15 aprile 1935; Avv. mil. Ciardi —Imp. PolimeniSource: Il Foro Italiano, Vol. 60, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1935), pp.381/382-383/384Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23135498 .
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381 GIURISPRUDENZA PENALE 382
da persona dell'ordine giudiziario che non ne fosse rego
larmente investita. Onde, senza il correttivo della facoltà
dell'art. 198, la personale comparizione del P. M. in Can
celleria si sarebbe resa imprescindibile, con tutti gli in
convenienti pratici lamentati. Tali inconvenienti invece
non furono ravvisati nell'obbligo di presentazione dei mo
tivi, sia per il lungo termine concesso a tale presenta
zione, sia perchè, producendosi i motivi già stesi in iscritto
e in sè stessi giuridicamente perfetti, la loro presenta
zione era bensì atto di ufficio, ma non necessariamente
atto di magistrato, risolvendosi in una semplice manualità,
(ìhe un qualsiasi incaricato poteva compiere. Comunque,
l'obbligo di presentare i motivi d'impugnazione invece di
farli pervenire al Cancelliere deve riferirsi al potere di
certificazione che egli ha in ordine alla autenticità e pro
venienza e alla sua facoltà di compiere in proposito i re
lativi accertamenti. E non potrà disconoscersi che il bi
sogno di farlo ben raramente ricorrerà quando trattasi di
motivi prodotti dal P. M., la cui sottoscrizione verosimil
mente gli sarà cognita assai più di quella di un qualsiasi
privato; onde la presentazione, di essi, ad opera di un
appartenente all'ufficio del P. M. basterà a fugare ogni
dubbio sulla loro provenienza, se pur dubbio dovesse sor
gere, adempiendosi così ad esuberanza il voto della legge
che ha ispirato l'obbligo della presentazione.
Chiede che l'Ecc.ma Corte annulli senza rinvio la or
dinanza di esecuzione impugnata e disponga trasmettersi
gli atti al Tribunale di Lecce per il corso ulteriore del
l'appello interposto dal P. M.
La Corte decise in conformità.
TRIBUNALE MILITARE DI ROMA.
(Ufficio d'Istruzione)
15 aprile 1935 ; Avv. mil. Ciardi — Imp. Polimeni.
Abuso <li autorità — Sottufficiale dell'Esercito ita
liano che ferisce un caporale straniero — Reato
di lesioni (Cod. pen. per l'es., art. 168; cod. pen.
comune, art. 582 e 585).
Competenza penale — Militari dell'Esercito in tran
sito o soggiorno in territorio straniero — Giu
risdizione militare italiana — Richiesta del Mi
nistero della giustizia non necessaria — Man
canza di Tribunale presso l'Esercito dislocato
— Tribunale del luogo ove ha sede il Reggi
mento (Cod. pen. comune, art. 9 ; cod. pen. per l'es.,
art. 333 ; cod. pen. mil. mar., art. 365).
Il militare di un esercito straniero è considerato come
estraneo alla milizia italiana
Quindi la ferita inferta da un sottufficiale dell'Eser
cito italiano ad un caporale di un altro Esercito,
mentre l'uno e l'altro prestava il medesimo servi
zio, costituisce il reato di lesioni previsto dal codice
penale comune, e non quello di abuso di autorità
previsto dal codice penale per l'esercito.
I militari dell'Esercito, che transita o soggiorna in ter
ritorio straniero, non sono soggetti alla giurisdizione
penale del luogo, ma a quella penale militare ita
liana, sia che trattisi di reato militare sia che trat
tisi di reato comune. (1) Vigendo il principio dell'extraterritorialità, per la pro
cedibilità dei delitti da essi commessi non occorre la
richiesta del Ministro di grazia e giustizia voluto
dall'art. .9 cod. pen. comune. (2)
E, mancando presso le truppe italiane che trovansi al
l'estero un organo di giustizia militare, è competente a giudicare nel Regno il Tribunale militare del luogo, dove ha stanza il reggimento, al quale appartiene lo
imputato.
Il R. Avvocato militare (Ciardi) : — Nella causa
contro Polimeni Paolo, sergente maggiore nel 3° Reggi mento Granatieri, imputato di lesioni aggravate (art. 582, 585 cod. pen. per l'es.), per aver il 17 febbraio 1935, in
Saarbruken (Saar), inflitto un colpo di baionetta al capo rale inglese Wells, cagionandogli una ferita alla regione intercostale sinistra, presumibilmente guarita entro dieci
giorni. Considerato che, in linea preliminare, occorre risolvere
la questione di competenza. Trattasi nella specie di reato comune, e non del reato
militare di abuso di autorità (art. 168 cod. pen. per l'eser
cito). E ben vero che il rapporto criminoso è insorto tra
un sergente, il Polimeni, ed un militare di grado infe
riore, il caporale Wells; ma ciò non basta ad integrare la
figura giuridica dell'abuso, per il quale occorre che tanto
il soggetto attivo che il soggetto passivo del delitto siano
militari italiani. Ed è evidente che il militare di un eser
cito straniero non possa essere considerato che estraneo
alla milizia italiana.
Risolta così la questione della definizione giuridica del
reato, occorre trattare quella ben più grave e complessa
del giudice competente a conoscere del reato stesso.
E necessario, in proposito, ricordare che in diritto in
ternazionale esiste la cosidetta finzione della extraterri
torialità, per quanto ha riflesso alle truppe che transitano
o soggiornano nel territorio di un altro Stato. Tale fin
zione trova il suo giuridico fondamento nell'incontrastato
principio, in base al quale gli eserciti, espressione supre
ma della forza su cui si basa la sovranità di uno Stato,
portano con sè i propri giudici e le proprie leggi. Da
questo principio scaturisce l'altro che i militari dell'Eser
cito, che transita o soggiorna in territorio straniero, non
possono essere assoggettati alla giurisdizione penale del
luogo, ma solo alla giurisdizione penale militare italiana,
sia che trattisi di reato militare che di reato comune.
Per quanto concerne il caso in esame, si potrebbe ob
biettare che nella Saar non fu costituito un Tribunale
militare italiano e che, pertanto, in mancanza di tale or
gano di giustizia, si renda necessario stabilire se debba il
Polimeni, quale autore di reato comune, rientrando nel
Regno, essere assoggettato alla giurisdizione militare ita
liana o alla giurisdizione ordinaria ilaliana.
(1) Sostanzialmente conforme : Manzini, Comm. ai cod. pen.
mil., Diritto penale, Bocca, Torino, 1916, § 12.
(2) Devesi ricordare che per lo stesso principio dell'extra
territorialità, nel caso di reati commessi in paesi soggetti alle
capitolazioni, è stato egualmente ritenuto che i reati debbono
considerarsi come commessi nel Regno : C. 21 settembre 1905, Cimino (Foro it., Hep. 1906, voce Reato commesso all'estero, n. 4) ;
id., 2 marzo 1912, Lateano (id., 1912, II, 404, con nota di richia
mi) ; id., 12 ottobre 1925, Galli (id., 1926, II, 55); id., 14 ottobre
1925, Belluso, id., 5 febbraio 1926, Abruzzo (id., Eep. 1926, voce
cit., nn. 3 e 4); id., 21 ottobre 1927, Durante (id., 1928, II, 86);
id., 12 novembre 1928, Sampo (id., 1929, IT, 127); — in senso
contrario: id., 14 gennaio 1924, Palomba (id., Eep. 1924, voce
cit., n. 1).
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3PAÌITE SECONDA
La questione deve essere risolta in favore della giuri
sdizione militare, perle ragioni seguenti :
a) Il Polimeni è stato denunziato per lesioni aggra
vate, reato punibile, a termini dell'art. 582 e 585 cod.
pen. comune, con un minimo inferiore a tre anni di re
clusione. Ora, per l'ultimo capoverso dell'art. 9 del cod.
pen. comune, trattandosi di delitto a danno di uno stra
niero, il colpevole dovrebbe essere punito a richiesta del
Ministro della giustizia, sempre che l'estradizione di lui
non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata
dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il de
litto.
Questa norma dovrebbe senz'altro essere applicata, se
il Polimeni si fosse trovato all'estero in servizio isolato o
per ragioni private ; ma egli, come si è visto, era allo
estero regolarmente inquadrato in un reparto dell'Eser
cito, per modo che nei suoi confronti vige la finzione della
extraterritorialità, di cui sopra è cenno. Ora questo prin
cipio è in assoluto contrasto con lo spirito della norma
di cui al citato art. 9 ; qui si contempla il reato com
messo in territorio straniero, su cui domina il concetto
dell'estradizione e, in linea subordinata, quello della ri
chiesta del Ministro della giustizia ; laddove la finzione
dell'extraterritorialità opera, nel nostro caso, con un con
tenuto ideale che attinge alla sovranità dello Stato e che
è incompatibile con il concetto dell'estradizione.
Pertanto, nella soggetta materia si rende inapplicabile
il capoverso dell'art. 9 suddetto.
b) Nella legge penale comune non esistono norme
che possano, sia pure per analogia, regolare il caso in esa
me. In mancanza di tali norme, è lecito domandarsi :
deve, per un principio generale di diritto, il Polimeni,
una volta rientrato nel Regno, essere giudicato dalla giu
stizia penale comune per il reato comune da lui commesso
o deve, invece, essere assoggettato alla giurisdizione mi
litare italiana ?
Potrebbe, in favore della prima tesi, sostenersi che,
dal momento che vige la finzione della extraterritorialità,
il reato comune, commesso dal Polimeni, dovrebbe essere
considerato come commesso in territorio italiano e, con
seguentemente, devoluto alla giustizia ordinaria.
Ma non sembra che questo argomento abbia giuridica
consistenza. Invero, affermato il principio che competente
a conoscere di qualunque reato commesso all'estero, da
militari appartenenti a truppe che transitano o soggior
nano in territorio straniero, sia il giudice militare italiano,
non è lecito, per la mancanza dell'organo di giustizia,
prorogare senz'altro la giurisdizione marziale. Esiste sem
pre una giurisdizione militare italiana con adeguati organi,
ed è ad uno dei Tribunali militari territoriali che deve il
colpevole essere assoggettato, non già ai Tribunali or
dinari. Del resto, nel codice militare marittimo si contengono
norme che, per analogia, si attagliano perfettamente al
caso in esame.
Com'è noto, per l'art. 371 di detto codice, i consi
gli di guerra a bordo conoscono dei reati comuni di qua
lunque natura, commessi sia a terra che a bordo da per
sone inscritte nel ruolo di equipaggio di una nave nello
Stato, quando questa si trovi fuori delle acque del terri
torio del Regno. In base a tale disposizione, anche, se
la nave dello Stato è nelle acque territoriali di uno Stato
straniero, i suoi marinai sono giudicati dal consiglio di
guerra di bordo, e ciò appunto per la finzione dell'extra
territorialità, vigente, per questo riflesso, nei rapporti
internazionali tra Stati sovrani.
Può darsi però, che, per una causa qualsiasi, il con
siglio di guerra non possa costituirsi : in questa ipotesi
l'art. 365, n. 2, del codice marittimo stabilisce che i reati
militari o comuni siano devoluti alla giurisdizione dei
Tribunali militari marittimi. In altri termini la mancanza
o l'impossibilità di costituire l'organo di giustizia a bordo,
non conduce senz'altro alla proroga in favore dell'ordina
ria giurisdizione, ma dà luogo alla giurisdizione supple
mentare dei Tribunali marittimi in ogni caso.
Ciò premesso, tornando alla fattispecie, appare come
la situazione giuridica sia perfettamente analoga a quella
contemplata dagli art. 371 capoverso e 3^5, n. 2, codice
marittimo, e, di conseguenza, non possa esservi che iden
ticità di soluzione.
Il Polimeni, quindi, deve essere assoggettato alla
giurisdizione militare italiana, e precisamente a questo
Tribunale, quale appartenente ad un reggimento di stanza
in questa città, e ciò in base all'art. 333 codice esercito
che cosi dispone : « ove il reato sia seguito all'estero ne
conoscerà il Tribunale, nella giurisdizione del quale verrà
fatta la consegna dell'imputato o ne seguirà l'arresto».
Il Giudice istruttore decise in conformità.
RIVISTA DI GIURISPRUDENZA PENALE
Furto — Uso di chiave vera indebitamente procu
rata — Aggravante per uso di mezzo fraudo
lento (Cod. pen., art. 625, n. 2).
Il furto commesso mediante chiave vera indebitamente
procuratasi è aggravato per uso di mezzo fraudolento. (1)
Cassazione deI Regno, prima sezione penale, 17 maggio
1935;Pres. ed est. Aloisi, P. M. Piola Caselli (conci, conf.) — Conflitto in causa Biancardi.
(Ord. denunciata: Giud. istruttore Verona 8 aprile 1935)
(1) Conformi o sostanzialmente conformi : 7 luglio 1983, Liaoi
(Foro it., Hep. 1934, voce Furto, n. 84); 9 marzo 1934, Fallenti
(Giusi, pen., 1934. 1218, in. 368) ; T. Viterbo. 13 maggio 1933, Cuc
cioli ed Alfieri (Foro it., 1934, II, 216). L'attuale sentenza osserva : • In proposito è da rilevare che
il vigente codice penale, in tema di aggravanti specifiche del
reato di furto, non ha riprodotto la minuziosa casistica degli artt. 403 e 404 cod. pen. abrogato, ma spesso ha compreso sotto
unica locuzione varie ipotesi il cui contenuto può ricondursi
ad unico concetto fondamentale, come avviene per tutti quei mezzi che si riannodano alle nozioni di violenza o di frode.
Tale criterio, rilevabile facilmente dal confronto degli artt. 403
e 404 cod. pen. 1889 coll'art. 625 cod. pen., è stato messo in evi
denza dalla relazione al progetto definitivo, la quale, inoltre,
proprio riguardo alla aggravante dell'uso dei mezzi fraudolenti,
prevista dal n. 2 dell'art. 625, rileva che nell'aggravante mede
sima rientrano le ipotesi dei nn. 4 e 5 dell'art. 404 cod. pe nale 1889.
■ Ora il n. 5 di quest'articolo prevedeva appunto l'uso di
chiave falsa o anche della chiave vera perduta dal padrone o
a lui trafugata o indebitamente avuta o ritenuta. In altri ter
mini, l'aprire una serratura per commettere il furto mediante
chiave vera indebitamente procuratasi, come nella specie, co
stituisce un atto che, attentando più insidiosamente al bene pa trimoniale protetto dalla legge, era dal codice abrogato pre visto in modo specifico, mentre dal codice vigente è compreso nella formula generica di uso di mezzi fraudolenti... ».
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