ordinanza 22 novembre 1991; Pres. ed est. Saraceni, imp. MartignettiSource: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.647/648-653/654Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186019 .
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PARTE SECONDA
La tesi ora illustrata assume poi contorni di macroscopica certezza se accostata alla questione, qui in discorso, della pro ducibilità di atti di altri procedimenti ex art. 238 c.p.p.
Invero, è di tutta evidenza come il legislatore della riforma
abbia inteso disciplinare il fenomeno della osmosi documentale
tra procedimenti, codificando una specifica disciplina limitativa quanto al contenuto degli atti medesimi che all'uso di essi a
cura delle parti.
Ampiamente il tribunale ha già esplicitato, con l'ordinanza
richiamata in premessa, le ragioni per le quali poi il compendio documentale irripetibile può essere oggetto di produzione a cu
ra delle parti in ogni momento del dibattimento, risultando ol
tretutto chiara in tal senso la volontà del legislatore col ricorso
alla locuzione «È comunque consentita l'acquisizione...» nell'e
nunciato dell'art. 238 cit.
La ricerca e l'acquisizione di tali atti da parte del p.m. —
cosi come a cura delle altre parti — a fini di produzione proces suale potrà dunque svolgersi nel corso dell'intero arco del di
battimento; ed essa costituirà piuttosto la regola per l'organo d'accusa stante che siffatti documenti, ove precedentemente ac
quisiti in indagine preliminare, già transitano (se di polizia giu diziaria e del p.m.) al fascicolo del dibattimento ex art. 431, lett. b) e c), c.p.p.
Pertanto, al di là delle considerazioni precedentemente svolte
circa l'incompatibilità tra attività integrativa d'indagine e ricer
ca di documentazione probatoria — altrettanto valide per l'ipo tesi di atti irripetibili di altri procedimenti — ulteriore troncante
rilievo può opporsi alla tesi difensiva, come può trarsi dalla
natura stessa dei documenti in questione.
Infatti, nulla è d'ostacolo a che il procedimento i cui atti s'intendono esportare si svolga in concomitanza con quello nel
quale la richiesta di acquisizione è avanzata; cosi che il p.m.
giammai potrà munirsi di tali atti per i fini suddetti prima che
gli stessi materialmente siano compiuti nell'ambito del procedi mento a quo.
Ciò comporta, quindi, che il p.m. debba essere in grado di entrare in possesso di tale documentazione anche in un momen
to necessario successivo alla consumazione del suo potere d'in
dagine integrativa; potere com'è ovvio destinato ad estinguersi con l'inizio del dibattimento.
III. - L'infondatezza della censura difensiva ora analizzata
introduce a tal punto il tema precipuo del controllo omologati vo del collegio, inerente cioè alla natura irripetibile o meno del
l'attività documentata. Contenuto di tal tipo va senz'altro rico
nosciuto ai provvedimenti restrittivi emessi da varie autorità giu diziarie di Trapani e Marsala contemplati ai nn. 1), 2), 3), 4), 5), 6), 7), 8), 9), 10), 11), 12), 30) della nota I; parimenti per i provvedimenti di sopralluogo, perquisizione, sequestro, arre sto e fermo a cura di organi di p.g. di cui ai nn. 15), 16), 17), 18), 19), 20), 21), 22), 23), 24), 25), 26), 27), 28), 29), 31), 32), 33) e 34) nonché ai verbali autoptici relativi ai cadaveri di Ala Giuseppe e Stallone Salvatore ricompresi nei numeri 25) e 26) ed ai decreti di convalida d'arresto di cui ai nn. 31) e
32), rispettivamente emessi dal vice Pretore di Castelvetrano e dal procuratore della repubblica di Marsala.
Uguale connotato di irripetibilità compete ai verbali di di
chiarazioni rese da Cordio Ernesto Paolo (n. 13) nota I), aven
do il p.m. comprovato l'avvenuto decesso del dichiarante. Il verbale contenente le dichiarazioni di Leone Vito sub n.
14) va viceversa rigettato stante la non dimostrata natura irrei terabile dell'atto.
Le relazioni di servizio indicate al n. 28 della nota I e nell'in tera nota II vanno ugualmente respinte, per le ragioni che
seguono.
Invero, la relazione di servizio non rientra in alcuna tipologia documentale; essa null'altro costituisce se non un'informativa resa per iscritto e diretta ad organi superiori a fini conoscitivi in ordine a fatti o comportamenti esterni, direttamente osserva
ti dal relazionante, od anche da questi partecipati. Da ciò discende che la irreiterabilità dei fatti relazionati resta
indifferente ai fini della qualificazione del documento, costi tuendo esso una mera dichiarazione come tale oralmente ripeti bile nel tempo ad opera del suo sottoscrittore.
Né varrebbe a sconfessare siffatta impostazione la obiezione
che anche, ad esempio, un p.v. di sopralluogo, sequestro o per
quisizione costituisce un resoconto scritto di un fatto storico
a cura della polizia giudiziaria che ben potrebbe parimenti rife
rirne oralmente.
Il Foro Italiano — 1992.
È fin troppo agevole rilevare sul punto che la verbalizzazione
degli accadimenti suddetti, cui nella specie sovrintende la nor
mativa di cui agli art. 357 e 386 c.p.p., contempla attività pro
prie della polizia giudiziaria e dalla stessa compiute, con la con
seguenza che, negli esempi citati, l'atto di polizia giudiziaria cui por mente ai fini della delibazione di irripetibilità è il so pralluogo, il sequestro e la perquisizione e non già l'atto del
verbalizzare cui peraltro l'organo operante ha l'obbligo di at
tenersi.
TRIBUNALE DI ROMA; TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 22 novembre 1991; Pres.
ed est. Saraceni, imp. Martignetti.
Stupefacenti e sostanze psicotrope — Detenzione — Dose me
dia giornaliera — Determinazione — Decreto ministeriale —
Disapplicazione — Conseguenze (L. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, sul contenzioso amministrativo, art. 5; d.p.r. 9 ottobre
1990 n. 309, testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, art. 73,
75, 78; d.m. sanità 12 luglio 1990 n. 186, regolamento con
cernente la determinazione delle procedure diagnostiche e
medico-legali per accertare l'uso abituale di sostanze stupefa centi o psicotrope, delle metodiche per quantificare l'assun
zione abituale nelle ventiquattro ore e dei limiti quantitativi di principio attivo per le dosi medie giornaliere).
Il d.m. 12 luglio 1990 n. 186 (con annesse tabelle) che ha con
cretamente determinato la dose media giornaliera anche della
cocaina, è illegittimo per violazione di legge ed eccesso di po tere e va conseguentemente disapplicato dal giudice penale. (1)
Ai fini della determinazione della dose media giornaliera di una sostanza stupefacente, il giudice penale deve disporre perizia,
qualora disapplichi per illegittimità il d.m. 12 luglio 1990 n. 186 (che regola concretamente detta materia). (2)
(1-2) I. - Il Tribunale di Roma, che eccepì l'incostituzionalità della nuova legge antidroga (tra le altre, v. ord. 12 ottobre 1990, Foro it., 1991, II, 243), trae spunto dalle argomentazioni addotte dalla Corte costituzionale nella sentenza 333/91 (ibid., I, 2628, con note di Giorgio e Fiandaca, spec. 2648-2649) per neutralizzare radicalmente ex art. 5 1. 2248/1865, ali. E, i parametri tabellari ministeriali relativi alla dose media giornaliera (d.m.g.) della cocaina (per un analogo provvedimen to riguardante la disapplicazione della d.m.g., relativa all'hashish, cfr. Trib. Roma, ord. 22 novembre 1991, Critica del diritto, 1991, fase. 6, 42). È bene ricordare che secondo l'Alto consesso (tra l'altro): 1) l'integrazione della fattispecie penale ex art. 73 e 75 d.p.r. 309/90 ad
opera del d.m. 12 luglio 1990 n. 186 non è lesiva del precetto dell'art. 25 Cost.; 2) l'art. 78, 1° comma, d.p.r. cit. (in attuazione del quale è stato emanato il d.m. cit.) detta tre diversi criteri caratterizzati (sub a e b) da «un contenuto» tecnico-scientifico e da ragionevoli (quanto inevitabili) «margini di approssimazione» ai fini della determinazione della d.m.g. per ciascuna sostanza drogante; 3) i detti parametri debbo no essere considerati in modo unitario e coordinato dalla competente autorità ministeriale; 4) eventuali illegittimità dell'integrazione ammini strativa della norma incriminatrice primaria ne giustificano la disappli cazione (in bonam partem) da parte del giudice penale. Orbene, proprio a quest'ultima conclusione è giunto il tribunale capitolino, secondo cui il d.m. cit. è inficiato da una doppia illegittimità: esso da un canto, non avrebbe tenuto conto dei citati criteri «scientifici» di cui all'art.
78, 1° comma, lett. b), cit.; d'altra parte sarebbe viziato da uno svia mento di potere, avendo invaso una sfera d'intervento (quella delle «scelte di politica criminale»), istituzionalmente devoluta (non ad organi go vernativi ma) al parlamento. In tal modo, indubbiamente, i giudici pe nali (e gli eventuali periti tecnici da essi nominati) divengono arbitri della quantificazione della d.m.g. con inevitabili incertezze ermeneuti che (come già per la tormentata nozione della «modica quantità» ex art. 72 ed 80 1. 685/75 ed ora per l'attenuante del fatto di lieve entità ex art. 73, 5° comma, d.p.r. cit.: cfr. le contrastanti pronunce della
Suprema corte in Foro it., 1991, II, 569, con nota di Giorgio. In ultima analisi, la legislazione in materia di stupefacenti costituisce
ancora terreno fertile per l'esercizio della c.d. supplenza giudiziaria, come evidenziato in dottrina (cfr. Padovani, La disintegrazione attuale del sistema sanzionatorio (...), in Riv. it. dir. e proc. pen., 1992, 419
ss., spec. 424-425). II. - In dottrina, a proposito della d.m.g. cfr. (per lo più, criticamente):
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GIURISPRUDENZA PENALE
Premesso che dagli atti non emerge prova alcuna che la so
stanza stupefacente detenuta dall'imputato fosse destinata al com
mercio o comunque alla cessione a terzi; che anzi il contesto
in cui è stata sequestrata e la quantità estremamente modica, rende attendibile che la sostanza stessa fosse destinata, secondo
l'assunto dell'imputato, al consumo personale dell'imputato stesso.
Considerando quindi che si è in presenza dell'ipotesi tipica in cui la mera detenzione della sostanza stupefacente, ancorché
destinata all'uso personale del detentore, integra la fattispecie criminosa contestata solo in quanto la droga posseduta eccede
la «dose media giornaliera» (d.m.g.) che le tabelle allegate al decreto del ministro della sanità 186/90 determinano, per la co
caina in 150 milligrammi (a fronte dei 0,339 milligrammi trova
ti in possesso dell'imputato). Considerato che — come già ritenuto da questo tribunale con
sentenza 9 ottobre 1991 in causa Innocenti — il giudice ordina
rio ha il dovere di disapplicare il predetto decreto ministeriale in quanto appare illegittimo nella parte in cui, per quanto qui
interessa, determina in 150 milligrammi la dose media giornalie ra» della cocaina.
Invero la Corte costituzionale, nella sentenza 333/91 (Foro
it., 1991,1, 2628) ha ritenuto legittimo il mero criterio quantita tivo della «dose media giornaliera», che l'art. 75 162/90 preve de come discrimine tra la detenzione di droga soggetta alla san
zione penale e quella soggetta alla sanzione amministrativa. La
stessa corte, peraltro, ha esplicitamente rilevato che compete al giudice ordinario, nell'ambito del sindacato sulla legittimità
degli atti amministrativi assegnatogli dall'art. 5 1. 2248/1865, ali. E, il potere-dovere di disapplicare la concreta determinazio
ne della «dose media giornaliera» ad opera delle tabelle appro vate con il citato d.m. 186/90, ove ritenuto illegittimo.
La corte altresì, nella citata sentenza, con ovvia considerazio
ne ha rilevato che la legge non consente al ministro della sanità, nella concreta determinazione della «dose media giornaliera» delle varie sostanze, alcuna valutazione in chiave di prevenzione o repressione volta ad integrare scelte di politica criminale, che
sono di esclusiva competenza del legislatore.
Orbene, in aperta violazione di tale ovvio principio, il più volte citato decreto del ministro della sanità è pervenuto alla
concreta determinazione delle tabelle, almeno con riguardo alla
«dose media giornaliera» della cocaina e dei derivati della can
nabis, proprio sulla base di dichiarate scelte di politica crimina
le in chiave preventivo-repressiva. A dar conto del fondamento dell'affermazione sopra formu
lata, giova ripercorrere l'iter formativo delle predette tabelle.
Nel novembre 1989, l'Istituto superiore di sanità, richiesto
di un parere sulla «eventuale attribuzione al ministro della sani
tà di compiti di... individuazione delle 'dosi medie giornaliere' di principio attivo» dopo aver premesso che «la individuazione
della d.m.g. dovrebbe teoricamente servire a distinguere l'ac
quisto e detenzione di droga per esclusivo uso personale dall'ac
quisto e detenzione di quantitativi destinati allo spaccio o con
destinazione mista», rilevava che «in realtà tutti gli esperti han
no ripetutamente riconosciuto che la definizione della d.m.g. non può servire a detto scopo, data l'ampiezza del range dei
quantitativi che possono essere adoperati da diversi assuntori
o dallo stesso assuntore in momenti diversi» e, citando il capi tolo sulle tossicodipendenze di J.H. Jatfe del noto trattato Good
man and Gilman 's The Pharmacological Basis of Therapeutics, riferiva a mo' di esempio, a proposito della cocaina, che «a
fronte di una dose di 0,04-0,1 gr. di cocaina cloridrato farma
cologicamente attiva per via inalatoria, gli assuntori 'pesanti'
possono arrivare ad impiegare anche più grammi al giorno. Jaffe
specifica che alcuni assuntori ricorrono a due prese all'ora di
0,1 gr. ciascuna». «In una tale situazione — proseguiva il parere — l'eventuale
assegnazione all'autorità sanitaria di compiti di individuazione
Bertol-Mari, La dose media giornaliera: considerazioni tossicologico
forensi, in Cass, pen., 1990, I, 1846; Borriello-Della Pietra
Sciandone, Considerazioni di ordine medico-legale sulla nuova norma
tiva in materia di stupefacenti, in Corriere giur., 1991, 863 ss.; Furna
ro, Considerazioni sul decreto del ministero della sanità 12 luglio 1990
n. 186, in Giust. pen., 1992, II, 61; Gagliano-Candela-Rutigliano,
Aspetti tossicologici forensi della l. 162/90 sulla disciplina degli stupe
facenti e sostanze psicotrope e del d.m. 186/90, in corso di pubblicazio ne su Critica pen., 1992.
Il Foro Italiano — 1992.
della d.m.g. imporrebbe la scelta tra due soluzioni ambedue
incongrue sul piano strettamente scientifico-medico oltre che non
funzionali ai fini dell'efficacia dei provvedimenti di terapia e riabilitazione». L'Istituto superiore di sanità ne traeva la con
clusione che «il problema che si propone di affrontare attraver
so la definizione della d.m.g. può trovare soluzioni assai più efficaci e di buona fattibilità attraverso... l'acquisizione da par te dell'autorità di competenza degli elementi disponibili sia agli operatori dei servizi ad hoc che delle forze di polizia».
Il legislatore, evidentemente disattendendo l'autorevole pare re dell'Istituto superiore di sanità — che peraltro non risulta
versato nel dibattito parlamentare — affidava (art. 16 1. 26 giu gno 1990 n. 162) al ministro della sanità, previo parere dell'Isti
tuto superiore di sanità, il compito di determinare, con decreto
da emanarsi entro due mesi dall'entrata in vigore della legge stessa (11 luglio 1990), la «dose media giornaliera» delle varie
sostanze.
Il 28 giugno 1990 una commissione di esperti dell'università «La Sapienza» di Roma all'uopo nominata al di là degli obbli
ghi di legge, trasmetteva al ministro della sanità un parere nel
quale osservava fra l'altro che «per le sostanze stupefacenti pri ve di riscontro epidemiologico... la commissione, che per sco
raggiare la loro utilizzazione illegittima, ha proposto che la do
se singola stupefacente ne costituisca anche il livello massimo
delle 24 ore». Tra le predette sostanze la commissione indicava, in via esemplificativa «la cocaina, la cui epidemiologia sfugge
largamente ai servizi pubblici di assistenza e il cui consumo e
purezza chimica variano a seconda dell'area dello spaccio, del
censo del consumatore, ecc.». Proponeva quindi, con palese con
traddizione, che la d.m.g. della cocaina prevista dalla legge ve
nisse determinata, per dichiarati fini di prevenzione, in 150 mil
ligrammi equivalenti alla dose singola (determinazione dopo ac
colta, come s'è visto, dal d.m. 186/90). A sua volta l'Istituto superiore di sanità, nel suo parere ob
bligatorio trasmesso il 2 luglio 1990, premesso che «allo scopo di privilegiare il carattere di prevenzione della normativa e per disincentivare le prime assunzioni e l'avvio verso l'abuso, la scelta
della d.m.g. è stata orientata in alcuni casi verso livelli inferiori
a quelli mediamente risultanti dai dati epidemiologici sull'abuso di droga», a proposito della cocaina, dopo aver osservato che
era «ancora più difficile discriminare solamente sulla base di
una determinata quantità il consumatore dallo spacciatore», ri
levava, con riferimento «all'uso abituale», che «le quantità uti
lizzate mediante aspirazione nasale rientrano in un intervallo
da 100 a 250 milligrammi di cocaina cloridrato nell'arco di 2-3 ore». Dopo di che, evidentemente per i fini di prevenzione e
disincentivazione sopra enunciati, l'Istituto superiore di sanità
proponeva di determinare la d.m.g. in 100 milligrammi, cioè, secondo il suo stesso parere, nella dose minima assunta da un
consumatore abituale ogni 2-3 ore.
A proposito dei derivati della cannabis lo stesso parere affer
mava che «trattandosi di prodotti utilizzati prevalentemente da
gruppi giovanili si è ritenuto opportuno privilegiare il significa to preventivo della normativa, con l'intento di disincentivare
anche l'uso sporadico e le prime assunzioni». Indicava quindi in 50 milligrammi la «dose media giornaliera» dell'hashish (in dicazione poi accolta nel d.m. 186/90).
Il 12 luglio 1990 il Consiglio di Stato trasmetteva al ministro
della sanità il proprio parere obbligatorio, nel quale rilevava
che i criteri seguiti dall'Istituto superiore di sanità erano da rite
nere «non conformi a legge», in quanto, privilegiando apprez zabilmente ma indebitamente i fini di prevenzione e disincenti
vazione, dichiaratamente si discostavano dal dato obiettivo del
«limite quantitativo massimo di principio attivo per le dosi me
die giornaliere» previsto dalla legge (il rilievo di illegittimità è chiaramente estensibile al parere della commissione di esperti,
per l'analogo riferimento alla finalità di scoraggiare il consumo
della cocaina). «Per quanto concerne specificamente — continuava il Consi
glio di Stato — la tabella II (cannabis, marijuana, hashish), in relazione alla quale il parere dell'Istituto superiore di sanità
espressamente indica di avere utilizzato il criterio della finalità
della disincentivazione... è necessaria una nuova valutazione che
prescinda dal criterio finalistico...». Senonché lo stesso 12 luglio 1990, in coincidenza con la en
trata in vigore della 1. n. 162 (senza fruire, quindi, del termine
di sessanta giorni concesso dalla legge stessa), il ministro della
sanità emanava il decreto n. 186 che, come s'è visto, recependo
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PARTE SECONDA
le indicazioni degli organi consultivi, determina rispettivamente in gr. 0,150 e in gr. 0,50 di principio attivo la «dose media
giornaliera» della cocaina e dell'hashish.
La sopra riassunta vicenda dell'/ter formativo delle suddette
tabelle mostra all'evidenza, ad avviso del tribunale, la totale
inconsistenza della nozione di «dose media giornaliera» non so
lo dal punto di vista scientifico, ma anche soltanto dal punto di vista statistico, almeno per quelle sostanze che non hanno
riscontro epidemiologico». Come questo tribunale ha già avuto occasione di rilevare nel
l'ordinanza 5 gennaio 1991 con cui rimetteva alla Corte costitu
zionale la questione poi risolta con la citata sentenza n. 333, i «riscontri epidemiologici» consistono in un dato soggettivo (le dichiarazioni dei tossicodipendenti in cura presso i Sat da cui
viene rilevata la quantità «media» del consumo giornaliero e
in un dato oggettivo (la «media» del principio attivo contenuto
nelle confezioni della droga «da strada» sequestrate dalla poli zia giudiziaria) per la rilevazione del «medio» principio attivo. Orbene è noto che i consumatori di cocaina e di cannabis mai
(o del tutto eccezionalmente) si rivolgono ai Sat, non avendone
alcun bisogno; ed è altrettanto noto, a chiunque abbia un mini
no di esperienza giudiziaria in materia, che raramente la polizia
giudiziaria sequestra cocaina e cannabis in confezioni pronte
per il consumo. Mancano quindi, per le predette sostanze, i
dati di rilevamento su cui dovrebbe essere fondata una nozione
statistica di «dose media giornaliera», mentre, alla stregua delle
sopra riportate opinioni di autorevoli cultori della materia e de
gli stessi organi consultivi interpellati dal ministro, essa non ha
neppure alcuna base scientifica.
Né a conferire dignità statistica o scientifica alla «dose media
gornaliera» può valere, a parte il valore meramente normativo, la diversa e apodittica opinione delle Corte costituzionale, se
condo la quale la predetta dose è determinabile «sulla base di
nozioni di tossicologia, farmacologica e statistica sanitaria» (dalla sentenza n. 333 non risuita peraltro che la corte abbia preso in considerazione sul punto le prospettazioni della ordinanza
di rimessione o di altra provenienza). La decisione della corte, pertanto, vincola il giudice alla esi
stenza della «dose media giornaliera» nel mondo del diritto, ma non nel mondo della statistica o della scienza, al quale i
dati possono avere accesso per il loro fondamento, non già per
precetto legislativo (ancorché avallato dalla Corte costituziona
le). Si vuol dire con ciò che, dopo la decisione della corte, il
giudice ordinario — pur nella persistente convinzione della in
consistenza della nozione di «dose media giornaliera» — non
può metterla in discussione, sotto il profilo della determinatez
za della fattispecie penale, come criterio di identificazione della
condotta punibile; e neppure ne può mettere in discussione, sot to il profilo della riserva di legge, il concreto meccanismo di
determinazione. Il che significa ancora che il giudice ordinario — anche quando sia convinto della assoluta incertezza della «dose
media giornaliera» e quindi della arbitrarietà della sua cognizio ne — deve ugualmente provvedere a «determinarla», nell'ambi
to dei suoi doveri di accertamento degli elementi costitutivi del reato da giudicare.
Non vi è dubbio che il meccanismo di determinazione me
diante tabelle approvate dall'autorità amministrativa, ha il pre
gio della certezza ed uniformità, che elimina in radice disparità di trattamento ed arbitrarietà di giudizi. Senonché, come la stessa
Corte costituzionale ha esplicitamente sottolineato, l'atto del l'autorità amministrativa, per poter essere applicato dal giudice
ordinario, deve essere legittimo, essendo ovvio che l'incertezza
della legge (penale) non può essere surrogata dalla certezza del
la sua violazione. E che nella specie l'atto amministrativo (d.m.
186/90) sia illegittimo si è già dimostrato. Basti ricordare che il citato d.m. — recependo l'indicazione
degli organi consultivi dichiaratamente ispirata a fini di politica criminale il cui perseguimento non spetta all'autorità ammini
strativa — fissa la «dose media giornaliera» della cocaina in
150 milligrammi, equivalenti, secondo la commissione dei do
centi, alla dose singola, e secondo l'Istituto superiore di sanità
alla quantità che il consumatore abituale assume nell'arco di un paio d'ore. È dunque palese che il predetto d.m. viola le
stesse parole della legge (art. 75, 1° comma, 1. 162/90), secondo
le quali il discrimine fra lecito e illecito penale deve essere stabi
lito sulla base della «dose media giornaliera» non già sulla base
della dose media singola. Per quanto riguarda l'hashish, basti ricordare ancora che il
citato d.m. recepisce l'indicazione (gr. 0,50) fornita dall'Istituto
Il Foro Italiano — 1992.
superiore di sanità sulla base di dichiarati criteri di prevenzione, senza procedere alla rivalutazione che il Consiglio di Stato ave
va ritenuto necessaria per ricondurre a legittimità la normativa
regolamentare. Evidentemente, l'autorità di governo ha ritenu
to di avere il potere di elaborare, e tradurre in norme, criteri
di politica criminale, secondo quanto esplicitamente dichiarato, del resto, dal ministro Russo-Jervolino nella seduta del senato
del 12 giugno 1990 (la determinazione della d.m.g. «rimane ascrit
ta alla responsabilità amministrativa e politica del ministro del
la sanità»). Ma tale opinione urta, palesemente, con l'elementa
re principio del nostro ordinamento — sottolineato nella più volte citata sentenza della Corte costituzionale — secondo il
quale le scelte di politica criminale spettano non già al governo ma al parlamento.
Si aggiunga che, secondo la stessa corte, a conferire carattere
di determinatezza alla «dose media giornaliera» concorrerebbe
ro, accanto alla (indimostrata) base scientifico-statistica, altri
due criteri di cui non risulta che l'autorità amministrativa abbia
tenuto alcun conto.
Secondo la corte, la «modica quantità» prevista dalla vecchia
1. 685/75 non era che un multiplo della «dose media giornalie
ra», atteso che la elaborazione giurisprudenziale faceva riferi
mento, per la sua determinazione, all'assunzione di droga per un consumatore «medio» nell'arco di alcuni giorni.
Sempre secondo la corte, nella concreta determinazione della
«dose media giornaliera» occorrerebbe far riferimento non solo
al criterio di cui alla lett. c) dell'art. 78 t.u. 309/90, ma anche
a quelli di cui alle precedenti lett. a) e b), i quali «indicano all'autorità amministrativa le metodiche per stabilire quale sia
il consumo abituale di sostanze stupefacenti che consentono di
pervenire attraverso campionature statistiche a conoscere un pa norama di dati individuali da utilizzare per quantificare la mi
sura "media", secondo criteri obiettivi di valutazione alla stre
gua della ricordata giurisprudenza». Se tutto questo è vero — e l'autorità della corte obbliga a
crederlo — se ne deve concludere che il d.m. 186/90 è illegitti mo anche per la violazione dei suddetti criteri di cui, come ri
sulta inequivocamente dai lavori preparatori del predetto decre
to, l'autorità amministrativa non ha tenuto alcun conto nella
concreta determinazione della «dose media giornaliera» delle varie
sostanze stupefacenti. Con particolare riguardo alle metodiche
di cui alle lett. a) e b) dell'art. 78, va rilevato che l'autorità
amministrativa si è limitata a specificarle in norme regolamen tari (gli art. 1 e 2 d.m. n. 186, relativi alle «procedure diagno stiche e medico-legali» e alla «assunzione nelle ventiquattro ore»), ma non risulta che di esse abbia fatto alcun uso per la determi
nazione della «dose media giornaliera». In conclusione, il decreto del ministro della sanità 12 luglio
1990 n. 186 è palesemente illegittimo perché affetto da un dop
pio vizio: a) violazione di legge, in quanto determina la dose
media di consumo, la cui detenzione è penalmente rilevante, in misura inferiore a quella «giornaliera» prescritta dagli art.
75 e 78 t.u. 309/90; b) eccesso di potere (nella figura-base dello
sviamento di potere), in quanto, deviando dalla sua funzione
istituzionale, persegue dichiarate finalità di politica criminale
appartenenti alla competenza del legislatore. Sul piano delle conseguenze di tale ritenuta illegittimità po
trebbe sostenersi che, una volta venuta a mancare la determina
zione della d.m.g. ad opera dell'atto amministrativo previsto dall'art. 75, l'acquisto, importazione e detenzione per uso per sonale non è mai configurabile come reato, quale che sia la
quantità di droga acquistata, importata o detenuta. Tale opi
nione, in verità, potrebbe fondatamente soostenersi sulla base
della considerazione che, nel caso in cui la determinazione di
un elemento della fattispecie penale è rimessa all'atto ammini
strativo, la illegittimità di tale atto inficia l'intera fattispecie. Con riguardo al caso di specie, potrebbe quindi ritenersi che
nella configurazione del reato entra come elemento costitutivo
non già la d.m.g. in sé, ma la d.m.g. siccome determinata nelle
forme previste dagli art. 75 e 78; con la conseguenza che, una
volta venuta meno, per dichiarata illegittimità, tale determina
zione, il reato non è più configurabile, non potendo il giudice sostituire la propria determinazione a quella (illegittima) del
l'autorità amministrativa.
Tale, del resto, sembra l'opinione dello stesso ministro della
sanità se è vero — come si è ricordato — che egli si e affrettato
ad emanare il decreto n. 186 in coincidenza con la entrata in
vigore della legge, senza avvalersi dei due mesi concessigli per una adeguata riflessione ed elaborazione delle tabelle (Io stesso
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GIURISPRUDENZA PENALE
ministro peraltro, ad oltre un anno dalla entrata in vigore della
legge, non ha ritenuto di avvalersi del potere-dovere, assegnato
gli dall'art. 78, 2° comma, di aggiornare le tabelle «in relazione
alla evoluzione delle conoscenze nel settore»). Di diverso avviso sembra invece la Corte costituzionale, se
condo la quale «il precetto penale potrebbe in ipotesi sussistere autonomamente anche senza la integrazione del decreto mini
steriale».
Assumendo come fondata l'opinione della corte, spetta al giu
dice, nei casi di dichiarata illegittimità del d.m. n. 186, determi nare la «dose media giornaliera» di cui al citato art. 75, al fine
di stabilire se la quantità del caso di specie ne superi la soglia e costituisca quindi illecito penale.
Senonché il tribunale non ha argomenti per contrastare moti
vatamente le autorevoli opinioni sopra riportate che negano la
possibilità di fondare su base scientifica o statistica la determi
nazione della «dose media giornaliera» delle sostanze stupe facenti.
Neppure risultano disponibili quelle «campionature statisti
che» che, secondo il citato passo della sentenza della corte, po trebbero fornire «un panorama di dati individuali da utilizzare
per quantificare la misura media», sulla base delle metodiche
di cui alla lett. a) e b) dell'art. 78. Infatti, come si è visto, l'autorità amministrativa ha provveduto, negli art. 1 e 2 d.m. n. 186, alla specificazione verbale delle predette metodiche, ma
non risulta che abbia provveduto alla raccolta o all'esame dei
dati di cui parla la corte. Non esiste pertanto alcun «panora ma» se non quello puramente verbale delle norme legislative e regolamentari sopra citate.
Per la risoluzione del caso di specie non resta, dunque, che
l'assunzione di un parere tecnico al fine di stabilire quale sia
la «dose media giornaliera» della sostanza stupefacente detenu
ta dall'imputato. Va pertanto disposta perizia che, implicando valutazioni che richiedono distinte conoscenze in differenti di
scipline (tossicologia, farmacologia, medicina legale, chimica), deve essere affidata a più persone.
In proposito, ai fini di una corretta impostazione dell'atto
istruttorio, appare opportuno precisare: a) come risulta dai la
vori preparatori della 1. 162/90, e come ribadito dalla più volte
citata sentenza della Corte cost. n. 333, la nozione di «dose
media giornaliera» di cui all'art. 75 t.u. 309/90 non ha caratte
re soggettivo, inerente cioè alla persona del singolo assuntore, bensì oggettivo; b) la oggettiva «dose media giornaliera» di cui
al citato art. 75, va determinata sulla base dei criteri stabiliti
nel successivo art. 78, lett. à), b) e c), siccome specificati, per le lettere a) e b), negli art. 1 e 2 d.m. 186/90, prescindendosi
invece, per la lett. c), dalle tabelle previste dall'art. 3 del predet to d.m., dichiarato illegittimo con la presente ordinanza.
I periti, pertanto, dovranno attenersi, per rispondere al quesi to proposto, a tale impostazione. Ovviamente, in base all'insu
perabile principio ad impossibilia nemo tenetur, saranno gli stessi
periti a dire se la determinazione della «dose media giornaliera» di cui all'art. 75 t.u. 309/90 sia impossibile sulla base dei pre detti criteri, prospettando, se del caso, metodiche alternative.
I
TRIBUNALE DI VERCELLI; TRIBUNALE DI VERCELLI; ordinanza 14 marzo 1991; Pres.
Dedonato, Rei. Vignerà; imp. Ciuccio.
Misure cautelari personali — Atti preliminari al dibattimento
di primo grado — Revoca — Limiti (Cod. proc. pen., art.
273, 291, 292, 429, 431, 432; norme att., coord, e trans, cod.
proc. pen., art. 91). Misure cautelari personali — Atti preliminari al dibattimento
di primo grado — Richiesta di revoca — Atti utilizzabili per la decisione (Cod. proc. pen., art. 292, 299, 429, 431, 432, 433; norme att., coord, e trans, cod. proc. pen., art. 91).
La misura cautelare personale disposta nel corso delle indagini
preliminari non può essere revocata nella fase degli atti preli
minari al dibattimento sulla base di una semplice rivalutazio ne dell'efficienza probatoria degli indizi di colpevolezza emersi
Il Foro Italiano — 1992.
dalle predette indagini, dato che, durante tale fase, la caduca
zione della condizione di applicabilità ex art. 273, 1 ° comma, c.p.p. è configuratile solo in presenza di sopravvenute circo
stanze infirmanti gli elementi accusatori desumibili dalla let
tura degli atti indicati dagli art. 431-432 c.p.p. (e, in partico lare, del decreto che dispone il giudizio e/o dell'ordinanza
applicativa della misura). (1) Al fine di provvedere sull'istanza di revoca di una misura caute
lare disposta nel corso delle indagini preliminari, il giudice della fase predibattimentale di primo grado deve utilizzare fon damentalmente gli atti indicati dagli art. 431-432 c.p.p., ed
eventualmente quelli allegati dalle parti nelle rispettive ri chieste. (2)
II
TRIBUNALE DI VERCELLI; ordinanza 16 maggio 1990; Pres. Zeoli, Rei. Vignerà; imp. Bertinotti ed altro.
Misure cautelari personali — Esigenze probatorie — Rinnova
zione — Previa audizione del difensore — Necessità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. pen., art. 178, 301, 305).
Qualora il pubblico ministero formuli una richiesta finalizzata ad ottenere dal giudice la rinnovazione di una misura cautela
re disposta per esigenze probatorie, deve ritenersi, pur nel
silenzio dell'art. 301 c.p.p. — alla stregua di una interpreta zione conforme agli art. 3 e 24 Cost, e in applicazione analo
gica dell'art. 305 c.p.p. — che debba essere sentito il difenso re a pena di nullità del provvedimento. (3)
I
Premesso: che «gli indizi gravi di colpevolezza per l'instaura
zione ed il mantenimento delle misure cautelari coercitive han
no... valore probatorio inferiore anche agli indizi sufficienti di
colpevolezza occorrenti per il rinvio a giudizio «dell'indagato
(cosi Cass. 6 luglio 1990, Di Palma; analogamente Cass. 9 apri le 1990, Stolder);
— che pertanto sarebbe contraddittorio ed irragionevole ne
gare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273
c.p.p. in presenza del decreto che dispone il giudizio dell'im
putato; — che esigenze di coordinamento logico-sistematico impon
gono conseguentemente di affermare che la misura cautelare per sonale disposta durante le indagini preliminari, non può essere
revocata nella fase predibattimentale di primo grado (scilicet:
per mancanza della condizione generale di applicabilità ex art.
273, 1° comma, c.p.p.) sulla base di una semplice rivalutazione
dell'efficienza probatoria degli indizi di colpevolezza emersi dalle
predette indagini; — che codesta conclusione è sul piano normativo confermata
dal fatto che nel corso degli atti preliminari al dibattimento di
primo grado il giudice non ha il potere di acquisire gli elementi d'indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero ex art.
433 c.p.p., mentre è del tutto eventuale la circostanza che le
parti alleghino tali elementi alle proprie richieste ex art. 299, 3° e 4° comma bis, c.p.p.;
— che perciò, disposta durante le indagini preliminari una
misura cautelare personale, la sua successiva revoca nella fase
predibattimentale di primo grado per insussistenza dei gravi in
dizi di colpevolezza può essere disposta dal giudice ex art. 91
disp. att. solo alla stregua di specifiche circostanze sopravvenu te alla chiusura delle indagini suddette (che le parti hanno l'o
nere, rispettivamente, di provare e di «neutralizzare» mediante
elementi da allegare alle proprie richieste), inequivocabilmente idonee ad infirmare i dati probatori desumibili dalla lettura de
(1-2) Non risultano precedenti specifici. In generale, nel senso che, una volta verificata la legittimità del provvedimento impositivo di una misura cautelare, non è proponibile, nell'immutazione del quadro pro batorio indiziario, un nuovo esame dello stesso oggetto, v. Cass. 21
novembre 1991, Combeniati, Arch, nuova proc. pen., 1992, 451.
(3) Analogamente, in dottrina, v. Nappi, in Giur. it., 1990, II, 271, in base alla considerazione che l'art. 301, 2° comma, c.p.p. configura una proroga dei termini di durata della misura disposta per esigenze cautelari (in tal senso Cordero, Codice di procedura penale commenta
to, Torino, 1990, 341).
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