ordinanza 3 marzo 1980; Giud. Risicato; imp. MarcheseSource: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp.347/348-349/350Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171591 .
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PARTE SECONDA
dell'esistenza di una situazione normativa, che (come insegna l'unanime giurisprudenza e dottrina penalistica) si risolve in er
rore sui limiti di applicazione della legge penale e, quindi, in
errore sulla stessa legge penale, che non può — ex art. 5 cod.
pen. — essere invocato a scusa.
Pare, dunque, dimostrata la colpevolezza degli imputati — esclu
so il Bassi — per il reato di cui al primo capo della rubrica.
Visti gli art. 132 e 133 cod. pen. ritiene il pretore, considerati
i criteri indicati in quest'ultima norma — e, più specificamente, i particolari motivi a delinquere, la mancanza di precedenti pe nali e giudiziari in genere, le peculiari condizioni di vita indivi
duale e sociale degli imputati — di dover senz'altro applicare la pena nella misura minima.
Si rende perfettamente conto il giudicante che i quattro par roci in questione ritengono di aver adempiuto, nella fattispecie, un loro preciso dovere morale e religioso, derivante dalla loro
qualità di sacerdoti, senza neppure porsi il problema della loro
soggezione anche alle leggi dello Stato italiano. Queste conside
razioni, se non possono impedire la dichiarazione di responsa bilità, permettono, però, di conceder loro l'attenuante prevista dall'art. 62 bis cod. pen. (le c. d. attenuanti generiche o, più pro
priamente, l'attenuante delle circostanze generiche). Ritiene, poi, il giudicante che nella fattispecie possa trovare applicazione l'art.
62, n. 1, 1* parte, cod. pen. (l'avere agito per motivi di partico lare valore morale e sociale).
È noto che due elementi caratterizzano questa attenuante, uno
soggettivo e l'altro oggettivo. Si richiede, in primo luogo, che l'azione criminosa debba essere, nell'intenzione dell'agente, volta ad eliminare una particolare situazione di fatto, ritenuta immo rale. Non v'è dubbio che i parroci intendessero, col loro compor tamento, contribuire ad abrogare una legge che ritenevano con traria alla loro morale. La Suprema corte, però, ha più volte ri badito (tanto che trattasi ormai di giurisprudenza pacifica e co
stante) che la convinzione dell'agente deve altresì essere oggetti vamente conforme alla morale ed ai costumi del popolo, da de terminare con riferimento al tempo ed al luogo del commesso reato. Questa oggettiva conformità della morale dei parroci a
quella della collettività non può dirsi sussistente, poiché la prova contraria è stata addirittura fornita dall'esito del referendum sul divorzio. Ritiene, però, questo giudice di poter affrontare il pro blema meno formalisticamente. Più che far riferimento a dati numerici occorre, a nostro parere, che le idee dell'agente risultino
approvate — come nel caso in esame — dalla coscienza etica di una larga parte della popolazione e, soprattutto, da gran parte della collettività con la quale gli imputati erano in diretto con tatto (per l'espresso riferimento, fatto anche dalla Suprema cor
te, al locus commissi delicti).
Tutto ciò premesso, ritiene altresì questo pretore di dover ope rare le diminuzioni derivanti dall'applicazione delle concesse at tenuanti nella misura massima (salvo, per motivi puramente con
tabili, un arrotondamento della multa da lire 1334 a lire 1350), si da rendere il più possibile esigua la pena che dovranno scon tare gli imputati, i quali verranno dunque condannati a mesi due e giorni venti di reclusione e lire 1350 di multa (pena-base mesi sei e lire 3000, che si riduce prima a mesi quattro e lire 2000 ed infine a mesi due e giorni venti e lire 1350, per le accennate di
minuzioni). Il pagamento delle spese processuali segue automaticamente
per legge. Visto l'art. 113 d. pres. 30 marzo 1957 n. 361 dovrà altresì
disporsi, nei confronti degli imputati, la sospensione dal diritto elettorale e l'interdizione dai pubblici uffici, che per il combinato
disposto degli art. 37 e 28 cod. pen. non può essere inferiore ad un anno.
L'ultimo comma del citato art. 113 inibisce infine esplicitamen te la possibilità di concedere sia la sospensione condizionale del la pena, che la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Questo pretore ritiene invece non provata, in linea di fatto, la responsabilità dei prevenuti in ordine alle imputazioni loro addebitate al secondo capo della rubrica.
E valga il vero.
Guastavino Alessandro ha asserito di non aver mai visto il volantino rinvenuto nella chiesa a lui affidata (dal titolo « le mamme ed il divorzio » e contenente una palese pubblicità elet
torale, comprensiva di fac-simile di scheda con segno di croce sul « si' ») e di aver sempre delegato ad altri la vendita di « Fa
miglia cristiana », periodico all'interno del quale detto volantino si trovava inserito. Il denunziante Jaccarino riferi, in realtà, di aver visto periodico e volantino nella « bacheca » (che, stando
al vocabolario, è una cassetta con coperchio di vetro, spesso in
clinato, nella quale si espongono cose preziose, libri rari e simili)
parrocchiale. In tal caso si dovrebbe ritenere che l'esporre volan tini in siffatta sede, non certo a disposizione di chicchessia, fosse atto che necessitava imprescindibilmente del consenso del parro co. 'L'esponente radicale ha, invece, precisato testualmente in di
battimento: « per bacheca intendo qualsiasi posto ove sia possi bile acquistare giornali e prendere volantini ». Stando cosi le cose
non v'è prova che l'imputato abbia direttamente provveduto alla distribuzione del volantino de quo, né che di ciò abbia espressa mente incaricato altre persone, né che abbia in altro modo con corso alla realizzazione del fatto addebitatogli, posto che è pos sibile che non sia stato neppure interpellato in merito.
Anche Olivieri Giovanni ha negato ogni responsabilità. Il vo lantino che lo riguarda («Papa Giovanni la pensava cosi», con le parole dello scomparso pontefice indissolubilmente unite ad un fac-simile di scheda elettorale, recante il segno di croce sul « si ») sarebbe stato rinvenuto esposto, in base alla denunzia, nelle ba cheche poste nel luogo di culto (e cioè la chiesa di S. Pietro), vicino agli ingressi. Tenuto, però, conto della nozione di bacheca fornita dal denunziante, non si è in grado di stabilire se, effetti
vamente, tale affissione sia avvenuta per ordine o perlomeno col consenso del parroco, sicché viene meno quella rigorosa prova dei fatti che giustamente deve sussistere per pronunziare una sentenza di condanna.
Analoga, infine, la posizione del Giusti, il quale ha negato di aver messo o di aver fatto mettere nella chiesa a lui affidata ben sette volantini. Il primo di essi (con la chiara e grande scritta « si al referendum ») era stato rinvenuto nella bussola di ingresso della chiesa di Cristo Re; gli altri sei (« lettera ad un grande quo tidiano del Nord»; «licenziamento senza giusta causa»; «lavo ratori! vota si»; grande fac-simile di scheda elettorale, col se
gno di croce sul « si »; presentazione di conferenza di Gabrio
Lombardi, con grosso «sì»; il già noto «Le mamme ed il di vorzio ») inseriti nelle copie di « Famiglia cristiana », nella « ba checa per la esposizione e la vendita dei periodici cattolici ». Pe
raltro, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, il teste Jaccarino ha addirittura precisato che « al Cristo Re vi era uno scaffale con annesso tavolino », due oggetti che, evidentemente, il denunziante ritiene possano anche qualificarsi bacheca. Stando cosi le cose non rimane che prender atto della mancanza di convincente e
sicura prova del materiale concorso del prevenuto nella commis sione dei fatti addebitatigli.
Da ultimo dovrà mandarsi assolto da ogni addebito il Bassi,
poiché, contrariamente al rapporto in atti — rivelatosi inesatto, come già detto, anche in altro punto — non è il parroco della chiesa di Nostra Signora della Scorza, ma della chiesa della Sa
cra Famiglia. Dovrà, di conseguenza, disporsi la trasmissione de
gli atti a questo stesso Pretore di La Spezia, quale giudice com
petente, per lo svolgimento della necessaria, ulteriore attività istruttoria.
Per questi motivi, ecc.
PRETURA DI MESSINA; ordinanza 3 marzo 1980; Giud. Ri
sicato; imp. Marchese.
PRETURA DI MESSINA;
sequestro per il procedimento penale — sequestro di costruzione abusiva operato dal pretore ex art. 219 cod. proc. pen. —
Legittimità — Poteri della pubblica amministrazione — Compa tibilità — Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 219).
Rientra nei poteri del pretore il sequestro, disposto al fine di
impedire che il reato venga portato ad ulteriori conseguenze, di un immobile ritenuto abusivo perché in contrasto con le norme urbanistiche, antisismiche e sanitarie, ciò non essendo
precluso dalla sussistenza di poteri di coercizione reale di spet tanza dell'autorità amministrativa (nella specie, era stato pro posto incidente di esecuzione al fine di ottenere la revoca del
provvedimento di sequestro ex art. 219 cod. proc. pen. di un
immobile edificato in contrasto con le norme sull'edilizia anti
sismica, urbanistica e sanitaria nonché occupante parte del suolo demaniale). (1)
(1) Per la ammissibilità del provvedimento di sequestro di immo bili abusivi disposto al fine di far cessare la conseguente situazione di antigiuridicità v. Pret. Melito Porto Salvo 12 marzo 1976, Foro it., Rep. 1977, voce Sequestro per il procedimento penale, n. 9; Pret. Domodossola 20 gennaio 1977, ibid., n. 10; Pret. Ottaviano 29 ot tobre 1975, id., Rep. 1976, voce cit., n. 14; Cass. 28 aprile 1975,
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GIURISPRUDENZA PENALE
Il Pretore, ecc. — Il procedimento a carico della Marchese
(n. 5004/75, sub 31) è nato da una indagine più generale diretta, fra l'altro, ad individuare le costruzioni abusivamente insistenti
su terreno del demanio marittimo nel vasto tratto compreso fra
Mortelle e Ponte Gallo. In tale contesto, è stato disposto il se
questro di circa cinquanta costruzioni del genere — per lo più destinate alla villeggiatura estiva — per le quali si è proceduto
poi a perizia tecnica al fine di accertarne la conformità alle pre scrizioni di legge (sotto i profili sanitario, urbanistico, antisismi
co) e di verificare in particolare l'occupazione, totale o parziale, di arenile demaniale.
La relazione di perizia concernente il manufatto sequestrato nei confronti della Marchese è stata depositata il 19 maggio 1979, ed ha concluso affermando il carattere abusivo della costruzione
(con particolare riferimento alle leggi sanitarie e a quelle per l'edilizia in zone sismiche) nonché l'abusiva occupazione di are
nile demaniale, accompagnata da innovazioni non autorizzate:
sotto quest'ultimo aspetto, infatti, esisteva una iniziale (e più
limitata) concessione relativa ad un ricovero barche ed attrezzi
da pesca, che l'interessata aveva invece ampliato, realizzando an
che una abitazione estiva.
I fatti accertati in sede peritale hanno determinato l'adozione
del provvedimento del 2 novembre 1979, ispirato dall'intento di
far cessare — ai sensi dell'art. 219 cod. proc. pen. — i reati a ca
rattere permanente, ovvero con effetti permanenti.
Di tale provvedimento la Marchese chiede ora la revoca sulla
base delle seguenti argomentazioni: a) il procedimento si trova
in una fase processuale che non avrebbe consentito l'adozione di
atti di polizia giudiziaria (ex art. 219 cod. proc. pen.); b) gli illeciti accertati in sede peritale sarebbero tutti estinti per pre scrizione o per amnistia; c) il provvedimento adottato sarebbe
di competenza dell'autorità amministrativa e, come tale, sarebbe
Villani, ibid., n. 13, che esplicitamente ha ammesso la possibilità del sequestro ex art. 219 cod. proc. pen., specificando la necessità che il giudice, investito dell'istanza di revoca del provvedimento, in
dichi, in caso di mantenimento, le ragioni di ordine processuale che 10 giustificano (se di natura istruttoria o se finalizzato ad impedire la prosecuzione del comportamento antigiuridico).
Contra, Cass. 4 luglio 1975, Borriello, id., Rep. 1977, voce cit., n. 7, che ha testualmente ritenuto, vigendo la legge urbanistica del
1942, che « la legislazione in vigore devolve esclusivamente all'au
torità amministrativa i compiti di tutela dell'assetto urbanistico; è
di conseguenza illegittimo il sequestro di un quartiere ove sono in esecuzione opere edilizie abusive disposto dal pretore non sulla base di esigenze istruttorie, bensì in forza dell'art. 219 cod. proc. pen. e dell'obbligo ivi stabilito per la polizia giudiziaria di impedire che 11 reato sia portato ad ulteriori conseguenze »; egualmente, nella
sostanza, Pret. Boiano 1° febbraio 1975, id., Rep. 1976, voce Edili zia e urbanistica, n. 1420, in una fattispecie relativa alla disposta
sospensione di lavori edilizi abusivi ex art. 219 cod. proc. pen., ha
negato tale possibilità in virtù del rilievo che al giudice penale com
peterebbe la sola cognizione del reato e le sue immediate conse
guenze, essendogli, invece, interdetta l'adozione di provvedimenti che verrebbero ad incidere in sfere di competenza riservate all'am ministrazione attiva; lo stesso principio può ritenersi affermato da 2 ottobre 1975, Tibaldi, id., 1976, II, 349, con nota di M. Boschi, che ha sostenuto, in tema di confisca di immobili abusivi, la spe
cialità delle norme amministrative in materia urbanistica che con feriscono poteri di coercizione reale alla pubblica amministrazio
ne, rispetto alle norme dettanti i principi generali in materia di
confisca penale, e di conseguenza l'illegittimità del sequestro fina
lizzato all'adozione della misura di sicurezza in questione (in argo mento cfr. la nota di richiami a Pret. Messina 6 dicembre 1978, id., 1980, II, 130).
In sostanza la tesi dell'illegittimità del sequestro di immobili abu sivi ex art. 219 cod. proc. pen. è sostenuta sulla base della,esclu siva o preminente tutela amministrativa dell'assetto territoriale ed urbanistico: da tale indirizzo si è, tuttavia, esplicitamente discosta ta Cass. 24 giugno 1971, De Paolis, id., Rep. 1972, voce cit., n. 683, sulla quale cfr. la nota di richiami di M. Boschi, cit.
Per riferimenti, circa il potere di sequestro al fine d'evitare ulte
riori conseguenze di reati, v. Cass. 9 ottobre 1979, Pezzetti, in que sto fascicolo, II, 293, con nota di richiami.
In dottrina, M. Annunziata, Sequestro penale e confisca (penale ed amministrativa) di opere abusive nella legge 28 gennaio 1977 n. 10 sui suoli, in Foro amm., 1978, I, 370; Chiavario, Tutela del ter ritorio e poteri del giudice penale: dati giurisprudenziali per una
discussione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, 406; P. Bonaccorsi, I
poteri del pretore in materia di abusi edilizi, in Giur. agr. it., 1976,
673; F. Roselli, Le questioni della sequestrabilità e confìscabilità di
edifici abusivi considerate anche con riferimento alla nuova legge urbanistica, in Mass. pen., 1976, 1345.
sottratto alle attribuzioni del giudice penale; d) nel merito, il
manufatto non avrebbe occupato un centimetro in più di quanto concesso, né sarebbe stato innovato il suo uso.
Tali rilievi sono privi di fondamento:
a) Va infatti osservato, per quanto riguarda in particolare il
primo, che nel procedimento pretorile non esiste alcuna distin
zione fra la fase degli atti di polizia giudiziaria e quella del
l'istruzione sommaria, dal momento che il pretore può procedere indifferentemente (e contemporaneamente) ad attività dell'uno e
dell'altro tipo, come chiaramente risulta dal testo del primo com
ma dell'art. 231 cod. proc. pen., a mente del quale « il pretore ...
ordina o compie gli atti di polizia giudiziaria e di istruzione som
maria che reputa necessari ».
Che tale sia il senso del disposto legislativo lo conferma il te
sto dell'articolo immediatamente successivo che, riferendosi al
l'attività del procuratore della Repubblica, stabilisce invece che
questi « prima di richiedere l'istruzione formale o di iniziare l'i
struzione sommaria può procedere ad atti di polizia giudiziaria »
(art. 232 cod. proc. penale).
b) L'analisi dei rilievi formulati in relazione al secondo punto
comporta valutazioni di merito che appaiono precluse in questa sede. Va osservato soltanto che — secondo la stessa tesi difen
siva — possono anche contestarsi, se non veri e propri reati per manenti, quanto meno « reati istantanei con effetti permanenti », e questi ultimi giustificano sicuramente l'applicazione dell'art.
219 cod. proc. pen., secondo il quale occorre « impedire che
(i reati) vengano portati a conseguenze ulteriori ».
c) Non sussiste l'asserito « straripamento di potere ». Un vi
zio del genere presuppone infatti che la legge attribuisca poteri esclusivi all'autorità amministrativa, e non può dunque essere
configurato quando — come nel caso in esame — vengono eser
citati poteri espressamente ed autonomamente conferiti dalla
legge al giudice penale, al fine di impedire che dei reati vengano portati a conseguenze ulteriori.
Va osservato, d'altro lato, che l'attribuzione di poteri all'au
torità amministrativa non preclude quella di analoghi poteri al
giudice ordinario, quando assumono rilevanza situazioni ed inte ressi che lo stesso legislatore non ritiene sufficientemente tutelati
in sede amministrativa: si pensi, ad esempio, alle sospensive di
sposte dal giudice civile in tema di denuncia di nuova opera o
di danno temuto (che ben possono essere fondate sul carattere
abusivo o irregolare delle opere intraprese), senza che ciò abbia mai portato a configurare « straripamenti di potere » nei riguardi del sindaco o dell'ingegnere capo del genio civile. Si pensi anche, sotto altro aspetto, ai comportamenti tenuti dalla stessa ammi nistrazione della marina mercantile, che in casi analoghi non
solo non ha sollevato alcun conflitto di attribuzione, ma spesso ha preferito chiedere che gli ordini di riduzione in pristino dello stato dei luoghi — che avrebbe potuto autonomamente emettere —
venissero pronunciati dal giudice penale. Deve pertanto ritenersi che la necessità di ricorrere alla norma
che si preoccupa di impedire che i reati « vengano portati a
conseguenze ulteriori » non soltanto non viene meno, ma risulta semmai rafforzata quando i riflessi di comportamenti penalmente sanzionati si proiettano in modo costante sull'intera collettività.
Sotto tale aspetto, non può essere trascurato il fatto che — lun
go l'intera fascia costiera che va da Mortelle a Ponte Gallo —
l'arenile demaniale è stato occupato e sottratto all'uso pubblico in modo indiscriminato da persone prive di scrupoli, che non esi tano poi ad invocare la pili rigorosa applicazione delle garanzie processuali (cui certamente hanno diritto) al solo fine di difendere il frutto delle violazioni di legge poste in essere, e di perpetuare cosi il godimento esclusivo di beni appartenenti alla collettività, che non riesce ad accedervi.
d) Per quanto infine concerne i rilievi attinenti al merito, essi risultano contraddetti dalla relazione peritale.
Per questi motivi, ecc.
PRETURA DI MILANO; sentenza 11 gennaio 1980; Giud. At
tanasio; imp. Bellamalina.
PRETURA DI MILANO;
Cause di non punibilità — Aborto — Modalità — Inosservanza — Stato di necessità — Sussistenza — Fattispecie (Cost., art. 3; cod. pen., art. 54; legge 22 maggio 1978 n. 194, norme per la
tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della
gravidanza, art. 4, 5, 8, 19).
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