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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || ordinanza 21 ottobre 1987; Pres. ed est. Gaddini; imp....

Date post: 27-Jan-2017
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ordinanza 21 ottobre 1987; Pres. ed est. Gaddini; imp. Antignani Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp. 555/556-561/562 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23182782 . Accessed: 24/06/2014 22:08 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.196 on Tue, 24 Jun 2014 22:08:31 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || ordinanza 21 ottobre 1987; Pres. ed est. Gaddini; imp. Antignani

ordinanza 21 ottobre 1987; Pres. ed est. Gaddini; imp. AntignaniSource: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp.555/556-561/562Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182782 .

Accessed: 24/06/2014 22:08

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PARTE SECONDA

I

TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 21 ottobre 1987; Pres. ed

est. Gaddini; imp. Antignani.

TRIBUNALE DI ROMA;

Sequestro per il procedimento penale — Sequestro di beni ed aree

archeologiche — Revoca — Fattispecie (Cod. proc. pen., art.

337, 343 bis; 1. 1° giugno 1939 n. 1089, tutela delle cose d'inte

resse artistico o storico, art. 11, 59). Istruzione penale — Atti di polizia giudiziaria — Illegittimità —

Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 219).

È illegittimo — perché privo del nesso di pertinenza della cosa

al reato — il sequestro penale di un immobile d'interesse ar

cheologico, disposto al fine d'interromperne un uso non com

patibile con il suo carattere storico (nella specie, è stato pun

tualizzato che, al più, il sequestro poteva estendersi ai beni mo

bili impiegati per attuare l'uso illecito del bene vincolato). (1) Il sequestro penale c.d. preventivo può essere disposto (solo) al

fine di impedire gli effetti lesivi di un reato, suscettibili ancora di prodursi e quindi ulteriori e diversi rispetto a quelli già veri

ficatisi. (2) L'ordine di sgombero di un bene immobile impartito — ex art.

219 c.p.p. — dall'autorità giudiziaria alla polizia giudiziaria è illegittimo, in quanto costituisce un provvedimento atipico, non previsto dal vigente ordinamento. (3)

II

PRETURA DI ROMA; decreto 3 ottobre 1987; Giud. Albamon

te; imp. Antignani.

Antichità e belle arti — Tutela delle cose d'interesse archeologico — Limitazioni ed obblighi dei possessori — Uso non compati bile con le caratteristiche del bene — Fattispecie (L. 1° giugno 1939 n. 1089, art. 1, 11, 59).

Sequestro per il procedimento penale — Sequestro di beni ed aree

archeologiche — Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 337; 1. 1°

giugno 1939 n. 1089, art. 11, 59). Istruzione penale — Atti di polizia giudiziaria — Fattispecie (Cod.

proc. pen., art. 219; 1. 1° giugno 1939 n. 1089, art. 11, 59).

È adibito ad uso non compatibile con il suo peculiare carattere

storico l'immobile d'interesse archeologico destinato, in parte, a deposito permanente di attrezzature, impiegate precedente mente per lo svolgimento, all'interno del bene vincolato, di spet tacoli teatrali autorizzati. (4)

Va disposto il sequestro penale di un immobile d'interesse ar

cheologico, al fine d'interromperne un uso non compatibile con

il suo carattere storico. (5) Il giudice penale deve impartire l'ordine, ex art. 219 c.p.p., alla

polizia giudiziaria di sgomberare, dall'interno di un immobile

d'interesse archeologico, gli oggetti impiegati per attuare un

uso del bene vincolato, incompatibile con il peculiare carattere

storico del medesimo. (6)

(1-3, 5-6) I. - I due antitetici procedimenti in rassegna ripropongono la querelle (dottrinale e giurisprudenziale) connessa ai limiti di ammissibi lità dei provvedimenti adottabili dall'autorità giudiziaria ex art. 219 c.p.p. e del sequestro c.d. preventivo (e su cui, in particolare, si rinvia all'ampia nota redazionale di A. Ferrara a Trib. Roma, ord. 2 febbraio 1987, in Foro it., 1987, II, 456).

La pronuncia pretorile segue il filone giurisprudenziale di merito, che fa operare nella prassi l'art. 219 c.p.p. come norma atta a garantire una tutela d'urgenza in sede penale. Nell'ambito di esso, viene ritenuta am missibile l'adozione da parte dell'autorità giudiziaria di provvedimenti inibitori e cautelari, anche a carattere ordinatorio, pur riservati — in astratto — ad autorità amministrative (cfr., in argomento, la nota reda zionale di Pinucci a Cass. 24 novembre 1982, Marzari-Milanesi, id., 1984, II, 6, spec. 9-10, sub IV e V; Carli-Paolozzi, Commentario breve al codice di procedura penale a cura di Conso-Grevi, Padova, 1987, 686-687; 964-966; Salvi, Presupposti e limiti dell'attività impeditiva prevista dal l'art. 219 c.p.p., in Cass, pen., 1987, 2045).

Com'è stato già notato già in dottrina, in tal modo si viene «(...) a

Il Foro Italiano — 1989.

I

Si deve anzitutto premettere ed evidenziare che il decreto di

sequestro sotto riesame è relativo a beni ed aree archeologiche

(che si prospettano come occupate illegittimamente e/o usate in

modo incompatibile con il loro carattere storico e artistico o tale

da recare pregiudizio alla loro integrità o conservazione) e non

ai materiali che tali beni occupano e/o usano, di proprietà del

teatro dell'opera di Roma.

Non è di competenza di questo tribunale la trattazione esausti

va dello stretto merito circa la sussistenza dei reati ipotizzati, ma

solo la verifica di un fumus utile e sufficiente a legittimare un

provvedimento di sequestro che in esso trova fondamento

prospettare il superamento della tradizionale visione del processo come strumento per l'accertamento del reato e l'applicazione della pena, per attribuirgli una più ampia funzione di meccanismo attraverso il quale si possono realizzare anche forme incisive di immediato intervento del l'ordinamento a garanzia di valori essenziali» (cosi Leone-Mencarelli, Processo penale (dir. vig.), voce dell 'Enciclopedia del diritto, Milano, 1987, XXXVI, 402 ss., spec. 408).

II. - Detto orientamento giurisprudenziale contrasta con quello (preva lente) della Suprema corte, secondo cui «l'art. 219 c.p.p. non consente l'adozione di qualsiasi provvedimento ritenuto idoneo a realizzare la fina lità di impedire che il reato sia portato a conseguenze ulteriori, ma con tiene una norma di sintesi che deve sempre riferirsi alle forme specifiche e predeterminate di coercizione reale o personale autorizzate o imposte dalle norme penali sostanziali o processuali» (cosi, tra le altre, Cass. 14 febbraio 1984, Coppola, Foro it., Rep. 1985, voce Polizia giudiziaria, n. 9); sicché resta esclusa la possibilità per il giudice di emettere — ex art. 219 c.p.p. — atti amministrativi, anche a contenuto ordinatorio, ri servati dalla legge ad altre autorità, nemmeno in funzione anticipata e con carattere di provvisorietà rispetto all'intervento di dette autorità (Cass. 19 maggio 1983, Nicolò, id., Rep. 1984, voce Istruzione penale, n. 20). In tale prospettiva, per quel che concerne i beni protetti ex 1. 1089/39, è stato evidenziato: che non rientra nei poteri del magistrato penale ordi nare la sospensione dei lavori edilizi che si eseguono su beni soggetti a vincolo per il loro interesse storico ed artistico (Cass. 10 febbraio 1976, Muccioli, id., Rep. 1977, voce Antichità e belle arti, n. 35).

Su quest'ultima tematica, in dottrina, è stata sostenuta la tesi contraria

(Rotei, La tutela penale delle cose di interesse artistico e storico, Napoli, 1978, 73).

Tuttavia, occorre sottolineare che (se pur isolatamente) la Suprema corte ha reputato un decreto pretorile, con cui — ex art. 219 c.p.p. — era stato ordinato lo sgombero di un edificio occupato abusivamente, come «un atto tipico di polizia giudiziaria di fronte ad una condotta criminosa in itinere»; nella circostanza è stato, però, puntualizzato che detto prov vedimento «trova la sua giustificazione non tanto nelle specifiche norme

processuali e sostantive dell'ordinamento penale» (...) «quanto nel princi pio generale immanente, nel sistema, del dovere dello Stato, previsto nel l'art. 52 c.p. (...)» (cosi Cass. 14 marzo 1986, Zarà, Foro it., Rep. 1987, voce Istruzione penale, n. 12, riportata con la motivazione da Salvi, op. cit., 2048, sub nota 4). Inoltre, è stato valutato esente da censure anche un decreto pretorile, con cui — ex art. 219 c.p.p. — era stata vietata la pesca di vongole, effettuata con peculiari attrezzi, al fine di prevenire danni al patrimonio biologico marittimo, trattandosi di una disposizione impartita solo alla polizia giudiziaria (Cass. 22 febbraio 1983, Ballarin, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 21, annotata criticamente da Kalb, in Cass. pen., 1984, 1475). Infine, va segnalato che la Corte costituziona le recentemente ha sottolineato, se pur incidenter tantum, che il pretore — nell'ambito delle attività preliminari di polizia giudiziaria ex art. 219, 220 e 231 c.p.p. — «specie in situazioni d'urgenza, ben può assumere

provvedimenti, che (...) incidono nel campo dei poteri riservati alla pub blica amministrazione» (Corte cost. 19 dicembre 1986, n. 283, Foro it., 1988, I, 774, con nota di C.M. Barone; su detta pronuncia, cfr. anche le osservazioni di Amendola, Ambiente, leggi ed istituzioni, in Giu dici ed ambiente, a cura di Magistratura democratica, Bari, 1988, 18-24).

III. - Nel caso di specie, è stato adottato, ex art. 219 c.p.p., il provve dimento di sequestro del bene immobile, oggetto di immediata tutela ex 1. 1089/39, al fine di evitare che i reati contestati venissero portati ad ulteriori conseguenze. Orbene, in giurisprudenza, più volte è stata sottoli neata la legittimità del sequestro c.d. preventivo della costruzione abusi

va, realizzata senza concessione edilizia (cfr. Cass. 24 novembre 1984 Mes sina, Foro it., 1985, II, 65, con nota di richiami; 19 gennaio 1985, Smi notti e 18 aprile 1985, Ferrerò, id., Rep. 1986, voce Sequestro penale, nn. 11, 12).

Tra l'altro, è stato sottolineato che uno dei limiti all'esercizio del pote re di sequestro penale preventivo è costituito dal fatto che «(...) le

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557 GIURISPRUDENZA PENALE 558

e presupposto. Nonostante l'ampia e convincente documentazio

ne prodotta dai ricorrenti, quindi, non può ritenersi del tutto in

sussistente l'ipotesi accusatoria, come si chiede in motivi, dato

che potrebbero ravvisarsi i reati in questione in un ampliamento

dell'occupazione legittima o in un uso non consentito di beni ar

cheologici ove l'una e/o l'altro eccedenti l'area offerta in conces

sione o, anche all'interno di questa, ove esercitati oltre o contro

modalità, prescrizioni e limiti imposti. Quanto però alla legittimità del sequestro sotto il profilo fun

zionale, processuale e cautelare, va osservato che:

1) manca ogni nesso di pertinenza tra i reati ipotizzati ed il

sequestro dei beni archeologici. Infatti non è evidentemente il be

ne archeologico illegittimamente occupato o indebitamente

opere e le cose sequestrate non debbono essere estranee alla situazione

propria della norma incriminatrice violata» (Cass. 24 novembre 1984, Mes

sina, cit.). Orbene, certamente l'immobile realizzato in assenza di conces

sione edilizia non è «estraneo» (e, quindi è pertinente) al reato contem

plato dall'art. 20, lett. b), 1. 47/85, di cui, invero, costituisce strido iure

il «prodotto», quale cosa creata mediante l'esecuzione della suddetta fat

tispecie contravvenzionale (sulla nozione di «cosa pertinente al reato»,

cfr. Cass. 20 febbraio 1986, Fiorentino, id., Rep. 1987, voce cit., n. 13).

Invece, nell'ipotesi in esame, il provvedimento di sequestro ha colpito

proprio il bene, direttamente protetto dall'ordinamento giuridico e privo

ex se (ovviamente) di qualunque rilevanza criminosa, o, comunque, pro

batoria, si da determinare (di fatto) un'amministrazione giudiziaria extra

ordinem (come peraltro, rilevato dal Tribunale della libertà di Roma nel

suo provvedimento). D'altronde, significativamente è stato valutato come illegittimo il prov

vedimento di sequestro di un edificio, «diretto non solo ad assicurare

la conservazione dello stato attuale del fabbricato al fine di acquisire

elementi di prova (...), ma anche, anzi precipuamente, a preservare il

patrimonio storico-artistico della città — nella specie, Orvieto — (...)»

(cosi, Cass. 21 dicembre 1973, Soc. Bemoto, id., 1974, II, 265, con nota

di richiami). IV. - Il Tribunale di Roma sottolinea, nel suo provvedimento, l'impor

tanza del c.d. nesso di pertinenza tra la cosa sottoposta a sequestro ed

il reato oggetto delle indagini, al pari della Suprema corte (in argomento,

cfr. la nota di Ferrara, cit.). Detto nesso è stato valutato - anche recentemente - come requisito es

senziale del sequestro (Cass. 20 giugno 1985, Scaraboggio, id., Rep. 1986,

voce cit., n. 9) ed oggetto di necessaria - se pur succinta - motivazione

(Cass. 26 giugno 1987, Pagano, id., Rep. 1988, voce cit., n. 17).

Per considerazioni più generali sull'istituto del sequestro penale, in dot

trina, cfr., da ultimo, Dalia, Sequestro penale, in Dizionario di diritto

e procedura penale a cura di Vassalli, Milano, 1986, 939 ss.; Manzione,

Sequestro per il procedimento penale, voce del Novissimo digesto, appen

dice, Torino, 1987, VII, 144 ss.

V. - Con il nuovo codice di procedura penale, il sequestro penale pre

ventivo trova un'esplicita ed autonoma consacrazione normativa ed una

più estesa sfera di (potenziale) applicabilità. Infatti, l'art. 321, 1° com

ma, prevede che «quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una

cosa pertinente il reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di

esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubbli

co ministero, il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone

il sequestro con decreto motivato». «Prima dell'esercizio dell'azione pe

nale provvede il giudice delle indagini preliminari». Detta misura cautela

re (impugnabile ex art. 322) dev'essere immediatamente revocata dal giu

dice — a richiesta del pubblico ministero o della parte interessata — sia

quando — anche per fatti sopravvenuti — siano venuti meno gli eviden

ziati presupposti di applicabilità (art. 321, 3° comma) sia — comunque — in caso di sentenza di proscioglimento (ex art. 323), salvo le ipotesi

di confisca obbligatoria, ai sensi dell'art. 240 c.p.

Nella relazione ministeriale al progetto preliminare del nuovo codice

viene, tra l'altro, sottolineato: 1) che il fondamento dell'istituto de quo

«resta l'esigenza cautelare: precisamente quella di tutela della collettività

con riferimento al protrarsi dell'attività criminosa e dei suoi effetti»; 2)

che il testo della norma citata è stato formulato «in modo da costruire

una fattispecie nella quale non figura il presupposto della confiscabilità

della cosa e si pone invece l'accento sui fini della misura cautelare più

che sulla caratterizzazione delle cose materiali su cui essa è destinata ad

incidere (la formula «pertinente al reato» assume infatti un significato

scarsamente delimitativo)».

Occorre, infine, evidenziare che, tenuto conto del combinato disposto

degli art. 321, 1° comma, e 354, 2° comma, la polizia giudiziaria

e lo stesso pubblico ministero non possono motu proprio adottare un

provvedimento di sequestro c.d. preventivo, ma solo del tipo c.d. pro

batorio. Per le prime notazioni di dottrina in argomento, cfr. Duboli

no, Baglione, Bartolini, Il nuovo codice di procedura penale, Pia

li Foro Italiano — 1989.

utilizzato che può essere sequestrato, rappresentando al contra

rio proprio l'oggetto della tutela delle norme in questione: sa

rebbe come sequestrare un ambiente su cui si compiono lavora

zioni illegittime, anziché, ove consentito e possibile, sequestrare

i mezzi che tali lavorazioni permettono;

2) manca ogni esigenza di carattere processuale, sia perché

nessuna attività è in corso (se non quella autorizzata ed anzi

imposta di smontaggio delle strutture mobili e precarie — pla

tea, palcoscenico, ecc.), sia perché lo status dei luoghi è già

stato ampiamente verificato con ispezioni dirette del pretore

e con l'accesso dei periti (peraltro, nominati in altro procedi

mento e per accertamenti di diversa natura), onde cade ogni

problema di natura probatoria;

cenza, 1989, 584-586 e 631-633; Cristiani, Manuale del nuovo processo

penale, Torino, 1989, 259-261; Bilancetti, Le funzioni del giudice nella

fase delle indagini preliminari, in Giust. pen., 1989, III, 296 ss., spec. 304.

(4) I. - Con provvedimento del 3 settembre 1937, il ministero per

l'educazione nazionale pro tempore concedeva in uso al presidente del

Teatro reale dell'opera di Roma le terme di Caracalla, affinché le

stesse divenissero sede delle manifestazioni all'aperto del teatro. Dopo

l'installazione di una serie di impianti (camerini, depositi, servizi igieni

ci, ecc.), il teatro delle terme fu inaugurato nel 1938.

Indi, dopo una sospensione determinata dal conflitto bellico, le rap

presentazioni ripresero nel 1945, sulla base del provvedimento autoriz

zatone già citato. Negli anni successivi, si instaurò una prassi, in virtù

della quale l'area necessaria per l'uso estivo veniva consegnata all'ente

teatrale dalla soprintendenza archeologica, sostituitasi alla soprintenden

za ai monumenti (ed essendo il monumento in questione ora sottoposto

alla normativa di cui alla 1. 1089/39). Alla fine di ogni stagione estiva, detta area veniva riconsegnata dopo

10 smontaggio delle attrezzature mobili e la permanenza in loco (nelle

aule adiacenti il palcoscenico) di vario materiale. Senonché, alla fine

della stagione estiva del 1986, i rapporti tra la sovrintendenza archeolo

gica di Roma e il teatro dell'opera si deteriorarono; tant'è che, nel

marzo 1987, il ministero per i beni culturali intimò al presidente del

teatro dell'opera lo sgombero e la riconsegna dell'area occupata dalle

strutture teatrali, concedendo, in via eccezionale, per l'estate del 1987

l'uso delle terme, cosi revocando implicitamente la concessione perma

nente per tutti i periodi estivi, già rilasciata nel 1937.

Ne scaturì un contenzioso giudiziario (dinanzi al Tar del Lazio e

poi dinanzi alla Pretura civile di Roma), al termine del quale l'ente

teatrale riottenne la disponibilità delle terme, effettuando gli spettacoli

in cartellone per l'estate del 1987. Indi, finita la stagione, come già

in precedenza, una serie di attrezzature (tavole, sedie, impianti elettrici,

ecc.) vennero lasciate in deposito nelle apposite aule, attrezzate sin

dal 1938 a tal fine, sotto la custodia di tale Dari, abitante in un

alloggio appositamente realizzato (sempre nel '38) all'interno delle ter

me. In tale contesto storico (sinteticamente riassunto), è intervenuto

11 provvedimento di sequestro di una porzione delle terme di Caracalla

(ossia delle aule nonché dell'alloggio appena citati), poi revocato dal

Tribunale della libertà di Roma, su ricorso del presidente pro tempore

dell'ente autonomo Teatro dell'opera di Roma, imputato, tra l'altro,

dei reati di cui agli art. 11, cpv., 1. 1089/39 e 633, 639 bis c.p.

II. - Sulla norma prevista dall'art. 11, 2° comma, 1. 1089/39, il

dibattito giurisprudenziale non è stato molto ampio, specie a livello

di legittimità. Invero, da un canto — in sede civile — è stato affermato

che: «è assolutamente esclusa, ai sensi dell'art. 11, 2° comma, 1. 1°

giugno 1939 n. 1089, l'edificabilità di un terreno sottoposto a vincolo

archeologico, in quanto sito di un'antica città (nella specie, la città

greca di Naxos in Sicilia) (...) giacché l'utilizzazione del suolo per

l'edificazione costituirebbe un uso della cosa incompatibile con il carat

tere storico-archeologico di essa, che ne ha determinato l'assoggetta

mento al vincolo» (Cass. 12 agosto 1976, n. 3033, Foro it., 1978,

I, 737, con nota di richiami). In motivazione si legge che «l'uso stesso

del bene, incompatibile con il carattere storico o artistico o pregiudizie

vole per la natura del bene come tale, determina la lesione dell'interesse

pubblico e preclude quindi la possibilità di provvedimenti autorizzativi

della pubblica amministrazione, pur condizionati a determinate cautele;

nell'ipotesi considerata, l'esercizio del privato sul bene può essere legit

timato solo dalla revoca del decreto di imposizione del vincolo».

Peraltro, in sede penale è stato (soltanto) sottolineato che la ratio

della tutela predisposta dall'art. 11 1. 1089/39 «(...) va individuata

non tanto nella materiale custodia e conservazione del bene (che com

porterebbe una visione esclusivamente patrimoniale), quanto piuttosto

nella conservazione del valore artistico che il bene rappresenta» (Cass.

21 dicembre 1981, Burlone, id., Rep. 1983, voce Antichità e belle arti,

n. 54). III. - L'esame della giurisprudenza di merito è senz'altro più interes

sante e risulta caratterizzato da quattro pronunce pretorili, di cui ben

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PARTE SECONDA

3) manca ogni esigenza di prevenzione: il 219 c.p.p., infatti,

non consente che provvedimenti tipici e tra questi indubbiamen

te il sequestro, ma questo deve essere finalizzato ad «impedire

che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori», il che vuol

dire diverse da quelle già prodottesi. In altre parole non è

consentito al giudice penale rimuovere gli effetti lesivi che un

reato abbia prodotto, ma solo evitare che ulteriori analoghi

effetti lesivi si producano (a parte ogni ipotesi di confisca ob

bligatoria, qui evidentemente fuor di luogo), quando cioè la

disponibilità di un bene, in nesso funzionale con un reato,

possa provocare ulteriori conseguenze e non semplicemente il

permanere di quelle prodottesi. Ad esempio, a fini cautelari il giu

tre emesse dalla Preturra di Roma (e redatte significativamente dall'e

stensore del decreto di sequestro, riportato in epigrafe). La prima se

gnalazione riguarda una sentenza emessa dal Pretore di Reggio Emilia,

riguardante un immobile d'interesse artistico (il locale Teatro regio), di proprietà comunale. In detta pronuncia è stato affermato che «lo

svolgimento di un comizio politico in un teatro di interesse storico

0 artistico integra il reato previsto e punito dagli art. 11 e 59 1. 1089/39, sia perché incompatibile con il carattere dell'edificio, sia perché possibi le causa di danneggiamento del medesimo» (Pret. Reggio Emilia 8 otto

bre 1958, id., Rep. 1960, voce Monumento pubblico, n. 46 e, per esteso, in Giust. pen., 1960, II, 265). In motivazione, viene, tra l'altro

sottolineato, che «(...) il comizio politico è animazione, dibattito, è

polemica, è lotta, ha insomma delle caratteristiche, che non si concilia

no assolutamente con la serena calma che dovrebbe albergare in un

tempio dell'arte».

La prima delle tre sentenze capitoline riguarda ancora un immobile

d'interesse storico-artistico (di proprietà del Pio istituto di Roma), la cui

destinazione a sala da gioco — con allocazione di biliardini, biliardi, ta

voli bar, nonché frequenza di persone «scompostamente» impegnate a

tali giochi — è stata valutata incompatibile con il peculiare carattere del

bene (Pret. Roma 3 aprile 1979, Foro it., Rep. 1979, voce Antichità e

belle arti, n. 50). Successivamente, nel caso di un immobile (privato) di

rilievo storico-artistico, interessato da lavori edilizi ad un'altana di parti colare pregio, è stato evidenziato che in tal modo era stata turbata la

percezione del complessivo valore culturale del bene, con violazione, al

tresì, dell'obbligo di mantenere la cosa al di fuori di qualsiasi inquina mento derivante da usi non compatibili con le caratteristiche storiche ed artistiche della medesima (cfr. Pret. Roma 27 marzo 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 81 e, per esteso, in Riv. pen., 1984, 826).

Infine, la terza pronuncia riguarda due immobili pubblici, di rilievo

archeologico, ossia il circo Massimo ed il Colosseo, interessati da manife stazioni [rispettivamente, il primo, da spettacoli musicali ed il secondo, da una mostra, con impianto di stands e di varie attrezzature] organizzate dal comune di Roma, nell'ambito dell'«estate romana» del 1984.

Nella circostanza, è stata affermata l'incompatibilità con il vincolo sto rico dell'uso del monumento che (come accaduto nel caso di specie) «pre giudichi la conservazione del bene, ovvero ne impedisca la fruizione, ov vero ne modifichi l'immagine, ovvero lo utilizzi in modo distorto e de viarne come simbolo prestigioso di tipo commerciale, ovvero sia contraddittorio rispetto ai valori culturali espressi, ovvero ne limiti la frui zione collettiva, ovvero interrompa una preesistente unità formale o fun zionale con il contesto di valore storico-artistico, ovvero assuma per di mensione un ruolo ed un peso prevaricanti» (Pret. Roma 9 luglio 1985, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 59 e, per esteso, in Cass. pen. 1986, 175).

IV. - In dottrina, è stato sottolineato: A) che la norma in questione «(...) estremamente generica è da riferirsi a quelle utilizzazioni che non siano consone alla dignità insita nel valore artistico o storico dell'oggetto, che ne risulterebbe profondamente sminuito o mortificato»; B) che «il titolare del bene vincolato non è tenuto ad interpellare previamente la

competente sovrintendenza ed a ottenerne il permesso per disporre della destinazione economica del bene. Compete, quindi, allo stesso proprieta rio, quale detentore e quindi custode del bene di interesse pubblico, di valutare se l'uso, cui intenda destinarlo, sia conforme alla sua natura e non pregiudizievole alla sua integrità; in caso di dubbio, potrà natural mente rivolgersi alla sovrintendenza per ottenere un giudizio tecnico, che varrà ad esonerarlo da eventuali responsabilità» (cosi Alibrandi-Ferri, 1 beni culturali e ambientali, Milano, 1985, 365).

Sotto quest'ultimo aspetto, va ricordato che, anche secondo la Supre ma corte, «i comportamenti elencati nell'art. 11 1. 1° giugno 1939 n. 1089 acquistano rilievo penale soltanto se siano compiuti in difetto di

preventiva autorizzazione ministeriale» (cosi, Cass. 21 dicembre 1981, Bur

lone, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 56; nello stesso senso Cass. 17

giugno 1988, Brasi, Riv. pen., 1989, 403).

Il Foro Italiano — 1989.

dice penale può procedere al sequestro di un manufatto abusivo

finché è in costruzione (per evitare appunto conseguenze ulteriori — cioè la sua ultimazione), ma non quando è già ultimato, per

ché la rimozione dell'effetto lesivo (demolizione-confisca) sono

rimesse ad altra autorità.

Pur indubbiamente condividendo la natura di reati permanenti

attribuita a quelli per cui si procede, non potrebbe però sostener

si che il permanere dello status quo, tra l'altro in un periodo in cui non vi è alcuna attività artistica in atto o preparatoria da parte del teatro dell'opera, provocherebbe conseguenze ulte

riori degli stessi, oltre a quelle prodottesi in quasi cinquant'anni e comunque tale ragionamento potrebbe avere un senso nei con

fronti dei beni del teatro e non dei beni archeologici. Nel caso di specie, invece, si è ottenuto in fatto l'effetto corri

spondente alla rimozione di effetti lesivi già prodottisi — che spetta invece all'autorità amministrativa (revoca della concessione, ordi

nanza di sgombero, ecc.) — sequestrando i beni archeologici ed

ordinando la rimozione del materiale che li occupava con un prov vedimento atipico e non previsto dall'ordinamento, non potendo si certo procedere al sequestro del materiale stesso che di tutta

evidenza non è il mezzo con il quale sono stati eventualmente

posti in essere i reati ipotizzati, ma una delle manifestazioni del

l'occupazione e dell'uso dell'area che si esercita a mezzo del pos sesso e non dell'attività che vi si svolge.

Per chiarire con un esempio, in caso di inquinamento da lavo

razione industriale, può procedersi al sequestro del macchina

va, peraltro, sottolineato che, secondo gli autori appena menzionati, in virtù di quanto disposto dall'art. 6, 2° comma, 1. 1089/39, i beni d'in

teresse artistico o storico archeologico dello Stato (come appunto le ter

me di Caracalla) sarebbero assoggettati ad un regime normativo speciale

rispetto a quello previsto per i beni appartenenti agli enti pubblici e non ed ai soggetti privati (Alibrandi-Ferri, op. cit., 388 ss.; nello stesso sen

so, sostanzialmente, Piva, Cose d'arte, voce dell 'Enciclopedia de! diritto,

Milano, 1962, XI, 93 ss., spec. 98). In particolare, salvo i casi in cui detti beni statali siano affidati alla

gestione esclusiva dell'amministrazione dei beni culturali, si determine rebbe il concorso di due competenze: quella del ministero che detiene

il bene in uso (a pubblico ufficio o servizio) e quella del ministero dei beni culturali, quale titolare della vigilanza ai sensi dell'art. 6, 2° comma, 1. 1089/39. Inoltre, i rapporti interni tra le amministrazioni statali sareb

bero regolati non dagli art. 11, 14, 16 e 18 1. cit., ma dalla normativa fissata dal r.d. 30 gennaio 1913 n. 363 (costituente il regolamento per l'esecuzione delle leggi 20 giugno 1909 n. 364 e 23 giugno 1912 n. 688,

per l'antichità e l'arte: Alibrandi-Feriu, op. cit., 392). In particolare l'art. 51 del detto regolamento (tuttora in vigore: cfr. Cons. Stato, sez.

VI, 31 gennaio 1984, n. 26, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 6) prevede, al 1° comma, l'obbligo a carico dell'amministrazione consegnataria del bene di segnalare preventivamente al ministero dei beni culturali ogni mo dalità di uso dell'immobile vincolato, il cui impiego per «usi non rispon denti alla dignità dei monumenti» ovvero «pericolosi per la loro conser vazione» risulta tassativamente vietato.

Peraltro, in giurisprudenza è stato sostenuto che «i beni di interesse artistico e storico di proprietà dello Stato possono essere rimossi, modifi cati o restaurati senza l'autorizzazione del ministero per i beni culturali»

(Trib. Vicenza 16 dicembre 1986, id., Rep. 1988, voce cit., n. 52), in

antitesi, però, rispetto a quanto affermato nella stessa fattispecie concre ta dal giudice di primo grado (Pret. Schio 13 aprile 1985, Cass, pen., 1988, 1741).

V. - Va, infine, sottolineato che il Pretore di Roma ha ritenuto confi

gurabile a carico del presidente dell'opera teatro di Roma (pur munito dell'autorizzazione ministeriale di uso delle terme di Caracalla, citata sub I) anche il delitto di cui agli art. 633, 639 bis c.p., cosi discostandosi dal consolidato orientamento della Corte di cassazione. Secondo questa, infatti, «il delitto previsto dall'art. 633 c.p. può concorrere con il reato di cui agli art. 11 e 59 1. 1° giugno 1939 n. 1089, se l'azione sia compiu ta da un terzo estraneo, non titolare di poteri e facoltà sul bene vincola

to, in quanto l'interesse giuridico protetto dall'art. 633 c.p., costituito dalla tutela del possesso e della disponibilità dei beni, è diverso da quel lo garantito dalle norme della 1. 1089/39, individuabile nella tutela del

patrimonio artistico nazionale» (Cass. 8 luglio 1983, Di Vincenzo, Foro

it., Rep. 1985, voce cit., n. 77; nello stesso senso Cass. 7 novembre

1983, Marotta, ibid., voce Occupazione di aziende, n. 8; 21 dicembre

1981, Burlone, id., Rep. 1983, voce Antichità e belle arti, n. 56). [G. Giorgio]

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Page 5: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || ordinanza 21 ottobre 1987; Pres. ed est. Gaddini; imp. Antignani

GIURISPRUDENZA PENALE

rio che produce lo scarico inquinante, ma non può disporsi il

sequestro dell'ambiente inquinato o del materiale lavorato (a meno

che non sia di per sé inquinante, ma questa è ipotesi diversa),

potendo lo stesso essere diversamente utilizzato (rivendita, diver

sa lavorazione, uso di depuratori, ecc.) e men che meno disporsi il disinquinamento dell'ambiente leso dalle lavorazioni già ef

fettuate.

Per questi motivi, in accoglimento delle istanze di riesame, revoca il decreto di sequestro del Pretore di Roma in data 21

ottobre 1987 ed ordina la restituzione dei beni sequestrati all'a

vente diritto, con conseguente annullamento dell'ordine di rimo

zione del materiale che ivi si trovava.

II

Considerato che, in assenza della prescritta autorizzazione del

soprintendente per i beni archeologici di Roma ed anzi con il

dissenso manifestato da codesto organo, sono in corso opere che importano un uso non compatibile di porzione di area ar

cheologica terme di Caracalla sottraendola alla disponibilità del

l'amministrazione statale ed alle finalità sottese al vincolo di

tutela, nonché comportano l'occupazione arbitraria di edifici de

maniali destinati ad uso pubblico; atteso che tali attività consistono nell'occupazione, con mate

riale di varia natura e con strutture utilizzate nella trascorsa

stagione teatrale, di alcune aule delle terme;

atteso che tale attività consiste anche nella occupazione di un

edificio già abitazione «Dari», sito nell'area archeologica con

strutture e materiale vario, destinandolo ad uffici ed a magazzi

no; poiché la suddetta condotta in assenza della prescritta auto

rizzazione della soprintendenza, ed in assenza di concessione de

maniale integra il reato p. e p. dagli art. 11, cpv., e 59 1. 1°

giugno 1939 n. 1089, ed il delitto di cui agli art. 633 e 639 bis c.p.; atteso che trattasi di reati in corso di commissione e di natura

permanente che richiedono l'adozione di misure cautelari e di

prevenzione ai fini della tutela dell'interesse protetto; atteso che,

sotto l'aspetto di cautela processuale, le suddette attività sono

state intraprese nel corso del presente procedimento penale in

fase istruttoria pregiudicando gli accertamenti in corso e l'esple

tamento dell'indagine peritale nonché le relative risultanze, peri

zia che interessa l'area archeologica in parola;

atteso che è opportuno procedere al sequestro delle aule delle

terme dell'edificio già occupato dal custode «Dari» di cui al

processo per i motivi di cui sopra, procedendo nel contempo

alla rimozione del materiale e delle strutture la cui persistenza

in loco protraggono la lesione dall'interesse protetto;

visti gli art. 229 e 337 ss. c.p.p., ordina il sequestro delle

aule delle terme nonché l'edificio «Dari» ivi comprese le aree

di pertinenza interessate agli illeciti di cui sopra, libere da strut

ture e materiali, che devono essere rimossi a cura dell'autorità

di polizia giuridica procedente; nomina custode giudiziario il so

printendente per i beni archeologici di Roma ovvero funzionario

del predetto ufficio; delega gli ufficiali di polizia giudiziaria del l'ufficio polizia giudiziaria vigili urbani di Roma per l'esecuzio

ne e per gli incombenti relativi alla rimozione del materiale che

verrà collocato altrove, a scelta della polizia giudiziaria stessa

secondo opportunità ovvero presso i locali che saranno posti

a disposizione dall'istituto vendite giudiziarie di Roma all'uopo

richiesto.

Il Foro Italiano — 1989.

I

PRETURA DI BARI; sentenza 12 aprile 1989; Giud. Colaianni;

imp. Loizzo e altri.

PRETURA DI BARI;

Parte civile — Reati in materia aumentare — Danni subiti dal

comune e da associazioni di consumatori — Costituzione —

Ammissibilità — Fattispecie (Cod. pen., art. 185; cod. proc. pen., art. 22; 1. 8 luglio 1986 n. 349, istituzione del ministero

dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale, art. 18). Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Importazione di gra

no eccedente i limiti massimi di radioattività — Reato — Fatti specie (L. 30 aprile 1962 n. 283, disciplina igienica della produ zione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, art. 6, 12; reg. Cee 22 dicembre 1987 n. 3954/87/Euratom, che fissa i livelli massimi ammissibili di radioattività per i pro dotti alimentari e per gli alimenti per animali in caso di livelli

anormali di radioattività a seguito di un incidente nucleare o

in qualsiasi altro caso di emergenza radioattiva).

In un processo relativo all'importazione di grano avente limiti

di radioattività superiori al consentito, è ammissibile la costitu

zione di parte civile del comune, ove ha sede la ditta importa

trice, nonché dell'unione nazionale consumatori e della lega per l'ambiente (nella specie, il pretore ha ritenuto non applicabile la restrittiva normativa di cui all'arti 18 I. 349/86, in quanto il diritto alla salute rileva siccome aggredito non dall'ambiente

inquinato, ma, più direttamente, dall'alimento nocivo). (1)

Risponde della contravvenzione di cui agli art. 6 e 12 l. 283/62

l'importatore che introduca in Italia grano con livelli di ra

dioattività eccedenti i limiti massimi fissati dalla Cee (nella spe cie, il pretore ha ritenuto che l'imputato non può addurre, a

giustificazione dell'omissione di esami preventivi del prodotto, la sua buona fede per aver riposto fiducia nella (asserita) serie

tà della società mediatrice e nell'opera degli uffici pubblici pre posti al controllo degli alimenti, per di più solo facoltativo, essendo tra l'altro noto il rischio della contaminazione del pro dotto dopo l'incidente nella centrale nucleare di Cernobil). (2)

II

PRETURA DI FORLÌ; sentenza 6 luglio 1988; Giud. Verardi;

imp. Fondi.

Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Pubblicità inganne vole — Fattispecie (L. 30 aprile 1962 n. 283, art. 13).

Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Importazione di be

vanda contenente additivo vietato — Reato — Fattispecie (L.

30 aprile 1962 n. 283, art. 5, 12; d.p.r. 26 marzo 1980 n. 327, regolamento di esecuzione della 1. 30 aprile 1962 n. 283 e suc

cessive modificazioni, art. 72). Comunità europee — Cee — Libera circolazione delle merci —

(1) Per precedenti affermazioni del diritto a costituirsi come parte civi le nei reati ambientali delle associazioni ambientaliste, v., da ultimo, Pret.

Lendinara 26 aprile 1988, Foro it., 1989, II, 193, con nota di Prencipe

Arbore; Pret. Vibo Valentia 24 novembre 1986, id., 1988, II, 48, con

documentata nota di richiami di Giorgio; Pret. Sestri Ponente 7 febbraio

1986, id., 1986, II, 323, con nota di richiami.

(2) Nulla in termini. La sentenza merita segnalazione sia per la gravità del fatto accertato sia perché rende palese, ancora una volta, l'inadegua tezza dei controlli pubblici miranti a scoprire le frodi e le sofisticazioni

alimentari. Per le questioni legate all'importazione di prodotti esteri, cfr.

la nota sub 4-5.

Dalla decisione in rassegna emerge che il pretore ha ritenuto di dover

contestare agli imputati, in procedimenti separati, la contravvenzione alla

legge n. 283 (art. 6) e il delitto di cui all'art. 444 c.p. Secondo l'opinione del Supremo collegio (per cui v., da ultimo, sent. 16 giugno 1987, Milani,

Cass. peri., 1989, 136; 24 febbraio 1986, Buonocore, Foro it., Rep. 1987,

voce Alimenti e bevande, n. 101) il concorso tra le due ipotesi criminose

dovrebbe essere escluso quando sussiste l'estremo della pericolosità per la salute pubblica, da valutarsi però in concreto, che rende applicabile solo il delitto previsto dal codice penale, come tale soggettivamente ed

oggettivamente più grave della contravvenzione prevista dalla legge spe ciale del 1962.

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