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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || ordinanza 22 novembre 1991; Pres. ed est. Saraceni, imp....

Date post: 31-Jan-2017
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ordinanza 22 novembre 1991; Pres. ed est. Saraceni, imp. Martignetti Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp. 647/648-653/654 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23186019 . Accessed: 28/06/2014 09:16 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.101.146 on Sat, 28 Jun 2014 09:16:31 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || ordinanza 22 novembre 1991; Pres. ed est. Saraceni, imp. Martignetti

ordinanza 22 novembre 1991; Pres. ed est. Saraceni, imp. MartignettiSource: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.647/648-653/654Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186019 .

Accessed: 28/06/2014 09:16

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PARTE SECONDA

La tesi ora illustrata assume poi contorni di macroscopica certezza se accostata alla questione, qui in discorso, della pro ducibilità di atti di altri procedimenti ex art. 238 c.p.p.

Invero, è di tutta evidenza come il legislatore della riforma

abbia inteso disciplinare il fenomeno della osmosi documentale

tra procedimenti, codificando una specifica disciplina limitativa quanto al contenuto degli atti medesimi che all'uso di essi a

cura delle parti.

Ampiamente il tribunale ha già esplicitato, con l'ordinanza

richiamata in premessa, le ragioni per le quali poi il compendio documentale irripetibile può essere oggetto di produzione a cu

ra delle parti in ogni momento del dibattimento, risultando ol

tretutto chiara in tal senso la volontà del legislatore col ricorso

alla locuzione «È comunque consentita l'acquisizione...» nell'e

nunciato dell'art. 238 cit.

La ricerca e l'acquisizione di tali atti da parte del p.m. —

cosi come a cura delle altre parti — a fini di produzione proces suale potrà dunque svolgersi nel corso dell'intero arco del di

battimento; ed essa costituirà piuttosto la regola per l'organo d'accusa stante che siffatti documenti, ove precedentemente ac

quisiti in indagine preliminare, già transitano (se di polizia giu diziaria e del p.m.) al fascicolo del dibattimento ex art. 431, lett. b) e c), c.p.p.

Pertanto, al di là delle considerazioni precedentemente svolte

circa l'incompatibilità tra attività integrativa d'indagine e ricer

ca di documentazione probatoria — altrettanto valide per l'ipo tesi di atti irripetibili di altri procedimenti — ulteriore troncante

rilievo può opporsi alla tesi difensiva, come può trarsi dalla

natura stessa dei documenti in questione.

Infatti, nulla è d'ostacolo a che il procedimento i cui atti s'intendono esportare si svolga in concomitanza con quello nel

quale la richiesta di acquisizione è avanzata; cosi che il p.m.

giammai potrà munirsi di tali atti per i fini suddetti prima che

gli stessi materialmente siano compiuti nell'ambito del procedi mento a quo.

Ciò comporta, quindi, che il p.m. debba essere in grado di entrare in possesso di tale documentazione anche in un momen

to necessario successivo alla consumazione del suo potere d'in

dagine integrativa; potere com'è ovvio destinato ad estinguersi con l'inizio del dibattimento.

III. - L'infondatezza della censura difensiva ora analizzata

introduce a tal punto il tema precipuo del controllo omologati vo del collegio, inerente cioè alla natura irripetibile o meno del

l'attività documentata. Contenuto di tal tipo va senz'altro rico

nosciuto ai provvedimenti restrittivi emessi da varie autorità giu diziarie di Trapani e Marsala contemplati ai nn. 1), 2), 3), 4), 5), 6), 7), 8), 9), 10), 11), 12), 30) della nota I; parimenti per i provvedimenti di sopralluogo, perquisizione, sequestro, arre sto e fermo a cura di organi di p.g. di cui ai nn. 15), 16), 17), 18), 19), 20), 21), 22), 23), 24), 25), 26), 27), 28), 29), 31), 32), 33) e 34) nonché ai verbali autoptici relativi ai cadaveri di Ala Giuseppe e Stallone Salvatore ricompresi nei numeri 25) e 26) ed ai decreti di convalida d'arresto di cui ai nn. 31) e

32), rispettivamente emessi dal vice Pretore di Castelvetrano e dal procuratore della repubblica di Marsala.

Uguale connotato di irripetibilità compete ai verbali di di

chiarazioni rese da Cordio Ernesto Paolo (n. 13) nota I), aven

do il p.m. comprovato l'avvenuto decesso del dichiarante. Il verbale contenente le dichiarazioni di Leone Vito sub n.

14) va viceversa rigettato stante la non dimostrata natura irrei terabile dell'atto.

Le relazioni di servizio indicate al n. 28 della nota I e nell'in tera nota II vanno ugualmente respinte, per le ragioni che

seguono.

Invero, la relazione di servizio non rientra in alcuna tipologia documentale; essa null'altro costituisce se non un'informativa resa per iscritto e diretta ad organi superiori a fini conoscitivi in ordine a fatti o comportamenti esterni, direttamente osserva

ti dal relazionante, od anche da questi partecipati. Da ciò discende che la irreiterabilità dei fatti relazionati resta

indifferente ai fini della qualificazione del documento, costi tuendo esso una mera dichiarazione come tale oralmente ripeti bile nel tempo ad opera del suo sottoscrittore.

Né varrebbe a sconfessare siffatta impostazione la obiezione

che anche, ad esempio, un p.v. di sopralluogo, sequestro o per

quisizione costituisce un resoconto scritto di un fatto storico

a cura della polizia giudiziaria che ben potrebbe parimenti rife

rirne oralmente.

Il Foro Italiano — 1992.

È fin troppo agevole rilevare sul punto che la verbalizzazione

degli accadimenti suddetti, cui nella specie sovrintende la nor

mativa di cui agli art. 357 e 386 c.p.p., contempla attività pro

prie della polizia giudiziaria e dalla stessa compiute, con la con

seguenza che, negli esempi citati, l'atto di polizia giudiziaria cui por mente ai fini della delibazione di irripetibilità è il so pralluogo, il sequestro e la perquisizione e non già l'atto del

verbalizzare cui peraltro l'organo operante ha l'obbligo di at

tenersi.

TRIBUNALE DI ROMA; TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 22 novembre 1991; Pres.

ed est. Saraceni, imp. Martignetti.

Stupefacenti e sostanze psicotrope — Detenzione — Dose me

dia giornaliera — Determinazione — Decreto ministeriale —

Disapplicazione — Conseguenze (L. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, sul contenzioso amministrativo, art. 5; d.p.r. 9 ottobre

1990 n. 309, testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e

riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, art. 73,

75, 78; d.m. sanità 12 luglio 1990 n. 186, regolamento con

cernente la determinazione delle procedure diagnostiche e

medico-legali per accertare l'uso abituale di sostanze stupefa centi o psicotrope, delle metodiche per quantificare l'assun

zione abituale nelle ventiquattro ore e dei limiti quantitativi di principio attivo per le dosi medie giornaliere).

Il d.m. 12 luglio 1990 n. 186 (con annesse tabelle) che ha con

cretamente determinato la dose media giornaliera anche della

cocaina, è illegittimo per violazione di legge ed eccesso di po tere e va conseguentemente disapplicato dal giudice penale. (1)

Ai fini della determinazione della dose media giornaliera di una sostanza stupefacente, il giudice penale deve disporre perizia,

qualora disapplichi per illegittimità il d.m. 12 luglio 1990 n. 186 (che regola concretamente detta materia). (2)

(1-2) I. - Il Tribunale di Roma, che eccepì l'incostituzionalità della nuova legge antidroga (tra le altre, v. ord. 12 ottobre 1990, Foro it., 1991, II, 243), trae spunto dalle argomentazioni addotte dalla Corte costituzionale nella sentenza 333/91 (ibid., I, 2628, con note di Giorgio e Fiandaca, spec. 2648-2649) per neutralizzare radicalmente ex art. 5 1. 2248/1865, ali. E, i parametri tabellari ministeriali relativi alla dose media giornaliera (d.m.g.) della cocaina (per un analogo provvedimen to riguardante la disapplicazione della d.m.g., relativa all'hashish, cfr. Trib. Roma, ord. 22 novembre 1991, Critica del diritto, 1991, fase. 6, 42). È bene ricordare che secondo l'Alto consesso (tra l'altro): 1) l'integrazione della fattispecie penale ex art. 73 e 75 d.p.r. 309/90 ad

opera del d.m. 12 luglio 1990 n. 186 non è lesiva del precetto dell'art. 25 Cost.; 2) l'art. 78, 1° comma, d.p.r. cit. (in attuazione del quale è stato emanato il d.m. cit.) detta tre diversi criteri caratterizzati (sub a e b) da «un contenuto» tecnico-scientifico e da ragionevoli (quanto inevitabili) «margini di approssimazione» ai fini della determinazione della d.m.g. per ciascuna sostanza drogante; 3) i detti parametri debbo no essere considerati in modo unitario e coordinato dalla competente autorità ministeriale; 4) eventuali illegittimità dell'integrazione ammini strativa della norma incriminatrice primaria ne giustificano la disappli cazione (in bonam partem) da parte del giudice penale. Orbene, proprio a quest'ultima conclusione è giunto il tribunale capitolino, secondo cui il d.m. cit. è inficiato da una doppia illegittimità: esso da un canto, non avrebbe tenuto conto dei citati criteri «scientifici» di cui all'art.

78, 1° comma, lett. b), cit.; d'altra parte sarebbe viziato da uno svia mento di potere, avendo invaso una sfera d'intervento (quella delle «scelte di politica criminale»), istituzionalmente devoluta (non ad organi go vernativi ma) al parlamento. In tal modo, indubbiamente, i giudici pe nali (e gli eventuali periti tecnici da essi nominati) divengono arbitri della quantificazione della d.m.g. con inevitabili incertezze ermeneuti che (come già per la tormentata nozione della «modica quantità» ex art. 72 ed 80 1. 685/75 ed ora per l'attenuante del fatto di lieve entità ex art. 73, 5° comma, d.p.r. cit.: cfr. le contrastanti pronunce della

Suprema corte in Foro it., 1991, II, 569, con nota di Giorgio. In ultima analisi, la legislazione in materia di stupefacenti costituisce

ancora terreno fertile per l'esercizio della c.d. supplenza giudiziaria, come evidenziato in dottrina (cfr. Padovani, La disintegrazione attuale del sistema sanzionatorio (...), in Riv. it. dir. e proc. pen., 1992, 419

ss., spec. 424-425). II. - In dottrina, a proposito della d.m.g. cfr. (per lo più, criticamente):

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GIURISPRUDENZA PENALE

Premesso che dagli atti non emerge prova alcuna che la so

stanza stupefacente detenuta dall'imputato fosse destinata al com

mercio o comunque alla cessione a terzi; che anzi il contesto

in cui è stata sequestrata e la quantità estremamente modica, rende attendibile che la sostanza stessa fosse destinata, secondo

l'assunto dell'imputato, al consumo personale dell'imputato stesso.

Considerando quindi che si è in presenza dell'ipotesi tipica in cui la mera detenzione della sostanza stupefacente, ancorché

destinata all'uso personale del detentore, integra la fattispecie criminosa contestata solo in quanto la droga posseduta eccede

la «dose media giornaliera» (d.m.g.) che le tabelle allegate al decreto del ministro della sanità 186/90 determinano, per la co

caina in 150 milligrammi (a fronte dei 0,339 milligrammi trova

ti in possesso dell'imputato). Considerato che — come già ritenuto da questo tribunale con

sentenza 9 ottobre 1991 in causa Innocenti — il giudice ordina

rio ha il dovere di disapplicare il predetto decreto ministeriale in quanto appare illegittimo nella parte in cui, per quanto qui

interessa, determina in 150 milligrammi la dose media giornalie ra» della cocaina.

Invero la Corte costituzionale, nella sentenza 333/91 (Foro

it., 1991,1, 2628) ha ritenuto legittimo il mero criterio quantita tivo della «dose media giornaliera», che l'art. 75 162/90 preve de come discrimine tra la detenzione di droga soggetta alla san

zione penale e quella soggetta alla sanzione amministrativa. La

stessa corte, peraltro, ha esplicitamente rilevato che compete al giudice ordinario, nell'ambito del sindacato sulla legittimità

degli atti amministrativi assegnatogli dall'art. 5 1. 2248/1865, ali. E, il potere-dovere di disapplicare la concreta determinazio

ne della «dose media giornaliera» ad opera delle tabelle appro vate con il citato d.m. 186/90, ove ritenuto illegittimo.

La corte altresì, nella citata sentenza, con ovvia considerazio

ne ha rilevato che la legge non consente al ministro della sanità, nella concreta determinazione della «dose media giornaliera» delle varie sostanze, alcuna valutazione in chiave di prevenzione o repressione volta ad integrare scelte di politica criminale, che

sono di esclusiva competenza del legislatore.

Orbene, in aperta violazione di tale ovvio principio, il più volte citato decreto del ministro della sanità è pervenuto alla

concreta determinazione delle tabelle, almeno con riguardo alla

«dose media giornaliera» della cocaina e dei derivati della can

nabis, proprio sulla base di dichiarate scelte di politica crimina

le in chiave preventivo-repressiva. A dar conto del fondamento dell'affermazione sopra formu

lata, giova ripercorrere l'iter formativo delle predette tabelle.

Nel novembre 1989, l'Istituto superiore di sanità, richiesto

di un parere sulla «eventuale attribuzione al ministro della sani

tà di compiti di... individuazione delle 'dosi medie giornaliere' di principio attivo» dopo aver premesso che «la individuazione

della d.m.g. dovrebbe teoricamente servire a distinguere l'ac

quisto e detenzione di droga per esclusivo uso personale dall'ac

quisto e detenzione di quantitativi destinati allo spaccio o con

destinazione mista», rilevava che «in realtà tutti gli esperti han

no ripetutamente riconosciuto che la definizione della d.m.g. non può servire a detto scopo, data l'ampiezza del range dei

quantitativi che possono essere adoperati da diversi assuntori

o dallo stesso assuntore in momenti diversi» e, citando il capi tolo sulle tossicodipendenze di J.H. Jatfe del noto trattato Good

man and Gilman 's The Pharmacological Basis of Therapeutics, riferiva a mo' di esempio, a proposito della cocaina, che «a

fronte di una dose di 0,04-0,1 gr. di cocaina cloridrato farma

cologicamente attiva per via inalatoria, gli assuntori 'pesanti'

possono arrivare ad impiegare anche più grammi al giorno. Jaffe

specifica che alcuni assuntori ricorrono a due prese all'ora di

0,1 gr. ciascuna». «In una tale situazione — proseguiva il parere — l'eventuale

assegnazione all'autorità sanitaria di compiti di individuazione

Bertol-Mari, La dose media giornaliera: considerazioni tossicologico

forensi, in Cass, pen., 1990, I, 1846; Borriello-Della Pietra

Sciandone, Considerazioni di ordine medico-legale sulla nuova norma

tiva in materia di stupefacenti, in Corriere giur., 1991, 863 ss.; Furna

ro, Considerazioni sul decreto del ministero della sanità 12 luglio 1990

n. 186, in Giust. pen., 1992, II, 61; Gagliano-Candela-Rutigliano,

Aspetti tossicologici forensi della l. 162/90 sulla disciplina degli stupe

facenti e sostanze psicotrope e del d.m. 186/90, in corso di pubblicazio ne su Critica pen., 1992.

Il Foro Italiano — 1992.

della d.m.g. imporrebbe la scelta tra due soluzioni ambedue

incongrue sul piano strettamente scientifico-medico oltre che non

funzionali ai fini dell'efficacia dei provvedimenti di terapia e riabilitazione». L'Istituto superiore di sanità ne traeva la con

clusione che «il problema che si propone di affrontare attraver

so la definizione della d.m.g. può trovare soluzioni assai più efficaci e di buona fattibilità attraverso... l'acquisizione da par te dell'autorità di competenza degli elementi disponibili sia agli operatori dei servizi ad hoc che delle forze di polizia».

Il legislatore, evidentemente disattendendo l'autorevole pare re dell'Istituto superiore di sanità — che peraltro non risulta

versato nel dibattito parlamentare — affidava (art. 16 1. 26 giu gno 1990 n. 162) al ministro della sanità, previo parere dell'Isti

tuto superiore di sanità, il compito di determinare, con decreto

da emanarsi entro due mesi dall'entrata in vigore della legge stessa (11 luglio 1990), la «dose media giornaliera» delle varie

sostanze.

Il 28 giugno 1990 una commissione di esperti dell'università «La Sapienza» di Roma all'uopo nominata al di là degli obbli

ghi di legge, trasmetteva al ministro della sanità un parere nel

quale osservava fra l'altro che «per le sostanze stupefacenti pri ve di riscontro epidemiologico... la commissione, che per sco

raggiare la loro utilizzazione illegittima, ha proposto che la do

se singola stupefacente ne costituisca anche il livello massimo

delle 24 ore». Tra le predette sostanze la commissione indicava, in via esemplificativa «la cocaina, la cui epidemiologia sfugge

largamente ai servizi pubblici di assistenza e il cui consumo e

purezza chimica variano a seconda dell'area dello spaccio, del

censo del consumatore, ecc.». Proponeva quindi, con palese con

traddizione, che la d.m.g. della cocaina prevista dalla legge ve

nisse determinata, per dichiarati fini di prevenzione, in 150 mil

ligrammi equivalenti alla dose singola (determinazione dopo ac

colta, come s'è visto, dal d.m. 186/90). A sua volta l'Istituto superiore di sanità, nel suo parere ob

bligatorio trasmesso il 2 luglio 1990, premesso che «allo scopo di privilegiare il carattere di prevenzione della normativa e per disincentivare le prime assunzioni e l'avvio verso l'abuso, la scelta

della d.m.g. è stata orientata in alcuni casi verso livelli inferiori

a quelli mediamente risultanti dai dati epidemiologici sull'abuso di droga», a proposito della cocaina, dopo aver osservato che

era «ancora più difficile discriminare solamente sulla base di

una determinata quantità il consumatore dallo spacciatore», ri

levava, con riferimento «all'uso abituale», che «le quantità uti

lizzate mediante aspirazione nasale rientrano in un intervallo

da 100 a 250 milligrammi di cocaina cloridrato nell'arco di 2-3 ore». Dopo di che, evidentemente per i fini di prevenzione e

disincentivazione sopra enunciati, l'Istituto superiore di sanità

proponeva di determinare la d.m.g. in 100 milligrammi, cioè, secondo il suo stesso parere, nella dose minima assunta da un

consumatore abituale ogni 2-3 ore.

A proposito dei derivati della cannabis lo stesso parere affer

mava che «trattandosi di prodotti utilizzati prevalentemente da

gruppi giovanili si è ritenuto opportuno privilegiare il significa to preventivo della normativa, con l'intento di disincentivare

anche l'uso sporadico e le prime assunzioni». Indicava quindi in 50 milligrammi la «dose media giornaliera» dell'hashish (in dicazione poi accolta nel d.m. 186/90).

Il 12 luglio 1990 il Consiglio di Stato trasmetteva al ministro

della sanità il proprio parere obbligatorio, nel quale rilevava

che i criteri seguiti dall'Istituto superiore di sanità erano da rite

nere «non conformi a legge», in quanto, privilegiando apprez zabilmente ma indebitamente i fini di prevenzione e disincenti

vazione, dichiaratamente si discostavano dal dato obiettivo del

«limite quantitativo massimo di principio attivo per le dosi me

die giornaliere» previsto dalla legge (il rilievo di illegittimità è chiaramente estensibile al parere della commissione di esperti,

per l'analogo riferimento alla finalità di scoraggiare il consumo

della cocaina). «Per quanto concerne specificamente — continuava il Consi

glio di Stato — la tabella II (cannabis, marijuana, hashish), in relazione alla quale il parere dell'Istituto superiore di sanità

espressamente indica di avere utilizzato il criterio della finalità

della disincentivazione... è necessaria una nuova valutazione che

prescinda dal criterio finalistico...». Senonché lo stesso 12 luglio 1990, in coincidenza con la en

trata in vigore della 1. n. 162 (senza fruire, quindi, del termine

di sessanta giorni concesso dalla legge stessa), il ministro della

sanità emanava il decreto n. 186 che, come s'è visto, recependo

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PARTE SECONDA

le indicazioni degli organi consultivi, determina rispettivamente in gr. 0,150 e in gr. 0,50 di principio attivo la «dose media

giornaliera» della cocaina e dell'hashish.

La sopra riassunta vicenda dell'/ter formativo delle suddette

tabelle mostra all'evidenza, ad avviso del tribunale, la totale

inconsistenza della nozione di «dose media giornaliera» non so

lo dal punto di vista scientifico, ma anche soltanto dal punto di vista statistico, almeno per quelle sostanze che non hanno

riscontro epidemiologico». Come questo tribunale ha già avuto occasione di rilevare nel

l'ordinanza 5 gennaio 1991 con cui rimetteva alla Corte costitu

zionale la questione poi risolta con la citata sentenza n. 333, i «riscontri epidemiologici» consistono in un dato soggettivo (le dichiarazioni dei tossicodipendenti in cura presso i Sat da cui

viene rilevata la quantità «media» del consumo giornaliero e

in un dato oggettivo (la «media» del principio attivo contenuto

nelle confezioni della droga «da strada» sequestrate dalla poli zia giudiziaria) per la rilevazione del «medio» principio attivo. Orbene è noto che i consumatori di cocaina e di cannabis mai

(o del tutto eccezionalmente) si rivolgono ai Sat, non avendone

alcun bisogno; ed è altrettanto noto, a chiunque abbia un mini

no di esperienza giudiziaria in materia, che raramente la polizia

giudiziaria sequestra cocaina e cannabis in confezioni pronte

per il consumo. Mancano quindi, per le predette sostanze, i

dati di rilevamento su cui dovrebbe essere fondata una nozione

statistica di «dose media giornaliera», mentre, alla stregua delle

sopra riportate opinioni di autorevoli cultori della materia e de

gli stessi organi consultivi interpellati dal ministro, essa non ha

neppure alcuna base scientifica.

Né a conferire dignità statistica o scientifica alla «dose media

gornaliera» può valere, a parte il valore meramente normativo, la diversa e apodittica opinione delle Corte costituzionale, se

condo la quale la predetta dose è determinabile «sulla base di

nozioni di tossicologia, farmacologica e statistica sanitaria» (dalla sentenza n. 333 non risuita peraltro che la corte abbia preso in considerazione sul punto le prospettazioni della ordinanza

di rimessione o di altra provenienza). La decisione della corte, pertanto, vincola il giudice alla esi

stenza della «dose media giornaliera» nel mondo del diritto, ma non nel mondo della statistica o della scienza, al quale i

dati possono avere accesso per il loro fondamento, non già per

precetto legislativo (ancorché avallato dalla Corte costituziona

le). Si vuol dire con ciò che, dopo la decisione della corte, il

giudice ordinario — pur nella persistente convinzione della in

consistenza della nozione di «dose media giornaliera» — non

può metterla in discussione, sotto il profilo della determinatez

za della fattispecie penale, come criterio di identificazione della

condotta punibile; e neppure ne può mettere in discussione, sot to il profilo della riserva di legge, il concreto meccanismo di

determinazione. Il che significa ancora che il giudice ordinario — anche quando sia convinto della assoluta incertezza della «dose

media giornaliera» e quindi della arbitrarietà della sua cognizio ne — deve ugualmente provvedere a «determinarla», nell'ambi

to dei suoi doveri di accertamento degli elementi costitutivi del reato da giudicare.

Non vi è dubbio che il meccanismo di determinazione me

diante tabelle approvate dall'autorità amministrativa, ha il pre

gio della certezza ed uniformità, che elimina in radice disparità di trattamento ed arbitrarietà di giudizi. Senonché, come la stessa

Corte costituzionale ha esplicitamente sottolineato, l'atto del l'autorità amministrativa, per poter essere applicato dal giudice

ordinario, deve essere legittimo, essendo ovvio che l'incertezza

della legge (penale) non può essere surrogata dalla certezza del

la sua violazione. E che nella specie l'atto amministrativo (d.m.

186/90) sia illegittimo si è già dimostrato. Basti ricordare che il citato d.m. — recependo l'indicazione

degli organi consultivi dichiaratamente ispirata a fini di politica criminale il cui perseguimento non spetta all'autorità ammini

strativa — fissa la «dose media giornaliera» della cocaina in

150 milligrammi, equivalenti, secondo la commissione dei do

centi, alla dose singola, e secondo l'Istituto superiore di sanità

alla quantità che il consumatore abituale assume nell'arco di un paio d'ore. È dunque palese che il predetto d.m. viola le

stesse parole della legge (art. 75, 1° comma, 1. 162/90), secondo

le quali il discrimine fra lecito e illecito penale deve essere stabi

lito sulla base della «dose media giornaliera» non già sulla base

della dose media singola. Per quanto riguarda l'hashish, basti ricordare ancora che il

citato d.m. recepisce l'indicazione (gr. 0,50) fornita dall'Istituto

Il Foro Italiano — 1992.

superiore di sanità sulla base di dichiarati criteri di prevenzione, senza procedere alla rivalutazione che il Consiglio di Stato ave

va ritenuto necessaria per ricondurre a legittimità la normativa

regolamentare. Evidentemente, l'autorità di governo ha ritenu

to di avere il potere di elaborare, e tradurre in norme, criteri

di politica criminale, secondo quanto esplicitamente dichiarato, del resto, dal ministro Russo-Jervolino nella seduta del senato

del 12 giugno 1990 (la determinazione della d.m.g. «rimane ascrit

ta alla responsabilità amministrativa e politica del ministro del

la sanità»). Ma tale opinione urta, palesemente, con l'elementa

re principio del nostro ordinamento — sottolineato nella più volte citata sentenza della Corte costituzionale — secondo il

quale le scelte di politica criminale spettano non già al governo ma al parlamento.

Si aggiunga che, secondo la stessa corte, a conferire carattere

di determinatezza alla «dose media giornaliera» concorrerebbe

ro, accanto alla (indimostrata) base scientifico-statistica, altri

due criteri di cui non risulta che l'autorità amministrativa abbia

tenuto alcun conto.

Secondo la corte, la «modica quantità» prevista dalla vecchia

1. 685/75 non era che un multiplo della «dose media giornalie

ra», atteso che la elaborazione giurisprudenziale faceva riferi

mento, per la sua determinazione, all'assunzione di droga per un consumatore «medio» nell'arco di alcuni giorni.

Sempre secondo la corte, nella concreta determinazione della

«dose media giornaliera» occorrerebbe far riferimento non solo

al criterio di cui alla lett. c) dell'art. 78 t.u. 309/90, ma anche

a quelli di cui alle precedenti lett. a) e b), i quali «indicano all'autorità amministrativa le metodiche per stabilire quale sia

il consumo abituale di sostanze stupefacenti che consentono di

pervenire attraverso campionature statistiche a conoscere un pa norama di dati individuali da utilizzare per quantificare la mi

sura "media", secondo criteri obiettivi di valutazione alla stre

gua della ricordata giurisprudenza». Se tutto questo è vero — e l'autorità della corte obbliga a

crederlo — se ne deve concludere che il d.m. 186/90 è illegitti mo anche per la violazione dei suddetti criteri di cui, come ri

sulta inequivocamente dai lavori preparatori del predetto decre

to, l'autorità amministrativa non ha tenuto alcun conto nella

concreta determinazione della «dose media giornaliera» delle varie

sostanze stupefacenti. Con particolare riguardo alle metodiche

di cui alle lett. a) e b) dell'art. 78, va rilevato che l'autorità

amministrativa si è limitata a specificarle in norme regolamen tari (gli art. 1 e 2 d.m. n. 186, relativi alle «procedure diagno stiche e medico-legali» e alla «assunzione nelle ventiquattro ore»), ma non risulta che di esse abbia fatto alcun uso per la determi

nazione della «dose media giornaliera». In conclusione, il decreto del ministro della sanità 12 luglio

1990 n. 186 è palesemente illegittimo perché affetto da un dop

pio vizio: a) violazione di legge, in quanto determina la dose

media di consumo, la cui detenzione è penalmente rilevante, in misura inferiore a quella «giornaliera» prescritta dagli art.

75 e 78 t.u. 309/90; b) eccesso di potere (nella figura-base dello

sviamento di potere), in quanto, deviando dalla sua funzione

istituzionale, persegue dichiarate finalità di politica criminale

appartenenti alla competenza del legislatore. Sul piano delle conseguenze di tale ritenuta illegittimità po

trebbe sostenersi che, una volta venuta a mancare la determina

zione della d.m.g. ad opera dell'atto amministrativo previsto dall'art. 75, l'acquisto, importazione e detenzione per uso per sonale non è mai configurabile come reato, quale che sia la

quantità di droga acquistata, importata o detenuta. Tale opi

nione, in verità, potrebbe fondatamente soostenersi sulla base

della considerazione che, nel caso in cui la determinazione di

un elemento della fattispecie penale è rimessa all'atto ammini

strativo, la illegittimità di tale atto inficia l'intera fattispecie. Con riguardo al caso di specie, potrebbe quindi ritenersi che

nella configurazione del reato entra come elemento costitutivo

non già la d.m.g. in sé, ma la d.m.g. siccome determinata nelle

forme previste dagli art. 75 e 78; con la conseguenza che, una

volta venuta meno, per dichiarata illegittimità, tale determina

zione, il reato non è più configurabile, non potendo il giudice sostituire la propria determinazione a quella (illegittima) del

l'autorità amministrativa.

Tale, del resto, sembra l'opinione dello stesso ministro della

sanità se è vero — come si è ricordato — che egli si e affrettato

ad emanare il decreto n. 186 in coincidenza con la entrata in

vigore della legge, senza avvalersi dei due mesi concessigli per una adeguata riflessione ed elaborazione delle tabelle (Io stesso

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Page 5: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || ordinanza 22 novembre 1991; Pres. ed est. Saraceni, imp. Martignetti

GIURISPRUDENZA PENALE

ministro peraltro, ad oltre un anno dalla entrata in vigore della

legge, non ha ritenuto di avvalersi del potere-dovere, assegnato

gli dall'art. 78, 2° comma, di aggiornare le tabelle «in relazione

alla evoluzione delle conoscenze nel settore»). Di diverso avviso sembra invece la Corte costituzionale, se

condo la quale «il precetto penale potrebbe in ipotesi sussistere autonomamente anche senza la integrazione del decreto mini

steriale».

Assumendo come fondata l'opinione della corte, spetta al giu

dice, nei casi di dichiarata illegittimità del d.m. n. 186, determi nare la «dose media giornaliera» di cui al citato art. 75, al fine

di stabilire se la quantità del caso di specie ne superi la soglia e costituisca quindi illecito penale.

Senonché il tribunale non ha argomenti per contrastare moti

vatamente le autorevoli opinioni sopra riportate che negano la

possibilità di fondare su base scientifica o statistica la determi

nazione della «dose media giornaliera» delle sostanze stupe facenti.

Neppure risultano disponibili quelle «campionature statisti

che» che, secondo il citato passo della sentenza della corte, po trebbero fornire «un panorama di dati individuali da utilizzare

per quantificare la misura media», sulla base delle metodiche

di cui alla lett. a) e b) dell'art. 78. Infatti, come si è visto, l'autorità amministrativa ha provveduto, negli art. 1 e 2 d.m. n. 186, alla specificazione verbale delle predette metodiche, ma

non risulta che abbia provveduto alla raccolta o all'esame dei

dati di cui parla la corte. Non esiste pertanto alcun «panora ma» se non quello puramente verbale delle norme legislative e regolamentari sopra citate.

Per la risoluzione del caso di specie non resta, dunque, che

l'assunzione di un parere tecnico al fine di stabilire quale sia

la «dose media giornaliera» della sostanza stupefacente detenu

ta dall'imputato. Va pertanto disposta perizia che, implicando valutazioni che richiedono distinte conoscenze in differenti di

scipline (tossicologia, farmacologia, medicina legale, chimica), deve essere affidata a più persone.

In proposito, ai fini di una corretta impostazione dell'atto

istruttorio, appare opportuno precisare: a) come risulta dai la

vori preparatori della 1. 162/90, e come ribadito dalla più volte

citata sentenza della Corte cost. n. 333, la nozione di «dose

media giornaliera» di cui all'art. 75 t.u. 309/90 non ha caratte

re soggettivo, inerente cioè alla persona del singolo assuntore, bensì oggettivo; b) la oggettiva «dose media giornaliera» di cui

al citato art. 75, va determinata sulla base dei criteri stabiliti

nel successivo art. 78, lett. à), b) e c), siccome specificati, per le lettere a) e b), negli art. 1 e 2 d.m. 186/90, prescindendosi

invece, per la lett. c), dalle tabelle previste dall'art. 3 del predet to d.m., dichiarato illegittimo con la presente ordinanza.

I periti, pertanto, dovranno attenersi, per rispondere al quesi to proposto, a tale impostazione. Ovviamente, in base all'insu

perabile principio ad impossibilia nemo tenetur, saranno gli stessi

periti a dire se la determinazione della «dose media giornaliera» di cui all'art. 75 t.u. 309/90 sia impossibile sulla base dei pre detti criteri, prospettando, se del caso, metodiche alternative.

I

TRIBUNALE DI VERCELLI; TRIBUNALE DI VERCELLI; ordinanza 14 marzo 1991; Pres.

Dedonato, Rei. Vignerà; imp. Ciuccio.

Misure cautelari personali — Atti preliminari al dibattimento

di primo grado — Revoca — Limiti (Cod. proc. pen., art.

273, 291, 292, 429, 431, 432; norme att., coord, e trans, cod.

proc. pen., art. 91). Misure cautelari personali — Atti preliminari al dibattimento

di primo grado — Richiesta di revoca — Atti utilizzabili per la decisione (Cod. proc. pen., art. 292, 299, 429, 431, 432, 433; norme att., coord, e trans, cod. proc. pen., art. 91).

La misura cautelare personale disposta nel corso delle indagini

preliminari non può essere revocata nella fase degli atti preli

minari al dibattimento sulla base di una semplice rivalutazio ne dell'efficienza probatoria degli indizi di colpevolezza emersi

Il Foro Italiano — 1992.

dalle predette indagini, dato che, durante tale fase, la caduca

zione della condizione di applicabilità ex art. 273, 1 ° comma, c.p.p. è configuratile solo in presenza di sopravvenute circo

stanze infirmanti gli elementi accusatori desumibili dalla let

tura degli atti indicati dagli art. 431-432 c.p.p. (e, in partico lare, del decreto che dispone il giudizio e/o dell'ordinanza

applicativa della misura). (1) Al fine di provvedere sull'istanza di revoca di una misura caute

lare disposta nel corso delle indagini preliminari, il giudice della fase predibattimentale di primo grado deve utilizzare fon damentalmente gli atti indicati dagli art. 431-432 c.p.p., ed

eventualmente quelli allegati dalle parti nelle rispettive ri chieste. (2)

II

TRIBUNALE DI VERCELLI; ordinanza 16 maggio 1990; Pres. Zeoli, Rei. Vignerà; imp. Bertinotti ed altro.

Misure cautelari personali — Esigenze probatorie — Rinnova

zione — Previa audizione del difensore — Necessità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. pen., art. 178, 301, 305).

Qualora il pubblico ministero formuli una richiesta finalizzata ad ottenere dal giudice la rinnovazione di una misura cautela

re disposta per esigenze probatorie, deve ritenersi, pur nel

silenzio dell'art. 301 c.p.p. — alla stregua di una interpreta zione conforme agli art. 3 e 24 Cost, e in applicazione analo

gica dell'art. 305 c.p.p. — che debba essere sentito il difenso re a pena di nullità del provvedimento. (3)

I

Premesso: che «gli indizi gravi di colpevolezza per l'instaura

zione ed il mantenimento delle misure cautelari coercitive han

no... valore probatorio inferiore anche agli indizi sufficienti di

colpevolezza occorrenti per il rinvio a giudizio «dell'indagato

(cosi Cass. 6 luglio 1990, Di Palma; analogamente Cass. 9 apri le 1990, Stolder);

— che pertanto sarebbe contraddittorio ed irragionevole ne

gare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273

c.p.p. in presenza del decreto che dispone il giudizio dell'im

putato; — che esigenze di coordinamento logico-sistematico impon

gono conseguentemente di affermare che la misura cautelare per sonale disposta durante le indagini preliminari, non può essere

revocata nella fase predibattimentale di primo grado (scilicet:

per mancanza della condizione generale di applicabilità ex art.

273, 1° comma, c.p.p.) sulla base di una semplice rivalutazione

dell'efficienza probatoria degli indizi di colpevolezza emersi dalle

predette indagini; — che codesta conclusione è sul piano normativo confermata

dal fatto che nel corso degli atti preliminari al dibattimento di

primo grado il giudice non ha il potere di acquisire gli elementi d'indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero ex art.

433 c.p.p., mentre è del tutto eventuale la circostanza che le

parti alleghino tali elementi alle proprie richieste ex art. 299, 3° e 4° comma bis, c.p.p.;

— che perciò, disposta durante le indagini preliminari una

misura cautelare personale, la sua successiva revoca nella fase

predibattimentale di primo grado per insussistenza dei gravi in

dizi di colpevolezza può essere disposta dal giudice ex art. 91

disp. att. solo alla stregua di specifiche circostanze sopravvenu te alla chiusura delle indagini suddette (che le parti hanno l'o

nere, rispettivamente, di provare e di «neutralizzare» mediante

elementi da allegare alle proprie richieste), inequivocabilmente idonee ad infirmare i dati probatori desumibili dalla lettura de

(1-2) Non risultano precedenti specifici. In generale, nel senso che, una volta verificata la legittimità del provvedimento impositivo di una misura cautelare, non è proponibile, nell'immutazione del quadro pro batorio indiziario, un nuovo esame dello stesso oggetto, v. Cass. 21

novembre 1991, Combeniati, Arch, nuova proc. pen., 1992, 451.

(3) Analogamente, in dottrina, v. Nappi, in Giur. it., 1990, II, 271, in base alla considerazione che l'art. 301, 2° comma, c.p.p. configura una proroga dei termini di durata della misura disposta per esigenze cautelari (in tal senso Cordero, Codice di procedura penale commenta

to, Torino, 1990, 341).

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