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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || ordinanza 30 marzo 1991; Pres. ed est. Curasi; Santangelo

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ordinanza 30 marzo 1991; Pres. ed est. Curasi; Santangelo Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp. 693/694-699/700 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23186028 . Accessed: 28/06/2014 09:51 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.144 on Sat, 28 Jun 2014 09:51:14 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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ordinanza 30 marzo 1991; Pres. ed est. Curasi; SantangeloSource: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.693/694-699/700Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186028 .

Accessed: 28/06/2014 09:51

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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GIURISPRUDENZA PENALE

dimento, quindi, era nelle condizioni di poter essere definito

al momento della richiesta del giudizio abbreviato. Il provvedi mento di rigetto del g.i.p. è risultato, nei fatti, privo di una valida giustificazione perché fondato su elementi di dubbio mar

ginali che non hanno inciso sulla decisione. (Omissis)

I

CORTE D'ASSISE DI CATANIA; CORTE D'ASSISE DI CATANIA; ordinanza 30 marzo 1991; Pres. ed est. Curasi; Santangelo.

Misure cautelari personali — Custodia cautelare — Termini —

Sospensione (Cod. proc. pen., art. 304).

La sospensione dei termini di durata massima della custodia

cautelare, disciplinata dall'art. 304 c.p.p., non può ritenersi

limitata al c.d. tetto massimo di cui all'art. 304, 4° comma, ma dispiega i suoi effetti anche in relazione alle c.d. fasi in termedie del giudizio. (1)

La sospensione dei termini di durata massima della custodia

cautelare ha un'estensione maggiore del regolamento degli stessi

termini previsto dall'art. 297, 4° comma, c.p.p. comprenden do anche i giorni festivi ovvero, in caso di rinvio, quelli tra

un'udienza e l'altra. (2)

II

TRIBUNALE DI GENOVA; ordinanza 6 febbraio 1991; Pres. ed est. Airoldi; Coppola ed altri.

Misure cautelari personali — Proroga della custodia cautelare — Procedimento (Cod. proc. pen., art. 305).

Ai fini della proroga del termine di custodia cautelare non è

richiesta la convocazione dell'udienza in camera di consiglio nelle forme dell'art. 127 c.p.p.; imponendo l'art. 305, 2° com

ma, soltanto l'onere per il giudice di sentire il pubblico mini

stero e il difensore prima di provvedere sull'istanza di proro

ga proposta dal pubblico ministero, è sufficiente che le parti siano poste in condizione di interloquire sul tema. (3)

III

PRETURA DI BARI; ordinanza 24 agosto 1991; Giud. Gior

gio; Onorato.

Misure cautelari personali — Custodia cautelare — Termini —

Determinazione (Cod. proc. pen., art. 278, 303). Misure cautelari personali — Custodia cautelare — Termini —

Sospensione (Cod. proc. pen., art. 304).

(1-5) Le pronunce affrontano molteplici problematiche concernenti le dinamiche dei termini custodiali.

1 principi espressi dalla prima e dalla seconda massima sono stati

di recente confermati da Cass., sez. un., 1° ottobre 1991, Alleruzzo

ed altro, Foro it., 1992, II, 65, con nota di richiami. In senso conforme alla terza massima si sono espresse Cass. 24 otto

bre 1991, Bruno ed altri, Giur. it., 1992, II, 193; 1° febbraio 1991,

Formicola, Arch, nuova proc. pen., 1992, 121; 18 gennaio 1991, Nico

losi, ibid.', Trib. Brindisi 17 giugno 1991, Giur. it., 1992, II, 194. Nel senso che l'avviso dell'intervenuta richiesta di proroga del termine spet ta al difensore e non anche alla persona sottoposta alle indagini, cfr.

Cass. 25 marzo 1991, P.m. in causa Barallo, id., 1991, 628; 15 marzo

1991, Grasso, id., 1992, 121; 22 febbraio 1991, Mariano, Cass. pen., 1991, II, 497; contra, Trib. Napoli 28 dicembre 1990, ibid., 527. In

dottrina, cfr., in argomento, Amato, in Commentario del nuovo codice

di procedura penale a cura di Amodio e Dominioni, Milano, 1990, III/2, sub art. 304-305, 175 s.; Gaito, Proroga della custodia cautelare e vizi

procedurali, in Giur. it., 1992, II, 193 s.; Illuminati, in Commento

al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino,

1990, III, sub art. 305, 244. L'orientamento della quarta massima è adesso ribadito da Cass., sez.

un., 1° ottobre 1991, Simioli, Foro it., 1992, II, 276, con nota di richiami.

In ordine al principio espresso dalla quinta massima non constano

precedenti editi.

Il Foro Italiano — 1992.

Ai fini del computo dei termini massimi di custodia cautelare

a norma dell'art. 303 c.p.p. deve aversi riguardo al fatto reato «principale», costituente il «reato per cui si procede», e agli ulteriori elementi indicati nell'art. 278 c.p.p., ometten do ogni ulteriore riferimento al reato accertato nel giudizio,

frutto della comparazione di tutte le circostanze applicabili. (4) Il termine di quindici giorni, stabilito dall'art. 544, 2° comma,

c.p.p. ai fini della redazione non contestuale della motivazio

ne della sentenza, ed in pendenza del quale si sospendono i termini di durata massima della custodia cautelare, deve in

tendersi, in applicazione del favor libertatis, «mobile» in fa vore dell'imputato; ne deriva che, qualora la motivazione sia

depositata prima del decorso dei quindici giorni, si dà luogo ad un anticipato esaurimento della sospensione legale dei ter

mini di custodia. (5)

I

Letta l'istanza presentata nell'interesse di Santangelo Salva

tore, avente per oggetto scarcerazione per decorrenza dei termi

ni della custodia cautelare; esaminati gli atti del procedimento n. 1/90 r.g. a carico di

Aiello G. + 95; sentito il p.m., che ha espresso parere contrario; rilevato che l'imputato, rinviato a giudizio innanzi a questa

corte di assise con ordinanza del g.i. di Catania, depositata in

data 15 dicembre 1989, per rispondere di un maggior numero

di reati, si trova in stato di detenzione per i seguenti titoli:

1) ordine di cattura n. 71/88 p.m. e 11/88 r.o.c. del 9 gen naio 1988 e mandato di cattura n. 68/88 r.g.g.i. e n. 30/89

r.m.c. del 2 marzo 1989 (art. 416 bis, commi 1°, 2°, 3°, 4°, 5° c.p.);

rilevato che per il detto reato è prevista una pena edittale

superiore nel massimo ad anni sei; rilevato che l'art. 251 delle norme transitorie al nuovo codice

di rito dispone che, in ordine alla durata delle misure cautelari, si osservano le disposizioni di detto codice, a decorrere dalla

data di entrata in vigore dello stesso, salvo che le disposizioni del codice abrogato siano più favorevoli all'imputato;

rilevato che il codice del 1988 prevede, in relazione al reato

in questione, che il termine di custodia cautelare per la fase

del giudizio di primo grado è di anni uno (art. 303, 1° comma, lett. b, n. 2, c.p.p. 1988), decorrente dal deposito dell'ordinan

za di rinvio a giudizio; ritenuto che il codice all'art. 297 detta i criteri per il computo

dei termini di durata delle misure e all'art. 304 disciplina la

materia della sospensione dei detti termini e che, pertanto, per valutare se gli stessi siano scaduti è necessario procedere all'esa

me di tali norme; ritenuto che questa corte in precedenti ordinanze, con le qua

li, ritenendo non decorsi i termini di custodia cautelare della

presente fase, in applicazione del 4° comma del citato art. 297

e tenuto conto del numero dei giorni in cui si sono tenute le

udienze, sono state rigettate istanze di scarcerazione per decor

renza dei termini, presentate in relazione a reati diversi da quel li di cui all'art. 407, 2° comma, lett. a), ha, in ordine al detto art. 297 c.p.p., osservato;

1) che tale norma, nel dettare i criteri per il computo dei

termini di durata delle misure, al 4° comma statuisce che nel

computo dei termini della custodia cautelare si tiene conto dei

giorni in cui si sono tenute le udienze e di quelli impiegati per la deliberazione della sentenza solo ai fini della determinazione

della durata complessiva della custodia a norma dell'art. 303, 4° comma, (c.d. tetto massimo), implicitamente ed inequivoca

bilmente sancendo la non computabilità di detti giorni in rela

zione alle c.d. fasi intermedie, tra le quali indubbiamente rien

tra la presente del giudizio di primo grado;

2) che il citato art. 297, 4° comma, che prevede la c.d. steri

lizzazione dei giorni in cui si tengono le attività sopra indicate, opera ex lege per tutti i reati ed in tutti i procedimenti senza

previsione di provvedimento da parte del giudice, come richie

sto invece dall'art. 304, 3° comma, che disciplina la diversa

ipotesi in cui, in presenza di specifiche condizioni (dibattimenti particolarmente complessi e reati che destano spiccato allarme

sociale, specificamente indicati all'art. 407, 2° comma, lett. a)

il giudice possa, su richiesta del p.m., disporre la sospensione

dei termini della custodia cautelare durante il tempo in cui sono

tenute le udienze o si delibera la sentenza, consentendo quindi,

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PARTE SECONDA

tra l'altro, a differenza del citato art. 297, 4° comma, il supera mento del c.d. tetto massimo della custodia cautelare;

3) che la diversa interpretazione prospettata nelle istanze, se

condo cui per «congelare» i termini della fase e non computare i giorni di udienza e della deliberazione della sentenza sarebbe

occorso sempre e comunque il provvedimento del giudice ex art. 304, 3° comma (con conseguente operatività limitata ai rea

ti di cui all'art. 407, 2° comma, lett. a), non poteva condivider

si perché in contrasto sia con il tenore letterale dell'art. 297, 4° comma, il quale, come già evidenziato, statuisce che detti

giorni vanno computati solo ai fini del c.d. tetto massimo, sia

con una corretta interpretazione sistematica della disciplina in

materia, poiché avrebbe reso del tutto superflua e priva di si

gnificato la previsione del citato 4° comma dell'art. 297;

4) che la motivazione della recente sentenza in materia emes

sa della Corte di cassazione (sez. I 11 febbraio 1991, Agate, Foro it., 1991, II, 273), sul punto, invero, di non facile lettura, non offriva significativi elementi argomentativi a sostegno della tesi sostenuta nelle istanze;

5) che, peraltro, il detto art. 297, 4° comma, ripete presso ché testualmente quanto disposto dall'art. 272, 9° comma, c.p.p.

1930, che non risulta aver mai dato luogo a contrasti interpreta tivi o ad interpretazioni diverse da quella nel presente provvedi mento ribadita;

6) che, infine, tale interpretazione trova conferma nella rela

zione al nuovo c.p.p., in cui si afferma che «si è poi prefissato un limite massimo per la durata complessiva della custodia cau

telare, dovendosi tener conto al riguardo dei giorni esclusi dal

computo nella fase del giudizio ai sensi dell'art. 297, 4° com

ma, . . .»

ritenuto che, poiché l'imputato di cui in premessa si trova

in stato di detenzione per il reato di cui all'art. 416 bis c.p. e poiché questa corte ha, in data 4 luglio 1990, emesso, su con

forme richiesta del p.m., ordinanza di sospensione dei termini

di entrata della custodia cautelare, ai sensi dell'art. 304, 2° e

3° comma, c.p.p., va adesso esaminato se e in che misura tale norma spieghi effetti nei confronti del predetto e come essa si

differenzi dal 4° comma dell'art. 297, anche alla luce del d.l.

10 marzo 1991 n. 60, definito di interpretazione autentica di

detti articoli del codice di rito e tenuto conto che, in materia, non risultano pronunzie del giudice di legittimità (al di là di quella già citata al punto 4 che, come si evince dalla relazione al disegno di legge n. 5496 presentato dal governo per la con

versione in legge del decreto-legge sopra menzionato, ha deter

minato la necessità di una interpretazione autentica delle dette

norme) e non ampia appare la dottrina:

ritenuto che, in argomento e con riferimento al caso che ci

occupa, i principali problemi interpretativi da risolvere sono due, e cioè innanzi tutto se l'ipotesi di sospensione ivi prevista operi solo in relazione al 4° comma dell'art. 303 c.p.p. (c.d. tetto

massimo della custodia cautelare) od anche in relazione alle c.d.

fasi intermedie del giudizio, disciplinate da altri commi dello

stesso art. 303 c.p.p., e, in secondo luogo, cosa deve intendersi

per «tempo in cui sono tenute le udienze. . .»; rilevato che il 2° comma, dell'art. 304 c.p.p. testualmente

recita: «I termini previsti dall'art. 303 possono altresì essere so

spesi, nella fase del giudizio quando si tratta dei reati indicati

nell'art. 407, 2° comma, lett. a), nel caso di dibattimenti parti colarmente complessi, durante il tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nel giudizio di primo grado o nel giudizio sulle impugnazioni»;

ritenuto che il tenore letterale della norma fa chiaro riferi

mento a tutti i termini previsti dall'art. 303 (con ovvia esclusio

ne di quelli relativi alla fase delle indagini preliminari, discen dente dalla previsione della stessa norma che la sospensione è

collegata ad attività svolte nel giudizio di primo grado e suc

cessivi); ritenuto che tale interpretazione trova conferma nella identi

ca dizione («i termini previsti dall'art. 303 sono sospesi») ado perata dal legislatore con riguardo alle altre ipotesi di sospen sione prevista dallo stesso articolo (1° comma, lett. a e b), so stanzialmente analoghe a quelle di cui al 7° comma dell'art. 272 c.p.p. 1930, che sono state dalla giurisprudenza pacifica mente ritenute operanti anche in relazione alle c.d. fasi interme

die (v. Cass, pen., sez. I, 18 febbraio 1982, n. 347) e che diver

samente non potrebbero interpretarsi, pena lo svuotamento di

qualisiasi funzione, atteso che ineriscono a comportamenti obiet

tivamente dilatori dell'imputato e del suo difensore, verificatisi

li Foro Italiano — 1992.

nella fase del giudizio ed incidenti, in primo luogo, sui termini

a tale fase relativi; ritenuto che tale interpretazione che, conformemente al teno

re letterale della norma, ritiene unitaria ed identica la disciplina delle varie ipotesi di sospensione previste dall'art. 304, risponde

perfettamente a quanto in materia affermato dalla direttiva n. 61 della legge delega, che dedica all'istituto della sospensione dei termini della custodia cautelare un unico passo, unitaria

mente considerando le varie ipotesi di sospensione e prevedendo «che i termini di durata massima delle misure possano essere

sospesi durante il dibattimento in relazione allo svolgimento ed

alla complessità dello stesso nonché a differimenti processuali non imposti da esigenze istruttorie e determinati da fatti riferi

bili all'imputato o al suo difensore»;

ritenuto, di contro, che nessuna previsione normativa induce

ad attribuire al comma in esame una efficacia limitata soltanto

al c.d. tetto massimo della custodia cautelare e che la dottrina

in materia, se, in alcuni casi, si è limitata ed evidenziare la più appariscente differenza rispetto all'art. 297, 4° comma, e cioè

la possibilità di superare il tetto massimo, è, nelle più appro fondite analisi della disciplina del nuovo codice, pervenuta, an

che da parte di autori certamente attenti ai profili di garanzia formale e sostanziale dei diritti della difesa e dell'imputato, a

conclusioni identiche a quelle qui esposte; ritenuto che neanche nelle relazioni al progetto preliminare

ed al testo definitivo del codice del 1988 è dato cogliere elemen

ti che inducano ad una interpretazione restrittiva del 2° comma

dell'art. 304 e che, anzi, possono semmai cogliersene di segno

contrario, posto che nella prima di tali relazioni, in riferimento

al 4° comma dell'art. 297, si evidenzia la più ampia portata, rispetto a quest'ultima norma, della direttiva n. 61 della legge

delega nella parte in cui giunge a consentire la soluzione della

sospensione dei termini di custodia «durante il dibattimento in

relazione allo svolgimento ed alla complessità dello stesso» e

che nella seconda espressamente si motiva l'inserimento nell'art.

304 dell'ipotesi di sospensione in esame, assente nel progetto preliminare, con l'esigenza di garantire una maggiore conformi

tà del testo alla direttiva sopra citata; ritenuto che elemento di valutazione contraria non può desu

mersi neanche dalla circostanza che nel testo definitivo dell'art.

304 è stato altresì introdotto il 4° comma, con la previsione di un limite massimo della custodia cautelare, posto che esso

opera con riferimento a tutte le ipotesi di sospensione, come

si evince dal testo stesso del citato articolo e come precisato nella relazione, la quale chiarisce come tale inserimento sia av

venuto «per sopperire ad una carenza della disciplina del pro

getto preliminare» (il quale, come già evidenziato, non prevede va l'ipotesi di sospensione in esame) e come tale comma sia «modellato sull'art. 272, 8° comma, del codice (allora) vigente»

(articolo, anche questo che non prevedeva, tra le ipotesi di so

spensione, quella di cui oggi ci si occupa); ritenuto, in ordine al secondo problema, relativo al significa

to da attribuire all'espressione, usata dal legislatore nel 2° com ma dell'art. 304, «durante il tempo in cui sono tenute le udien

ze», che non pare possa dubitarsi che essa abbia una più ampia portata rispetto a quella adoperata nel 4° comma dell'art. 297,

«giorni in cui si sono tenute le udienze»;

ritenuto, invero, che tale ultimo comma, che riproduce te

stualmente l'analogo 9° comma dell'art. 272 c.p.p. 1930 (ag giunto dall'art. 5 1. 17 febbraio 1987 n. 29), individua, nell'am bito della disciplina del computo dei termini di durata delle mi sure (come precisato dalla rubrica dell'articolo in questione), i singoli giorni dei quali, a cagione dell'attività processuale in essi svolta, non va tenuto conto nel conteggio da effettuarsi al fine di determinare se siano decorsi i termini di durata previ sti per le fasi intermedie, mentre il 2° comma dell'art. 304 indi vidua l'intero periodo di tempo durante il quale, essendo in

esso state tenute le udienze (purché, deve intendersi, nel rispetto della disciplina in materia dettata dal codice di rito — nella specie quello del 1930, trattandosi di procedimento rientrante nella previsione dell'art. 241 delle norme transitorie del nuovo

c.p.p. e non essendo l'art. 477 di quest'ultimo richiamato tra quelle di immediate applicazione — non potendosi rimettere al la mera discrezionalità del giudice la determinazione dell'ambi to temporale della sospensione dei termini) opera la sospensione stessa;

ritenuto, infatti, che è indubitabile che si versi in una ipotesi di sospensione, come espressamente detto nella rubrica dell'art. 304 e come inequivocabilmente confermato dalla identica termi

nologia (i termini sono sospesi «nella fase del giudizio, durante

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GIURISPRUDENZA PENALE

il tempo in cui . . .») adoperata anche in tutte le altre ipotesi di sospensione previste dallo stesso articolo e che, conseguente mente, anche alla prima vada applicata la disciplina propria dell'istituto generale della sospensione, secondo la quale in con

comitanza del verificarsi di un determinato fenomeno, e per tutto l'arco temporale in cui il fenomeno stesso si verifica, un determinato termine non decorra (principio costantemente ap

plicato dalla giurisprudenza formatasi, sotto la vigenza del co

dice del 1930, in relazione alle ipotesi di sospensione previste dall'art. 272, analoghe a quelle riprodotte nel 1° comma del

l'attuale art. 304 c.p.p.); ritenuto che il d.l. 1° marzo 1991 n. 60 nulla sostanzialmente

ha introdotto che possa indurre a conclusioni differenti;

considerato, infatti, come si evince dal complessivo contesto

dello stesso e come premesso nella relazione al disegno di legge di conversione, che tale decreto ha inteso specificamente chiari

re — in riferimento alla interpretazione data dalla già citata

sentenza della Corte di cassazione ed al fine di prevenire ulte riori applicazioni della normativa in questione divergenti da quella che era nelle intenzioni del legislatore — quale era la ratio «di

cui è chiaro cenno nelle relazioni che hanno accompagnato pri ma il progetto preliminare e poi il testo definitivo del nuovo

codice di rito» che aveva ispirato le cennate disposizioni; considerato che, sulla base di quanto da ultimo evidenziato

e dell'esame, in precedenza effettuato, delle dette relazioni, nes

sun intento restrittivo rispetto alla norma quale inserita nel co

dice, può cogliersi nel decreto in questione, quale potrebbe es

sere quello di limitare l'operatività della sospensione di cui al

2° comma dell'art. 304 al solo termine complessivo di cui al

4° comma dell'art. 303; considerato che, avuto riguardo alle cennate finalità del de

creto interpretativo, ciò che di essenziale quest'ultimo ha voluto

chiarire è che per il «congelamento» dei termini di fase previ

sto, con portata generale, dall'art. 297, 4° comma, non occorre

provvedimento alcuno del giudice, operando esso di diritto, men

tre il provvedimento è richiesto, per la sospensione di cui al 2° comma dell'art. 304, qualora ne ricorrano le specifiche con

dizioni ivi dettagliate; ritenuto che la circostanza che nell'effettuare tale puntualiz

zazione il legislatore interpretante abbia detto che l'art. 304, 2° comma, debba intendersi nel senso che «nella ipotesi di so

spensione ivi prevista, la durata complessiva della custodia cau

telare può superare i termini stabiliti nell'art. 303, 4° comma,

c.p.p.» comporta unicamente che il detto legislatore abbia indi

cato l'effetto massimo e più rilevante (particolarmente nella con

trapposizione con l'art. 297, 4° comma) della norma, ma non

che abbia escluso che, parimenti, la stessa sospensione — ricor

rendo i presupposti ed una volta emesso il provvedimento —

operi anche e con le stesse modalità, sui termini di fase;

ritenuto, anzi, che ciò è logicamente e naturalmente correlato

alla sospensione che si operi sul tetto massimo sia perché la

disposizione di cui all'art. 304, 2° comma, si pone in rapporto di specialità rispetto a quella dell'art. 297, 2° comma, che ha

carattere generale, sia perché, ove la sospensione dei tempi delle

udienze, di più ampia portata rispetto al «congelamento» dei

soli giorni di udienza di cui all'art. 297, 4° comma, non operas se sui termini di fase, difficilmente potrebbe ipotizzarsi un'effi

cacia, in concreto, sui termini complessivi;

ritenuto, conclusivamente sul punto, che il recente decreto

legge non limita in alcun modo la disciplina prevista dall'art.

304, 2° comma; ritenuto che il sistema cosi disegnato dal legislatore, in mate

ria, appare coerente e bilanciato poiché, da una parte, prevede un meccanismo di «congelamento» automatico, operante per tutti i reati ed i procedimenti, con effetti limitati ai termini delle fasi intermedie e, dall'altra, un meccanismo, operante solo in

specifici casi, sottoposti alla valutazione del giudice, di pochi titoli di reato, gravi e che destano particolare allarme sociale,

e di contestuale particolare complessità del dibattimento, che

ha più ampi effetti, incidendo anche, in misura maggiore, sui

termini di fase e consentendo pure lo sfondamento del tetto

complessivo, con l'invalicabile limite fissato dall'ultimo comma

dell'art. 304; ritenuto che, nel presente procedimento dovendosi applicare

la sospensione ex art. 304, 2° comma, come da ordinanza del

4 luglio 1990, a far tempo da tale data e pur tenendo conto

soltanto dei periodi in cui il dibattimento si è svolto secondo

le previsioni dell'art. 431 c.p.p. 1930 — con prosecuzione nel

Il Foro Italiano — 1992.

giorno seguente non festivo o con differimento di non più di

un giorno non festivo, in aderenza a quanto in detta norma

previsto —, cosa questa di norma verificatasi, i termini di cu

stodia cautelare previsti per la presente fase non sono, con rife

rimento alla imputazione di cui all'art. 416 bis c.p., ancora

decorsi; ritenuto che, anche con riferimento, ex art. 251 nome trans,

alle disposizioni previste dal codice del 1930, i termini non sono

scaduti, atteso che l'art. 272, per il reato in questione e per le fase del giudizio di primo grado prevede un termine di anni

uno mesi sei cui vanno aggiunti i giorni in cui si sono tenute

le udienze;

per questi motivi, rigetta l'istanza.

II

(Omissis). La difesa degli imputati Coppola Vincenzo, Cop pola Gennaro e Marisei Cosimo ha lamentato il mancato rispet to del termine di dieci giorni di cui all'art. 127.1 c.p.p. tra la notificazione ed il giorno fissato per la decisione sull'istanza

di proroga, di cui all'art. 127 c.p.p. Premesso che l'ulteriore

motivo di appello sviluppato nel corso della discussione in ca

mera di consiglio, consistente nell'affermazione che la notifica in questione non ha avuto luogo, non può essere esaminato in

questa sede perché tardivamente proposto (oltre che in contra

sto logico con quello esposto nell'atto di impugnazione), si os

serva che, come ha correttamente rilevato il p.m., l'art. 305.2

c.p.p. non contiene alcun richiamo al procedimento in camera

di consiglio ed alla relativa disciplina, dettata dall'art. 127, ma richiede semplicemente che il g.i.p., prima di provvedere sull'i

stanza di proroga della custodia cautelare, debba sentire le par

ti, tale onere potendosi ritenere assoluto ove il g.i.p. come risul

ta avere fatto alla luce dell'atto di appello in esame, abbia po sto tutte le parti in condizione di potere interloquire sul tema.

(Omissis)

III

Contrariamente a quanto affermato dal pretore nel suo prov vedimento del 13 agosto 1991 in realtà, nel caso di specie, il

termine massimo di durata della custodia cautelare nei confron

ti dell'Onorato non scade affatto il 29 agosto 1991. Invero, l'im

putato è attualmente imputato anche per il delitto di cui agli art. 624, 625, nn. 2 e 7, c.p., in relazione al quale — ex art.

625, ultimo comma, c.p. — è applicabile una pena massima

di anni 10 di reclusione (e rientrando le dette aggravanti tra

quelle c.d. ad effetto speciale, comportando esse un aumento

di pena detentiva superiore ad un terzo rispetto a quella, previ sta dall'ipotesi, di «fase» di cui all'art. 624 c.p.).

Orbene, va evidenziato che — come opinato dalla più recente

giurisprudenza della Suprema corte (Cass. 22 maggio 1990, Sil

vestri, Foro it., 1990, II, 555; 9 maggio 1990, Dragutinovic, ibid., 554; 23 maggio 1990, Piras, id., 1991, II, 4, nonché — tra i giudici di merito — Pret. Roma, ord. 3 ottobre 1990 e

App. Lecce ord., 29 ottobre 1990, id., Rep. 1991, voce Misure

cautelari personali, nn. 176, 173; App. Firenze 21 maggio 1990,

ibid., n. 174), in virtù dell'art. 278 c.p.p. 1988, per la determi

nazione della pena — anche ai fini del computo dei termini

massimi di custodia cautelare — ex art. 303 c.p.p. — deve farsi

riferimento al fatto - reato «principale», costituente «il reato

per cui si procede», tenendo conto soltanto delle aggravanti non

ordinarie e delle attenuanti di cui all'art. 62, n. 4, c.p. (non rilevante nel caso di specie), omettendo ogni riferimento al rea

to accertato nel giudizio, frutto della comparazione di tutte le

circostanze riconosciute applicabili. La conclusione accennata

non implica che la nuova normativa processuale, ai fini della

durata delle misure cautelari, escluda la rilevanza giuridica delle

modifiche della qualificazione giuridica del fatto in seguito a sentenza di condanna: invero, a mente del combinato disposto

degli art. 278, 289 e 303 c.p.p., il computo in subiecta materia

andrà sempre effettuato sulla bsse del reato «per cui si proce

de», che — dopo la sentenza di primo grado — potrebbe anche

essere diverso (più o anche meno grave), rispetto al reato origi nariamente contestato, fermo restando che, in ogni caso, per la determinazione della pena dovrà tenersi conto (solo) dei cri

teri (inderogabili), indicati dall'art. 278 c.p.p.

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PARTE SECONDA

Preme evidenziare che la vigente normativa non prevede più una norma analoga a quella già contemplata dall'art. 275 c.p.p.

1930, secondo cui i termini massimi di custodia andavano com

putati in riferimento alla pena prevista per il reato concreta

mente ritenuto in sentenza (come, del resto, opinato anche dal

la prevalente giurisprudenza). Invero, gli art. 278 e 280 c.p.p. 1988 considerano rilevanti

per le finalità cautelari (fatta eccezione per le statuizioni in te

ma di stupefacenti ex d.l. 247/91) unicamente la gravità del

fatto «principale», e le peculiari circostanze aggravanti (tra cui

quelle ad effetto speciale) produttrici di una significativa modi

ficazione (in peius) del disvalore giuridico complessivo del fatto di reato, attribuito al destinatario della misura, (oltre che l'atte

nuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p., inapplicabile nella fattispe cie concreta).

Del resto, sebbene nell'art. 278 c.p.p. 1988 manchi un esplici to riferimento ai termini di custodia cautelare (contenuto, inve

ce, nell'abrogato art. 255 c.p.p. 1930) la generica formulazione contenuta nella norma in esame consente di riferire il termine

«applicazione» non solo al momento dell'«adozione» della mi

sura, ma anche a quello dell'«attuazione» di essa, ai sensi e

per gli effetti di cui all'art. 303 c.p.p. 1988. Non ignora lo scrivente che la tesi contraria a quella qui se

guita è stata affermata — se pur isolatamente e succintamente — da Cass. 25 gennaio 1990, Hernandez (id., 1990, II, 306) e da vari autori in dottrina.

In verità, in assenza di precisi agganci normativi, in dottrina, si è fatto riferimento ad esigenze di coerenza logica e di confor

mità ai principi costituzionali, dovendosi evitare opzioni erme

neutiche peggiorative per l'imputato rispetto a quelle consolida

tesi nella vigenza del c.p.p. 1930.

Ma non sembra a chi scrive che — ai sensi dell'art. 12, 1°

comma, disp. prel. c.c. — il chiaro testo letterale delle citate

norme del nuovo c.p.p. possa essere pretermesso, dando preva lenza a criteri ermeneutici logico-sistematici. E d'altronde —

seppur come osservato in dottrina — in subiecta materia l'art.

304, ultimo comma c.p.p. faccia riferimento al «reato (. . .) ritenuto in sentenza», com'è già stato osservato tale è quello che qualifica l'imputazione, ma non quello che ne quantifica il peso, in relazione al quale l'art. 278 c.p.p. detta le evidenziate

precise e specifiche regole. Del resto — volendo utilizzare un argomento interpretativo

sistematico — l'operatività di una normativa in materia di ter

mini di custodia cautelare (parzialmente) — più sfavorevole per

l'imputato rispetto a quella già fissata dal c.p.p. del 1930 (cosi come interpretata in giurisprudenza) non deve apparire una con

traddizione o indice di una inaccettabile involuzione legislativa.

Invero, se l'adozione dei provvedimenti restrittivi della libertà

personale è ora sottoposto ad un ampio contraddittorio tra le

parti, con la possibilità di tempestive impugnazioni, la sussi

stenza di tali rafforzate garanzie procedurali ben può giustifica re — sul piano logico e costituzionale — la vigenza di una nor

mativa relativa alla durata massima della custodia cautelare (ra

gionevolmente) più sfavorevole per l'imputato. Tanto premesso, in fatto va considerato che l'Onorato è sta

to condannato ex art. 444 c.p.p. ad otto mesi di reclusione ed

al pagamento di lire 400.000 di multa per furto aggravato (ex art. 625, nn. 2 e 7, c.p.), nonché per tre furti aggravati ex art.

625, n. 4, ultima parte, c.p., unificati tutti nel vincolo della

continuazione ed assumendo come reato-base più grave, ex art.

81, cpv., c.p. la detta ipotesi pluriaggravata. Ne consegue l'applicabilità del disposto normativo dell'art.

303, 1° comma, lett. c), n. 2, c.p.p., in quanto nel caso di

specie si procede anche per un delitto (quello ex art. 624, 625, nn. 2, 7, c.p.) caratterizzato da una pena superiore nel massimo

a quella di sei anni, la cui sussistenza è stata dichiarata in sen

tenza, senza il contestuale riconoscimento — a mente dell'art.

278 c.p.p. — dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p. È,

quindi, da escludere l'operatività dell'art. 303, 1° comma, lett.

c), n. 1, c.p.p., valida, al più, soltanto per le ipotesi ex art.

624, 625, n. 4, ultima parte, c.p., per cui pure si procede nei

confronti dell'Onorato.

Preme, infine, evidenziare che nel computo del termine di

durata della custodia cautelare c.d. di fase, compreso tra la de

libera della sentenza e la pronuncia di grado superiore, non va

tenuto conto — a mente dell'art. 1 1. 22 aprile 1991 n. 133 — del periodo impiegato per la stesura della motivazione.

Orbene, è pur vero che tale periodo è pari ora a giorni quin dici, ex art. 6 1. cit.; ma — contrariamente a quanto affermato

li Foro Italiano — 1992.

nel detto provvedimento interinale adottato dal pretore — tale

lasso di tempo non opera necessariamente nella sua interezza,

quale causa di sospensione del detto termine di fase.

Invero, se la motivazione della sentenza viene depositata (co me è accaduto nel caso di specie) tredici giorni dopo la lettura

del dispositivo, la durata del detto periodo di quiescenza non

può protrarsi ulteriormente per due giorni (ossia per tutto il

lasso di tempo, previsto dall'articolo cit.), non avendo ciò alcu

na giustificazione logico-giuridica, e determinandosi cosi, un il

legittimo aggravio della posizione dell'imputato in vinculis, con

trario alla ratio ispiratrice dell'istituto de quo. A parere dello scrivente, il termine in questione deve essere

interpretato non in modo «statico», ma «dinamico»: infatti, il

lasso di tempo di quindici giorni previsto dall'art. 6 1. 133/91, costituisce il periodo legale massimo di (valido) «congelamen to» del termine di «fase» della custodia cautelare compreso tra

la data della lettura del dispositivo e quella del deposito della

motivazione; sicché, il deposito della motivazione della senten za avvenuto dopo il quindicesimo giorno deve considerarsi sul

piano della quiescenza temporale del termine di custodia caute

lare tamquam non esset, in danno dell'imputato detenuto (salvo che ritualmente sia stato adottato provvedimento ex art. 544, 3° comma, c.p.p.).

Ma, d'altro canto, appare ragionevole e (costituzionalmente

giustificato) intendere — in applicazione della regola del favor libertatis — il termine de quo come «mobile» esclusivamente

in favore del prevenuto, nel senso che il deposito della motiva

zione avvenuta prima del decorso dei quindici giorni, di cui al

l'art. 6 1. 133/91 (modificativo dell'art. 544, 2° comma, c.p.p.) determina — in pari misura temporale — l'anticipato esauri

mento della sospensione legale del termine (di fase) di custodia

cautelare, di cui all'art. 1 1. 133/91. Tale opzione interpretati

va, peraltro, non è minimamente smentita dal dato letterale del

la norma e risponde — come detto — alla ratio giustificativa dell'istituto introdotto dall'art. 1 1. 133/91, che non può com

portare un formalistico sbilanciamento ermeneutico sfavorevole

all'imputato, non previsto espressamente dalla legge.

TRIBUNALE DI PALERMO; TRIBUNALE DI PALERMO; ordinanza 3 aprile 1992; Pres.

ed est. Ingargiola; imp. Aponte ed altri.

Giudizio penale (atti preliminari al) — Liste testimoniali — Estre

mi (Cod. proc. pen., art. 468).

L'indicazione, nella lista testimoniale, delle circostanze sulle quali ciascun teste deve essere sentito è finalizzata a consentire al

presidente di escludere le prove vietate dalla legge e quelle

manifestamente sovrabbondanti, nonché a consentire alla con

troparte la deduzione di prove contrarie e la preparazione della

più adeguata strategia difensiva; entrambe le finalità risulta no tutelate anche qualora la lista non contenga una specifica

capitolazione dei temi di prova, sicché anche in tale ipotesi essa va dichiarata ammissibile. (1)

II

PRETURA DI BARI; sentenza 4 giugno 1992; Giud. De Feo; imp. Capriati.

Giudizio penale (atti preliminari al) — Liste testimoniali — Estre mi (Cod. proc. pen., art. 468).

L'art. 468, 1° comma, c.p.p. non impone una specifica capito lazione delle posizioni di prova analoga a quella prevista per il processo civile; ne consegue che, se la finalità della norma

è quella di evitare l'introduzione di prove a sorpresa, deve

ritenersi sufficiente il richiamo ai fatti descritti in atti noti al giudice e alle parti, che soddisfa pienamente tale finalità. (2)

(1-2) Le pronunce in rassegna si iscrivono nell'alveo della prevalente giurisprudenza in materia, che ha ritenuto ammissibile la lista testimo niale anche laddove l'indicazione delle circostanze su cui deve vertere

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