ordinanza 2 marzo 1990; Giud. Lepore; imp. GattaSource: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1990), pp.725/726-729/730Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183688 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
D'altra parte, la situazione di «abbandono» rende inevitabile
l'esigenza di colmare la lacuna improvvisamente determinatasi nella
difesa tecnica dell'imputato; a tale fine soccorre l'art. 108 c.p.p., che consente al nuovo difensore di richiedere, ottenendolo, un
termine «per prendere cognizione degli atti e per informarsi sui
fatti oggetto del procedimento».
Analoga esigenza si verifica nell'ipotesi di legittimo impedimento del difensore, che ai sensi del 5° comma dell'art. 486 c.p.p. può dare luogo alla sospensione o al rinvio del dibattimento.
La situazione di «legittimo impedimento» rappresenta il rove
scio dell'ipotesi di «abbandono», cosicché questo ricorre tutte le
volte che il difensore non svolga il suo patrocinio pur in mancan
za di impedimento legittimo, con la conseguente possibile appli cazione dell'art. 108 c.p.p., per garantire comunque l'effettività
della difesa dell'imputato. Diversa è, poi, l'ipotesi di «non accettazione» della difesa, i
cui effetti, a norma dell'art. 107 c.p.p., decorrono dal momento
in cui essa viene comunicata all'autorità procedente e a chi ha
proceduto alla nomina; la «non accettazione» presuppone il man
cato compimento da parte del difensore di qualsivoglia atto dal
quale desumere un suo assenso tacito, giacché, ove questo doves
se ritenersi compiuto, la volontà del difensore di non prestare la propria assistenza dovrebbe manifestarsi nella forma della «ri
nuncia».
La «rinuncia» come la «revoca» sono atti consentiti; peraltro,
possono essere strumentalizzati per ostacolare il corso del proce dimento. Cosicché, la disciplina delle loro conseguenze proces suali è necessariamente articolata.
L'art. 108 c.p.p., infatti, nell'ipotesi in cui l'imputato abbia
«revocato» il proprio difensore o questi abbia «rinunciato» al
l'incarico conferitogli, prevede il diritto del nuovo difensore di
fiducia o di quello designato in sostituzione di richiedere ed otte
nere un termine per prendere cognizione degli atti e per informar
si sui fatti oggetto del procedimento (tale termine deve essere con
gruo, di norma non inferiore a tre giorni). Tale meccanismo però potrebbe, al limite, impedire il compi
mento dell'atto processuale (in particolare, del dibattimento): ta
le sarebbe il risultato di una successione continua di «revoche»
ovvero «rinunce».
Proprio per impedire tale eventualità sono stati posti i corretti
vi di cui ai commi 3° e 4° dell'art. 107 c.p.p., prevedendosi che
la «rinuncia» e la «revoca» non abbiano una efficacia «immedia
ta», ma «differita» fino al momento in cui la parte non risulti
assistita da un nuovo difensore di fiducia o da un difensore di
ufficio e non sia decorso il termine eventualmente concesso a nor
ma dell'art. 108 c.p.p. Tale previsione sta a significare che tra la «revoca» o la «ri
nuncia» del precedente difensore e la nomina del nuovo difensore
non si crea alcuna cesura della difesa tecnica dell'imputato, la
cui assistenza è garantita anche qualora il nuovo difensore abbia
richiesto ed ottenuto un termine per predisporre la sua difesa,
giacché fino al decorso di tale termine l'imputato continua ad
essere assistito dal precedente difensore di fiducia ovvero, in as
senza di quest'ultimo, dal suo sostituto, già nominato, con la
conseguente regolare prosecuzione del processo. L'efficacia della nuova nomina è procastinata alla scadenza del
termine eventualmente richiesto: sta al difensore che riceve la no
mina nell'immediatezza del dibattimento (o di altro atto proces
suale) valutare se accettarla o meno e nel primo caso se chiedere
o meno il termine, dovendo, qualora chieda il termine, prevedere
per la sua assistenza tecnica una decorrenza successiva al dibatti
mento (o all'altro atto processuale da compiere). La stessa relazione al codice di procedura penale chiarendo il
significato dei commi 3° e 4° dell'art. 107 afferma che la libertà
di revoca e di rinuncia «non deve ostacolare il corso del processo onde si è previsto (commi 3° e 4°) che esse abbiano effetto solo
quando l'imputato risulti assistito da altro difensore (fiduciario ovvero di ufficio) e sia decorso il termine eventualmente richiesto
dal nuovo difensore e a lui accordato».
Il caso di specie, pertanto, trova la sua regolamentazione nei
commi 3° e 4° dell'art. 107 e nell'art. 108 c.p.p. (Omissis)
Il Foro Italiano — 1990 — Parte II-20.
PRETURA DI POTENZA; ordinanza 2 marzo 1990; Giud. Le
pore; imp. Gatta.
PRETURA DI POTENZA;
Edilizia e urbanistica — Costruzioni abusive — Sanatoria — Obla
zione — Efficacia estintiva (L. 28 febbraio 1985 n. 47, norme
in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia; sanzio
ni, recupero e sanatoria delle opere edilizie, art. 31, 34, 35, 38).
Ai fini del condono edilizio, l'integrale corresponsione dell'obla
zione determina l'estinzione delle pene inflitte con sentenza de
finitiva di condanna per i reati indicati dall'art. 38, 2° comma, l. 47/85 (oltre ad impedire — mediante l'annotazione nel casel
lario giudiziale — la valutazione di detta condanna ai fini del
l'applicazione della recidiva e dell'ulteriore concessione della
sospensione condizionale della pena). (1) Per dichiarare l'estinzione per «condono» dei reati contravven
zionali di cui all'art. 38, 2° comma, I. 47/85, il giudice deve pregiudizialmente accertare che il fatto-reato sia stato commes
so entro il termine perentorio del 1 ° ottobre 1983, sicché, egli non può applicare — agli effetti penali — la concessione edili
zia in sanatoria ex art. 38 cit., rilasciata per manufatti abusivi, ultimati dopo la suddetta data. (2)
(1) I. - Il provvedimento si discosta consapevolmente da Corte cost. 31 marzo 1988, n. 369 (Foro it., 1989, I, 3383), secondo cui, invece, dopo la definitiva sentenza di condanna, il condono edilizio non può incidere sull'esecuzione delle pene già irrogate (ed eventualmente non an cora eseguite), ma produce solo i peculiari effetti penali, indicati dall'art.
38, 3° comma, 1. 47/85. II. - La tesi recepita dall'ordinanza in rassegna è stata sostenuta con
le medesime argomentazioni — in dottrina — da Mucciarelli, in Legi slazione pen., 1986, 112 ss.; nello stesso senso, si sono espressi sia For
tuna, in Assini, Cicala, Fortuna, Condono edilizio, recupero urbani stico e sanatoria, Padova, 1985, 113, 128, secondo cui l'oblazione de
qua ha un'efficacia abolitiva completa; sia Fornasari, Norme sul condo no edilizio, in Nuove leggi civ., 1985, 1227, secondo cui l'art. 38 1. cit. ha introdotto una causa estintiva «atipica», con propri fini peculiari ed un proprio meccanismo di funzionamento; nonché, Zecca, in AA.VV., Sanatoria dell'abusivismo e nuove norme di controllo dell'attività
urbanistico-edilizia, Milano, 1985 , 237.
L'opinione contraria (seguita — come detto — dalla Corte costituzio
nale) è stata patrocinata in dottrina da Vergine, Condono edilizio ed
innovazioni alla disciplina urbanistica sulla l. 28 febbraio 1985 n. 47 a cura di Gianolio, Rimini, 1985, 486 e da Giuffrè, Sanatoria e repressio ne degli abusi edilizi, Napoli, 1985, 192.
III. - Va ricordato che, secondo la Suprema corte, la concessione edili zia in sanatoria, regolamentata (autonomamente dagli art. 13 e 22 1. 47/85, è applicabile anche in sede di incidente d'esecuzione, al fine (esclusivo) di impedire l'attuazione del provvedimento demolitorio emesso dall'auto rità giudiziaria ex art. 7 I. cit., senza alcun possibile riflesso sulle pene (principali) irrogate e coperte da giudicato (Cass. 8 aprile 1988, Gregori, Foro it., Rep. 1989, voce Edilizia e urbanistica, n. 732 e Corriere giur., 1989, 379, con nota di Scarano).
(2) I. - Nello stesso senso è orientata la Suprema corte, che — reitera tamente — ha affermato lo stesso principio, (cfr. da ultimo; Cass. 23
febbraio 1988, Maiese, 23 febbraio 1988, Gambisio, 9 marzo 1988, Cri
stallo, 4 marzo 1988, Della Villa, 31 maggio 1988, Guglielmi, 30 maggio 1988, Romagnoli, 25 marzo 1988, Chiavaccini, Foro it., Rep. 1989, voce
cit., nn. 856, 861, 883, 884, 851, 859, 860, nonché 21 settembre 1988, Bottura, Riv. pen., 1990, 591, secondo cui la data del 1° ottobre 1983 costituisce un presupposto di legittimità, in assenza del quale manca in radice il potere della pubblica amministrazione di rilasciare la concessione in sanatoria, ex art. 35 e 38 1. 47/85.
II. - Nel provvedimento in epigrafe viene (succintamente) sottolineato che l'attività edilizia abusiva nel caso di specie si era protratta sino al 17 maggio 1984, ossia ben oltre la data ultima del 1° ottobre 1983, di
cui all'art. 31 1. cit. Va ricordato che detta norma recepisce una nozione peculiare di «ulti
mazione delle opere» (suscettibili di sanatoria), dando rilievo (solo) all'e secuzione del rustico ed al completamento della copertura (Cass. 20 apri le 1988, Bottega, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 821) reputando neces
saria l'avvenuta realizzazione delle strutture portanti e di tamponamento di un edificio (Cass. 24 novembre 1987 Formisano e 24 febbraio 1988,
Fini, ibid., nn. 817, 823, ed anche Cass. 27 giugno 1988, Peccarisi, Riv.
pen., 1990, 289), nonché dell'integrale copertura, la cui concorrenza è
necessaria per l'individuazione del volume dell'edificio (Cass. 20 aprile 1988, Bottega, cit.). È stato anche puntualizzato che l'opera «condonabi
le» va considerata nel suo complesso, senza possibilità di frazionamenti
e, quindi, di sanatorie «parziali» (Cass. 7 marzo 1988, Giordano, 17 maggio 1988, Defaio, 22 giugno 1988, Atzeni, Foro it., Rep. 1989, voce cit., nn. 822, 833, 831). Inoltre, quando l'opera abusiva sia stata constatata dopo il 1° ottobre 1983, spetta all'imputato provare l'ultimazione in data ante
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PARTE SECONDA
Il pretore, visti gli atti del procedimento di esecuzione n. 3/90
instaurato ad istanza del p.m. in data 6 febbraio 1990 e riguar dante l'esecuzione della sentenza di questo pretore in data 21 no
vembre 1985, divenuta irrevocabile il 2 gennaio 1986, con la qua le Gatta Giovanni Battista è stato condannato, unificati ex art.
81, 1° comma, c.p. i reati di cui agli art. 17, lett. b), 1. 10/77 e 20 1. 64/74, alla pena complessiva di giorni quindici di arresto e lire 900.000 di ammenda, ed è stata disposta, ex art. 23 1. 64/74, la demolizione del fabbricato abusivo, subordinandosi la conces
sione della sospensione condizionale della pena alla spontanea de
molizione dell'opera da parte dello stesso nel termine di tre mesi
dal passaggio in giudicato della sentenza; sentite le ulteriori richieste formulate dal p.m. e dal difensore
dell'interessato nel contraddittorio dell'udienza camerale del 1°
marzo 1990.
Osserva: I. - Certamente inapplicabile al caso di specie è la
disposizione dell'art. 673 nuovo c.p.p. che va riferita all'ipotesi di abolitio criminis, talché va disattesa la relativa richiesta del
difensore.
II. - Coperta ormai dal giudicato ogni discussione circa la legit timità della condizione apposta alla concessione della sospensione condizionale della pena, non resta che rilevare che, secondo le
informazioni in data 5 dicembre 1989 del sindaco di Tito, in or dine al cui contenuto non vi è contestazione, e che sono piena mente valutabili ex art. 666, 5° comma, c.p.p., il Gatta non ha
provweduto nel termine stabilito dalla sentenza alla demolizione
dell'opera. Ciò comporta necessariamente l'accoglimento della richiesta di
revoca del beneficio a norma dell'art. 168, 1° comma, n. 1, ulti
ma ipotesi, c.p. essendo in tal modo dimostrata la violazione de
gli obblighi imposti al condannato. III. - In ordine alle altre conseguenziali richieste delle parti,
va esaminata pregiudizialmente quella del difensore tendente alla
declaratoria di estinzione dei reati ex art. 38 1. 47/85 in quanto
riore (Cass. 31 maggio 1988, Musti, ibid., n. 852). Peraltro — al di fuori della speciale disciplina normativa del «condono» edilizio — l'ultimazio ne» delle opere ai fini dell'interruzione della permanenza del reato di costruzione abusiva viene correlata alla cessazione dei lavori di rifinitura,
compresi quelli esterni, quali intonaci ed infissi (cosi, tra le altre, Cass. 9 marzo 1984, Ciullo, id., Rep. 1985, voce cit., n. 710; 18 gennaio 1984, Mussbaum, ibid., voce Prescrizione penale, n. 11). Per ulteriori conformi richiami di giurisprudenza, cfr. Barbato, Reati in materia di edilizia ed
inquinamenti, Torino, 1987, 201 ss. II. - La prevalente giurisprudenza della Suprema corte esclude che il
giudice penale — oltre alla verifica cronologica, di cui supra sub I —
possa valutare anche la rispondenza delle somme versate dal privato a titolo di oblazione alle tabelle allegate alla 1. 47/85: cfr. in proposito i richiami nella nota a Trib. Cassino 4 febbraio 1988, Foro it., 1989, II, 552.
III. - Nel provvedimento in epigrafe — conformemente ad un consoli dato orientamento giurisprudenziale — il sequestro penale è stato ritenu to idoneo ad interrompere la permanenza del reato di costruzione abusi
va, in quanto sottrae, al costruttore la disponibilità di fatto e di diritto dell'immobile (cosi, da ultimo, Cass. 15 marzo 1988, Oppermann, id., Rep. 1989, voce Edilizia e urbanistica, n. 761).
Sotto la vigenza del codice del 1930 è stato più volte evidenziato (come anche nell'ordinanza in esame) che il sequestro c.d. preventivo si esauri sce necessariamente al termine del procedimento, essendo la finalità im
peditiva di prosecuzione dell'attività criminosa collegata al potere mera mente processuale del giudice (cosi Cass. 20 ottobre 1987, Riccioni, 9
maggio 1988, Amici, ibid., voce Sequestro penale,, nn. 9, 10. Per ulterio ri richiami di dottrina e giurisprudenza a proposito del c.d. sequestro preventivo anche per quel che concerne la nuova disciplina, ora prevista dagli art. 321 ss. c.p.p. del 1988: v. la nota di G. Giorgio a Pret. Roma, decr. 3 ottobre 1987, id., 1989, II, 555).
IV. - Va, infine, ricordato che secondo Cass. 29 gennaio 1988, Perillo, (id., Rep. 1989, voce Edilizia e urbanistica, n. 816) è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 31 1. cit., sol levata in riferimento all'art. 3 Cost., sul presupposto che detta norma
prevederebbe un trattamento di favore, collegato al rispetto meramente fortuito del termine (già citato) del 1° ottobre 1983. Invero — a dire della corte — sussiste, nel caso di specie, una valutazione discrezionale di natura politica in ordine alle dimensioni assunte nel tempo dall'abusi vismo edilizio ed alla preferenza da riservare a situazioni consolidate, riservata — come tale — al legislatore, in assenza, peraltro, di una mani festa irragionevolezza. Sui problemi di costituzionalità della disciplina del «condono edilizio», cfr. i richiami di dottrina contenuti nella nota di G. Giorgio a Corte cost. 31 marzo 1980, n. 369, id., 1989, I, 3383.
Il Foro Italiano — 1990.
il suo accoglimento, per quanto si dirà, potrebbe condurre, ri
spetto alle altre, a conseguenze più favorevoli per il condannato.
In proposito, va rilevato che la fattispecie astrattamente estin
tiva si sarebbe perfezionata, secondo quanto risulta dal documento
esibito in udienza, in data 15 febbraio 1990, quando il procedi mento di sanatoria, instaurato con la domanda del 29 aprile 1986, si è concluso con il rilascio della concessione in sanatoria conte
stuale al giudizio di congruità della somma versata a titolo di
oblazione; sicché l'intero procedimento di sanatoria ed il perfe zionamento della causa estintiva, quali fatti successivi alla forma
zione del giudicato, ben potrebbero essere rilevati in sede di ese
cuzione non essendo deducibili anteriormente nel corso del giudizio.
Peraltro, la richiesta del difensore va rigettata, anche se per motivi diversi da quelli evidenziati dal p.m., che ha sostenuto,
argomentando ex art. 38, 3° comma, 1. 47/85, l'inidoneità del
versamento integrale dell'oblazione ad operare quale «causa di
estinzione della pena» potendo esso produrre, ove intervenga do
po la condanna definitiva, i soli effetti descritti in tale disposizione. La tesi del p.m., in verità, è confortata dalla decisione di Corte
costituzionale n. 369 del 31 marzo 1988 (Foro it., 1989, I, 3383) (che peraltro, pur nella sua autorevolezza, non è vincolante a
tale conclusione, attesa la sua natura di sentenza interpretativa di rigetto), ma registra numerosi dissensi in dottrina, cui questo
pretore ritiene doversi adeguare. È ben vero che sul piano definitorio degli effetti dell'oblazione
l'unico dato espresso appare quello (art. 38, 2° comma, 1. 47/85) secondo cui essa «estingue i reati», mentre nulla si rileva dal te
sto del 3° comma dello stesso articolo che consenta di individua
re un'espressa indicazione nel senso della qualificazione dell'isti
tuto anche come causa di estinzione della pena. Ma ciò non impedisce una lettura della disposizione dell'art.
38, 3° comma, 1. 47/85 in senso additivo, nella quale la non
valutabilità della precedente condanna ai fini della recidiva e del
la sospensione condizionale della pena si aggiunge ai normali ef
fetti della categoria generale delle cause di estinzione della pena. Non è di ostacolo a tale conclusione la pur necessaria correla
zione tra tale disposizione e quella dell'art. 44 1. 47/85 poiché, nell'ambito di una diversa soluzione interpretativa, l'espressione
«procedimenti penali» ivi contenuta, ben può essere dilatata in
terpretativamente fino a comprendervi la fase dell'esecuzione.
Né una tale conclusione necessariamente impone di rivedere la
qualificazione, che si condivide pienamente, dell'istituto del «con
dono edilizio» quale causa estintiva sui generis non riconducibile
compiutamente né all'amnistia né all'oblazione.
Pur condividendo tale qualificazione occorre infatti ricordare
come vasta dottrina, superando le indicazioni terminologiche con
tenute nel codice penale, riconduca sostanzialmente sia le cause
di estinzione del reato che quelle di estinzione della pena ad una
comune fenomenologia di incidenza sulla punibilità (anche se di
versamente intesa), astratta per le prime e concreta per le seconde.
Tanto che la punibilità, oggetto di estinzione, rappresenta l'u
nico momento di raccordo e unificazione di entrambe le specie di cause estintive e l'estinzione opera, indipendentemente dal mo
mento in cui interviene, sempre secondo lo stesso meccanismo fondamentale.
Né in quest'ottica può essere dimenticato che il diritto vigente è tendenzialmente orientato, fin quasi a potersene derivare una
regola generale a riconoscere agli stessi fatti estintivi della punibi lità astratta (cause di estinzione del reato) anche una potenzialità estintiva della punibilità concreta ove intervengano dopo la con danna (assumendo cosi la veste di cause estintive della pena).
Ciò si riscontra agevolmente non solo per le cause estintive
speciali (vigenti o eliminate dall'ordinamento) di cui agli art. 544, 574, 556, 563, 2° comma, c.p. con esclusione della sola ipotesi dell'art. 641 c.p.
Per quanto riguarda quelle generali, senza tener conto dell'o
blazione e del perdono giudiziale, che per le loro caratteristiche
strutturali impediscono la stessa ipotesi di una pronunzia di con
danna rispetto alle quali possano essere successive, anche la re
missione della querela (indipendentemente dalla sua controversa
qualificazione come causa estintiva piuttosto che come istituto di carattere esclusivamente processuale) non vede a sè concettual mente estranea la possibilità di venire ad esistenza e produrre
gli effetti estintivi anche dopo la sentenza di condanna, come
dimostra (anche se ormai non più applicabile) il testo dell'art. 563, 1° comma, c.p.
E quanto alla sospensione condizionale della pena l'operatività
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GIURISPRUDENZA PENALE
degli effetti estintivi è certamente proiettata in un momento suc
cessivo alla formazione del giudicato, e i suoi effetti consistono, mediati dall'utile decorso del termine (art. 167, 2° comma, c.p.),
appunto nell'eliminazione della punibilità in concreto derivante
dalla pronunzia di condanna.
Quando poi si passi alle ipotesi di amnistia (cui maggiormente è assimilabile l'istituto in esame), o di morte del reo o di decorso
del tempo, è agevole verificare che gli stessi fatti sono espressa mente disciplinati anche come cause estintive della pena. In so
stanza, tale riconducibilità ad una comune caratteristica di tutte
le cause estintive induce a ritenere difficilmente ipotizzabile nel
l'attuale ordinamento, in mancanza di un'espressa indicazione in
tal senso del legislatore, che valga come deroga a tale impostazio ne sistematica generale, una causa estintiva del reato che non possa
operare anche sulla pena in concreto pur essa irrogata, facendola
venir meno.
E poiché in tema di condono edilizio mancano disposizioni che
limitino la possibilità di attivazione e conclusione del procedi mento di oblazione ad un momento anteriore alla formazione
del giudicato, nonostante l'incerta formulazione degli art. 38, 2°
comma, e 3 1. 47/85, e la mancata espressa previsione in tal sen
so, non v'è ragione di ipotizzare che il legislatore abbia voluto
sottrarsi a tale impostazione generale, e deve ritenersi che l'effet
to estintivo si determina, nel caso che sia stata emessa sentenza
di condanna passata in giudicato, estinguendo la pena irrogata. In sostanza, l'effetto estintivo è essenzialmente disciplinato dal
l'art. 38, 2° comma, 1. 47/85, mentre il 3° comma di tale disposi zione ne completa le previsioni, ma richiamandole e presuppo nendole integralmente secondo una formulazione che, sia pure articolata in commi diversi e separati, indubbiamente richiama
alla mente la più sintetica indicazione della duplice potenzialità di effetti dell'amnistia contenuta nell'art. 151, 1° comma, c.p.
Talché, unica differenza tra le ipotesi di oblazione perfezionatesi
prima e dopo la sentenza di condanna definitiva sta nel fatto
che nel secondo caso si verifica un ulteriore (e non unico) effetto
estintivo consistente nella non valutabilità della condanna ai fini
della recidiva e della sospensione condizionale.
Che tale debba essere stata la volontà del legislatore sembra
desumibile del resto da molteplici considerazioni. Innanzitutto, il riferimento al passato di tutto l'istituto (che riguarda le costru
zioni ultimate entro il 1° ottobre 1983, ma può concernere anche
costruzioni realizzate ben anteriormente al settembre 1967) rende
evidente che per la maggior parte dei casi in cui in relazione alla
costruzione abusiva fosse stato iniziato procedimento penale, lo
stesso doveva ormai essere terminato. Ed apparirebbe ben strano
che il legislatore non si sia reso conto della maggiore incidenza
percentuale di tali ipotesi, apprestando per esse una disciplina
degli effetti estintivi meno «appetibile» rispetto a quella predi
sposta per i casi di giudizio in corso, cosi rischiando di pregiudi care gli scopi perseguiti. In proposito, la richiamata decisione della
Corte costituzionale evidenzia esattamente come il fondamento
dell'istituto del condono edilizio vada ricercato nell'esigenza di
«chiudere un passato di illegalità di massa» nel campo edilizio,
pervenendo, attraverso le richieste di concessioni in sanatoria, ol
tre che alla legalizzazione degli illeciti pregressi, anche all'acquisi zione di conoscenze sul fenomeno indispensabili per fini di chia
rezza catastale, tributaria, ecc... e, si aggiunge, per la predisposi zione dei piani di recupero degli insediamenti abusivi.
Per il raggiungimento di questi fini sono previsti gli effetti estin
tivi, di carattere «premiale», della richiesta di concessione in sa
natoria.
Ma con riferimento a illeciti pregressi per i quali fosse già stata
pronunziata condanna, ben scarsi aspetti di «premialità» sareb
bero ravvisabili nella sola certezza della non valutabilità della con
danna ai fini della sospensione condizionale della pena e della
recidiva, specie in quei casi in cui la lontananza nel tempo dell'il
lecito contribuisse a far ritenere comunque non seriamente ipotiz zabile l'adozione dei provvedimenti repressivi in via amministrativa.
Proprio in relazione a tale ipotesi il raggiungimento della fina
lità in questione imponeva invece incentivi ben maggiori (rispetto ai casi di procedimenti penali ancora in corso) alla presentazione della domanda di condono, e questa riflessione autorizza la lettu
ra dell'art. 38, 3° comma, 1. 47/85 nel senso di una scelta di
tal genere da parte del legislatore. Rimanendo nella stessa ottica della considerazione della ratio
Il Foro Italiano — 1990.
sottesa alle disposizioni in esame, occorre anche riconoscere che
essa è identica sia con riferimento ai responsabili di illeciti edilizi che siano stati condannati, sia con riferimento a coloro che risul
tino soltanto imputati. Ciò dovrebbe essere preminente nella va
lutazione del rispetto dei principi di cui all'art. 3 Cost., ed anche
se l'opposta lettura della norma è stata giudicata costituzional
mente corretta dal giudice delle leggi, resta comunque il fatto
che in essa l'elemento differenziatore della diversa disciplina sa
rebbe dipendente nella gran parte dei casi da fattori puramente casuali ed occasionali.
Sicché l'interprtazione che si sostiene, in quanto maggiormente conforme ai principi costituzionali, sembra senz'altro preferibile.
Non sembra infine irrilevante un dato testuale. Perché possano
operare gli effetti di cui all'art. 38, 3° comma, 1. 47/85, occorre, secondo la norma, che venga «fatta annotazione dell'oblazione
nel casellario giudiziale». Evidentemente, non essendo concepibi
le, tanto nel vecchio quanto nel nuovo sistema processuale pena
le, l'iscrizione nel casellario giudiziale di fatti o accadimenti, ma solo di provvedimenti, trattasi di espressione che in realtà ellitti
camente sta ad indicare le ordinanze emesse dal giudice dell'ese
cuzione e i provvedimenti del p.m. che riguardano la pena o gli effetti penali della condanna, e cioè gli unici provvedimenti che
con riferimento all'ipotesi di specie, apparivano suscettibili di iscri
zione nel casellario a norma degli art. 603 e 604, 1° comma, lett. a), vecchio c.p.p., cui occorre far riferimento essendo all'e
poca vigente. In particolare, sembra indiscutibile che il perfezionamento del
l'oblazione debba essere dichiarato dal giudice dell'esecuzione,
apparendo applicabile anche a tale fase dei processo il principio della necessità di verifica da parte dell'autorità giudiziaria.
E poiché la norma, cosi intesa, sembra distinguere chiaramente
l'oblazione (o meglio il provvedimento del giudice dell'esecuzio
ne) che va iscritto nel casellario, dagli effetti dell'oblazione stessa
(che conseguono a tale declaratoria), sembra evidente che il prov vedimento del giudice dell'esecuzione non possa avere altro con
tenuto che quello di una dichiarazione di estinzione della pena. D'altra parte, nell'attuale sistema non sembra possibile rinvenire
alcuna ipotesi in cui il giudice dell'esecuzione debba limitarsi a dichiarare la non valutabilità di una condanna ai fini della recidi
va e della sospensione condizionale della pena. Trattasi infatti
di una fattispecie di esclusione degli effetti penali della condanna che segue di regola, e solo eccezionalmente (art. 178 c.p.), ad
un'ipotesi di estinzione della pena. Nulla induce a ritenere che il legislatore abbia inteso derogare
a tale impostazione generale del sistema, attribuendo rilievo au
tonomo all'esclusione di tali effetti penali, sicché anche per tale
verso si impone la conclusione che il provvedimento da iscrivere
nel casellario giudiziale consista in una declaratoria di estinzione
della pena per effetto dell'oblazione, a cui direttamente la legge
collega l'esclusione dei già indicati altri effetti penali della
condanna.
IV. - Tale declaratoria peraltro non può essere emessa. In pro
posito non vi è ragione di escludere nella fase di esecuzione la
validità del principio per cui l'oblazione non opera automatica
mente per il perfezionamento del procedimento amministrativo
e la produzione dei suoi effetti è sottoposta al controllo di merito
del giudice penale sulla ricorrenza delle condizioni volute dal legis latore (in tal senso oltre a Corte cost. 369/88, v., da ultimo, Cass. 25 marzo 1989, Chiavaccini, id., Rep. 1989, voce Edilizia e urbanistica, n. 860). E nel caso di specie le disposizioni degli art. 31 s. 1. 47/85 appaiono inapplicabili poiché, come risulta inequivocabilmente, ed ormai incontestabilmente, dall'accertamento
contenuto nella sentenza posta in esecuzione, la costruzione del
Gatta non è stata ultimata entro il 1° ottobre 1983 essendosi pro tratta l'attività dell'imputato fino al 17 maggio 1984 (data in cui
la permanenza è stata interrotta dall'attuazione del sequestro).
(Omissis) VI. - Il sequestro della costruzione con la sentenza è stato man
tenuto per finalità oggi riconducibili alla disciplina rispettivamen te degli art. 316 s. e 321 s. nuovo c.p.p. Cessate tali ragioni in
conseguenza della declaratoria di applicazione del d.p.r. 865/86
ed inoltre da un lato mancando prova dei presupposti dell'art.
316, 1° e 2° comma, nuovo c.p.p., dall'altro con riferimento al
l'art. 323, 3° comma, nuovo c.p.p. non essendo stata ordinata
la confisca (né dovendosi la stessa ordinare ex art. 676, 1° com
ma, nuovo c.p.p.), si impone l'accoglimento della richiesta della
sua restituzione.
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