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ordinanza 5 dicembre 1979; Giud. SaraceniSource: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp.353/354-361/362Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171593 .
Accessed: 25/06/2014 00:17
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GIURISPRUDENZA PENALE
fine di provocarne il flusso mestruale ha trovato netta smentita
nelle dichiarazioni rese dalla Bellamalina, nonché nel referto me
dico in atti. In particolare in sede di istruttoria dibattimentale la
Bellamalina ha precisato che l'Uggeri, perfettamente a conoscen
za dello stato di gravidanza in cui la stessa versava, aveva eseguito l'intervento abortivo in esame, mediante l'utilizzazione di idonei
strumenti meccanici che avevano provocato la dilatazione del
l'utero e la conseguente espulsione e morte del prodotto del con
cepimento.
Il referto medico in atti, nel quale è formulata diagnosi di abor
to incompleto, elimina infine ogni dubbio in ordine al preesi stente stato di gravidanza della Bellamalina nonché in ordine
alla natura ed alle conseguenze della pratica eseguita. Peraltro dal
le dichiarazioni rese dalla Manna Anna è risultato che l'Uggeri venne contattata esplicitamente dalla prima al fine di eseguire
l'intervento in questione. L'entità della somma percepita dal
l'Uggeri per l'esecuzione della pratica in oggetto costituisce infine
ulteriore elemento di prova a carico della stessa.
È da ritenere altresì pienamente provata, alla luce dell'esperita
istruttoria, la compartecipazione causale e volontaria della Manna
alla produzione dell'evento in esame. In realtà il determinante
contributo recato dalla giudicabile mettendo in contatto la Bella
malina con l'Uggeri ed offrendo la propria casa di abitazione per
l'esecuzione dell'intervento, nonché l'indubbia rappresentazione e
volontà di contribuire con la propria azione alla produzione del
l'evento, integrano gli estremi tutti richiesti per la sussistenza,
nell'ipotesi in esame, del concorso della Manna in ordine al reato
contestato in epigrafe. È peraltro intuitivo ritenere altresì' che par te della somma incassata dall'Uggeri sia stata riscossa dalla Manna,
nonostante il silenzio della prima in ordine alla persona benefi
ciaria della somma suddetta. Ricorrono pertanto nel caso di spe cie e in ordine all'imputata Uggeri e in ordine alla giudicabile
Manna Anna gli estremi tutti del reato contestato in epigrafe. Per
quanto concerne la misura della pena da applicare in concreto
la considerazione dell'età particolarmente avanzata dell'Uggeri,
saputo peraltro di modeste condizioni economiche, certamente non
paragonabile ai tristemente noti cucchiai d'oro, rende opportuno
determinare la pena da infliggere all'imputata predetta in misura
particolarmente modesta in rapporto all'oggettiva gravità del fat
to. Pertanto, tenuto conto dei criteri dettati dall'art. 133 cod. pen.,
concesse altresì le attenuanti generiche, altresì i modesti prece denti penali della giudicabile pena adeguata stimasi quella di
mesi tre di reclusione (p. b. m. 4-62 bis, m. 3).
Per quanto concerne Manna Anna, considerati i criteri di cui
sopra, concesse altresì' le attenuanti generiche, in conseguenza del
la assenza di precedenti penali della prevenuta, pena adeguata
stimasi quella di mesi due di reclusione (p. b. mesi 3 - 1/3 62 bis =
mesi due). Alla condanna consegue l'obbligo delle giudicabili di
pagare in solido le spese processuali.
Per quanto concerne l'imputazione formulata a carico di Bella
malina Vincenza (e non già Maria come erroneamente indicato
nel referto nonché nel rapporto in atti) ritiene questo pretore che
ricorrono nel caso di specie gli estremi tutti per l'applicabilità
dell'esimente di cui all'art. 54 cod. penale.
In via preliminare non può non rilevarsi che l'addebito mosso
alla Bellamalina non concerne l'insussistenza di quelle circostanze
andavano incontro le donne e le pesanti responsabilità dei sanitari,
inviava un dettagliato ed allarmato rapporto scritto al presidente ed
al direttore sanitario dell'ospedale. A questo punto, il 17 marzo 1980,
l'ospedale unilateralmente ed improvvisamente decide di non conti
nuare più ad effettuare interruzioni di gravidanza, e rimanda perciò indietro tutte le donne, molte delle quali in attesa d'intervento da va
rie settimane e già in lista ed accettate. La decisione viene motivata
con il fatto che l'amministrazione ospedaliera ha commissionato l'iste
rosuttore e si deve ora attendere che la ditta lo recapiti. La sospen
sione del servizio dura ormai da 11 giorni, l'isterosuttore (che è pos
sibile comprare sollecitamente in una qualsiasi ditta di strumenti sa
nitari), naturalmente, non è ancora arrivato, e l'ospedale ha chiuso
a tempo indeterminato le prenotazioni. A nulla è valsa l'offerta da
parte dell'AIED di mettere gratuitamente a disposizione, nel frattem
po, il proprio strumentario chirurgico. Alla lettera non è stato dato al
cun riscontro. A questo punto, il sottoscritto si rivolge alla s.v. ill.ma
affinché giudichi se nel comportamento del presidente e del direttore
sanitario dell'ospedale civile di Ceprano non si possa configurare, di fatto, una palese violazione della legge 22 maggio 1978 n. 194,
ovvero altra ipotesi di reato, tenendo altresì conto della drammatica
situazione per la donna che deve abortire, conseguente al sovraffol
lamento di tutti gli ospedali del Lazio ».
Il Foro Italiano — 1980 — Parte II- 24.
(condizioni economiche, sociali e familiari, stato di salute ... per le quali la prosecuzione della gravidanza comporterebbe un serio
pericolo per la sua salute fisica o psichica) in presenza delle
quali la donna può iniziare la procedura per ottenere l'aborto.
In realtà lo stato di nubile dell'imputata, la giovanissima età
della stessa, ancora studentessa al momento del fatto, il sicuro ri
fiuto da parte della famiglia della condizione di ragazza madre,
integrano gli estremi di quelle condizioni sociali, economiche, e
familiari in presenza delle quali a norma dell'art. 4 legge 1978
n. 194 la donna ha il diritto di abortire. Pertanto l'addebito che
viene mosso all'imputata concerne esclusivamente l'inosservanza
delle modalità (rilascio del certificato attestante lo stato di gravidan za da parte del medico del consultorio, della struttura socio sanita
ria o del medico di fiducia e l'esecuzione dell'intervento presso una delle strutture espressamente previste) indicate negli art. 5
ed 8 della legge 1974.
In realtà sia in fase istruttoria che dibattimentale la Bellama
lina ha giustificato la violazione delle norme sopra menzionate
indicando le circostanze in presenza delle quali si era trovata
nella necessità non altrimenti evitabile di ricorrere all'aborto ille
gale. L'imputata ha affermato infatti che il vano ricorso all'ospe dale di zona con l'unica prospettiva di essere inserita in lista d'at
tesa senza alcuna certezza, per il gran numero di prenotazioni, di poter abortire entro il termine di tre mesi previsto dalla legge;
l'impossibilità di tenere ulteriormente celato il proprio stato ai
familiari (il padre infatti, avuto notizia a seguito del ricovero
presso la clinica Mangiagalli del suo stato e dell'eseguito aborto,
la cacciava via di casa) la costrinsero a ricorrere all'aborto clan
destino, unico rimedio per far fronte ad una situazione ormai
insostenibile.
In verità le affermazioni della bellamalina hanno trovato og
gettivo, puntuale riscontro nella situazione sanitaria che venne a
determinarsi in Italia nei mesi immediatamente successivi all'en
trata in vigore della legge 194. Che la carenza, aggravata peraltro dall'altissima percentuale di medici-obiettori, di strutture sanitarie
idonee a far fronte alle reali esigenze abbia impedito in Italia
ad un gran numero di donne di abortire nelle strutture sanitarie
pubbliche, ricacciandole nella violenza dell'aborto clandestino è
dato di tale conclamata notorietà da potersi ritenere pacifica
mente dimostrato. In particolare da una indagine esperita dal
« Coordinamento per un controllo corretto della legge 194 » è
emerso che, a sei mesi dall'entrata in vigore della 194 (l'aborto in
esame è stato eseguito nel dicembre '78), tenuto conto del rap
porto fra nati ed aborti (1:1 o di 1:1,5), le strutture a Milano
erano state in grado di soddisfare solo circa la metà o 1/3 delle
richieste, sicché si è dedotto che il resto degli interventi era stato
ancora praticato nella clandestinità. Alla luce di tali considerazioni
è da ritenere pertanto pienamente provata l'esistenza, nell'ipotesi in esame, di quella situazione di danno grave alla persona che
scrimina la condotta di chi pone in essere un'azione oggettiva mente costituente reato al compimento della quale sia stato
costretto dalla necessità di salvare se stesso od altri dal pericolo
sópra menzionato.
Pericolo che, agli effetti della eliminazione dell'antigiuridicità della condotta, non deve limitarsi alla minaccia attuale dell'inte
grità fisica, ma si estenda invece, a tutta la personalità umana, il
cui sviluppo è garantito dalla stessa Carta fondamentale (art. 3 e 2).
Per questi motivi, ecc.
I
PRETURA DI ROMA; ordinanza 5 dicembre 1979; Giud. Sa
raceni.
PRETURA DI ROMA;
Sequestro per il procedimento penale — Stampa clandestina —
Registrazione postuma — Dissequestro — Legittimità — Fatti
specie (Cost., art. 21; cod. proc. pen., art. 622; legge 8 feb
braio 1948 n. 47, disposizioni sulla stampa, art. 5, 16).
Non sussistendo più il pericolo di non potere individuare i sog
getti responsabili deve essere disposto il dissequestra di un
periodico e la restituzione delle copie dello stesso agli aventi
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PARTE SECONDA
diritto allorquando ne sia stata effettuata la registrazione po stuma. (1)
II
PRETURA DI ROMA; decreto 21 dicembre 1979; Giud. Sa raceni.
Esecuzione penale — Ordinanza di restituzione delle cose seque strate — Inoppugnabilità — Incidente di esecuzione — Inconfi
gurabilità (Cod. proc. pen., art. 622, 624).
Sequestro per il procedimento penale — Stampa clandestina —
Dissequestro — Esecuzione — Istanza di sospensione — Ri
getto — Fattispecie (Cod. pen., art. 240; legge 8 febbraio 1948 n. 47, art. 16).
Non è impugnabile l'ordinanza che provvede sulla restituzione delle cose sequestrate, la quale, rivestendo carattere di provve dimento amministrativo, non risolve un incidente di esecu zione. (2)
Attesa l'inesistenza nel nostro ordinamento di un obbligo di con
fisca della stampa clandestina, va rigettata l'istanza intesa ad ottenere la sospensione dell'esecuzione del provvedimento di
dissequestro di un periodico, se basata sull'erroneo convinci mento che la perfezione della fattispecie criminosa di cui al l'art. 16 legge 8 febbraio 1948 n. 47 richieda il semplice inizio dell'attività rivolta alla divulgazione dello stampato clandestino, e non la pubblicazione del medesimo. (3)
(1,3) I. - Non constano precedenti editi in termini. Per riferimenti cfr. in generale Cass. 12 ottobre 1973, Tzaneco
Shipping co. Panama, Foro it., Rep. 1974, voce Esecuzione penale, n. 50 (nel senso che la mancanza di interesse della cosa sequestrata, ai fini dell'accertamento del reato, comporta l'obbligo della immediata restituzione della cosa al terzo proprietario, a meno che se ne debba disporre la confisca): 13 novembre 1972, Bisio, id., Rep. 1973, voce
cit., n. 30 (nel senso che le cose sequestrate all'imputato, nella di sciplina stabilita dall'art. 622 cod. proc. pen., possano essere mantenute sotto sequestro sino a che sia necessario per il procedimento o a garanzia dei crediti di cui all'art. 189 cod. pen., ovvero sono de volute allo Stato, se ne è stata ordinata la confisca).
Sul reato di cui all'art. 16, 1° comma, legge sulla stampa v. Cass. 28 gennaio 1975, Bottari, id., Rep. 1975, voce Stampa, n. 14 (viene dichiarata l'irrilevanza della determinabilità in altro modo delle per sone dello stampatore o dell'editore, i cui nomi non siano comparsi sullo stampato); 24 maggio 1971, Vicario, id., Rep. 1972, voce cit.r n. 17 (configurabilità di questo reato anche se sia stata omessa sol tanto l'indicazione dello stampatore); 14 ottobre 1964, Vicari, id., Rep. 1965, voce cit., n. 15 (nel senso della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli art. 2 e 16 legge 8 febbraio 1948 n. 47, circa l'obbligatorietà dell'indicazione dei nomi dell'editore e dello stampatore sugli stampati atteso che il suddetto obbligo non si risolve in un limite alla libera manifestazione del pen siero, ma risponde ad una legittima esigenza di controllo); Pret. Ro ma 1° giugno 1955, id., Rep. 1956, voce cit., n. 48 (nel senso della non punibilità dell'inosservanza delle norme prescritte per la pubbli cazione dei giornali, qualora si tratti di stampati la cui diffusione sia limitata ad un determinato numero di persone, con divieto di divul gazione ulteriore); Cass. 20 marzo 1952, Cortinois, id., Rep. 1952, vo ce cit., n. 27 (secondo la quale, la locuzione « intraprende », adottata nell'art. 16, non deve essere interpretata nel senso strettamente psi cologico di « iniziare per la prima volta » ma nel senso anche di « continuare a pubblicare » come impone la logica interpretazione della mens legis in via estensiva); Trib. Ravenna 10 gennaio 1952, id., 1952, II, 46, con nota di Falbaci (nella specie, viene esclusa la possibilità di concorso tra i reati di cui agli art. 16 e 17 legge sulla stampa considerato che il primo articolo, dando la nozione di stam pa clandestina, assorbe il reato di cui al secondo, in quanto com
prende implicitamente le inesattezze e le omissioni, da questo perse guite, che sostanziano un aspetto della clandestinità); Cass. 24 giu gno 1950, Bon, id., Rep. 1951, voce cit., n. 37.
Corte cost., ord. 23 aprile 1974, id., 1974, I, 1886, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità degli art. 5 e 16 legge 8 febbraio 1948 n. 47, in riferimento agli art. 3 e 21 Cost, (in ciò confermando un precedente orientamento: v. Corte cost. 26 gennaio 1957, n. 31, id., 1957, I, 323).
Nel senso che l'aspetto soggettivo dello stampato vada riguardato nel momento in cui esso esce dalla sfera di disponibilità dello stam patore e diviene accessibile ad un numero indeterminato di persone, e non nel momento successivo della diffusione della stampa stessa, v. Cass. 13 giugno 1973, id., Rep. 1974, voce cit., n. 10.
In dottrina, sul punto, v. Nuvolone, Il diritto penale della stampa, Padova, 1971, 141 seg. L'autore, esclusa la configurabilità del tenta tivo, in quanto il reato di cui trattasi è di pura omissione (op. cit., 48), interpreta l'inciso « intraprende la pubblicazione » nel senso di
I
Il Pretore, ecc. — Letti gli atti del procedimento n. 6480/79, letta l'istanza della difesa in data 4 dicembre 1979, premesso: che del periodico « 7 Aprile » n. 4, in relazione al quale la poli zia giudiziaria aveva segnalato la violazione degli art. 5 e 16 della
legge 1948 n. 47, è stato disposto il sequestro dal procuratore della Repubblica di Roma — in via di urgenza, al di fuori di
« iniziare la pubblicazione », e cioè far uscire un giornale dalla sfera della disponibilità privata dello stampatore e del proprietario per destinarlo al pubblico (op. cit., 143).
II. - Nell'ultima parte della motivazione del provvedimento di ri getto dell'istanza del pubblico ministero, è citata Corte cost. 27 mar zo 1975, n. 82, Foro it., 1975, I, 1047 ed in Riv. dir. proc., 1975, 729, con nota di Fassone.
Nell'occasione la corte, dichiarando incostituzionale, in riferimento all'art. 21 Cost., l'art. 622, ult. comma, cod. proc. pen., nella parte in cui non impone la restituzione del film sequestrato nelle ipotesi di sentenza di proscioglimento per mancanza di oscenità, impugnata dal pubblico ministero, si orientò nel senso che il film, quale opera di pensiero, non possa essere annoverato tra le cose di cui debba, in ogni caso, essere ordinata la confisca a norma dell'art. 240, n. 2, cod. pen., non avendo in sé quel connaturale carattere di illiceità che la norma richiede per l'obbligatoria adozione di tale misura.
Secondo Trib. Roma 24 novembre 1975 (Foro it., 1976, II, 63, con nota di richiami), anche in caso di assoluzione dell'imputato deve negarsi la restituzione di cose sequestrate di cui dovrebbe ordinarsi la confisca in caso di condanna, quando l'assoluzione sia dovuta al l'applicazione di una esimente soggettiva e la sentenza non sia an cora definitiva.
Sulla nozione ed i requisiti della confisca obbligatoria, v., poi, Cass. 12 dicembre 1977, Rizzo, id., Rep. 1978, voce Misure di sicurezza, n. 16.
Sul problema della confisca obbligatoria in generale, v. da ultimo, in dottrina, Massa, Confisca (dir. e proc. pen.), voce deW'Enciclope dia del diritto, 1961, Vili, 985 seg.
(2) Circa l'impugnabilità non del decreto di sequestro penale, ma dell'ordinanza che decide sull'incidente di esecuzione avverso di esso proposto v. Cass. 18 maggio 1979, Ciotola, Foro it., 1979, II, 225, con nota di richiami e Cass. 17 maggio 1979, Rodriquez, id., 1980, II, 19, con nota di richiami.
Secondo Cass. 7 aprile 1979, Casale, Mass. Cass. peti., 1979, 440, l'or dinanza con la quale il giudice, prima della sentenza, provvede sul l'istanza di restituzione delle cose sequestrate, è emessa de plano ai sensi dell'art. 624 cod. proc. pen., e per essa non è previsto dalla legge alcun mezzo d'impugnazione. Trattandosi di provvedimento di carattere amministrativo è suscettibile soltanto di opposizione davanti allo stesso giudice che lo ha emesso, e, ove sia seguito il rito degli incidenti di esecuzione, solo l'ordinanza con cui il giudice decide
sull'incidente, per l'art. 631 cod. proc. pen., è suscettibile di ricorso; secondo Cass. 29 settembre 1977, Pilo, Foro it., Rep. 1978, voce Cas sazione penale, n. 8, contro il provvedimento emesso de plano non è ammissibile il ricorso per cassazione, essendo, avverso tale pronuncia, proponibile soltanto l'incidente di esecuzione; secondo Cass. 18 no vembre 1974, Nardi, id., Rep. 1975, voce Sequestro pen., n. 22, te stualmente: contro il decreto di sequestro del giudice e ogni altro provvedimento relativo alle cose sequestrate non è prevista alcuna impugnazione; tali provvedimenti, tuttavia, sono solo opponibili nel la forma degli incidenti di esecuzione davanti allo stesso giudice che li ha emessi e l'ordinanza decisoria dell'incidente è ricorribile per cassazione.
Per una migliore informazione, si riportano di seguito i motivi con cernenti il ricorso per cassazione proposto dalla procura della Repub blica di Roma avverso il provvedimento di dissequestro del periodico « 7 Aprile ».
* ♦ *
« I) Motivi di ammissibilità. - Il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di dissequestro emesso dal Pretore di Roma in da ta 5 dicembre 1979 deve ritenersi ammissibile in base ai seguenti principi: A) contro il decreto di sequestro penale è proponibile incidente di esecuzione, a norma dell'art. 628 cod. proc. pen. (v. Cass., Sez. I, 24 gennaio 1962, Bonaso, Foro it., Rep. 1962, voce Se questro pen., n. 12); B) il procedimento per gli incidenti di esecu zione stabilito dall'art. 630 cod. proc. pen. non è integralmente appli cabile all'incidente di esecuzione proposto dinanzi al pretore: infatti, poiché il pretore cumula le funzioni di organo giudicante e di pubbli co ministero, può dare corso anche d'ufficio alla procedura incidentale e non deve comunicare alcun avviso, relativo alla data fissata per la deliberazione dell'incidente, né al p. m. presso la pretura, non essendo questo costituito in organo distinto, né al procuratore della Repubblica, non essendo tale adempimento richiesto dalla legge (v. Cass., Sez. Ili, 16 gennaio 1957, De Mais, id., Rep. 1957, voce Incidenti di esecuzio ne pen-, n. 55; 21 maggio 1958, Patalano, id., Rep. 1958, voce Ese
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GIURISPRUDENZA PENALE
una competenza propria, trattandosi di reato di competenza pre torile — con provvedimento del 22 novembre 1979, che faceva riferimento alla qualità di corpo del reato del numero periodico sequestrato; considerato che il sequestro — a prescindere dalla sussistenza del reato de quo, da verificarsi alla stregua dell'allega zione difensiva secondo la quale il sequestro stesso sarebbe stato
cuzione pen., n. 62); C) il pretore, quindi, può provvedere anche de plano in ordine ad incidente di esecuzione proposto con istanza del l'interessato: in ogni caso, contro il provvedimento emesso de plano, senza la osservanza delle forme degli incidenti di esecuzione, è pro ponibile il ricorso per cassazione, a norma dell'art. 631, 2° comma, cod. proc. pen. (v. Cass., Sez. I, 24 marzo 1958, Lucatello, ibid., voce impugnazioni pen., n. 32; 29 maggio 1958, De Angelis, ibid., voce Esecuzione pen., n. 74); D) l'ordinanza emessa dal pretore in sede di esecuzione è impugnabile anche da parte del pubblico ministero presso il tribunale del circondario (v. Cass., Sez. II, 16 giugno 1971, Buglione, id., Rep. 1972, voce cit., n. 59); E) poiché — secondo quan to specificato al punto B) — il pretore non deve comunicare al pub blico ministero alcun avviso in ordine alla data fissata per la delibe razione dell'incidente, non deve essere neppure comunicata « al pub blico ministero » l'ordinanza con cui il pretore decide sull'incidente di esecuzione; pertanto il termine per proporre ricorso per cassazione è quello di venti giorni dalla pronuncia del provvedimento, a norma degli art. 631, 2° comma, 524, 2° comma, 190, ult. comma, e 199, 4° comma, cod. proc. penale.
Dai principi sopra esposti consegue che deve ritenersi ammissi bile e tempestivo il presente ricorso per cassazione contro il prov vedimento del Pretore di Roma in data 5 dicembre 1979 con il quale, ad istanza del difensore dell'imputato, veniva ordinato il dissequestro del periodico « 7 Aprile » n. 4, dovendosi tale provvedi mento configurare quale ordinanza con cui il pretore ha deciso sul l'incidente di esecuzione proposto ad istanza dell'interessato contro il decreto di sequestro penale emesso in via d'urgenza dal procu ratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma in data 22 novembre 1979.
II) Motivi di fondatezza. - Il pretore ha erroneamente ritenuto che « neppure il sequestro potrebbe giustificarsi sotto il profilo del l'art. 240 cod. pen. (confisca). È da escludere, palesemente, che un periodico possa rientrare fra le * cose ' di cui al 2° comma del citato articolo ». La erronea applicazione dell'art. 240, comma 2°, n. 2, cod. pen. in relazione all'art. 16 legge 8 febbraio 1948 n. 47 ap pare evidente in base alle seguenti considerazioni: A) secondo la definizione di stampa o stampato, contenuta nell'art. 1 legge 8 feb braio 1948 n. 47, « sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque otte nute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo de stinate alla pubblicazione ». La nozione di stampa, pertanto, consta di due elementi: uno materiale, costituito da « cose » riprodotte attraverso un processo tecnico suscettibile di rapida reiterazione; l'al tro funzionale, rappresentato dalla destinazione delle cose suddette alla pubblicazione. La stampa, quindi, è costituita da cose desti nate alla pubblicazione (la stampa, intesa quale mezzo di manife stazione del pensiero, costituisce indubbiamente la ratio della parti colare tutela ad essa accordata, ma esula dalla sua nozione tecnico giuridica). Tale nozione, da un punto di vista strutturale, non è esclusiva della stampa, ma trova corrispondenza in altre nozioni ac colte dalla legge penale: ad esempio, a norma dell'art. 585, comma 2°, cod. pen. « per armi s'intendono: 1° quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l'offesa alla persona ». Anche le armi, quindi, sono cose destinate all'offesa alla persona; B) il reato di stampa clandestina rientra nella categoria dei « reati di stampa », distinta dalla categoria dei « reati commessi col mezzo della stam pa » : ciò significa che nel reato di stampa clandestina la stampa viene in considerazione in sé, nel senso obiettivo e materiale di cosa
riprodotta destinata alla pubblicazione, e non già con riferimento alla pubblicità quale mezzo esecutivo del reato. Tale inquadramento sistematico, considerato in relazione all'art. 240 cod. pen., comporta che nel caso in esame è la stessa fabbricazione della stampa, intesa quale res destinata alla pubblicazione, che costituisce reato (art. 240 capov. n. 2, cod. penale). Peraltro, lo stesso termine « fabbricazione » non è estraneo alla materia della stampa, ricorrendo, ad esempio, nel l'art. 528 cod. pen. (pubblicazioni e spettacoli osceni) che punisce « chiunque allo scopo di farne commercio ... fabbrica ... scritti, di
segni, immagini od altri oggetti osceni di qualsiasi specie »; C) alla luce delle considerazioni sopra esposte la norma dell'art. 16 legge 8 febbraio 1948 n. 47 — secondo cui « chiunque intraprende la pub blicazione di un giornale o altro periodico senza che sia stata éseguita la registrazione prescritta dall'art. 5, è punito ...» — deve essere cor rettamente interpretata nel senso che il reato, avente carattere istan taneo, si perfeziona nel momento in cui si dia inizio all'attività ri volta alla divulgazione, prescindendosi dalla effettiva diffusione (pe raltro, nella specie, risulta dagli atti che il periodico fu effettiva mente posto in vendita).
I fatti verificatesi successivamente (domanda di registrazione del l'interessato, decreto di registrazione del tribunale) non assumono
operato prima dell'uscita del periodico dalla tipografia — non ha
più ragione d'essere una volta che, secondo quanto preannunciato nel numero del periodico sequestrato, al Tribunale di Firenze è stata registrata (siccome confermato dalla cancelleria di quel tri
bunale) una testata con direttore responsabile coincidenti con le indicazioni riportate nel numero stesso. Tale registrazione « po stuma », se non vale ad escludere la sussistenza dell'eventuale reato di cui al citato art. 16, fa venir meno le ragioni di cautela
che potrebbero giustificare il permanere del sequestro stesso, in
quanto fornisce la certezza della conformità al vero delle indica zioni dei responsabili. Nel nostro ordinamento, invero, alla diffu
sione della stampa è accordata particolare tutela, cui è lecito de
rogare solo in casi eccezionali. L'art. 21 Cost., esclusa in via
generale la legittimità di qualsivoglia forma di censura pre ventiva, prevede infatti il sequestro della stampa solo in casi ec
cezionali, tra cui quello della violazione delle norme sulla indi cazione dei responsabili. L'adozione della cautela processuale è, in tal caso, giustificata dalla esigenza di prevenire il pericolo che attraverso la stampa c. d. clandestina (cioè priva dell'indicazione
dei responsabili) si possano commettere reati (o ledere comunque interessi di terzi) senza che se ne possano individuare gli autori. La registrazione prescritta dall'art. 5 — in quanto diretta a ga rantire la conformità al vero delle indicazioni obbligatorie pre scritte dall'art. 2 — può ritenersi anch'essa preordinata all'indivi
duazione dei responsabili; la violazione della norma che la pre scrive può pertanto legittimare il sequestro ai sensi dell'art. 21 Cost.
Senonché, considerate, da un lato, le ricordate ragioni di tu tela privilegiata della diffusione della stampa e, dall'altro lato, le accennate ragioni giustificatrici del sequestro, l'uso del relativo
potere discrezionale da parte dell'autorità giudiziaria dovrebbe essere non solo adeguatamente motivato — in adempimento del
precetto costituzionale — ma anche riservato ai casi in cui il pe ricolo che gli autori rimangano anonimi sia effettivo e concreto. Tale pericolo cioè, se, in quanto astratta ragione di politica crimi
nale, che ispira la norma incriminatrice, non può essere ovvia mente sindacata dal pubblico ministero ai fini dell'esercizio obbli
gatorio dell'azione penale, deve essere invece responsabilmente valutato in concreto ai fini dell'esercizio del poter discrezionale di sequestro.
Sicché, anche in difetto di registrazione, il sequestro potrebbe essere evitato ove l'autenticità delle indicazioni dei responsabili fosse determinabile aliunde. Ma, se il provvedimento di sequestro
è, in mancanza di registrazione, questione di opportuna discre
zionalità, sarebbe sicuramente arbitrario il protrarsi del seque stro stesso in presenza di una registrazione postuma, che fa ca dere le eventuali ragioni di pericolo prima sussistenti. La regi strazione postuma insomma, come si accennava sopra, non vale ad escludere il reato in quanto non vale ovviamente a cancellare le astratte ragioni di politica criminale della fattispecie incrimi
natrice; vale però, evidentemente, a cancellare le concrete ragioni di pericolo che possano aver giustificato il sequestro.
Né il protrarsi del sequestro potrebbe giustificarsi sotto altri
profili. Non ai fini dell'art. 219 cod. proc. pen. (impedire il pro trarsi o le ulteriori conseguenze del reato), giacché, a differenza di altri casi in cui è eccezionalmente consentito il sequestro della
stampa — per esempio, pubblicazioni oscene — la circolazione del periodico non registrato non è in alcun modo penalmente rile
vante né sotto il profilo della permanenza, né sotto il profilo degli effetti del reato. Trattasi infatti di reato omissivo a con sumazione istantanea (la cui condotta sta non già nell'intrapresa
pubblicazione, che ne segna solo il momento consumativo, ma nell'omissione della registrazione) rispetto al quale non è in alcun modo configurabile una progressione criminosa.
evidentemente alcuna rilevanza, sia in ordine alla sussistenza del reato, sia in merito alla misura di sicurezza applicabile al corpo di reato.
Pertanto, ricorrendo nella specie l'ipotesi prevista dall'art. 240, capov., n. 2, cod. pen. il pretore non poteva legittimamente ordinare il dissequestro del periodico « 7 Aprile » n. 4, dovendo di questo ordinarsi obbligatoriamente la confisca, anche in mancanza di una pronuncia di condanna.
Per questi motivi, chiede che l'ecc.ma Corte suprema di cassa zione dichiari la nullità dell'ordinanza del Pretore di Roma n. 6480/79 in data 5 dicembre 1979, con la quale veniva ordinato il dissequestro del periodico « 7 Aprile » n. 4 e la restituzione imme diata delle copie dello stesso agli aventi diritto».
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PARTE SECONDA
Il permanere del sequestro, pertanto, potrebbe giustificarsi — al
la stregua della Costituzione che lo autorizza al fine di impedire
la circolazione anonima — solo in quanto permanga la situazione
di «clandestinità».
Neppure, il sequestro, potrebbe giustificarsi sotto il profilo del
l'art. 240 cod. pen. (confisca). È da escludere, palesemente, che
un periodico possa rientrare fra le « cose » di cui al secondo com
ma del citato articolo. Potrebbe altresì dubitarsi che esso rientri
fra le cose di cui al primo comma (che difficilmente si attaglia al reato omissivo).
Ma, pur ammettendo che vi rientri, decisivo è che in tal caso
la confisca è rimessa al potere discrezionale del giudice. L'uso
del potere discrezionale, per non sconfinare nell'arbitrio, deve
essere sorretto da ragioni che lo giustifichino alla stregua del
nostro ordinamento. E nel nostro ordinamento non solo non si
troverebbe una sola ragione che giustifichi la confisca del periodico con indicazione dei responsabili di sicura autenticità, ma se ne
trovano al contrario molte per giustificarne il divieto: prima fra
tutte, la più volte ricordata tutela costituzionale della diffusione
del pensiero attraverso la stampa. Né, infine, il sequestro di tutte
le copie del periodico ha alcuna funzione probatoria, ai cui fini
è sufficiente la copia acquisita agli atti.
In conclusione, il pretore ritiene che, acquisita la certezza del
l'autenticità delle indicazioni dei responsabili, il periodico deve
essere restituito agli aventi diritto.
Per questi motivi, ecc.
II
Il Pretore, ecc. — Sulla richiesta del procuratore della Repub blica di sospendere, ai sensi dell'art. 631, ult. comma, cod. proc.
pen., l'esecuzione del provvedimento di restituzione del periodico « 7 Aprile », in attesa della decisione della Corte di cassazione
su ricorso proposto dallo stesso p. m. contro il predetto provve
dimento, osserva: la sospensione dell'esecuzione dell'ordinanza
di cui all'art. 631 cod. proc. pen. presuppone un fumus di am
missibilità e di fondatezza del ricorso. Nella specie il ricorso pro
posto dal p. m. è, ad avviso del pretore, inammissibile. Infatti
« il provvedimento concernente la restituzione della cosa seque strata è un provvedimento de plano, di carattere amministrativo, e pertanto esso non è impugnabile » (Cas., Sez. II, 27 novembre
1974, imp. Furmai). Ai sensi dell'art. 207 cod. proc. pen. spette
rebbe pertanto al pretore dichiarare l'inammissibilità del ricorso.
Tuttavia il p. m. ha, in prevenzione, escogitato un'articolata tesi
con l'intento di dimostrare che il provvedimento di restituzione
del pretore è in effetti una ordinanza che risolve un incidente
di esecuzione. Il pretore, pur apparendogli la tesi insostenibile, non ritiene opportuno frustrare gli sforzi del p. m. che, del resto,
prevedibilmente impugnerebbe la declaratoria di inammissibilità.
Evidenti ragioni di economia processuale consigliano perciò di in
vestire sin d'ora del problema la Corte di cassazione.
È auspicabile anzi che la corte trovi il modo di premiare gli sforzi del p. m., entrando nel merito della questione sulla quale non risultano precedenti in termini.
Quanto al fumus del merito, il pretore prende atto che i punti diffusamente motivati del provvedimento di restituzione hanno
convinto il p. m., che non ne fa oggetto di critica nel ricorso. Il
pretore deve pertanto esprimere il suo rammarico per non avere
diffusamente motivato anche l'unico punto in relazione al quale il p. m. lamenta una violazione di legge. Può tuttavia addurre a
sua scusante l'essergli apparso di palmare evidenza che un pe
riodico diffuso senza previa registrazione non rientra fra le « co
se » di cui all'art. 240, 2° comma, cod. penale. Senonché, al p. m.
appare evidente il contrario, gli pare cioè che un periodico non
registrato — inteso come res, come corpus mechanicum, non
come « opera dell'ingegno » (con tali noti concetti è sintetizzabile
la diffusa premessa del p. m.) — rientra fra le cose di cui è vie
tata la fabbricazione e di cui è quindi obbligatoria la confisca
ai sensi, dell'art. 240, capov., n. 2, cod. penale.
La debolezza dell'affermazione del p. m. appare palese se si
considera che egli è costretto a sostenerla con l'argomentazione
conclusiva (e decisiva ai fini della qualificazione criminosa della
« fabbricazione ») che il reato di cui all'art. 16 legge sulla stampa « si perfeziona nel momento in cui si dia inizio all'attività rivolta
alla divulgazione, prescindendosi dalla effettiva diffusione ». Tale
opinione — che contrasta con la giurisprudenza edita sul punto
(v. Cass., Sez. III, 14 maggio 1960, imp. Basso, Foro it., Rep. 1961,
voce Stampa, n. 9) — non è in alcun modo sostenibile alla stre
gua della ratio e della stessa descrizione letterale della fattispecie di cui al citato art. 16.
Come si è già detto nel provvedimento di restituzione, la ratio
dell'incriminazione sta nell'impedire la circolazione della stampa di cui non siano indicati o non siano in modo veritiero indicati
i responsabili (c. d. stampa clandestina); l'interesse tutelato dalla
norma sta cioè nella identificabilità dei responsabili; correlativa
mente, il « bene perfetto », l'« oggetto giuridico » del reato sta
nel pericolo che circoli una stampa di cui non siano identificabili
i responsabili. Orbene non si vede come quell'interesse possa essere leso, que
sto pericolo possa verificarsi (e quindi il reato consumarsi) pre
scindendo dalla diffusione della stampa (intesa sia come opera del
l'ingegno sia come res che ne è imprescindibile strumento di
diffusione).
Una simile tesi sarebbe sostenibile se la fattispecie di cui al
l'art. 16 fosse configurata come reato di attentato e « a consuma
zione anticipata », dove la condotta è punita in ragione del sem
plice pericolo e non della effettiva lesione del bene prodotto. Nella nostra fattispecie il bene protetto è già di per sé un peri colo (per la consumazione del reato non è necessario l'effettivo
anonimato) e non è proprio pensabile che il legislatore, in un caso
in cui non è in gioco né la vita né alcun bene fondamentale della
collettività, abbia inteso anticipare la consumazione della condotta
punibile al momento del pericolo.
Anche sul piano letterale, d'altra parte, pare chiaro, dalla let
tura dell'art. 16, che per la consumazione del reato è necessaria
la « pubblicazione ». Il p. m. — che non usa argomenti di inter
pretazione logica — per sostenere che il reato « si perfeziona nel
momento in cui si dia inizio all'attività rivolta alla divulgazione »,
punta tutto e soltanto sulla semplice sottolineatura del verbo « in
traprendere »; cui dà evidentemente il significato di «dà inizio».
Dimentica però il p. m. di considerare che l'oggetto del verbo e
quindi l'attività penalmente rilevante è la pubblicazione, da cui
sono ontologicamente distinte le attività di preparazione. Del re
sto, ad accogliere la tesi del p. m., non si saprebbe proprio dove
collocare, tra le varie attività preparatorie, il momento consuma
tivo del reato: nel momento in cui la pagina stampata esce dalla
macchina o nel momento della composizione dei « piombi »?
quando il pezzo si avvia con il manoscritto alla tipografia o, an
cor prima, quando i redattori creano il « pezzo »? o in quale altro
dei tanti momenti di « attività rivolta alla divulgazione »? E si
badi che, qualunque fosse il momento liberamente prescelto per
l'individuazione del momento consumativo del reato (avente ca
rattere « istantaneo » come il p. m., per imperscrutabili ragioni, si
preoccupa di precisare), tutte le attività successive, compresa la
pubblicazione, diventerebbero un post-factum irrilevante!
La verità è che la struttura del reato, cosi come descritto nel
l'art. 16, è la seguente: la condotta è la omessa registrazione, che
assume rilevanza esterna (e diventa punibile) con la pubblica
zione, che entra quindi nella struttura del reato come momento
consumativo o, se si preferisce, come condizione di punibilità (non ha rilevanza pratica, in questa sede, la precisa sistemazione teo
rica di questi concetti); in ogni caso, la condotta criminosa tipica
è costituita dalla omessa registrazione congiunta alla pubblica zione.
Cosi precisata la struttura del reato, è evidente che restano
estranee alla condotta tipica, e costituiscono mere attività strumen
tali, le attività preparatorie della pubblicazione non registrata, ivi
compresa la « fabbricazione » della res. Questo rilievo è deci
sivo ai fini dell'art. 204, capov., giacché la confisca obbligatoria
riguarda le cose la cui fabbricazione, alienazione, uso, ecc. costi
tuisca di per sé reato (integri cioè in se e per sè la condotta ti
pica di una fattispecie criminosa: v., in questi termini, Cass.,
Sez. IV, 20 marzo 1968, P.m. in c. Morgagni, id., Rep. 1969, voce
Confisca, n. 2) e non può riguardare invece le cose la cui fab
bricazione, ecc. costituiscano semplice strumento di commissione
del reato. In pratica, le cose soggette a confisca obbligatorie sono
soltanto quelle la cui fabbricazione, ecc. è vietata in via generale
ed astratta, come categoria, e non anche quelle che possano ser
vire, e. siano in concreto servite, a commettere un reato per le
quali l'art. 240, 1° comma, prevede la confisca facoltativa e quindi
la possibilità di restituzione nel corso del procedimento (e nella
doverosità della restituzione nella specie, il pretore non ha che
da dichiarare le argomentazioni svolte nel relativo provvedimento,
alle quali il p. m., come si è accennato, non ha mosso critiche).
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GIURISPRUDENZA PENALE
Le considerazioni sopra svolte valgono anche per il caso in
cui si ritenesse che il reato di cui all'art. 16 consente il tentativo
(del che potrebbe dubitarsi, considerata la struttura del reato) e
che quindi l'attività di fabbricazione integri la condotta tipica del delitto tentato di pubblicazione non registrata.
Il delitto tentato, figura autonoma di reato per l'effetto esten
sivo dell'art. 56 cod. pen. rispetto alle singole fattispecie incri
minatrici, è per definizione un reato « a forma libera », la cui
condotta tipica può realizzarsi attraverso una gamma indefinita
(e non singolarmente individuata) di atti e di strumenti esecutivi
(gli « atti idonei diretti in modo non equivoco a » ...). La figura del tentativo non può avere perciò, per la sua stessa
struttura, l'effetto di tipicizzare condotte criminose e di rendere
quindi in se e per se criminose la fabbricazione, l'uso, ecc. di
cose che realizzi un tentativo di delitto.
Per le suesposte considerazioni il pretore ritiene che la nostra
legislazione non prevede che lo stampato privo di registrazione debba obbligatoriamente essere (sequestrato) confiscato e debba
quindi essere mantenuto sotto sequestro (e praticamente un nuo
vo sequestro implicherebbe l'accoglimento della richiesta del p.
m.). Che se poi si volesse opinare in senso contrario, l'art. 240,
capov., n. 2, cod. pen., non potrebbe andare esente da sospetto di illegittimità costituzionale (pertinente cade qui il richiamo alla
sentenza della Corte costituzionale n. 82/75, id., 1975, I, 1047, in tema di restituzione di film sequestrato). Non potrebbe in
fatti nel nostro ordinamento, in presenza dell'art. 21 Cost., rite
nersi legittima una disposizione che obblighi a mantenere il se
questro di una pubblicazione per tutto il tempo del procedimento e obblighi poi alla confisca anche nel caso di assoluzione, per una
violazione di legge, che, pur costituendo delitto in ragione del
pericolo che quella violazione comporta, si risolve sostanzialmente
in una mera inosservanza burocratica (anche se formalmente con
serva i caratteri del delitto) quando quel pericolo in concreto
non sussiste.
Per questi motivi, ecc.
I
PRETURA DI PIZZO; sentenza 10 novembre 1979; Giud. No
varese; imp. Villella.
PRETURA DI PIZZO;
Edilizia e urbanistica — Regione Calabria — Licenza di costru zione — Decadenza — Proroga ex art. 18 legge 10/1977 — Inapplicabilità (Legge 28 gennaio 1977 n. 10, norme per la edificabilità dei suoli, art. 18; legge reg. Calabria 30 agosto 1973 n. 14, misure di protezione delle coste in attesa dell'ap provazione del piano, art'. 2).
L'art. 18 della c. d. legge « Bucalossi », che ha fatto salve le licenze
edilizie rilasciate prima del 31 gennaio 1977, non ha prorogato tutte le licenze ma soltanto quelle ancora efficaci a tale data
per non essere spirato il termine previsto per l'ultimazione dei
lavori; pertanto tale disposizione non impedisce la decadenza
delle licenze rilasciate nel territorio della Calabria ai sensi della
legge reg. n. 14 del 30 agosto 1973 e successive modificazioni,
qualora i lavori di costruzione non siano stati ultimati entro un anno dall'entrata in vigore della legge stessa. (1)
(1-2) Le sentenze, fra le prime in materia di proroga di licenza edilizia rilasciata anteriormente all'entrata in vigore della nuova leg ge sui suoli, offrono una interpretazione limitativa della disposizio ne contenuta nell'art. 18 legge 28 gennaio 1977 n. 10; in tal senso si pongono in netta antitesi con quanto affermato da T.A.R. Cala
bria, Sez. Reggio Calabria, 14 marzo 1978, n. 10, Foro it., 1980, III, 421, con nota di richiami (e richiamata in motivazione dal Pre tore di Pizzo), che ha sostenuto l'applicabilità della proroga in- •
distintamente a tutte le licenze con l'unico limite testualmente pre visto dalla norma e consistente nell'inizio dei lavori edificatori en tro l'anno dal rilascio del provvedimento.
In materia di decadenza della licenza edilizia e specificatamente sul problema dei relativi problemi di accertamento v. da ultimo Cass. 7 luglio 1978, n. 3371, id., 1979, I, 1544, con nota di ri chiami.
II
PRETURA DI OLBIA; sentenza 26 ottobre 1979; Giud. B. Rus so; imp. Nocella e altri.
Edilizia e urbanistica — Regione Sardegna — Licenza di co struzione — Decadenza — Proroga ex art. 18 legge 10/1977 — Inapplicabilità (Legge 28 gennaio 1977 n. 10, art. 18; legge reg. Sardegna 9 marzo 1976 n. 10, norme in materia urbani stica e misure provvisorie di tutela ambientale, art. 11, 13).
L'art. 18 della c. d. legge « Bucalossi », che ha fatto salve le licenze edilizie rilasciate prima del 31 gennaio 1977, non trova appli cazione per quelle licenze che contengono dei particolari ter mini fissati per l'ultimazione dei lavori; pertanto tale disposi zione non impedisce la decadenza delle licenze rilasciate nel territorio della Sardegna ai sensi degli art. 11 e 13 legge reg. n. 10 del 9 marzo 1976, qualora i lavori non siano stati com
pletati entro tre anni dal loro inizio ed ancorché il termine triennale venga a scadere dopo Ventrata in vigore della legge statale n. 10 del 1977. (2)
I
Il Pretore, ecc. — Fatto e diritto. — Con licenza edilizia n.
76/68, rilasciata il 22 aprile 1968, Anello Giuseppe veniva auto rizzato a costruire un fabbricato di tre piani in località Prangi di Pizzo. Successivamente nell'anno 1974 l'assessorato all'urbanistica della Regione Calabria faceva presente al sindaco che il pre detto Anello stava edificando con licenza scaduta di validità. Il sindaco del tempo non prendeva alcun provvedimento, poiché la costruzione si trovava nelle stesse condizioni da anni e risul tava costruita la sola struttura del piano terra. Indi, in data 2 mag gio 1979 l'ing. Anello Giuseppe comunicava al sindaco di aver venduto il terreno ed il manufatto in esso esistente a Villella Rocco. Venivano ripresi nello stesso mese di maggio i lavori, sic ché il sindaco emetteva ordinanza di sospensione dei lavori nei confronti di Villella Rocco e Piserà Palma, chiamata nella ver
tenza, come risultava dalla relazione del tecnico comunale e del
vigile urbano, dal marito Villella Rocco, e dichiarava la deca denza della licenza n. 76/68 dell'ing. Anello Giuseppe per inosser vanza del termine di ultimazione dei lavori, previsto dalla licenza
stessa e dall'art. 17 legge n. 765 del 1967, « limitatamente alle
parti della costruzione non legittimamente realizzate, nelle strut ture essenziali, in epoca anteriore alla scadenza stabilita».
Elevate le imputazioni di cui in rubrica, disposto il sequestro dell'immobile e la conseguente istruttoria, all'odierno dibattimen to non compariva Piserà Palma, benché regolarmente citata e, non
essendo stato addotto alcun legittimo impedimento, ne veniva di chiarata la contumacia e si dava lettura del suo interrogatorio re
so in istruttoria nel quale affermava la sua estraneità ai fatti, mentr'e il Villella Rocco, nel confermare la sua esclusiva respon sabilità, protestava la sua innocenza, sostenendo di aver agito in buona fede poiché riteneva la licenza legittima ed efficace e di
aver solamente tampognato il piano terra già esistente, ulti mando i lavori cinque giorni prima che intervenissero i carabi
nieri. Indi, escusso il verbalizzante, datasi lettura degli atti con
sentiti, il p. m. e la difesa concludevano come da separato verbale.
Osserva il giudicante che, attesa la personalità della responsa bilità penale, non sussistendo alcuna prova della compartecipa zione al reato da parte di Piserà Palma ed apparendo, invece, dalla stessa comunicazione dell'ing. Anello Giuseppe, precedente intestatario della licenza, la sua estraneità, non può ritenersi la stessa colpevole del reato ascrittole sulla base di semplici dichia
razioni del Villella Rocco, rese al tecnico comunale ed ad un vi
gile urbano, i quali hanno anche potuto fraintendere ciò che ve
niva loro riferito, tanto più che lo stesso Villella Rocco ha suc cessivamente escluso qualsiasi responsabilità nella edificazione dei
In dottrina cfr. Annunziata, La decadenza di licenze edilizie, in Temi, 1976, 475; Pifferi, La pronuncia di decadenza quale atto presupposto per la cessazione di efficacia della licenza edilizia, in Ammin. it., 1977, 1049; Albamonte, L'esecuzione dei lavori edili zi oltre il termine fissato nella licenza per l'ultimazione del progetto costruttivo-, reato edilizio configurabile, in Riv. pen., 1977, 66; Mane ra, Decadenza d'una « licenza d'agosto » per mancato inizio e man cata ultimazione dei lavori nei termini prescritti, in Giur. merito. 1976, III, 138.
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