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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || ordinanza 9 maggio 1981; Pres. ed est. Sciacchitano; imp....

Date post: 29-Jan-2017
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ordinanza 9 maggio 1981; Pres. ed est. Sciacchitano; imp. Curti e altri Source: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1982), pp. 295/296-299/300 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23174603 . Accessed: 25/06/2014 00:40 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.40 on Wed, 25 Jun 2014 00:40:25 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || ordinanza 9 maggio 1981; Pres. ed est. Sciacchitano; imp. Curti e altri

ordinanza 9 maggio 1981; Pres. ed est. Sciacchitano; imp. Curti e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1982), pp.295/296-299/300Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174603 .

Accessed: 25/06/2014 00:40

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PARTE SECONDA

Gli elementi in fatto evidenziati consentono, a parere del col

legio, di poter addivenire al proscioglimento del prevenuto ai

sensi dell'art. 80 1. n. 685/1975. In primo luogo è da rilevare come, attraverso l'esame degli ar

ti superiori dell'imputato, è risultato, con assoluta certezza, che

il predetto è sicuramente dedito all'uso di eroina che si sommi

nistra per via endovena, come testimoniano le evidenti tracce di

punture nelle braccia del Muscas.

Con ciò, peraltro, il problema non è risolto, avendo l'accusa

contestato il delitto di cui all'art. 71. Tale imputazione, peraltro, non trova consenziente quest'organo giudicante.

Va subito osservato che la nozione di «modicità», contenuta

nell'art. 72, indica, nel suo significato etimologico e letterale, una quantità « moderata e, cioè, non eccessiva », concetto diver

so e più ampio rispetto a quelle « minime quantità » di cui al

l'emendamento legislativo respinto in sede di lavori preparatori. «Modicità», in altre parole, è «termine medio» tra ciò che

è cospicuo o eccessivo e ciò che è piccolo e trascurabile.

11 limite della «modicità», d'altra parte, postula, inerente alla

sua stessa natura, un implicito riferimento temporale entro il

quale deve svolgersi la condotta dell'agente. Tale metro temporale non è ben definito nel nostro ordina

mento giuridico proprio in assenza di una espressa previsione

normativa al riguardo. Non è accettabile, d'altra parte, tale metro in un sol giorno,

come da taluni sostenuto (Fortuna, Rilievi critici sulla nuova

legge sulla droga, in Giur. merito, 1976, IV, 149), come pure accettabile non è la soluzione, come quella austriaca, respinta durante i lavori preparatori, che indicava come modica la quan tità necessaria per un uso settimanale.

Vero è invece, come hanno avuto modo di pronunciare, sia

taluni giudici di merito (Trib. Napoli 14 ottobre 1978, Foro it.,

Rep. 1980, voce Stupefacenti, nn. 45, 46), sia la Suprema corte

(Cass., Sez. I, 10 maggio 1979, Paini, ibid., n. 39) che più ine

rente al concetto di « modicità » è la quantità di stupefacente necessaria a soddisfare i bisogni personali non terapeutici di

ognuno nell'arco di tre giorni. Ciò puntualizzato quanto al limite temporale, va, tuttavia, ag

giunto che un siffatto metro deve essere contemperato da altri due elementi: carattere soggettivo della « modicità », circostanze

contingenti variabili e valutabili nei singoli e specifici casi. Un maggior chiarimento si impone.

In primo luogo è di intuitiva evidenza che il concetto di « mo dicità » ha carattere soggettivo e, cioè, variabile da caso a caso, perché è in funzione dell'uso della sostanza fatto dal consuma tore in concreto e non già da un astratto consumatore medio.

Opinando il contrario, da un lato non troverebbe spiegazione il comportamento omissivo del legislatore che ben avrebbe po tuto disporre una puntuale delimitazione della quantità modica di ogni singola sostanza stupefacente, dall'altro si svuoterebbe di contenuto il riferimento all'uso personale.

Appare evidente, peraltro, che l'accettazione tout court di tale concetto potrebbe determinare inaccettabili conseguenze: essen do indotto ogni imputato a dilatare al massimo il quantitativo di droga che, a suo dire, consumerebbe giornalmente.

Ne consegue che, una volta accertatosi che un imputato sia effettivamente dedito all'uso di stupefacente, mentre è accetta bile l'assunzione giornaliera di un quantitativo medio (che la scienza medica indica, quanto all'eroina, in un grammo di pro dotto giornaliero, s'intende non puro), l'eventuale prova di una assunzione maggiore fa capo esclusivamente all'imputato, deter

minandosi, in tal guisa, una sorta di inversione dell'onere pro batorio, resa necessaria dalla misura anomala ed abnorme di cui si assume l'assunzione e che trascende dai limiti dell'usuale.

Con ciò due criteri sono stati individuati; limite temporale dei tre giorni, assunzione media giornaliera (quanto all'eroina) di un

grammo, salvo prova contraria.

Ma un terzo elemento gioca nella valutazione: le circostanze

contingenti. È ovvio, infatti, che, se il tossicomane, trovato in possesso di

droga, dimostra — e la prova deve essere valutata rigorosamen te — che il quantitativo maggiore, trovato in suo possesso, ha una

fondata giustificazione, di quest'ultima deve tenersi conto ai fini

valutativi.

Passando, a questo punto, dall'astratto al concreto, non può farsi a meno di rilevare come, nel caso di specie, il Muscas, ben ché trovato in possesso di un quantitativo di eroina trascendente, nella sua quantità, i primi due criteri ermeneutici esposti, abbia,

in effetti, fornito prova adeguata della giustificatezza di tale quan titativo superiore, non tanto sulla base della quantità di assunzio ne giornaliera, quanto sulla base della necessità di una scorta

maggiore, sempre finalizzata all'uso personale. È risultato, infatti, pacificamente acclarato: a) come lo stesso

fosse in partenza per la Sardegna, b) come venne sorpreso, in

possesso di droga, nell'ambito portuale ed in procinto di partire, c) come lo stesso fosse diretto al perduto villaggio di Villacidro, ove è logico presumere che la droga non sia di comune commer

cio, d) come il Muscas sia, in effetti, un tossicomane, e) come, infine, fu lo stesso Muscas a denunciare ai finanzieri il possesso della droga, tutti elementi questi che Concorrono a dar credito

alle sue spontanee e genuine affermazioni.

TRIBUNALE DI GENOVA; ordinanza 9 maggio 1981; Pres. ed

est. Sciacchitano; imp. Curti e altri.

Giudizio penale (atti preliminari del) — Infortunio sul lavoro — Omicidio colposo — Parte civile — Istanza di liquidazione anticipata ex art. 423 c.p.c. — Ammissibilità (Cod. civ., art.

2087; cod. proc. civ., art. 423).

Il giudice penale, investito dell'azione civile di risarcimento dei danni conseguenti ad infortunio sul lavoro nel processo per omicidio colposo in violazione dell'art. 2087 c. c., può, anche nella fase degli atti preliminari al dibattimento, pronunciare, ad istanza della parte civile, ordinanza di liquidazione prov visoria ai sensi dell'art. 423, 2° comma, c. p. c. (1)

Fatto. — In Genova, ài 19 settembre 1978, all'interno dello

stabilimento appartenente alla soc. Sebastiano Bocciardo & C.

s.p.a. si verificava una improvvisa diffusione di gas idrogeno sol

forato, provocata, secondo gli accertamenti compiuti nel corso

dell'istruttoria, dall'erronea immissione di una soluzione di sai

cromo, scaricata da un'autobotte, nella tubazione del so'lfionato. A seguito di tale fatto quattro dipendenti della soc. Bocciardo

decedevano e numerosi altri rimanevano intossicati. Al termine

dell'istruttoria il g. i. rinviava a giudizio gli imputati Curti, au

tista dell'autobotte, nonché Incerti e Ghiglione, dipendenti della

soc. Bocciardo con funzioni rispettivamente, secondo la ricostru

zione effettuata dallo stesso g. i., di responsabile del settore e di

(1) Non si riscontrano precedenti editi in termini. La pronuncia che si riporta, muovendo dal presupposto che il giu

dizio civile di risarcimento danni conseguente ad infortunio sul la voro rientri fra le controversie di cui all'art. 409 c. p. c., statuisce la ammissibilità della liquidazione anticipata nel caso di azione ci vile nel processo penale (segnalando la analogia con la c. d. prov visionale immediatamente esecutiva di cui all'art. 489 c. p. p. e con il procedimento di cui all'art. 24 1. n. 990/1969) ed anche prima che la responsabilità del datore di lavoro sia accertata ai sensi del l'art. 10 d. p. r. n. 1124/1965. In argomento v. Cass. 15 maggio 1979, Bellino, Foro it., Rep. 1980, voce Parte civile, n. 33, che ha affermato che, pur stabilendo l'art. 4 r. d. 17 agosto 1935 n. 1765 che la re sponsabilità civile del datore di lavoro verso il lavoratore infortunato può ipotizzarsi soltanto quando sia stata pronunciata condanna penale irrevocabile per il fatto da cui l'infortunio sia derivato, è ammissi bile il diritto del lavoratore infortunato di costituirsi parte civile nel processo penale intentato contro il datore di lavoro presunto respon sabile dell'incidente. V. ancora Corte cost. 14 gennaio 1977, n. 16, id., 1977, I, 258, che ha ritenuto infondata la questione di costitu zionalità dell'art. 423 c. p. c., sollevata sull'erroneo presupposto della sua inapplicabilità ai superstiti indicati nel 1° comma dell'art. 2122 c. c., in riferimento all'art. 3 Cost.

In contrasto con uno dei presupposti logici sui quali si fonda l'or dinanza in epigrafe, v. Cass. 13 gennaio 1978, Lenisa, id., Rep. 1980, voce Giudizio penale (atti preliminari del), n. 16, secondo cui non è consentito al giudice investito del giudizio di procedere a valuta zioni di merito e di emettere i conseguenti provvedimenti fuori dal dibattimento, oltre le ipotesi espressamente previste dall'art. 421 c.p. p. Nel senso ancora che ai fini della applicabilità dell'art. 423, 2° com

ma, c. p. e. è sufficiente una mera cognizione sommaria, v. Pret. Napoli, ord. 18 aprile 1979, id., 1979, I, 2961, con nota di richiami.

Da ultimo e più in generale, sulla natura e sulla revocabilità del l'ordinanza de qua, v. Cass. 12 aprile 1980, n. 2321, id., 1980, I, 1919, con nota di A. Proto Pisani ed ancora Cass. 15 dicembre 1979, n. 6526, id., Rep. 1980, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 204.

In dottrina v. Varese, Giudicato penale e giudizio civile nella as sicurazione sociale contro i rìschi professionali, in Riv. it. prev. soc., 1979, 763.

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GIURISPRUDENZA PENALE

direttore tecnico dello stabilimento, responsabili, gli ultimi due, di omessa vigilanza sul rispetto delle norme di sicurezza nono

stante la consapevolezza, reale o che avrebbe dovuto esservi, del pericolo.

Numerosi parenti dei lavoratori deceduti si costituivano parti civili ed ottenevano la citazione dei responsabili civili, soc. Boc

ciardo e ditta Ceruti (proprietaria, quest'ultima, dell'autobotte

condotta dal Curti). Quindi, dopo che il dibattimento, già fis

sato, era stato rinviato due volte per una grave malattia da cui

risulta affetto uno degli imputati, :le parti civili presentavano istanza di condanna degli imputati e dei responsabili civili al pa

gamento di somme di denaro a titolo di anticipazione del risar

cimento dd danno ai sensi dell'art. 423, 2° comma c.p.c.; a

sostegno di tale richiesta de parti civili facevano presente il gra vissimo danno subito ormai da anni a cagione del decesso dei

propri congiunti e la mancata percezione, in molti casi, per ri

tardi o per mancanza del diritto, del trattamento previdenziale

I.n.a.i.l., benché i diritti di quest'ultimo ente fossero stati da tem

po definiti in via transattiva con gli obbligati. In sede di com

parizione delle parti, disposta dal presidente per la discussione

in camera di consiglio, i ricorrenti insistevano nella loro doman

da, mentre il p. m. ed i difensori degli imputati e dei responsa bili civili si opponevano.

Diritto. — I ricorrenti basano la loro domanda sul pregresso

rapporto di lavoro che legava i loro congiunti alla soc. Bocciar

do, e sostengono l'applicabilità del rito del lavoro.

Come è noto, l'art. 409 c. p. c. modif. dalla 1. 11 agosto 1973

n. 533 fa rientrare nelle controversie di lavoro, tra l'altro, al n.

I « le controversie relative ai rapporti di lavoro subordinato pri vato». La dottrina ha ritenuto sin dall'inizio che la relativa do

manda possa essere proposta non soltanto dal lavoratore, ma an

che « da chi non è stato parte dello stesso rapporto, ma, in base

alla specifica disciplina di esso, si trovi ad essere titolare di

uno posizione attiva o passiva che ine è la conseguenza»; è

stata fatta l'ipotesi dell'azione promossa dall'erede per il conse

guimento dell'indennità di fine rapporto, in caso di morte del ila

voratore (art. 2122 c.c.) o quella della domanda proposta per il

conseguimento di prestazioni dovute al lavoratore nell'ipotesi di

successione di azienda (art. 2112 c.c.). Anche la giurispru denza è stata concorde in questa linea: si veda ad es. Cass. 11

aprile 1975, n. 1349 (Foro it., 1975, I, 2263): «rientrano nella

competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro ... le

controversie di cui all'art. 409 c. p. c. tanto se attore è il lavo

ratore, quanto se, a seguito del suo decesso (avvenuto in costan za del rapporto o dopo la cessazione di questo), agiscono la ve

dova e gli orfani per conseguire i diritti derivanti al loro con

giunto defunto dal rapporto di lavoro», nonché Cass. 12 giu

gno 1979, n. 3314 (id., Rep. 1979, voce Lavoro e previdenza (con

troversie), n. 58): «rientra tra le controversie individuali di la

voro quella promossa ai sensi del cpv. dell'art. 2116 c.c. con

tro l'imprenditore per i danni derivanti dall'insussistenza dell'ob

bligo per l'ente di previdenza di corrispondere le prestazioni as

sicurative, in conseguenza del mancato pagamento dei relativi

contributi, ancorché il rapporto di lavoro sia estinto e l'azione

sia proposta dall'erede del 'lavoratore per un diritto proprio »

(quest'ultima massima è particolarmente importante per la di

sciplina del caso in esame).

Nella presente fattispecie l'azione fatta valere dalle parti ci

vili costituisce senza dubbio esercizio di diritti derivanti dal pre

gresso rapporto di lavoro dei loro danti causa, e spettanti agli attuali titolari sia iure ereditatis sia iure proprio. Infatti i lavo ratori defunti erano legati al loro datore di lavoro da un rap porto, nel quale una delle obbligazioni principali della contro

parte (soc. Bocciardo) era l'applicazione rigorosa dell'obbligo di tutela della sicurezza, stabilito dall'art. 2087 c. c., mentre agli attuali imputati, o quanto meno ad Incerti e Ghiglione, viene ad

debitato precisamente di essere venuti meno a tale obbligo, con

correndo in tal modo a cagionare il sinistro.

Rimane quindi accertato che da domanda proposta dalla parti civili, sia per quanto riguarda i danni subiti dai loro danti causa, sia per i danni propri (primo tra tutti quello c. d. morale), rien

tra nella definizione di vertenza di lavoro.

Tutto ciò premesso, va esaminata l'applicabilità in questa se de dell'art. 423 c. p. c.: in proposito va notato che il 1° com

ma di tale norma prevede una ipotesi di formazione negoziale del titolo esecutivo in cui il giudice si 'limita a prendere atto

della mancanza di contestazione (risolvendo, ove del caso, i pro blemi relativi a tale punto) e pronuncia provvedimento non re

II Foro Italiano — 1982 — Parte II-21.

vocabile, proprio a cagione della natura di esso che si fonda

sulla concorde volontà delle parti. Invece nel 2° comma dello

stesso articolo prevede una ipotesi di « provvedimento a cogni zione sommaria e con finalità cautelari, privo di decisorietà

(che) non preclude il riesame delle questioni con esso affron

tate, ed è revocabile da parte dello stesso giudice, con la sen

tenza che definisce la causa » (Cass., Sez. un., n. 2321 del 13 apri le 1980, id., 1980, I, 1919). Ad una simile configurazione dell'isti

tuto non si oppone l'espressione adoperata dalla legge (« dirit

to accertato »), come dimostra la revocabilità del provvedimento da parte dello stesso giudice, la quale non è propria di nes

suna pronuncia che accerti alcunché, in quanto, come è stato

incisivamente osservato dalla dottrina, con l'accertamento il giu dice «in quel grado di giudizio functus est munere suo».

La stessa dottrina ha richiamato analogicamente l'ipotesi della

provvisionale di cui all'art. 489 c.p.p. (ove, tuttavia, il prov vedimento viene emesso al momento in cui il giudice compie un vero accertamento, esaurendo il suo ufficio, anche se tale

accertamento non è definitivo essendo impugnabile), nonché quel la dell'art. 24 1. 24 dicembre 1969 n. 990. Quest'ultimo richiamo

appare perfettamente calzante, data la sostanziale identità delle

due fattispecie, poiché in entrambe si verifica una anticipazione della condanna, prima dell'accertamento definitivo della respon sabilità.

Nel presente giudizio le parti civili, costituitesi nel processo

penale, hanno formulato in questa sede la loro istanza di liqui dazione anticipata, conformemente alle regole proprie dell'eserci

zio dell'azione civile in sede penale. Tuttavia sia il p. m. che le

controparti private hanno sostenuto che tale trasferimento della

possibilità di richiedere la liquidazione anticipata non era pos

sibile, perché incompatibile con le regole, necessariamente pre valenti, del rito penale. Si deve tuttavia osservare, in proposito, che il trasferimento dell'azione civile in sede penale non è me

ramente facoltativo, ma sostanzialmente necessitato, perché l'art

3 c. p. p. imporrebbe, in caso di proposizione separata, la so

spensione del giudizio civile; e siccome il decorso del tempo, so

vente assai a lungo, prima della definizione del solo aspetto pe nale della vicenda comporta per le parti che assumono di avere

subito un danno un peso tutt'altro che indifferente (cui non a ca

so la legge stessa ha cercato di porre rimedio, ad esempio con il

già ricordato art. 24 1. 990/69, in materia di circolazione), appa rirebbe meramente formalistico e non accettabile, alla luce di

una interpretazione sostanziale dell'ordinamento giuridico, il ri

tenere tale fatto del tutto indifferente. Se ne deve trarre quindi la conclusione che l'inammissibilità, in sede penale, di quegli istituti previsti dalla legge civile proprio allo scopo di alleviare

l'onere derivante dalla lunghezza delle cause va valutato con

estrema cautela.

In pratica, alla luce dei principi propri del processo penale, l'inammissibilità degli istituti civilistici va ammessa nella già am

plissima misura in cui sussiste una vera incompatibilità, ma non

va addirittura estesa al settore in cui una compatibilità è possi bile senza pregiudizio per il processo penale, pur essendo questo ultimo predominante per la sua rispondenza ad un interesse pub blico.

In conseguenza, nel caso in esame, va osservato che la legge ha già ammesso espressamente, nel citato art. 24 1. 990/69, la

possibilità di una liquidazione anticipata, con il concorso di de

terminati requisiti, che può avvenire sia nel corso del giudizio civile che di quello penale (espressamente menzionato).

In proposito si deve osservare per inciso, ma non senza rile

vanza anche agli effetti della decisione del caso in esame, che

non si vede la ragione per cui l'istituto dell'art. 24 debba es

sere limitato alla materia della responsabilità civile per i danni

derivanti dalla circolazione; se attualmente, ad una interpreta zione letterale, questo sembra essere il significato da darsi alla

legge vigente in forza del principio di specialità, è facile osser

vare che una simile limitazione alla tutela di alcuni solo tra i

diritti, assolutamente uguali, dei danneggiati dovrebbe essere ri

tenuto viziato da illegittimità costituzionale, per cui dovrebbe

sollecitarsi una pronuncia in proposito della corte competente

(qualora non si voglia ritenere, in via di interpretazione esten

siva, che dove la norma prevede l'istituto dell'art. 24 nella sola

materia della responsabilità da danni provocati dalla circolazio

ne, in realtà essa introduca una figura di carattere generale, rife

ribile ad ogni ipotesi di responsabilità, quanto meno a tutti i

casi di responsabilità aquiliana). In ogni caso, è evidente l'analogia tra l'art. 24 1. 990 e l'art.

423 c. p. c.

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PARTE SECONDA

Ciò premesso, ne consegue chiaramente l'ammissibilità in li nea di principio dello strumento di tutela costituito dall'art. 423, 2° comma, c. <p. c., ove non vi si oppongano particolari necessità

proprie del processo penale. Un motivo di incompatibilità è stato ravvisato dal p. m. nel

fatto che il processo si trova attualmente nella fase degli atti

preliminari ai giudizio, e non già in dibattimento. Tuttavia que sto fatto non sembra costituire un ostacolo, posto che anche gli atti preliminari costituiscono un momento del processo di primo

grado, intermedio tra l'istruzione ed il dibattimento. Non si di

mentichi che l'art. 423, cpv., espressamente ammette il provvedi mento « in ogni stato del giudizio », mentre 'l'art. 24 1. n. 990

prevede che il provvedimento ivi contemplato può essere adot tato sia dal giudice istruttore penale che dal giudice del dibat

timento, cioè sia prima che dopo la fase degli atti preliminari,

per cui l'esclusione proprio di questo momento intermedio —

che può durare anche assai a lungo e mettere a dura prova la

possibilità di resistenza del danneggiato — non avrebbe alcuna

giustificazione logioa. I difensori degli imputati hanno sostenuto la non applicabilità

del procedimento ex art. 423 al processo penale anche perché presupporrebbe un accertamento della responsabilità che, in ma teria di reato, può avvenire soltanto con la pronuncia sul me

rito. Anche questa eccezione urta contro l'ostacolo testuale del

l'art. 24 1. 990, di cui si è ripetutamente segnalata l'analogia con l'art. 423 c. p. c., e contro la ricordata natura di accerta

mento sommario del provvedimento di cui allo stesso art. 423, 1° cpv., che lascia salva la decisione finale (con correlativa pos sibilità di revoca della condanna patrimoniale anticipata).

Più consistente invece l'ultima eccezione dei resistenti, secon

do cui la domanda non potrebbe essere accolta perché vi si

oppone l'art. 10 d.p. r. 30 giugno 1965 n. 1124: come è noto, tale norma stabilisce che l'imprenditore in regola con l'assicu

razione obbligatoria contro gli infortuni non può essere condan

nato al risarcimento dei danni derivanti dall'infortunio stesso, tranne il caso in cui egli stesso, o persona da lui incaricata dalla

direzione o sorveglianza del lavoro, del cui fatto il primo debba

rispondere, riportino condanna penale per reato perseguibile di

ufficio. All'ipotesi della condanna è equiparata quella della sen

tenza penale che dichiari la improcedibilità per morte dell'im

putato o per amnistia.

È noto che la Corte costituzionale ha allargato quest'ultima ec

cezione anche al caso della dichiarazione di improcedibilità per

prescrizione (sent. n. 22 del 9 marzo 1967, id., 1967, I, 684), ed

altre ipotesi potrebbero ancora aggiungersi qualora se ne presen tasse l'occasione, come quella, prevedibilissima, del perdono giu diziale (ove la responsabilità sarebbe addirittura ritenuta dal

giudice, ancorché non dichiarata). Inoltre la giurisprudenza or

dinaria ha ulteriormente allargato i limiti della responsabilità: si veda, per tutte, estremamente significativa la sentenza Cass.

n. 2108 del 4 maggio 1978 (id., Rep. 1979, voce Infortuni sul

lavoro, n. 305), che ha ritenuto responsabile civilmente l'impren ditore assolto penalmente, qualora fosse stato ritenuto respon sabile il socio e fosse stato accertato che entrambi si alterna

vano alla direzione e sorveglianza dei lavori. Inoltre la risar

cibilità dei danni civili da parte dell'imprenditore che sia in re

gola è ammessa qualora l'evento sia « eziologicamente ricollega bile ad un fatto costituente reato imputabile al datore di la

voro ...» (Cass. n. 4391 del 21 .luglio 1979, ibid., n. 300). In

altri termini, l'accento batte sulla pregiudizialità logica dell'ac

certamento del reato, piuttosto che su quella meramente cro

nologica. La quale mancherà certamente in tutti i casi, perfettamente

leciti, in cui il danneggiato si sia costituito parte civile in sede

penale (come è accaduto anche nel caso in esame, senza alcuna

opposizione delle controparti), perché in tal caso il giudice pe

nale, se pronuncia condanna per il reato, condanna altresì, con

testualmente, al risarcimento dei danni. Quindi non occorre as

solutamente che la decisione penale preceda temporalmente, quan to meno poi con efficacia di giudicato, quella civile.

Questa conclusione è fondamentale per superare l'obiezione

in esame: infatti, se la pregiudizialità dell'accertamento del reato

è meramente logica, nulla vieta che essa sia oggetto di quella valutazione prevista e sommaria di cui all'art. 423, 1° cpv., c. p. c.

ed all'art. 24 1. 990, salva naturalmente sempre la possibilità di

un successivo mutamento di opinione da parte dello stesso giu dice.

A questo punto, ritenuta l'ammissibilità della domanda, occor re passare al merito. In proposito il tribunale già dispone di nu

merose prove aventi particolare rilevanza perché formate con il carattere della — tendenziale — definitività, quali sono <le pe rizie, che, nel caso in esame, rivestono una importanza assoluta mente predominante. Inoltre il tribunale può e deve valutare un altro atto fondamentale del processo, e cioè la sentenza-or dinanza con cui il giudice istruttore rinviò a giudizio, con ampia motivazione, i tre imputati odierni, prosciogliendone un quarto. Nel valutare questi elementi sarà intenzionalmente evitata ogni anticipazione che possa coinvolgere in maniera particolarmente rilevante la posizione personale degli attuali imputati, e ciò al fine di un rispetto rigoroso dei diritti di difesa e per non an

ticipare, se non nei più stretti limiti possibili, la decisione di merito.

Ciò premesso, in concreto il tribunale osserva che, secondo

quanto risulta allo stato degli atti, la morte dei dipendenti della soc. Bocciardo è avvenuta per effetto di un sinistro provocato da vari difetti organizzativi in materia di sicurezza sul lavoro e prevenzione degli infortuni, sicuramente riferibili, ai fini ci

vili, all'imprenditore. All'imprenditore, si badi bene, e non agli at tuali imputati, la cui posizione non appare necessario valutare al fine di decidere sulla domanda proposta nei confronti del re

sponsabile civile principale. In altre parole, sembra sufficien temente dimostrato, almeno ai fini di una cognizione sommaria, che il datore di lavoro, trascurando l'adozione di efficaci misure concrete di prevenzione del previsto o comunque prevedibile in fortunio verificatosi, ha violato la sua obbligazione di sicurezza

prevista dall'art. 2087 c.c.: è pacifico, infatti, almeno fino a

questo momento processuale, che il gas fu introdotto in una tu bazione sbagliata dall'autista, il quale non avrebbe dovuto fare tale operazione da solo, ma la potè compiere per la mancanza di controlli e l'accessibilità degli impianti (accessibilità contrastante con le stesse disposizioni dell'imprenditore o dei dirigenti da costui deputati a tale incombente, quali che essi fossero). Si trat ta di punti al momento suffragati da valide prove, che quindi possono assumersi a base del giudizio, indipendentemente da

ogni considerazione sul ruolo, non affrontato in questo momen

to, dei vari imputati, e da ogni possibilità che dal dibattimento

emerga una diversa ricostruzione dei fatti (che porterebbe, ove del caso, alla revoca della presente ordinanza, come previsto dalla legge).

Consegue da quanto sopra che il fumus della responsabilità del

l'imprenditore è accertato.

Il tribunale, nel salvaguardare in ogni possibile misura i diritti di difesa degli imputati, ed essendo convinto che gli interessi dei richiedenti siano già sufficientemente tutelati dall'accoglimento dell'istanza proposta nei confronti del responsabile oivile prin cipale e più solvibile, ritiene a questo punto di non affrontare l'esame — pur teoricamente possibile alla luce delle considera zioni svolte in precedenza — delle posizioni dei singoli imputati e del responsabile civile - ditta autotrasportatrice (la cui po sizione è indissolubilmente legata a quella dell'autista Curti), li mitando quindi l'accoglimento dell'istanza al solo obbligato soc. Bocciardo.

Quanto alla sussistenza degli estremi di reato appare sufficien te osservare, senza coinvolgere la valutazione delle posizioni per sonali degli imputati, che il fatto verificatosi — e cioè la morte violenta di quattro lavoratori per effetto di avvelenamento da

gas in ambiente di lavoro, come conseguenza di inadempienza contrattuale del datore di lavoro, venuto meno all'obbligo di os servare l'art. 2087 c. c. — integra in sé, indubbiamente, gli estre mi del reato di cui all'art. 589 c. p., perseguibile d'ufficio.

L'ultimo problema, a questo punto, è quello di determinare il

quantum. In proposito i richiedenti hanno indicato somme va riabili da caso a caso. Il tribunale ritiene necessario limitare l'at tribuzione a livello tale da rientrare con sicurezza, per difetto, nei limiti dell'eventuale liquidazione finale, e di dovere quindi ridurre moderatamente le cifre richieste. In concreto appare ri

spondente ad equità attribuire la somma di lire ventimilioni per ogni coniuge di lavoratore deceduto e di lire diecimilioni per ogni figlio o altro familiare a carico.

PRETURA DI FOGGIA; PRETURA DI FOGGIA; sentenza 18 febbraio 1982; Giud. Di

Iasi; imp. Delli Carri.

Circolazione stradale — Guida senza patente — Reato — Con fisca dell'autoveicolo — Obbligatorietà — Retroattività (Cod. pen., art. 2, 200, 240; d.p.r. 15 giugno 1959 n. 393, t.u. delle

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