai datori di lavoro

che sono stabiliti in un altro Stato membro e devono già ver

sare contributi analoghi per gli stessi lavoratori e per gli stessi

periodi di attività, in forza delle leggi di questo Stato. In tal

caso, infatti, la normativa dello Stato in cui la prestazione viene

effettuata comporta, sotto il profilo economico, un onere supple mentare per i datori di lavoro stabiliti in un altro Stato membro,

i quali sono di fatto assoggettati ad oneri più gravosi rispetto ai prestatori stabiliti nel territorio nazionale.

10. - Inoltre, una normativa che impone ai datori di lavoro, in

relazione ai loro dipendenti, un onere previdenziale a cui non

corrisponde alcun vantaggio previdenziale per tali dipendenti, i quali sono peraltro esonerati dall'assicurazione nello Stato dove

la prestazione viene effettuata e restano, per di più, per tutto il

periodo dello svolgimento dei lavori, obbligatoriamente affiliati

al regime previdenziale dello Stato membro in cui il datore di

lavoro è stabilito, non può ragionevolmente considerarsi giusti

ficata da motivi di interesse generale relativi alla tutela previ

denziale dei lavoratori.

11. - L'Etablissement d'assurance contre la vieillesse et l'invali

dité ha sostenuto al riguardo che gli Stati membri, poiché sono

liberi di rifiutare totalmente ai lavoratori cittadini di paesi terzi

sia l'entrata nel loro territorio che l'esercizio di un'attività la

vorativa subordinata, possono, a maggior ragione, accompagnare

un eventuale permesso di lavoro, concesso discrezionalmente, a

condizioni o restrizioni come il versamento obbligatorio, da parte

del datore di lavoro, dei contributi previdenziali.

12. - Tale argomento non può essere accolto. In effetti, uno

Stato membro non può servirsi dei poteri di controllo che eser

cita sull'impiego di cittadini di paesi terzi per imporre un onere

discriminatorio ad un'impresa di un altro Stato membro, che

gode della libertà di prestazione di servizi in forza degli art. 59

e 60 del trattato.

13. - L'Etablissement d'assurance contre la vieillesse et l'in

validité ha inoltre dedotto che l'estensione di una normativa na

zionale, come quella di cui alla fattispecie, ai prestatori di ser

vizi stabiliti in un altro Stato membro è comunque giustificata

in quanto compensa di fatto i vantaggi economici che essi pos

sono trarre dall'eventuale inosservanza della normativa dello

Stato in cui le loro prestazioni sono effettuate, in particolare in

materia di retribuzione sociale minima. Esso ha messo in evi

denza, al riguardo, le particolari difficoltà che lo Stato ove la

prestazione viene effettuata incontrerebbe nell'imporre il rispetto

di una normativa del genere da parte di datori di lavoro stabiliti

fuori del territorio nazionale.

14. - È assodato che il diritto comunitario non osta a che gli

Stati membri estendano le loro leggi o i contratti collettivi di

lavoro conclusi tra lavoratori e datori di lavoro, per quanto con

cerne le retribuzioni minime, a qualsiasi persona che svolga at

tività lavorativa subordinata, anche di carattere temporaneo, nel

loro territorio, quale che sia il paese in cui è stabilito il datore

di lavoro; del pari il diritto comunitario non vieta agli Stati mem

bri di imporre il rispetto di queste norme con mezzi adeguati.

Non si può tuttavia definire mezzo adeguato una normativa o una

prassi che impongano in modo generale un onere previdenziale o

para-previdenziale, restrittivo della libera prestazione dei servizi,

a tutti i prestatori stabiliti in un altro Stato membro e che occu

pano lavoratori cittadini di paesi terzi, indipendentemente dal fatto

che essi abbiano o meno rispettato la normativa in materia di re

tribuzione sociale minima dello Stato membro in cui la presta

zione viene effettuata, giacché un siffatto provvedimento generale

non è idoneo a far rispettare questa normalità né ad arrecare van

taggio, in un modo qualunque, alla mano d'opera di cui si tratta.

15. - Bisogna quindi risolvere le questioni sollevate dalla Cour

de Cassation del granducato del Lussemburgo nel senso che il di

ritto comunitario osta a che uno Stato membro obblighi un datore

di lavoro, stabilito in un altro Stato membro e che esegue tem

poraneamente, mediante lavoratoli cittadini di paesi terzi, lavori

nel primo Stato, a versare la parte a carico del datore di lavoro dei contributi previdenziali per detti lavoratori, qualora detto da

tore di lavoro debba già versare contributi analoghi per gli stessi

lavoratori e per gli stessi periodi di attività in forza della legge dello Stato in cui è stabilito e i contributi versati nello Stato in

cui tale prestazione viene effettuata non diano diritto ad alcun

vantaggio sociale per i lavoratori stessi. Un obbligo del genere non è nemmeno giustificato nel caso in cui abbia lo scopo di

compensare i vantaggi economici che il datore di lavoro ha po tuto trarre dall'inosservanza della normativa in materia di retri

buzione sociale minima dello Stato in cui viene effettuata la pre stazione. (Omissis)

Per questi motivi, pronunciandosi sulle questioni sottopostele dalla Cour de Cassation del granducato del Lussemburgo con or

dinanza 26 febbraio 1981, dichiara:

li diritto comunitario vieta che uno Stato membro obblighi un

datore di lavoro, stabilito in un altro Stato membro e che esercita

temporaneamente, mediante lavoratori cittadini di paesi terzi, la

vori nel primo Stato, a versare la parte dei contributi di previ denza sociale dovuti dal datore di lavoro per questi lavoratori,

qualora tale datore di lavoro è già soggetto ad analoga contribu zione per gli stessi lavoratori e per lo stesso periodo di attività, in forza della legislazione del suo Stato di stabilimento, e qua lora i contributi versati nello Stato dove tale prestazione viene effettuata non danno diritto ad alcun beneficio sociale per questi lavoratori. Un tale obbligo non è nemmeno giustificato nel caso in cui esso ha come scopo di compensare i vantaggi economici che il datore di lavoro ha potuto trarre dall'inosservanza della nor mativa in materia di salario sociale minimo dello Stato in cui si effettua la prestazione.

II

Diritto. — 1. - Con sentenza 9 dicembre 1980, pervenuta in cancelleria il 30 dicembre 1980, lo Hoge Raad der Nederlanden ha sottoposto a questa corte, ai sensi dell'art. 177 del trattato

CEE, tre questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli art. 59 e 60 del trattato, con riferimento alla legislazione olande se in materia di fornitura di manodopera.

2. - Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di un pro cedimento penale vertente sulla violazione dell'art. 1 r. d. olan dese 10 settembre 1970 (Stb. 410). Questa norma subordina la fornitura di manodopera ad un'autorizzazione, rilasciata dal mi nistro degli affari sociali.

3. - Il regio decreto di cui trattasi costituisce attuazione del

l'art. 2, 1° comma, parte iniziale e lett. a), 1. olandese 31 luglio 1965 sulla fornitura di manodopera (Wet op het ter beschikking stellen van arbeidskrachten; Stb. 379), come modificata dalla 1.

30 giugno 1967 (Stb. 377). In base a questo articolo, l'esercizio

della fornitura di manodopera può venire vietato, con regio de

creto, a chi sia sprovvisto di un'apposita autorizzazione, qualora ciò sia necessario per mantenere buoni rapporti sul mercato del

lavoro o per la tutela dei lavoratori interessati. L'art. 6, 1° comma, della legge, stabilisce tuttavia che l'autorizzazione può venire ri

fiutata solamente se vi sono motivi di temere che l'effettuazione, da parte del richiedente, della fornitura di manodopera, possa

compromettere i buoni rapporti del mercato del lavoro o qualora

gli interessi della manodopera di cui trattasi non risultino sufficien

temente garantiti. 4. - L'art. 1, 1° comma, lett. b), della legge summenzionata de

finisce l'attività di cui trattasi come la messa a disposizione di

un terzo, contro corrispettivo, di manodopera, per l'esercizio, al

di fuori di un contratto di lavoro stipulato con detto terzo, di

attività abitualmente svolte nell'azienda dello stesso.

5. - L'imputato nella causa principale, Alfred John Webb, di

rettore di una società britannica, con sede nel Regno Unito, è ti

tolare di una licenza inglese per la fornitura di manodopera. La

società di cui trattasi si occupa in particolare dell'invio di perso nale tecnico nei Paesi Bassi. Tale personale viene assunto dalla

società e temporaneamente messo a disposizione di imprese dei

Paesi Bassi, senza che venga stipulato alcun contratto di lavoro

fra detto personale e tali imprese. Nel caso di specie, il giudice del merito ha constatato che, nel febbraio 1978, la società di cui

trattasi aveva a tre riprese fornito contro corrispettivo, nei Paesi

Bassi, manodopera ad imprese olandesi per l'esecuzione di lavori

correnti senza la stipulazione di contratti di lavoro, pur essendo

sprovvista della necessaria licenza del ministro olandese degli af

fari sociali.

6. - Lo Hoge Raad, investito del ricorso in Cassazione, rite

nendo che la decisione della causa dipenda dal se la legislazione olandese di cui trattasi sia compatibile con le disposizioni di di

ritto comunitario in materia di libera prestazione dei servizi e.

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PARTE QUARTA

in particolare, con gli art. 59 e 60 del trattato CEE, ha formu

lato le seguenti questioni: « 1. Se nella nozione di ' servizi ' di cui all'art. 60 del trattato

.sia compresa anche la fornitura di manodopera ai sensi del sud

detto art. 1, n. 1, prima parte e lett. b), della Wet of het ter

beschikking stellen van arbeidskrachten ».

2. Per il caso che la questione sub 1) venga risolta in senso af

fermativo: se l'art. 59 del trattato osti — sia in generale, sia

unicamente in determinate circostanze — a che uno Stato membro

nel quale la prestazione di tale servizio è subordinata ad una li

cenza — condizione posta al fine di poter rifiutare detta licenza

qualora esista un fondato timore che la fornitura di manodopera da parte del richiedente possa nuocere ai buoni rapporti sul mer

cato del lavoro o se gli interessi dei lavoratori non sono adegua tamente garantiti — imponga al prestatore di servizi stabilito

in un altro Stato membro l'obbligo di soddisfare tale condizione. 3. In che misura sia rilevante ai fini della questione sub 2), il

fatto che il prestatore di servizi straniero possegga, nello Stato

in cui è stabilito, una licenza per prestare il servizio di cui trattasi nello Stato in cui è stabilito».

Sulla prima questione. — 7. - Con la prima questione, il giu dice nazionale chiede, in sostanza, se nella nozione di «servizi», di cui all'art. 60 del trattato, sia compresa anche la fornitura di

manodopera ai sensi delle disposizioni olandesi summenzionate. 8. - Ai sensi dell'art. 60, 1° comma, del trattato, sono conside

rati servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. Il 2° comma di tale articolo enumera, a titolo esemplificativo, certe attività

comprese nella nozione di « servizi ». 9. - La fornitura, contro corrispettivo, da parte di un'impresa,

di manodopera che rimane dipendente dell'impresa stessa, senza che venga stipulato alcun contratto di lavoro con l'utilizzatore, costituisce un'attività professionale avente le caratteristiche indi cate all'art. 60, 1° comma. Essa va pertanto qualificata come « servizio » ai sensi di questa disposizione.

10. - Il governo francese ha sottolineato, in proposito, il ca rattere particolare dell'attività di cui trattasi, la quale, pur rien trando nella nozione di « servizi » definita dall'art. 60 del tratta to, deve essere trattata in modo particolare in quanto ad essa pos sono essere applicate anche le disposizioni in materia di politica sociale e di libera circolazione delle persone. Benché ai lavora tori dipendenti da imprese che effettuano la fornitura di mano

dopera possano, all'occorrenza, applicarsi le disposizioni degli art. 48-51 del trattato e dei regolamenti comunitari adottati per la loro attuazione, tale circostanza non fa venir meno, nelle im

prese che effettuano tale fornitura, il carattere di imprese presta trici di servizi, le quali rientrano nell'ambito di applicazione de

gli art. 59 ss. del trattato. Come la corte ha già avuto modo di

osservare, in particolare nella sentenza 3 dicembre 1974 (causa 33/74, Van Binsbergen, Race. pag. 1299; Foro it., 1975, IV, 81), la natura particolare di certe prestazioni non può avere l'effetto di sottrarre tali attività all'applicazione delle norme in materia di libera circolazione dei servizi.

11. - La prima questione va pertanto risolta nel senso che nella nozione di « servizi », di cui all'art. 60 del trattato, è compresa anche la fornitura di manodopera ai sensi della « Wet op het ter

beschikking stellen van arbeidskrachten». Sulla seconda e sulla terza questione. — 12. - Con la se

conda e la terza questione, si chiede in sostanza se l'art. 59 del trattato osti a che uno Stato membro possa subordinare ad una licenza l'effettuazione nel suo territorio, da parte delle im

prese stabilite in un altro Stato membro, della fornitura di mano

dopera, in particolare qualora tali imprese siano titolari di una licenza rilasciata dal secondo Stato membro.

13. - Ai sensi dell'art. 59, 1° comma, del trattato, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità sono

gradatamente soppresse durante il periodo transitorio nei con fronti dei cittadini degli Stati membri della Comunità. Come la corte ha affermato nella sentenza 18 gennaio 1979 (cause 110 e

11/78, Van Wesemael, Racc. pag. 35; Foro it., 1979, IV, 170), questa norma, da interpretare alla luce dell'art. 8, n. 7, del trat tato, impone un preciso obbligo di risultato, il cui adempimento doveva essere facilitato, ma non era condizionato, dall'attuazione di un programma di provvedimenti graduali. Pertanto, gli impe rativi dell'art. 59 del trattato hanno acquistato efficacia diretta e incondizionata alla scadenza di detto periodo.

14. - Questi imperativi applicano l'eliminazione di tutte le di scriminazioni che colpiscono il prestatore a causa della sua nazio nalità o della sua residenza in uno Stato membro diverso da quello in cui dev'essere fornita la prestazione.

15. - I governi tedesco e danese sostengono che la legislazione dello Stato in cui ha luogo la prestazione di servizi deve, in ge

nerale, essere applicata integralmente a tutti i prestatori di ser

vizi, siano essi o no stabiliti in tale Stato, nel rispetto del princi pio di uguaglianza e, in particolare, dell'art. 60, 3° comma, del

trattato, in forza del quale il prestatore di servizi può, per l'ese cuzione della sua prestazione, esercitare la sua attività, nello Stato membro ove la prestazione è fornita, alle stesse condi zioni imposte da tale Stato ai propri cittadini.

16. - L'art. 60, 3° comma, ha anzitutto lo scopo di rendere

possibile al prestatore di servizi l'esercizio della propria attività

nello Stato membro destinatario della prestazione, senza alcuna discriminazione nei confronti dei cittadini di tale Stato. Esso non

implica tuttavia che qualsiasi disciplina nazionale che si applichi ai cittadini di tale Stato e si riferisca normalmente ad un'atti vità permanente delle imprese stabilite in tale Stato possa essere

integralmente applicabile anche ad attività di carattere tempora neo esercitate da imprese aventi sede in altri Stati membri.

17. - Nella summenzionata sentenza 18 gennaio 1979, la corte ha affermato che, tenuto conto delle speciali caratteristiche di talune prestazioni di servizi, non si possono considerare incompa tibili col trattato talune condizioni specifiche, eventualmente im

poste al prestatore di servizi, che siano giustificate dall'applicazio ne di norme relative a questo tipo di attività. Tuttavia, la li bera prestazione dei servizi, in quanto principio fondamentale sancito dal trattato, può venire limitata solamente da norme giu stificate dal pubblico interesse e obbligatorie nei confronti di tutte le persone e le imprese che esercitano la propria attività sul territorio di tale Stato, nella misura in cui tale interesse non risulti garantito dalle norme alle quali il prestatore di servizi è

soggetto nello Stato membro in cui è stabilito.

18. - Bisogna riconoscere, in proposito, che la fornitura di ma

nodopera costituisce un'attività particolarmente delicata dal punto di vista professionale e sociale. A causa delle peculiari caratteristi che del rapporto di lavoro sottostante ad una siffatta attività, l'esercizio di questa incide direttamente sia sui rapporti esistenti sul mercato del lavoro, sia sui legittimi interessi dei lavoratori di cui trattasi. Ciò è messo in evidenza, d'altronde, dalle disposi zioni vigenti in materia in alcuni Stati membri, le quali tendono, da un lato, ad impedire eventuali abusi e, dall'altro lato, a cir

coscrivere l'ambito di questa attività o addirittura a vietarla del tutto.

19. - Ne risulta in particolare che per gli Stati membri è le cito e costituisce una legittima scelta politica, effettuata nel l'interesse generale, il subordinare la fornitura di manodopera sul

proprio territorio ad un regime di licenze, in modo da poter ri fiutare la licenza se esiste il fondato timore che tale attività possa nuocere ai buoni rapporti sul mercato del lavoro o se gli inte ressi dei lavoratori di cui trattasi non sono adeguatamente ga

. rantiti. Tenendo conto, da un lato, delle differenze che possono sussistere, quanto alla situazione sul mercato del lavoro, fra uno Stato membro e l'altro e, dall'altro, dei diversi criteri di valuta zione applicati a questo genere di attività, non è possibile ne

gare allo Stato membro destinatario della prestazione il diritto

d'imporre agli stranieri l'obbligo di munirsi di una licenza, ri lasciata in base agli stessi criteri vigenti per i cittadini.

20. - Una disposizione del genere andrebbe tuttavia al di là del l'obietivo perseguito qualora i presupposti cui è subordinato il rilascio della licenza coincidano con la determinazione e con le

garanzie richieste nello Stato di stabilimento. Il rispetto del prin cipio della libera prestazione dei servizi implica, da un lato, che lo Stato membro destinatario della prestazione non operi, per ciò che riguarda l'esame delle domande di licenza ed il rilascio di

queste, alcuna discriminazione in base alla nazionalità o al luogo di stabilimento, del prestatore di servizi e, dall'altro, ch'esso ten

ga conto della documentazione e delle garanzie già prestate dal

prestatore di servizi per quel che riguarda l'esercizio della sua attività nello Stato membro dove è stabilito.

21. - La seconda e la terza delle questioni sollevate dallo Hoge Raad vanno pertanto risolte nel senso che l'art. 59 non osta a che uno Stato membro nel quale le imprese di fornitura di mano

dopera sono soggette all'obbligo di licenza imponga tale obbligo al prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro e che eserciti tale attività nel suo territorio, anche qualora tale pre statore di servizi sia titolare di una licenza rilasciata dallo Stato in cui è stabilito, a condizione, da una parte, che lo Stato membro destinatario della prestazione non operi, per ciò che riguarda l'esame delle domande di licenza ed il rilascio di questa, alcuna discriminazione in base alla nazionalità o al luogo di stabili mento del prestatore di servizi e, dall'altra, ch'esso tenga conto della documentazione e delle garanzie già presentate dal presta tore di servizi per poter esercitare la propria attività nello Stato membro in cui è stabilito. (Omissis)

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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA

Per questi motivi, pronunziandosi sulle questioni sottopostele dallo Hoge Raad der Nederlanden con sentenza 9 dicembre 1980, dichiara: j

1. Nella nozione di «servizi», di cui all'art. ^0

del trattato

CEE, è compresa anche la fornitura di manodopera ai sensi della « Wet op het ter beschikking stellen van arbeidskrachten ».

2. L'art. 59 non osta a che uno Stato membro nel quale le

imprese di fornitura di manodopera sono soggette all'obbligo di

munirsi di licenza imponga tale obbligo al prestatore di servizi

stabilito in un altro Stato membro e che eserciti tale attività

nel suo territorio, anche qualora tale prestatore di servizi sia

titolare di una licenza rilasciata dallo Stato in cui è stabilito, a

condizione, da una parte, che lo Stato membro destinatario della

prestazione non operi, per ciò che riguarda l'esame delle doman

de di licenza ed il rilascio di questa, alcuna discriminazione in

base alla nazionalità o al luogo di stabilimento del prestatore di

servizi e, dall'altra, ch'esso tenga conto della documentazione e

delle garanzie già presentate dal prestatore di servizi per poter esercitare la propria attività nello Stato membro in cui è stabilito.

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; sen

tenza 14 luglio 1981 (in causa 172/80); Pres. Mertens de Wil

mars, Aw. gen. Slynn (conci, conf.); Zuchner c. Bayerische Vereinsbank AG.

Comunità europee — CBE — Concorrenza — Banche — Trasfe rimento di somme da uno Stato membro all'altro — Commis

sioni bancarie — Natura di pratiche concordate — Condizioni

(Trattato CEE, art. 85).

Il parallelismo di comportamento nella riscossione di una com

missione bancaria uniforme per i trasferimenti di somme da

uno Stato membro all'altro, trasferimenti effettuati dalle ban

che sui depositi della propria clientela, costituisce una pra tica concordata, vietata dall'art. 85, n. 1, del trattato CEE, qua lora il giudice nazionale accerti che tale parallelismo possiede le caratteristiche di coordinamento e collaborazione che con

traddistinguono una pratica del genere. (1)

(1) Non constano precedenti in termini. Sul concetto di pratica concordata v. Commissione CE 5 settembre

1979, Foro it.. Rep. 1981, voce Comunità europee, n. 348; 23 di cembre 1977, id.. Rep. 1979, voce cit., n. 294 (nella specie, si trattava sia di uno scambio di informazioni, relative alle quantità esportate ed ai relativi prezzi, realizzato per il tramite di una associazione profes sionale, sia di riunioni periodiche aventi ad oggetto la fissazione dei summenzionati prezzi); 8 settembre 1977, id., Rep. 1978, voce cit., n. 306; Corte giust. 16 dicembre 1975, in causa 40/73, id., 1976, IV, 118.

Per quanto attiene al rapporto tra la disciplina (spesso convenzio

nale) in tema di concorrenza bancaria e norme comunitarie, vanno

registrati diffusi tentativi di far rientrare le imprese bancarie nel dispo sto dell'art. 90, n. 2, per sottrarle all'applicazione degli art. 85 ss. del trattato di Roma (v. però Corte giust. 14 luglio 1971, in causa 70/71, id., Rep. 1972, voce cit., n. 145, a cui dire l'articolo in questione non è direttamente applicabile ai rapporti interprivati, fintantoché la Com missione non abbia esercitato i poteri che le spettano in base al § 3 della medesima norma. Cfr., in senso contrario, ma in riferimento al

§ 1 dell'art. 90, Fricnani-Waeleroeck. Disciplina della concorrenza nella CEE, Napoli, 1976, 114), cfr. Hartmann, Osservazioni sulla de

finizione dei concetti di « imprese pubbliche » « servizi di interesse ge nerale » « interesse della Comunità » nell'art. 90 del trattato istitutivo della Comunità economica europea, in II colloquio di Bruxelles sulla concorrenza tra settore pubblico e privato nella CEE, Milano, 1964, 78-80, che, a tal proposito, fa leva sul raffronto con la normativa antitrust tedesca e le eccezioni ivi sancite per la banca dei Lander, le banche centrali del Land, gli istituti di addito, le casse di risparmio (§§ 101 e 102 GWB). Siffatta ipotesi, che H. introduce con cautela a causa delle differenze esistenti tra la legislazione tedesca e quella comunitaria, è invece pienamente accreditata da Franceschelli, La

nozione di servizio di interesse economico generale di cui al § 2 del

l'art. 90, ibid., 109; e da Ruta, La concorrenza bancaria e le sue

limitazioni, in Riv. dir. ind., 1975, 15-17, a cui dire l'attività ban

caria, « quale strumento di intermediazione del credito e realizza

zione della politica monetaria, non può essere ricompresa in quella

pili generale (di carattere prettamente industriale e commerciale) »

considerata dagli art. 85 ss. del trattato di Roma; contra Drago, La

nozione di servizio di interesse economico generale ex art. 90, in

Il colloquio, cit., 134 (l'a. sostiene che la nozione di interesse generale può essere riassunta nella definizione, accolta dal Conseil d'Etat di

Francia, di servizio pubblico: « attività d'interesse generale compiuta da persone giuridiche, pubbliche o private, sotto il controllo del

l'autorità pubblica» [p. 128]; conf. Pappalardo, in Commentario

CEE, a cura di Quadri, Monaco, Trabucchi, Milano, 1965, II, 693, che puntualizza come l'espressione « incaricate » non significhi, neces

Diritto. — 1. - Con ordinanza 14 luglio 1980, pervenuta in

cancelleria il 29 luglio 1980, l'Amtsgericht di Rosenheim ha sot

toposto a questa corte, in forza dell'art. 177 del trattato CEE,

una questione pregiudiziale vertente sull'interpretazione degli art.

85 e 86 del trattato, allo scopo di determinare la portata di

tali disposizioni relativamente alla riscossione, da parte di un

istituto bancario avente sede nella repubblica federale di Ger

mania, di una commissione percepita in occasione del trasferi

mento di una somma di denaro, mediante assegno, da uno Stato

membro all'altro.

2. - Dal fascicolo trasmesso dal giudice nazionale risulta che

il titolare di un conto bancario presso la Bayerische Vereinsbank

di Rosenheim, repubblica federale di Germania, aveva emesso

nei confronti di questo istituto bancario, il 17 luglio 1979, un

assegno dell'importo di 10.000 DM all'ordine di un beneficiario

residente in Italia. Per questo operazione di trasferimento, il suo

conto veniva addebitato, dal suddetto istituto, di 15 DM, a ti

tolo di commissione valutaria (Bearbeitungsgebiihr), prelievo pa ri allo 0,15 % dell'importo trasferito.

3. - Il titolare del "conto bancario, ritenendo che la riscossione

di detta commissione fosse in contrasto con le disposizioni del

trattato CEE, adiva l'Amtsgericht di Rosenheim per ripetizione d'indebito nei confronti dell'istituto bancario.

4. - Egli sosteneva fra l'altro che la riscossione della commis

sione di cui trattasi era in contrasto con gli art. 85 e 86 del trat

tato, in quanto corrispondente ad una pratica concordata, se

guita da tutti gli istituti bancari o dalla maggior parte di essi,

tanto nella repubblica federale di Germania quanto negli altri

Stati della Comunità, pratica contrastante con le norme sulla

sanamente, l'esistenza di un atto formale in tal senso, come, ad esem

pio, una concessione, essendo sufficiente l'esistenza di controlli sta tali sull'attività in parola: ma v. il diverso avviso espresso dalla sen tenza che si riporta, la quale richiede l'affidamento del servizio di

interesse economico generale in forza di un atto della p. a.).

Le summenzionate opinioni si allineano alla tesi della Banca d'Ita

lia, a cui dire gli accordi sui saggi di interesse e sulle provvigioni non

possono essere considerate alla stregua di intese limitative della con

correnza (Assemblea generale dei partecipanti, anno 1962, Roma. 1963, 337 ss.); ma non hanno incontrato il favore della Commissione (v. la

risposta all'interrogazione dell'on. Gerlach. in cui viene affermato « il principio dell'applicabilità, al settore bancario, delle norme di concorrenza previste dal trattato CEE». in G.U.C.E. 11 settembre

1975, C 209, 41). Del resto non si può dimenticare che l'art. 90 esenta le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse eco nomico generale dall'applicazione delle regole antimonopolistiche nei

soli limiti in cui tale normativa osti all'adempimento della specifica missione affidata alle imprese. A tale riguardo si è ritenuto (France schelli, op. cit., 83; conf. Pappalardo, op. cit., 698) necessario un

impedimento al perseguimento dell'interesse generale, una sua frustra

zione, non una mera difficoltà nell'adempimento dei compiti in questio ne. E se è difficile individuare il requisito in discorso negli accordi

aventi ad oggetto le provvigioni per i servizi resi, appaiono assai più fondati i sospetti circa la fissazione di saggi di interesse uniformi. A

questo proposito, e con particolare riguardo alla cartellizzazione esi

stente in Italia, v. Vitari, Il «cartello bancario»: riflessioni giuridi che su di un tema scarsamente studiato, in Giur. comm., 1974, I, 767 ss. (sull'argomento, e in special modo in riferimento alla natura

ed effetti del cartello, v. Patroni Griffi, Note in tema di « cartello

bancario » e di disciplina dei tassi bancari, id., 1978, I, 734-735), che mette in luce come l'unica funzione realmente svolta dal cartello sia sta ta quella di massimizzazione dei profitti delle imprese bancarie — inte

resse questo meramente privato e non certo generale (v. Corte giust. 27 marzo 1974, in causa 127/73, Foro it., 1974, IV, 312, che nega l'esenzione di cui all'art. 90, n. 2, ad una società di gestione di diritti

d'autore, richiamandosi appunto alla natura tutta privata degli inte

ressi coinvolti) — permettendo, tra l'altro, la raccolta di denaro ad un

prezzo più basso di quello che sarebbe possibile in una disciplina di

mercato: la qual cosa, lungi dal rappresentare un valido motivo per non applicare gli art. 85 ss., potrebbe dar luogo ad una ingiustificata

posizione di vantaggio delle filiali estere delle banche italiane che po trebbero contare su questo denaro raccolto a minor prezzo.

Per un primo commento alla su riportata pronunzia dei giudici di

Lussemburgo, v. M. C. Hafke, Einheitliche Bankkonditionen und EG

Recht, in Zeitschrijt liir das gesamte Kreditwesen, 1981, 899, che ri

chiama l'attenzione sulle difficoltà connesse alla prova dcll'abgestimmte Verhaltenweise. Nemmeno a dirlo, proprio su questi ostacoli è nau

fragata — salvo l'esito dell'appello — la richiesta di restituzione del

cliente: Amtsgericht Rosenheim 12 ottobre 1981, ampiamente riassunta

in Die Bank, 1981, 623, che ha ravvisato (sulla scia di Amtsgerichts

Lorrach 12 marzo 1980, in Bankkaufman 7/80, 25) gli estremi di un

« Parallelverhalten . .. kartellrechtlich irrilevantes » (sui delicati proble

mi di « caratterizzazione » del « collusive tacit price fixing » — che la

corte si studia d'ignorare con zelo degno di miglior causa — v., diffu

samente, R. A. Posner, Antitrust Law. An economic perspective, Chi

cago/London, 1976, specie 40 ss.). V. SlNtsi V. Sin isi

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