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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || ordinanza 3 marzo 1980; Giud. Risicato; imp. Marchese

Date post: 29-Jan-2017
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ordinanza 3 marzo 1980; Giud. Risicato; imp. Marchese Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp. 347/348-349/350 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171591 . Accessed: 28/06/2014 10:35 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.103 on Sat, 28 Jun 2014 10:35:11 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || ordinanza 3 marzo 1980; Giud. Risicato; imp. Marchese

ordinanza 3 marzo 1980; Giud. Risicato; imp. MarcheseSource: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp.347/348-349/350Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171591 .

Accessed: 28/06/2014 10:35

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

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PARTE SECONDA

dell'esistenza di una situazione normativa, che (come insegna l'unanime giurisprudenza e dottrina penalistica) si risolve in er

rore sui limiti di applicazione della legge penale e, quindi, in

errore sulla stessa legge penale, che non può — ex art. 5 cod.

pen. — essere invocato a scusa.

Pare, dunque, dimostrata la colpevolezza degli imputati — esclu

so il Bassi — per il reato di cui al primo capo della rubrica.

Visti gli art. 132 e 133 cod. pen. ritiene il pretore, considerati

i criteri indicati in quest'ultima norma — e, più specificamente, i particolari motivi a delinquere, la mancanza di precedenti pe nali e giudiziari in genere, le peculiari condizioni di vita indivi

duale e sociale degli imputati — di dover senz'altro applicare la pena nella misura minima.

Si rende perfettamente conto il giudicante che i quattro par roci in questione ritengono di aver adempiuto, nella fattispecie, un loro preciso dovere morale e religioso, derivante dalla loro

qualità di sacerdoti, senza neppure porsi il problema della loro

soggezione anche alle leggi dello Stato italiano. Queste conside

razioni, se non possono impedire la dichiarazione di responsa bilità, permettono, però, di conceder loro l'attenuante prevista dall'art. 62 bis cod. pen. (le c. d. attenuanti generiche o, più pro

priamente, l'attenuante delle circostanze generiche). Ritiene, poi, il giudicante che nella fattispecie possa trovare applicazione l'art.

62, n. 1, 1* parte, cod. pen. (l'avere agito per motivi di partico lare valore morale e sociale).

È noto che due elementi caratterizzano questa attenuante, uno

soggettivo e l'altro oggettivo. Si richiede, in primo luogo, che l'azione criminosa debba essere, nell'intenzione dell'agente, volta ad eliminare una particolare situazione di fatto, ritenuta immo rale. Non v'è dubbio che i parroci intendessero, col loro compor tamento, contribuire ad abrogare una legge che ritenevano con traria alla loro morale. La Suprema corte, però, ha più volte ri badito (tanto che trattasi ormai di giurisprudenza pacifica e co

stante) che la convinzione dell'agente deve altresì essere oggetti vamente conforme alla morale ed ai costumi del popolo, da de terminare con riferimento al tempo ed al luogo del commesso reato. Questa oggettiva conformità della morale dei parroci a

quella della collettività non può dirsi sussistente, poiché la prova contraria è stata addirittura fornita dall'esito del referendum sul divorzio. Ritiene, però, questo giudice di poter affrontare il pro blema meno formalisticamente. Più che far riferimento a dati numerici occorre, a nostro parere, che le idee dell'agente risultino

approvate — come nel caso in esame — dalla coscienza etica di una larga parte della popolazione e, soprattutto, da gran parte della collettività con la quale gli imputati erano in diretto con tatto (per l'espresso riferimento, fatto anche dalla Suprema cor

te, al locus commissi delicti).

Tutto ciò premesso, ritiene altresì questo pretore di dover ope rare le diminuzioni derivanti dall'applicazione delle concesse at tenuanti nella misura massima (salvo, per motivi puramente con

tabili, un arrotondamento della multa da lire 1334 a lire 1350), si da rendere il più possibile esigua la pena che dovranno scon tare gli imputati, i quali verranno dunque condannati a mesi due e giorni venti di reclusione e lire 1350 di multa (pena-base mesi sei e lire 3000, che si riduce prima a mesi quattro e lire 2000 ed infine a mesi due e giorni venti e lire 1350, per le accennate di

minuzioni). Il pagamento delle spese processuali segue automaticamente

per legge. Visto l'art. 113 d. pres. 30 marzo 1957 n. 361 dovrà altresì

disporsi, nei confronti degli imputati, la sospensione dal diritto elettorale e l'interdizione dai pubblici uffici, che per il combinato

disposto degli art. 37 e 28 cod. pen. non può essere inferiore ad un anno.

L'ultimo comma del citato art. 113 inibisce infine esplicitamen te la possibilità di concedere sia la sospensione condizionale del la pena, che la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

Questo pretore ritiene invece non provata, in linea di fatto, la responsabilità dei prevenuti in ordine alle imputazioni loro addebitate al secondo capo della rubrica.

E valga il vero.

Guastavino Alessandro ha asserito di non aver mai visto il volantino rinvenuto nella chiesa a lui affidata (dal titolo « le mamme ed il divorzio » e contenente una palese pubblicità elet

torale, comprensiva di fac-simile di scheda con segno di croce sul « si' ») e di aver sempre delegato ad altri la vendita di « Fa

miglia cristiana », periodico all'interno del quale detto volantino si trovava inserito. Il denunziante Jaccarino riferi, in realtà, di aver visto periodico e volantino nella « bacheca » (che, stando

al vocabolario, è una cassetta con coperchio di vetro, spesso in

clinato, nella quale si espongono cose preziose, libri rari e simili)

parrocchiale. In tal caso si dovrebbe ritenere che l'esporre volan tini in siffatta sede, non certo a disposizione di chicchessia, fosse atto che necessitava imprescindibilmente del consenso del parro co. 'L'esponente radicale ha, invece, precisato testualmente in di

battimento: « per bacheca intendo qualsiasi posto ove sia possi bile acquistare giornali e prendere volantini ». Stando cosi le cose

non v'è prova che l'imputato abbia direttamente provveduto alla distribuzione del volantino de quo, né che di ciò abbia espressa mente incaricato altre persone, né che abbia in altro modo con corso alla realizzazione del fatto addebitatogli, posto che è pos sibile che non sia stato neppure interpellato in merito.

Anche Olivieri Giovanni ha negato ogni responsabilità. Il vo lantino che lo riguarda («Papa Giovanni la pensava cosi», con le parole dello scomparso pontefice indissolubilmente unite ad un fac-simile di scheda elettorale, recante il segno di croce sul « si ») sarebbe stato rinvenuto esposto, in base alla denunzia, nelle ba cheche poste nel luogo di culto (e cioè la chiesa di S. Pietro), vicino agli ingressi. Tenuto, però, conto della nozione di bacheca fornita dal denunziante, non si è in grado di stabilire se, effetti

vamente, tale affissione sia avvenuta per ordine o perlomeno col consenso del parroco, sicché viene meno quella rigorosa prova dei fatti che giustamente deve sussistere per pronunziare una sentenza di condanna.

Analoga, infine, la posizione del Giusti, il quale ha negato di aver messo o di aver fatto mettere nella chiesa a lui affidata ben sette volantini. Il primo di essi (con la chiara e grande scritta « si al referendum ») era stato rinvenuto nella bussola di ingresso della chiesa di Cristo Re; gli altri sei (« lettera ad un grande quo tidiano del Nord»; «licenziamento senza giusta causa»; «lavo ratori! vota si»; grande fac-simile di scheda elettorale, col se

gno di croce sul « si »; presentazione di conferenza di Gabrio

Lombardi, con grosso «sì»; il già noto «Le mamme ed il di vorzio ») inseriti nelle copie di « Famiglia cristiana », nella « ba checa per la esposizione e la vendita dei periodici cattolici ». Pe

raltro, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, il teste Jaccarino ha addirittura precisato che « al Cristo Re vi era uno scaffale con annesso tavolino », due oggetti che, evidentemente, il denunziante ritiene possano anche qualificarsi bacheca. Stando cosi le cose non rimane che prender atto della mancanza di convincente e

sicura prova del materiale concorso del prevenuto nella commis sione dei fatti addebitatigli.

Da ultimo dovrà mandarsi assolto da ogni addebito il Bassi,

poiché, contrariamente al rapporto in atti — rivelatosi inesatto, come già detto, anche in altro punto — non è il parroco della chiesa di Nostra Signora della Scorza, ma della chiesa della Sa

cra Famiglia. Dovrà, di conseguenza, disporsi la trasmissione de

gli atti a questo stesso Pretore di La Spezia, quale giudice com

petente, per lo svolgimento della necessaria, ulteriore attività istruttoria.

Per questi motivi, ecc.

PRETURA DI MESSINA; ordinanza 3 marzo 1980; Giud. Ri

sicato; imp. Marchese.

PRETURA DI MESSINA;

sequestro per il procedimento penale — sequestro di costruzione abusiva operato dal pretore ex art. 219 cod. proc. pen. —

Legittimità — Poteri della pubblica amministrazione — Compa tibilità — Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 219).

Rientra nei poteri del pretore il sequestro, disposto al fine di

impedire che il reato venga portato ad ulteriori conseguenze, di un immobile ritenuto abusivo perché in contrasto con le norme urbanistiche, antisismiche e sanitarie, ciò non essendo

precluso dalla sussistenza di poteri di coercizione reale di spet tanza dell'autorità amministrativa (nella specie, era stato pro posto incidente di esecuzione al fine di ottenere la revoca del

provvedimento di sequestro ex art. 219 cod. proc. pen. di un

immobile edificato in contrasto con le norme sull'edilizia anti

sismica, urbanistica e sanitaria nonché occupante parte del suolo demaniale). (1)

(1) Per la ammissibilità del provvedimento di sequestro di immo bili abusivi disposto al fine di far cessare la conseguente situazione di antigiuridicità v. Pret. Melito Porto Salvo 12 marzo 1976, Foro it., Rep. 1977, voce Sequestro per il procedimento penale, n. 9; Pret. Domodossola 20 gennaio 1977, ibid., n. 10; Pret. Ottaviano 29 ot tobre 1975, id., Rep. 1976, voce cit., n. 14; Cass. 28 aprile 1975,

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GIURISPRUDENZA PENALE

Il Pretore, ecc. — Il procedimento a carico della Marchese

(n. 5004/75, sub 31) è nato da una indagine più generale diretta, fra l'altro, ad individuare le costruzioni abusivamente insistenti

su terreno del demanio marittimo nel vasto tratto compreso fra

Mortelle e Ponte Gallo. In tale contesto, è stato disposto il se

questro di circa cinquanta costruzioni del genere — per lo più destinate alla villeggiatura estiva — per le quali si è proceduto

poi a perizia tecnica al fine di accertarne la conformità alle pre scrizioni di legge (sotto i profili sanitario, urbanistico, antisismi

co) e di verificare in particolare l'occupazione, totale o parziale, di arenile demaniale.

La relazione di perizia concernente il manufatto sequestrato nei confronti della Marchese è stata depositata il 19 maggio 1979, ed ha concluso affermando il carattere abusivo della costruzione

(con particolare riferimento alle leggi sanitarie e a quelle per l'edilizia in zone sismiche) nonché l'abusiva occupazione di are

nile demaniale, accompagnata da innovazioni non autorizzate:

sotto quest'ultimo aspetto, infatti, esisteva una iniziale (e più

limitata) concessione relativa ad un ricovero barche ed attrezzi

da pesca, che l'interessata aveva invece ampliato, realizzando an

che una abitazione estiva.

I fatti accertati in sede peritale hanno determinato l'adozione

del provvedimento del 2 novembre 1979, ispirato dall'intento di

far cessare — ai sensi dell'art. 219 cod. proc. pen. — i reati a ca

rattere permanente, ovvero con effetti permanenti.

Di tale provvedimento la Marchese chiede ora la revoca sulla

base delle seguenti argomentazioni: a) il procedimento si trova

in una fase processuale che non avrebbe consentito l'adozione di

atti di polizia giudiziaria (ex art. 219 cod. proc. pen.); b) gli illeciti accertati in sede peritale sarebbero tutti estinti per pre scrizione o per amnistia; c) il provvedimento adottato sarebbe

di competenza dell'autorità amministrativa e, come tale, sarebbe

Villani, ibid., n. 13, che esplicitamente ha ammesso la possibilità del sequestro ex art. 219 cod. proc. pen., specificando la necessità che il giudice, investito dell'istanza di revoca del provvedimento, in

dichi, in caso di mantenimento, le ragioni di ordine processuale che 10 giustificano (se di natura istruttoria o se finalizzato ad impedire la prosecuzione del comportamento antigiuridico).

Contra, Cass. 4 luglio 1975, Borriello, id., Rep. 1977, voce cit., n. 7, che ha testualmente ritenuto, vigendo la legge urbanistica del

1942, che « la legislazione in vigore devolve esclusivamente all'au

torità amministrativa i compiti di tutela dell'assetto urbanistico; è

di conseguenza illegittimo il sequestro di un quartiere ove sono in esecuzione opere edilizie abusive disposto dal pretore non sulla base di esigenze istruttorie, bensì in forza dell'art. 219 cod. proc. pen. e dell'obbligo ivi stabilito per la polizia giudiziaria di impedire che 11 reato sia portato ad ulteriori conseguenze »; egualmente, nella

sostanza, Pret. Boiano 1° febbraio 1975, id., Rep. 1976, voce Edili zia e urbanistica, n. 1420, in una fattispecie relativa alla disposta

sospensione di lavori edilizi abusivi ex art. 219 cod. proc. pen., ha

negato tale possibilità in virtù del rilievo che al giudice penale com

peterebbe la sola cognizione del reato e le sue immediate conse

guenze, essendogli, invece, interdetta l'adozione di provvedimenti che verrebbero ad incidere in sfere di competenza riservate all'am ministrazione attiva; lo stesso principio può ritenersi affermato da 2 ottobre 1975, Tibaldi, id., 1976, II, 349, con nota di M. Boschi, che ha sostenuto, in tema di confisca di immobili abusivi, la spe

cialità delle norme amministrative in materia urbanistica che con feriscono poteri di coercizione reale alla pubblica amministrazio

ne, rispetto alle norme dettanti i principi generali in materia di

confisca penale, e di conseguenza l'illegittimità del sequestro fina

lizzato all'adozione della misura di sicurezza in questione (in argo mento cfr. la nota di richiami a Pret. Messina 6 dicembre 1978, id., 1980, II, 130).

In sostanza la tesi dell'illegittimità del sequestro di immobili abu sivi ex art. 219 cod. proc. pen. è sostenuta sulla base della,esclu siva o preminente tutela amministrativa dell'assetto territoriale ed urbanistico: da tale indirizzo si è, tuttavia, esplicitamente discosta ta Cass. 24 giugno 1971, De Paolis, id., Rep. 1972, voce cit., n. 683, sulla quale cfr. la nota di richiami di M. Boschi, cit.

Per riferimenti, circa il potere di sequestro al fine d'evitare ulte

riori conseguenze di reati, v. Cass. 9 ottobre 1979, Pezzetti, in que sto fascicolo, II, 293, con nota di richiami.

In dottrina, M. Annunziata, Sequestro penale e confisca (penale ed amministrativa) di opere abusive nella legge 28 gennaio 1977 n. 10 sui suoli, in Foro amm., 1978, I, 370; Chiavario, Tutela del ter ritorio e poteri del giudice penale: dati giurisprudenziali per una

discussione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, 406; P. Bonaccorsi, I

poteri del pretore in materia di abusi edilizi, in Giur. agr. it., 1976,

673; F. Roselli, Le questioni della sequestrabilità e confìscabilità di

edifici abusivi considerate anche con riferimento alla nuova legge urbanistica, in Mass. pen., 1976, 1345.

sottratto alle attribuzioni del giudice penale; d) nel merito, il

manufatto non avrebbe occupato un centimetro in più di quanto concesso, né sarebbe stato innovato il suo uso.

Tali rilievi sono privi di fondamento:

a) Va infatti osservato, per quanto riguarda in particolare il

primo, che nel procedimento pretorile non esiste alcuna distin

zione fra la fase degli atti di polizia giudiziaria e quella del

l'istruzione sommaria, dal momento che il pretore può procedere indifferentemente (e contemporaneamente) ad attività dell'uno e

dell'altro tipo, come chiaramente risulta dal testo del primo com

ma dell'art. 231 cod. proc. pen., a mente del quale « il pretore ...

ordina o compie gli atti di polizia giudiziaria e di istruzione som

maria che reputa necessari ».

Che tale sia il senso del disposto legislativo lo conferma il te

sto dell'articolo immediatamente successivo che, riferendosi al

l'attività del procuratore della Repubblica, stabilisce invece che

questi « prima di richiedere l'istruzione formale o di iniziare l'i

struzione sommaria può procedere ad atti di polizia giudiziaria »

(art. 232 cod. proc. penale).

b) L'analisi dei rilievi formulati in relazione al secondo punto

comporta valutazioni di merito che appaiono precluse in questa sede. Va osservato soltanto che — secondo la stessa tesi difen

siva — possono anche contestarsi, se non veri e propri reati per manenti, quanto meno « reati istantanei con effetti permanenti », e questi ultimi giustificano sicuramente l'applicazione dell'art.

219 cod. proc. pen., secondo il quale occorre « impedire che

(i reati) vengano portati a conseguenze ulteriori ».

c) Non sussiste l'asserito « straripamento di potere ». Un vi

zio del genere presuppone infatti che la legge attribuisca poteri esclusivi all'autorità amministrativa, e non può dunque essere

configurato quando — come nel caso in esame — vengono eser

citati poteri espressamente ed autonomamente conferiti dalla

legge al giudice penale, al fine di impedire che dei reati vengano portati a conseguenze ulteriori.

Va osservato, d'altro lato, che l'attribuzione di poteri all'au

torità amministrativa non preclude quella di analoghi poteri al

giudice ordinario, quando assumono rilevanza situazioni ed inte ressi che lo stesso legislatore non ritiene sufficientemente tutelati

in sede amministrativa: si pensi, ad esempio, alle sospensive di

sposte dal giudice civile in tema di denuncia di nuova opera o

di danno temuto (che ben possono essere fondate sul carattere

abusivo o irregolare delle opere intraprese), senza che ciò abbia mai portato a configurare « straripamenti di potere » nei riguardi del sindaco o dell'ingegnere capo del genio civile. Si pensi anche, sotto altro aspetto, ai comportamenti tenuti dalla stessa ammi nistrazione della marina mercantile, che in casi analoghi non

solo non ha sollevato alcun conflitto di attribuzione, ma spesso ha preferito chiedere che gli ordini di riduzione in pristino dello stato dei luoghi — che avrebbe potuto autonomamente emettere —

venissero pronunciati dal giudice penale. Deve pertanto ritenersi che la necessità di ricorrere alla norma

che si preoccupa di impedire che i reati « vengano portati a

conseguenze ulteriori » non soltanto non viene meno, ma risulta semmai rafforzata quando i riflessi di comportamenti penalmente sanzionati si proiettano in modo costante sull'intera collettività.

Sotto tale aspetto, non può essere trascurato il fatto che — lun

go l'intera fascia costiera che va da Mortelle a Ponte Gallo —

l'arenile demaniale è stato occupato e sottratto all'uso pubblico in modo indiscriminato da persone prive di scrupoli, che non esi tano poi ad invocare la pili rigorosa applicazione delle garanzie processuali (cui certamente hanno diritto) al solo fine di difendere il frutto delle violazioni di legge poste in essere, e di perpetuare cosi il godimento esclusivo di beni appartenenti alla collettività, che non riesce ad accedervi.

d) Per quanto infine concerne i rilievi attinenti al merito, essi risultano contraddetti dalla relazione peritale.

Per questi motivi, ecc.

PRETURA DI MILANO; sentenza 11 gennaio 1980; Giud. At

tanasio; imp. Bellamalina.

PRETURA DI MILANO;

Cause di non punibilità — Aborto — Modalità — Inosservanza — Stato di necessità — Sussistenza — Fattispecie (Cost., art. 3; cod. pen., art. 54; legge 22 maggio 1978 n. 194, norme per la

tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della

gravidanza, art. 4, 5, 8, 19).

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