ordinanza 30 marzo 1991; Pres. ed est. Curasi; SantangeloSource: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.693/694-699/700Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186028 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
dimento, quindi, era nelle condizioni di poter essere definito
al momento della richiesta del giudizio abbreviato. Il provvedi mento di rigetto del g.i.p. è risultato, nei fatti, privo di una valida giustificazione perché fondato su elementi di dubbio mar
ginali che non hanno inciso sulla decisione. (Omissis)
I
CORTE D'ASSISE DI CATANIA; CORTE D'ASSISE DI CATANIA; ordinanza 30 marzo 1991; Pres. ed est. Curasi; Santangelo.
Misure cautelari personali — Custodia cautelare — Termini —
Sospensione (Cod. proc. pen., art. 304).
La sospensione dei termini di durata massima della custodia
cautelare, disciplinata dall'art. 304 c.p.p., non può ritenersi
limitata al c.d. tetto massimo di cui all'art. 304, 4° comma, ma dispiega i suoi effetti anche in relazione alle c.d. fasi in termedie del giudizio. (1)
La sospensione dei termini di durata massima della custodia
cautelare ha un'estensione maggiore del regolamento degli stessi
termini previsto dall'art. 297, 4° comma, c.p.p. comprenden do anche i giorni festivi ovvero, in caso di rinvio, quelli tra
un'udienza e l'altra. (2)
II
TRIBUNALE DI GENOVA; ordinanza 6 febbraio 1991; Pres. ed est. Airoldi; Coppola ed altri.
Misure cautelari personali — Proroga della custodia cautelare — Procedimento (Cod. proc. pen., art. 305).
Ai fini della proroga del termine di custodia cautelare non è
richiesta la convocazione dell'udienza in camera di consiglio nelle forme dell'art. 127 c.p.p.; imponendo l'art. 305, 2° com
ma, soltanto l'onere per il giudice di sentire il pubblico mini
stero e il difensore prima di provvedere sull'istanza di proro
ga proposta dal pubblico ministero, è sufficiente che le parti siano poste in condizione di interloquire sul tema. (3)
III
PRETURA DI BARI; ordinanza 24 agosto 1991; Giud. Gior
gio; Onorato.
Misure cautelari personali — Custodia cautelare — Termini —
Determinazione (Cod. proc. pen., art. 278, 303). Misure cautelari personali — Custodia cautelare — Termini —
Sospensione (Cod. proc. pen., art. 304).
(1-5) Le pronunce affrontano molteplici problematiche concernenti le dinamiche dei termini custodiali.
1 principi espressi dalla prima e dalla seconda massima sono stati
di recente confermati da Cass., sez. un., 1° ottobre 1991, Alleruzzo
ed altro, Foro it., 1992, II, 65, con nota di richiami. In senso conforme alla terza massima si sono espresse Cass. 24 otto
bre 1991, Bruno ed altri, Giur. it., 1992, II, 193; 1° febbraio 1991,
Formicola, Arch, nuova proc. pen., 1992, 121; 18 gennaio 1991, Nico
losi, ibid.', Trib. Brindisi 17 giugno 1991, Giur. it., 1992, II, 194. Nel senso che l'avviso dell'intervenuta richiesta di proroga del termine spet ta al difensore e non anche alla persona sottoposta alle indagini, cfr.
Cass. 25 marzo 1991, P.m. in causa Barallo, id., 1991, 628; 15 marzo
1991, Grasso, id., 1992, 121; 22 febbraio 1991, Mariano, Cass. pen., 1991, II, 497; contra, Trib. Napoli 28 dicembre 1990, ibid., 527. In
dottrina, cfr., in argomento, Amato, in Commentario del nuovo codice
di procedura penale a cura di Amodio e Dominioni, Milano, 1990, III/2, sub art. 304-305, 175 s.; Gaito, Proroga della custodia cautelare e vizi
procedurali, in Giur. it., 1992, II, 193 s.; Illuminati, in Commento
al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino,
1990, III, sub art. 305, 244. L'orientamento della quarta massima è adesso ribadito da Cass., sez.
un., 1° ottobre 1991, Simioli, Foro it., 1992, II, 276, con nota di richiami.
In ordine al principio espresso dalla quinta massima non constano
precedenti editi.
Il Foro Italiano — 1992.
Ai fini del computo dei termini massimi di custodia cautelare
a norma dell'art. 303 c.p.p. deve aversi riguardo al fatto reato «principale», costituente il «reato per cui si procede», e agli ulteriori elementi indicati nell'art. 278 c.p.p., ometten do ogni ulteriore riferimento al reato accertato nel giudizio,
frutto della comparazione di tutte le circostanze applicabili. (4) Il termine di quindici giorni, stabilito dall'art. 544, 2° comma,
c.p.p. ai fini della redazione non contestuale della motivazio
ne della sentenza, ed in pendenza del quale si sospendono i termini di durata massima della custodia cautelare, deve in
tendersi, in applicazione del favor libertatis, «mobile» in fa vore dell'imputato; ne deriva che, qualora la motivazione sia
depositata prima del decorso dei quindici giorni, si dà luogo ad un anticipato esaurimento della sospensione legale dei ter
mini di custodia. (5)
I
Letta l'istanza presentata nell'interesse di Santangelo Salva
tore, avente per oggetto scarcerazione per decorrenza dei termi
ni della custodia cautelare; esaminati gli atti del procedimento n. 1/90 r.g. a carico di
Aiello G. + 95; sentito il p.m., che ha espresso parere contrario; rilevato che l'imputato, rinviato a giudizio innanzi a questa
corte di assise con ordinanza del g.i. di Catania, depositata in
data 15 dicembre 1989, per rispondere di un maggior numero
di reati, si trova in stato di detenzione per i seguenti titoli:
1) ordine di cattura n. 71/88 p.m. e 11/88 r.o.c. del 9 gen naio 1988 e mandato di cattura n. 68/88 r.g.g.i. e n. 30/89
r.m.c. del 2 marzo 1989 (art. 416 bis, commi 1°, 2°, 3°, 4°, 5° c.p.);
rilevato che per il detto reato è prevista una pena edittale
superiore nel massimo ad anni sei; rilevato che l'art. 251 delle norme transitorie al nuovo codice
di rito dispone che, in ordine alla durata delle misure cautelari, si osservano le disposizioni di detto codice, a decorrere dalla
data di entrata in vigore dello stesso, salvo che le disposizioni del codice abrogato siano più favorevoli all'imputato;
rilevato che il codice del 1988 prevede, in relazione al reato
in questione, che il termine di custodia cautelare per la fase
del giudizio di primo grado è di anni uno (art. 303, 1° comma, lett. b, n. 2, c.p.p. 1988), decorrente dal deposito dell'ordinan
za di rinvio a giudizio; ritenuto che il codice all'art. 297 detta i criteri per il computo
dei termini di durata delle misure e all'art. 304 disciplina la
materia della sospensione dei detti termini e che, pertanto, per valutare se gli stessi siano scaduti è necessario procedere all'esa
me di tali norme; ritenuto che questa corte in precedenti ordinanze, con le qua
li, ritenendo non decorsi i termini di custodia cautelare della
presente fase, in applicazione del 4° comma del citato art. 297
e tenuto conto del numero dei giorni in cui si sono tenute le
udienze, sono state rigettate istanze di scarcerazione per decor
renza dei termini, presentate in relazione a reati diversi da quel li di cui all'art. 407, 2° comma, lett. a), ha, in ordine al detto art. 297 c.p.p., osservato;
1) che tale norma, nel dettare i criteri per il computo dei
termini di durata delle misure, al 4° comma statuisce che nel
computo dei termini della custodia cautelare si tiene conto dei
giorni in cui si sono tenute le udienze e di quelli impiegati per la deliberazione della sentenza solo ai fini della determinazione
della durata complessiva della custodia a norma dell'art. 303, 4° comma, (c.d. tetto massimo), implicitamente ed inequivoca
bilmente sancendo la non computabilità di detti giorni in rela
zione alle c.d. fasi intermedie, tra le quali indubbiamente rien
tra la presente del giudizio di primo grado;
2) che il citato art. 297, 4° comma, che prevede la c.d. steri
lizzazione dei giorni in cui si tengono le attività sopra indicate, opera ex lege per tutti i reati ed in tutti i procedimenti senza
previsione di provvedimento da parte del giudice, come richie
sto invece dall'art. 304, 3° comma, che disciplina la diversa
ipotesi in cui, in presenza di specifiche condizioni (dibattimenti particolarmente complessi e reati che destano spiccato allarme
sociale, specificamente indicati all'art. 407, 2° comma, lett. a)
il giudice possa, su richiesta del p.m., disporre la sospensione
dei termini della custodia cautelare durante il tempo in cui sono
tenute le udienze o si delibera la sentenza, consentendo quindi,
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PARTE SECONDA
tra l'altro, a differenza del citato art. 297, 4° comma, il supera mento del c.d. tetto massimo della custodia cautelare;
3) che la diversa interpretazione prospettata nelle istanze, se
condo cui per «congelare» i termini della fase e non computare i giorni di udienza e della deliberazione della sentenza sarebbe
occorso sempre e comunque il provvedimento del giudice ex art. 304, 3° comma (con conseguente operatività limitata ai rea
ti di cui all'art. 407, 2° comma, lett. a), non poteva condivider
si perché in contrasto sia con il tenore letterale dell'art. 297, 4° comma, il quale, come già evidenziato, statuisce che detti
giorni vanno computati solo ai fini del c.d. tetto massimo, sia
con una corretta interpretazione sistematica della disciplina in
materia, poiché avrebbe reso del tutto superflua e priva di si
gnificato la previsione del citato 4° comma dell'art. 297;
4) che la motivazione della recente sentenza in materia emes
sa della Corte di cassazione (sez. I 11 febbraio 1991, Agate, Foro it., 1991, II, 273), sul punto, invero, di non facile lettura, non offriva significativi elementi argomentativi a sostegno della tesi sostenuta nelle istanze;
5) che, peraltro, il detto art. 297, 4° comma, ripete presso ché testualmente quanto disposto dall'art. 272, 9° comma, c.p.p.
1930, che non risulta aver mai dato luogo a contrasti interpreta tivi o ad interpretazioni diverse da quella nel presente provvedi mento ribadita;
6) che, infine, tale interpretazione trova conferma nella rela
zione al nuovo c.p.p., in cui si afferma che «si è poi prefissato un limite massimo per la durata complessiva della custodia cau
telare, dovendosi tener conto al riguardo dei giorni esclusi dal
computo nella fase del giudizio ai sensi dell'art. 297, 4° com
ma, . . .»
ritenuto che, poiché l'imputato di cui in premessa si trova
in stato di detenzione per il reato di cui all'art. 416 bis c.p. e poiché questa corte ha, in data 4 luglio 1990, emesso, su con
forme richiesta del p.m., ordinanza di sospensione dei termini
di entrata della custodia cautelare, ai sensi dell'art. 304, 2° e
3° comma, c.p.p., va adesso esaminato se e in che misura tale norma spieghi effetti nei confronti del predetto e come essa si
differenzi dal 4° comma dell'art. 297, anche alla luce del d.l.
10 marzo 1991 n. 60, definito di interpretazione autentica di
detti articoli del codice di rito e tenuto conto che, in materia, non risultano pronunzie del giudice di legittimità (al di là di quella già citata al punto 4 che, come si evince dalla relazione al disegno di legge n. 5496 presentato dal governo per la con
versione in legge del decreto-legge sopra menzionato, ha deter
minato la necessità di una interpretazione autentica delle dette
norme) e non ampia appare la dottrina:
ritenuto che, in argomento e con riferimento al caso che ci
occupa, i principali problemi interpretativi da risolvere sono due, e cioè innanzi tutto se l'ipotesi di sospensione ivi prevista operi solo in relazione al 4° comma dell'art. 303 c.p.p. (c.d. tetto
massimo della custodia cautelare) od anche in relazione alle c.d.
fasi intermedie del giudizio, disciplinate da altri commi dello
stesso art. 303 c.p.p., e, in secondo luogo, cosa deve intendersi
per «tempo in cui sono tenute le udienze. . .»; rilevato che il 2° comma, dell'art. 304 c.p.p. testualmente
recita: «I termini previsti dall'art. 303 possono altresì essere so
spesi, nella fase del giudizio quando si tratta dei reati indicati
nell'art. 407, 2° comma, lett. a), nel caso di dibattimenti parti colarmente complessi, durante il tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nel giudizio di primo grado o nel giudizio sulle impugnazioni»;
ritenuto che il tenore letterale della norma fa chiaro riferi
mento a tutti i termini previsti dall'art. 303 (con ovvia esclusio
ne di quelli relativi alla fase delle indagini preliminari, discen dente dalla previsione della stessa norma che la sospensione è
collegata ad attività svolte nel giudizio di primo grado e suc
cessivi); ritenuto che tale interpretazione trova conferma nella identi
ca dizione («i termini previsti dall'art. 303 sono sospesi») ado perata dal legislatore con riguardo alle altre ipotesi di sospen sione prevista dallo stesso articolo (1° comma, lett. a e b), so stanzialmente analoghe a quelle di cui al 7° comma dell'art. 272 c.p.p. 1930, che sono state dalla giurisprudenza pacifica mente ritenute operanti anche in relazione alle c.d. fasi interme
die (v. Cass, pen., sez. I, 18 febbraio 1982, n. 347) e che diver
samente non potrebbero interpretarsi, pena lo svuotamento di
qualisiasi funzione, atteso che ineriscono a comportamenti obiet
tivamente dilatori dell'imputato e del suo difensore, verificatisi
li Foro Italiano — 1992.
nella fase del giudizio ed incidenti, in primo luogo, sui termini
a tale fase relativi; ritenuto che tale interpretazione che, conformemente al teno
re letterale della norma, ritiene unitaria ed identica la disciplina delle varie ipotesi di sospensione previste dall'art. 304, risponde
perfettamente a quanto in materia affermato dalla direttiva n. 61 della legge delega, che dedica all'istituto della sospensione dei termini della custodia cautelare un unico passo, unitaria
mente considerando le varie ipotesi di sospensione e prevedendo «che i termini di durata massima delle misure possano essere
sospesi durante il dibattimento in relazione allo svolgimento ed
alla complessità dello stesso nonché a differimenti processuali non imposti da esigenze istruttorie e determinati da fatti riferi
bili all'imputato o al suo difensore»;
ritenuto, di contro, che nessuna previsione normativa induce
ad attribuire al comma in esame una efficacia limitata soltanto
al c.d. tetto massimo della custodia cautelare e che la dottrina
in materia, se, in alcuni casi, si è limitata ed evidenziare la più appariscente differenza rispetto all'art. 297, 4° comma, e cioè
la possibilità di superare il tetto massimo, è, nelle più appro fondite analisi della disciplina del nuovo codice, pervenuta, an
che da parte di autori certamente attenti ai profili di garanzia formale e sostanziale dei diritti della difesa e dell'imputato, a
conclusioni identiche a quelle qui esposte; ritenuto che neanche nelle relazioni al progetto preliminare
ed al testo definitivo del codice del 1988 è dato cogliere elemen
ti che inducano ad una interpretazione restrittiva del 2° comma
dell'art. 304 e che, anzi, possono semmai cogliersene di segno
contrario, posto che nella prima di tali relazioni, in riferimento
al 4° comma dell'art. 297, si evidenzia la più ampia portata, rispetto a quest'ultima norma, della direttiva n. 61 della legge
delega nella parte in cui giunge a consentire la soluzione della
sospensione dei termini di custodia «durante il dibattimento in
relazione allo svolgimento ed alla complessità dello stesso» e
che nella seconda espressamente si motiva l'inserimento nell'art.
304 dell'ipotesi di sospensione in esame, assente nel progetto preliminare, con l'esigenza di garantire una maggiore conformi
tà del testo alla direttiva sopra citata; ritenuto che elemento di valutazione contraria non può desu
mersi neanche dalla circostanza che nel testo definitivo dell'art.
304 è stato altresì introdotto il 4° comma, con la previsione di un limite massimo della custodia cautelare, posto che esso
opera con riferimento a tutte le ipotesi di sospensione, come
si evince dal testo stesso del citato articolo e come precisato nella relazione, la quale chiarisce come tale inserimento sia av
venuto «per sopperire ad una carenza della disciplina del pro
getto preliminare» (il quale, come già evidenziato, non prevede va l'ipotesi di sospensione in esame) e come tale comma sia «modellato sull'art. 272, 8° comma, del codice (allora) vigente»
(articolo, anche questo che non prevedeva, tra le ipotesi di so
spensione, quella di cui oggi ci si occupa); ritenuto, in ordine al secondo problema, relativo al significa
to da attribuire all'espressione, usata dal legislatore nel 2° com ma dell'art. 304, «durante il tempo in cui sono tenute le udien
ze», che non pare possa dubitarsi che essa abbia una più ampia portata rispetto a quella adoperata nel 4° comma dell'art. 297,
«giorni in cui si sono tenute le udienze»;
ritenuto, invero, che tale ultimo comma, che riproduce te
stualmente l'analogo 9° comma dell'art. 272 c.p.p. 1930 (ag giunto dall'art. 5 1. 17 febbraio 1987 n. 29), individua, nell'am bito della disciplina del computo dei termini di durata delle mi sure (come precisato dalla rubrica dell'articolo in questione), i singoli giorni dei quali, a cagione dell'attività processuale in essi svolta, non va tenuto conto nel conteggio da effettuarsi al fine di determinare se siano decorsi i termini di durata previ sti per le fasi intermedie, mentre il 2° comma dell'art. 304 indi vidua l'intero periodo di tempo durante il quale, essendo in
esso state tenute le udienze (purché, deve intendersi, nel rispetto della disciplina in materia dettata dal codice di rito — nella specie quello del 1930, trattandosi di procedimento rientrante nella previsione dell'art. 241 delle norme transitorie del nuovo
c.p.p. e non essendo l'art. 477 di quest'ultimo richiamato tra quelle di immediate applicazione — non potendosi rimettere al la mera discrezionalità del giudice la determinazione dell'ambi to temporale della sospensione dei termini) opera la sospensione stessa;
ritenuto, infatti, che è indubitabile che si versi in una ipotesi di sospensione, come espressamente detto nella rubrica dell'art. 304 e come inequivocabilmente confermato dalla identica termi
nologia (i termini sono sospesi «nella fase del giudizio, durante
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GIURISPRUDENZA PENALE
il tempo in cui . . .») adoperata anche in tutte le altre ipotesi di sospensione previste dallo stesso articolo e che, conseguente mente, anche alla prima vada applicata la disciplina propria dell'istituto generale della sospensione, secondo la quale in con
comitanza del verificarsi di un determinato fenomeno, e per tutto l'arco temporale in cui il fenomeno stesso si verifica, un determinato termine non decorra (principio costantemente ap
plicato dalla giurisprudenza formatasi, sotto la vigenza del co
dice del 1930, in relazione alle ipotesi di sospensione previste dall'art. 272, analoghe a quelle riprodotte nel 1° comma del
l'attuale art. 304 c.p.p.); ritenuto che il d.l. 1° marzo 1991 n. 60 nulla sostanzialmente
ha introdotto che possa indurre a conclusioni differenti;
considerato, infatti, come si evince dal complessivo contesto
dello stesso e come premesso nella relazione al disegno di legge di conversione, che tale decreto ha inteso specificamente chiari
re — in riferimento alla interpretazione data dalla già citata
sentenza della Corte di cassazione ed al fine di prevenire ulte riori applicazioni della normativa in questione divergenti da quella che era nelle intenzioni del legislatore — quale era la ratio «di
cui è chiaro cenno nelle relazioni che hanno accompagnato pri ma il progetto preliminare e poi il testo definitivo del nuovo
codice di rito» che aveva ispirato le cennate disposizioni; considerato che, sulla base di quanto da ultimo evidenziato
e dell'esame, in precedenza effettuato, delle dette relazioni, nes
sun intento restrittivo rispetto alla norma quale inserita nel co
dice, può cogliersi nel decreto in questione, quale potrebbe es
sere quello di limitare l'operatività della sospensione di cui al
2° comma dell'art. 304 al solo termine complessivo di cui al
4° comma dell'art. 303; considerato che, avuto riguardo alle cennate finalità del de
creto interpretativo, ciò che di essenziale quest'ultimo ha voluto
chiarire è che per il «congelamento» dei termini di fase previ
sto, con portata generale, dall'art. 297, 4° comma, non occorre
provvedimento alcuno del giudice, operando esso di diritto, men
tre il provvedimento è richiesto, per la sospensione di cui al 2° comma dell'art. 304, qualora ne ricorrano le specifiche con
dizioni ivi dettagliate; ritenuto che la circostanza che nell'effettuare tale puntualiz
zazione il legislatore interpretante abbia detto che l'art. 304, 2° comma, debba intendersi nel senso che «nella ipotesi di so
spensione ivi prevista, la durata complessiva della custodia cau
telare può superare i termini stabiliti nell'art. 303, 4° comma,
c.p.p.» comporta unicamente che il detto legislatore abbia indi
cato l'effetto massimo e più rilevante (particolarmente nella con
trapposizione con l'art. 297, 4° comma) della norma, ma non
che abbia escluso che, parimenti, la stessa sospensione — ricor
rendo i presupposti ed una volta emesso il provvedimento —
operi anche e con le stesse modalità, sui termini di fase;
ritenuto, anzi, che ciò è logicamente e naturalmente correlato
alla sospensione che si operi sul tetto massimo sia perché la
disposizione di cui all'art. 304, 2° comma, si pone in rapporto di specialità rispetto a quella dell'art. 297, 2° comma, che ha
carattere generale, sia perché, ove la sospensione dei tempi delle
udienze, di più ampia portata rispetto al «congelamento» dei
soli giorni di udienza di cui all'art. 297, 4° comma, non operas se sui termini di fase, difficilmente potrebbe ipotizzarsi un'effi
cacia, in concreto, sui termini complessivi;
ritenuto, conclusivamente sul punto, che il recente decreto
legge non limita in alcun modo la disciplina prevista dall'art.
304, 2° comma; ritenuto che il sistema cosi disegnato dal legislatore, in mate
ria, appare coerente e bilanciato poiché, da una parte, prevede un meccanismo di «congelamento» automatico, operante per tutti i reati ed i procedimenti, con effetti limitati ai termini delle fasi intermedie e, dall'altra, un meccanismo, operante solo in
specifici casi, sottoposti alla valutazione del giudice, di pochi titoli di reato, gravi e che destano particolare allarme sociale,
e di contestuale particolare complessità del dibattimento, che
ha più ampi effetti, incidendo anche, in misura maggiore, sui
termini di fase e consentendo pure lo sfondamento del tetto
complessivo, con l'invalicabile limite fissato dall'ultimo comma
dell'art. 304; ritenuto che, nel presente procedimento dovendosi applicare
la sospensione ex art. 304, 2° comma, come da ordinanza del
4 luglio 1990, a far tempo da tale data e pur tenendo conto
soltanto dei periodi in cui il dibattimento si è svolto secondo
le previsioni dell'art. 431 c.p.p. 1930 — con prosecuzione nel
Il Foro Italiano — 1992.
giorno seguente non festivo o con differimento di non più di
un giorno non festivo, in aderenza a quanto in detta norma
previsto —, cosa questa di norma verificatasi, i termini di cu
stodia cautelare previsti per la presente fase non sono, con rife
rimento alla imputazione di cui all'art. 416 bis c.p., ancora
decorsi; ritenuto che, anche con riferimento, ex art. 251 nome trans,
alle disposizioni previste dal codice del 1930, i termini non sono
scaduti, atteso che l'art. 272, per il reato in questione e per le fase del giudizio di primo grado prevede un termine di anni
uno mesi sei cui vanno aggiunti i giorni in cui si sono tenute
le udienze;
per questi motivi, rigetta l'istanza.
II
(Omissis). La difesa degli imputati Coppola Vincenzo, Cop pola Gennaro e Marisei Cosimo ha lamentato il mancato rispet to del termine di dieci giorni di cui all'art. 127.1 c.p.p. tra la notificazione ed il giorno fissato per la decisione sull'istanza
di proroga, di cui all'art. 127 c.p.p. Premesso che l'ulteriore
motivo di appello sviluppato nel corso della discussione in ca
mera di consiglio, consistente nell'affermazione che la notifica in questione non ha avuto luogo, non può essere esaminato in
questa sede perché tardivamente proposto (oltre che in contra
sto logico con quello esposto nell'atto di impugnazione), si os
serva che, come ha correttamente rilevato il p.m., l'art. 305.2
c.p.p. non contiene alcun richiamo al procedimento in camera
di consiglio ed alla relativa disciplina, dettata dall'art. 127, ma richiede semplicemente che il g.i.p., prima di provvedere sull'i
stanza di proroga della custodia cautelare, debba sentire le par
ti, tale onere potendosi ritenere assoluto ove il g.i.p. come risul
ta avere fatto alla luce dell'atto di appello in esame, abbia po sto tutte le parti in condizione di potere interloquire sul tema.
(Omissis)
III
Contrariamente a quanto affermato dal pretore nel suo prov vedimento del 13 agosto 1991 in realtà, nel caso di specie, il
termine massimo di durata della custodia cautelare nei confron
ti dell'Onorato non scade affatto il 29 agosto 1991. Invero, l'im
putato è attualmente imputato anche per il delitto di cui agli art. 624, 625, nn. 2 e 7, c.p., in relazione al quale — ex art.
625, ultimo comma, c.p. — è applicabile una pena massima
di anni 10 di reclusione (e rientrando le dette aggravanti tra
quelle c.d. ad effetto speciale, comportando esse un aumento
di pena detentiva superiore ad un terzo rispetto a quella, previ sta dall'ipotesi, di «fase» di cui all'art. 624 c.p.).
Orbene, va evidenziato che — come opinato dalla più recente
giurisprudenza della Suprema corte (Cass. 22 maggio 1990, Sil
vestri, Foro it., 1990, II, 555; 9 maggio 1990, Dragutinovic, ibid., 554; 23 maggio 1990, Piras, id., 1991, II, 4, nonché — tra i giudici di merito — Pret. Roma, ord. 3 ottobre 1990 e
App. Lecce ord., 29 ottobre 1990, id., Rep. 1991, voce Misure
cautelari personali, nn. 176, 173; App. Firenze 21 maggio 1990,
ibid., n. 174), in virtù dell'art. 278 c.p.p. 1988, per la determi
nazione della pena — anche ai fini del computo dei termini
massimi di custodia cautelare — ex art. 303 c.p.p. — deve farsi
riferimento al fatto - reato «principale», costituente «il reato
per cui si procede», tenendo conto soltanto delle aggravanti non
ordinarie e delle attenuanti di cui all'art. 62, n. 4, c.p. (non rilevante nel caso di specie), omettendo ogni riferimento al rea
to accertato nel giudizio, frutto della comparazione di tutte le
circostanze riconosciute applicabili. La conclusione accennata
non implica che la nuova normativa processuale, ai fini della
durata delle misure cautelari, escluda la rilevanza giuridica delle
modifiche della qualificazione giuridica del fatto in seguito a sentenza di condanna: invero, a mente del combinato disposto
degli art. 278, 289 e 303 c.p.p., il computo in subiecta materia
andrà sempre effettuato sulla bsse del reato «per cui si proce
de», che — dopo la sentenza di primo grado — potrebbe anche
essere diverso (più o anche meno grave), rispetto al reato origi nariamente contestato, fermo restando che, in ogni caso, per la determinazione della pena dovrà tenersi conto (solo) dei cri
teri (inderogabili), indicati dall'art. 278 c.p.p.
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PARTE SECONDA
Preme evidenziare che la vigente normativa non prevede più una norma analoga a quella già contemplata dall'art. 275 c.p.p.
1930, secondo cui i termini massimi di custodia andavano com
putati in riferimento alla pena prevista per il reato concreta
mente ritenuto in sentenza (come, del resto, opinato anche dal
la prevalente giurisprudenza). Invero, gli art. 278 e 280 c.p.p. 1988 considerano rilevanti
per le finalità cautelari (fatta eccezione per le statuizioni in te
ma di stupefacenti ex d.l. 247/91) unicamente la gravità del
fatto «principale», e le peculiari circostanze aggravanti (tra cui
quelle ad effetto speciale) produttrici di una significativa modi
ficazione (in peius) del disvalore giuridico complessivo del fatto di reato, attribuito al destinatario della misura, (oltre che l'atte
nuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p., inapplicabile nella fattispe cie concreta).
Del resto, sebbene nell'art. 278 c.p.p. 1988 manchi un esplici to riferimento ai termini di custodia cautelare (contenuto, inve
ce, nell'abrogato art. 255 c.p.p. 1930) la generica formulazione contenuta nella norma in esame consente di riferire il termine
«applicazione» non solo al momento dell'«adozione» della mi
sura, ma anche a quello dell'«attuazione» di essa, ai sensi e
per gli effetti di cui all'art. 303 c.p.p. 1988. Non ignora lo scrivente che la tesi contraria a quella qui se
guita è stata affermata — se pur isolatamente e succintamente — da Cass. 25 gennaio 1990, Hernandez (id., 1990, II, 306) e da vari autori in dottrina.
In verità, in assenza di precisi agganci normativi, in dottrina, si è fatto riferimento ad esigenze di coerenza logica e di confor
mità ai principi costituzionali, dovendosi evitare opzioni erme
neutiche peggiorative per l'imputato rispetto a quelle consolida
tesi nella vigenza del c.p.p. 1930.
Ma non sembra a chi scrive che — ai sensi dell'art. 12, 1°
comma, disp. prel. c.c. — il chiaro testo letterale delle citate
norme del nuovo c.p.p. possa essere pretermesso, dando preva lenza a criteri ermeneutici logico-sistematici. E d'altronde —
seppur come osservato in dottrina — in subiecta materia l'art.
304, ultimo comma c.p.p. faccia riferimento al «reato (. . .) ritenuto in sentenza», com'è già stato osservato tale è quello che qualifica l'imputazione, ma non quello che ne quantifica il peso, in relazione al quale l'art. 278 c.p.p. detta le evidenziate
precise e specifiche regole. Del resto — volendo utilizzare un argomento interpretativo
sistematico — l'operatività di una normativa in materia di ter
mini di custodia cautelare (parzialmente) — più sfavorevole per
l'imputato rispetto a quella già fissata dal c.p.p. del 1930 (cosi come interpretata in giurisprudenza) non deve apparire una con
traddizione o indice di una inaccettabile involuzione legislativa.
Invero, se l'adozione dei provvedimenti restrittivi della libertà
personale è ora sottoposto ad un ampio contraddittorio tra le
parti, con la possibilità di tempestive impugnazioni, la sussi
stenza di tali rafforzate garanzie procedurali ben può giustifica re — sul piano logico e costituzionale — la vigenza di una nor
mativa relativa alla durata massima della custodia cautelare (ra
gionevolmente) più sfavorevole per l'imputato. Tanto premesso, in fatto va considerato che l'Onorato è sta
to condannato ex art. 444 c.p.p. ad otto mesi di reclusione ed
al pagamento di lire 400.000 di multa per furto aggravato (ex art. 625, nn. 2 e 7, c.p.), nonché per tre furti aggravati ex art.
625, n. 4, ultima parte, c.p., unificati tutti nel vincolo della
continuazione ed assumendo come reato-base più grave, ex art.
81, cpv., c.p. la detta ipotesi pluriaggravata. Ne consegue l'applicabilità del disposto normativo dell'art.
303, 1° comma, lett. c), n. 2, c.p.p., in quanto nel caso di
specie si procede anche per un delitto (quello ex art. 624, 625, nn. 2, 7, c.p.) caratterizzato da una pena superiore nel massimo
a quella di sei anni, la cui sussistenza è stata dichiarata in sen
tenza, senza il contestuale riconoscimento — a mente dell'art.
278 c.p.p. — dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p. È,
quindi, da escludere l'operatività dell'art. 303, 1° comma, lett.
c), n. 1, c.p.p., valida, al più, soltanto per le ipotesi ex art.
624, 625, n. 4, ultima parte, c.p., per cui pure si procede nei
confronti dell'Onorato.
Preme, infine, evidenziare che nel computo del termine di
durata della custodia cautelare c.d. di fase, compreso tra la de
libera della sentenza e la pronuncia di grado superiore, non va
tenuto conto — a mente dell'art. 1 1. 22 aprile 1991 n. 133 — del periodo impiegato per la stesura della motivazione.
Orbene, è pur vero che tale periodo è pari ora a giorni quin dici, ex art. 6 1. cit.; ma — contrariamente a quanto affermato
li Foro Italiano — 1992.
nel detto provvedimento interinale adottato dal pretore — tale
lasso di tempo non opera necessariamente nella sua interezza,
quale causa di sospensione del detto termine di fase.
Invero, se la motivazione della sentenza viene depositata (co me è accaduto nel caso di specie) tredici giorni dopo la lettura
del dispositivo, la durata del detto periodo di quiescenza non
può protrarsi ulteriormente per due giorni (ossia per tutto il
lasso di tempo, previsto dall'articolo cit.), non avendo ciò alcu
na giustificazione logico-giuridica, e determinandosi cosi, un il
legittimo aggravio della posizione dell'imputato in vinculis, con
trario alla ratio ispiratrice dell'istituto de quo. A parere dello scrivente, il termine in questione deve essere
interpretato non in modo «statico», ma «dinamico»: infatti, il
lasso di tempo di quindici giorni previsto dall'art. 6 1. 133/91, costituisce il periodo legale massimo di (valido) «congelamen to» del termine di «fase» della custodia cautelare compreso tra
la data della lettura del dispositivo e quella del deposito della
motivazione; sicché, il deposito della motivazione della senten za avvenuto dopo il quindicesimo giorno deve considerarsi sul
piano della quiescenza temporale del termine di custodia caute
lare tamquam non esset, in danno dell'imputato detenuto (salvo che ritualmente sia stato adottato provvedimento ex art. 544, 3° comma, c.p.p.).
Ma, d'altro canto, appare ragionevole e (costituzionalmente
giustificato) intendere — in applicazione della regola del favor libertatis — il termine de quo come «mobile» esclusivamente
in favore del prevenuto, nel senso che il deposito della motiva
zione avvenuta prima del decorso dei quindici giorni, di cui al
l'art. 6 1. 133/91 (modificativo dell'art. 544, 2° comma, c.p.p.) determina — in pari misura temporale — l'anticipato esauri
mento della sospensione legale del termine (di fase) di custodia
cautelare, di cui all'art. 1 1. 133/91. Tale opzione interpretati
va, peraltro, non è minimamente smentita dal dato letterale del
la norma e risponde — come detto — alla ratio giustificativa dell'istituto introdotto dall'art. 1 1. 133/91, che non può com
portare un formalistico sbilanciamento ermeneutico sfavorevole
all'imputato, non previsto espressamente dalla legge.
TRIBUNALE DI PALERMO; TRIBUNALE DI PALERMO; ordinanza 3 aprile 1992; Pres.
ed est. Ingargiola; imp. Aponte ed altri.
Giudizio penale (atti preliminari al) — Liste testimoniali — Estre
mi (Cod. proc. pen., art. 468).
L'indicazione, nella lista testimoniale, delle circostanze sulle quali ciascun teste deve essere sentito è finalizzata a consentire al
presidente di escludere le prove vietate dalla legge e quelle
manifestamente sovrabbondanti, nonché a consentire alla con
troparte la deduzione di prove contrarie e la preparazione della
più adeguata strategia difensiva; entrambe le finalità risulta no tutelate anche qualora la lista non contenga una specifica
capitolazione dei temi di prova, sicché anche in tale ipotesi essa va dichiarata ammissibile. (1)
II
PRETURA DI BARI; sentenza 4 giugno 1992; Giud. De Feo; imp. Capriati.
Giudizio penale (atti preliminari al) — Liste testimoniali — Estre mi (Cod. proc. pen., art. 468).
L'art. 468, 1° comma, c.p.p. non impone una specifica capito lazione delle posizioni di prova analoga a quella prevista per il processo civile; ne consegue che, se la finalità della norma
è quella di evitare l'introduzione di prove a sorpresa, deve
ritenersi sufficiente il richiamo ai fatti descritti in atti noti al giudice e alle parti, che soddisfa pienamente tale finalità. (2)
(1-2) Le pronunce in rassegna si iscrivono nell'alveo della prevalente giurisprudenza in materia, che ha ritenuto ammissibile la lista testimo niale anche laddove l'indicazione delle circostanze su cui deve vertere
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