RIVISTA DI GIURISPRUDENZA PENALESource: Il Foro Italiano, Vol. 4, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1879), pp.415/416-423/424Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23084861 .
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PARTE SECONDA
è imputabile per ciò solo a chi la eseguisse; impe
rocché nel medesimo manca quella pertinacia che in
vece si ravvisa essere in chi avendo dissodato in con
travvenzione alle leggi, seguita nondimeno nel suo
primo proposito di avere a coltura il terreno disso
dato. Ed è perciò che la legge nella continuazione di
coltura ha riconosciuto la nota di azione punibile solo
quando si appalesa in una medesima persona come
un'appendice dell'altro fatto della dissodazione già per
sè stessa punita dalle leggi; nè ha previsto il caso di
chi coltiva un terreno già dissodato da altri, comecché
tale ipotesi è diversa da quella testuale dell'art. 16,
di chi continua a coltivare un terreno dopo di averlo
dissodato; ed è noto l'aforismo ubi lex non distivguit
nec nos distinguere debemus, e non si può applicare l'altro aforismo ubi est eadern ratio ibi eadem dispo sino esse debet, giacché per la ristrettività dell' inter
pretazione non è dato estendere l'applicazione della
sanzione di una pena oltre il caso espresso nella legge
penale; Che essendo così, e perchè in materia penale ognuno
è responsabile delle sole proprie azioni, nella mancanza
dell' identità della persona come agente dei due fatti della
dissodazione e della continuazione di coltura posti dalla
legge in relazione d'immanenza fra loro, l'operato del
l'imputato potrà dar vita ad azione d'indole civile
esperibile in propria sede, e non mai all'azione di pu nizione dell'imputato medesimo ai sensi degli art. 16
e 20 della legge forestale; Che quindi per l'art. 343 Cod. proc. pen. devesi di
chiarare non farsi luogo a procedimento penale per inesistenza di reato;
Per questi motivi, il pretore dichiara, ecc.
RIVISTA DI GIURISPRUDENZA PENALE
Cassazione — Ricorso — Riù condannati — Causa
individua (Cod. proc. pen., art. 652).
La disposizione dell'art. 652 proc. pen., secondo la
quale trattandosi di causa individua la domanda di
cassazione di uno dei condannati sospende l'esecuzione
della sentenza anche riguardo agli altri, importa che
se il giudizio è annullato, nel nuovo dibattimento deb
bono essere nuovamente giudicati anche i non ricor
renti. (1) La suddetta disposizione si applica non solo ai non
ricorrenti, ma anche a coloro che, prodotto il ricorso, vi abbiano poi rinunciato, o ne siano stati dichiarati
decaduti per inadempimento di ritualità, purché il ri
corso non sia stato rigettato in merito. (2)
(Cassazione Napoli, 18 aprile 1879, Pres. Narici, Est.
Casella — Ric. Papa — Gazz. trib., Napoli, XXIX, 1879.
pag. 596; Giorn. trib., Milano, 1879, n. 194, pag. 776; Riv. pen., XI, pag. 46).
Dibattimento — Testimone — Assistenza alla let
tura della sentenza ed atto d'accusa (Cod. proc.
pen., art. 301). Giurati — Capo — Surrogazione — Porte chiuse
(Reg. 1° settembre 1874, art. 31).
Non vi ha nullità se un testimone sia stato presente alla lettura della sentenza e dell'atto di accusa.
Comunque poi, non basta al ricorrente asserire, ma
(1) Osservò la Corte che: « nella causa individua, l'esecuzione è sospesa per tutti gì' interessati fino alla ricevuta della sentenza di Cassazione,
ed il comando positivo ed assoluto bisogna eseguirlo, e lo subiscono i giudici e gl'interessati. Se la sentenza della Cassazione in causa individua annulla il giudizio in modo che deve procedersi ad altro
dibattimento, o annulla l'applicazione della pena, coloro che non ri
corsero, e pei quali la sentenza fu sospesa, se questa si rescinde, sono anch'essi a norma dei casi, nè giudicati, nè condannati, quando non si voglia supporre l'assurdo che li colpisca, morta una sentenza, che viva non conservava per essi la menoma forza. E coll'assurdo trion ferebbe l'iniquità, se l'esito del novello giudizio li dimostrasse o in
nocenti, o meritevoli di pena più mite ».
(2) Ecco il ragionamento della suprema Corte su questa massima : « Nella causa individua il ricorso impedisce l'esecuzione pei non ri
correnti, fino al ritorno dell'arresto del Collegio supremo. Se trattasi d'annullamento si conviene, che ove i non ricorrenti lo richieggono, il giudizio ricomincia allo stesso modo per tutti. Ora suppongasi che ricorsero tutti e che i motivi di annullamento sieno diversi, con quale criterio procederà la Corte di cassazione? Ed in prima se trattasi di
applicazione di pena, e lo stesso errore vizia quella applicata a cia scun condannato, la diversità dei motivi dipenderebbe dalla negli genza, e la Cassazione, nel riconoscere violata la legge, dovrebbe estendere l'annullamento a quanti soffersero il danno. Accadrebbe il medesimo se il vizio s'annidasse nelle questioni proposte, o riguar dasse una guarentigia del rito comune ai giudicabili. Accolto il motivo, il non essere ripetuto per questo o per quello non monta ; nella causa individua il ricorso abbraccia la causa intera, ed il motivo che ri
guarda tutti è sempre virtualmente presentato per tutti. « Succede il contrario se la Cassazione nell'esaminare i ricorsi ri
conosce legale il giudizio per taluni, illegale per altri, e ritiene la nullità circoscritta nell'interesse dei primi, e che non abbracci e non influisca sul resto. In simile rincontro annulla in parte, in parte ri
getta, il giudizio si scinde, e l'ipotesi della causa individua si tra muta nell' ipotesi comune ed ovvia della causa, in cui gì' imputati d' un fatto medesimo si giudicano in epoche diverse. E qui si scorge che la condizione dei non ricorrenti da un lato supera la condizione di coloro che produssero il ricorso, ed è naturale. Mancando questo, se ne ignorano i possibili motivi, e la Corte di cassazione non giudica di nulla; se rigetta, rimangono condannati; se rescinde il pronunciato, si giovano in causa individua della necessità del giudizio, che diven terebbe illogico, se non vi partecipassero, e se ne giovano per mini stero di legge, e senza che che c'entri il Collegio supremo. Invece col ricorso spiegarono le proprie ragioni, e se vagliate non persua sero, il loro destino si compie, giacché l'art. 652 si scrisse per rego lare le fasi del giudizio successivo quando il silenzio degl'interessati impedi alla Cassazione di provvedere per tutti. Risulta da ciò, che intorno ai non ricorrenti la Cassazione rimane estranea addirittura, e
sempre per l'ottimo motivo di non essere discesa all'analogo esame. La mancanza di questo esame ripone i non ricorrenti sotto l'egida del l'articolo suaccennato, che subito spiega il suo impero. I condannati o non ricorrono, o ricorrono e rinunciano al ricorso, o decadono dal
gravame per non averlo prodotto a norma del rito. Le tre ipotesi suo nano lo stesso, perchè sempre la Cassazione in egual modo non pro cede all'esame complessivo della causa, sempre in egual modo non conobbe le relazioni giuridiche fra i vari interessati, e quindi sempre in egual modo supplisce la procedura. Inoltre il ricorrente che ri
nuncia, ed in maggior grado il ricorrente del quale il ricorso si di chiarava irrecettibile espressero il desiderio d'impugnare le condanne, e se non vale l'ostinato silenzio ed anche l'adesione esplicita del con dannato a precludersi lo scampo del nuovo giudizio, sarebbe strano che si concedesse a lui riluttante quel beneficio, negandosi a chi al meno protestò, sebbene o si ritrasse dal cimento, o lo scacciarono dal
campo della lotta ».
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417 GIURISPRUDENZA PENALE 418
occorre provare che alcuno dei -testimoni contro il di
vieto della legge siasi trovato in sala d'udienza prima
di essere esaminato.
L'essersi proceduto alla surrogazione del capo del
giurì a porte chiuse non può dedursi come motivo di
nullità, perchè le forme con le quali deve procedersi a tale surrogazione non sono rigorose, nè concernono
l'ordine pubblico, e basta che sieno tali da accertare
il consenso dei giurati. (1)
Per conseguenza è indifferente se la surrogazione
del nuovo capo sia fatta in pubblica udienza, ovvero
a porte chiuse ; ed anzi, se vogliasi procedere con re
golarità maggiore, ed in modo anco più conforme alla
lettera dell'art. 31 del regolamento del 1° settembre 1874
per l'attuazione della legge 8 giugno ed alla giurispru
denza, questa surrogazione dovrebbe essere fatta nel
modo che fu tenuto nel caso in esame, e così a porte chiuse. (2)
(Cassazione Firenze, 10 maggio 1879, Pres. Poggi,
Est. Mori-Ubaldini, P. M. Trecci — Ric. Nardi — Temi
veneta, 1879, n. 31, pag. 414).
Interrogatori» dell'accusato — Sottoscrizione (Cod.
proc. pen., art. 457).
Verbale — Giurì — Verdetto — Formalità —Enun
ciazione complessiva (Cod. proc. pen., art. 506).
Non occorre alcuna menzione nel verbale d'interro
gatorio dell'accusato, quando questi lo abbia segnato.
La menzione è necessaria soltanto qualora l'accusato
non sa, non può o non vuole sottoscrivere, nè segnare.
Non vi è nullità, se il verbale di dibattimento accerta
che furono osservate tutte le prescrizioni contenute
nell'art. 506 della proc. pen., quantunque non enumeri
dettagliatamente le formalità usate dal capo dei giurati
prima di leggere il verdetto" nella pubblica udienza. (3)
(Cassazione Firenze, 5 novembre 1879, Pres. Pozzi
Est. Martucci, P. M. Trecci — Ric. Quintavalle —
Monit. giud-, Venezia, 1879, pag. 535.)
Testimonianza falsa — Materia civile — Regola rità della deposizione — Fatto vero (Cod. pen., art. 365, n. 5).
Il danno dell' imputato o della giustizia, necessario a
costituire il reato di falsa testimonianza, non si richiede
che sia effettivo, cioè emergente dal giudizio definitivo
emesso in base al falso deposto, ma basta quello po
tenziale, cioè la possibilità di una influenza sull'esito
del giudizio. (1) Non può dirsi deficiente l'altro criterio essenziale del
detto reato, e cioè una deposizione giudiziale legit
tima, regolare, perciò che i testimoni assunti in ma
teria civile abbiano giurato in massa e non consti che
il presidente, nell'ammonirli, abbia anche espressa
mente ricordate le pene comminate alla falsa testimo
nianza. (2)
Quanto alla sussistenza del dolo, che è esso pure un
estremo essenziale del falso, i magistrati di merito la
riconoscono o la escludono con apprezzamento incen
surabile. (3)
(Cassazione Torino, 18 giugno 1879, Pres. Montagnini, Est. Talice, P. M. Gambara (Conci, conf.) — Ric. Gioa
netto e Gamba — (ìiorn. trib., Milano, 1879, n. 174,
pag. 696; Moti, trib., Milano, 1879, pag. 734; Legge,
1879, I, 727).
Procedimento penale — Errore sulle generalità
iteli'imputato — 9]odo di correggerle.
Se non esiste nella nostra legge penale una parti colare disposizione, che preveda il caso della rettifi
cazione di errori incorsi nella indicazione delle gene
ralità di un condannato, essendo però il rimedio della
(1-2) Le massime riassumono il motivato. Vedi in proposito le sen tenze citate nel nostro Repertorio del 1877, col. 433, n. 62 e seg.
(3) La Corte, ecc. — Attesoché soddisfa al voto della legge il ver bale d'udienza se in luogo di enumerare dettagliatamente tutte le for malità usate dal capo dei giurati prima di leggere il verdetto nella
pubblica udienza, le enuiicia complessivamente, constatando essersi
eseguite tutte le prescrizioni indicate in proposito dall' art. 506 del Cod. di proc. pen. Lo scopo della legge è quello che si rilevi in modo certo dal verbale l'adempimento delle formalità stabilite, e questo scopo si raggiunga tanto enumerandole una ad una, quanto enun ciandole in complesso per relazione all'articolo di legge;
Per questi motivi, rigetta, ecc.
(1) Nella specie non solo vi era il danno potenziale, ma per effetto della falsa testimonianza, il pretore aggiudicò la domanda, e il Tri
bunale rivocò bensì la sentenza di primo grado, ma compensò le
spese. (2) Ed invero quelle irregolarità non rendono nullo l'esame testi
moniale, nè erano state elevate nel giudizio civile al quale si riferi
vano. Osservò la Corte che: « è generalmente riprovato l'uso di far
giurare i testimoni in massa, ma, per ciò solo che siasi adoperata l'antica formola di verbale di esame testimoniale, non ne deriva la nullità della deposizione giudiziale e giurata. E circa l'altro obbietto, sia pure che l'art. 242 del Cod. di proc. civ., modificato dalla legge 30 giugno 1876, prescriva testualmente che nell'ammonizione si ri corderanno pure le pene stabilite per la falsa testimonianza in ma teria civile, nemmeno però con tale aggiunta di essa nuova legge fu comminata la pena di nullità dell'esame, in caso che non risulti
espressamente dal verbale che quelle pene siansi rammentate, ed è
noto il disposto dell'art. 56 del Cod. di proc. relativo alle nullità: non
può ritenersi nullità di atti se la legge espressamente non lo dichiara, o si tratti d'elementi che ne costituiscono l'essenza, e non può essere dubbio che sostanziale non è alla deposizione testimoniale giurata l'avvertimento circa le dette pene ».
(3) Ecco la parte della sentenza che si riferisce a questa massima: « Attesoché è verissimo quanto si sostiene in diritto nel ricorso, oc correre inoltre, che il falso siasi attestato scientemente, o meglio, che il testimonio deponendo il falso, o negando il vero, lo faccia con dolo; è questa una massima inconcussa di dottrina e di giurisprudenza; ed in quella scienza dolosa consiste appunto l'elemento intenzionale del delitto. Ma l'apprezzamento di detto dolo dipende dalle circostanze, e
può essere falso un testimone quand'anche deponga d'una cosa vera, narrando falsamente d'averla veduta, giacché in tal caso il falso non consiste nel fatto, ma nel non essersi il fatto stesso veduto da quel testimone. E pienamente coerente a questi principi è la sentenza de
nunciata, che all'appoggio delle risultanze del dibattimento e delle stesse confessioni del Gioanetti ritenne accertato non avere esso detto il vero quando asseriva d'aver veduto il Masera e compagni uccidere il cane del Gamba, e giustamente motivò che il dire d'aver veduto era un deporre d'un fatto positivo da lui presenziato, non un fare un sem
plice apprezzamento, ritenendo come verosimile ciò che da altri fosse asserito. Non esiste quindi nè la violazione dell'art. 364 del Cod. pen., nè la contravvenzione al precetto della motivazione ».
Il Foro Italiano. — Volume IV. - Parte II. — 29.
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419 PARTE SECONDA 420
rettificazione riconosciuto ed ammesso dalla legge ci
vile, è a ritenersi che in condizioni analoghe e d'inde
clinabile necessità esso sia applicabile anche in materia
penale nei limiti e per gli effetti, di cui nell'alinea
dell'art. 362 e nel successivo art. 473 del Cod. di proc.
civile. (1) Qualora pertanto sia taluno stato condannato sotto
un nome diverso dal proprio, che fu da lui a bella
posta sottaciuto, ben può il pubblico ministero richie
dere e l'autorità giudiziaria ordinare, la rettifica della
sentenza nei riguardi del nome del condannato, l'an
nullamento del cartellino del casellario e la forma
zione di un altro in conformità alla rettificazione. (2) Tale provvedimento però dev'essere dato in seguito
a pubblico giudizio con citazione del condannato nelle
forme ordinarie stabilite pei giudizi penali. (3)
(Cassazione Torino, 25 giugno 1879, Pres. Enrico, Est.
Pasini, P. M. Pozzi (Conci, diff.) — Ric. P. G. di Mi
lano in causa a carico di Pradelli Bottani — Gior. trib.,
Milano, 1879, n. 175, pag. 700; Mon. trib., Milano, 1879,
n. 32, pag. 758).
Giurì — Giurato inabile fra i trenta — Esclusione
dal giurì definitivo (Legge sui giurati, 8 giugno 1874,
art. 43). Btibattimento — Testimone — Iti tiro in camera se
parata — Conferenza col Presidente — Verbale — Iscrizione in falso (Cod. proc. pen., art. 268, 316,
317 e 722).
Giurì — Questioni — Omicidio — Legittima difesa — Animo di uccidere (Cod. proc. pen., art. 495).
Non vi ha nullità per ciò solo che fra i trenta giu rati si trovasse persona che avesse preso parte alla
istruzione, quando, sia pure per essere stata ricusata
dal difensore, essa non sia poi riuscita fra i quattor dici del giudizio. (1)
Nè può addursi dall'accusato che il suo diritto di ri
cusa sia stato pregiudicato dall'aver dovuto eliminare
quel giurato, quando consti che egli non abbia esaurito
il numero di ricuse consentitogli dalla legge. (2) Eccetto il caso di formale istanza delle parti, trat
tandosi di teste già esaminato e fatto trattenere in ca
(1-3) Certo Bottani Luigi imputato di furto qualificato, disse falsa mente di chiamarsi Pradelli Giuseppe, allo scopo di evitare l'aggra vante della recidiva; e rinviato al giudizio correzionale fu, sempre col falso nome da lui assunto, condannato dal Tribunale e dalla Corte di appello. Scovertosi il mendacio, il P. G. chiese alla Corte di ap pello, Sezione degli appelli correzionali in Camera di consiglio, che si fosse ordinata la rettificazione del nome nella sentenza di condanna; ma la Corte d'appello con ordinanza motivata, contro la quale il P. G.
produsse ricorso per annullamento, dichiarò non trovar luogo a deli berare.
La suprema Corte annullò l'ordinanza, per i seguenti motivi : 1° perchè il provvedimento invocato dal pubblico ministero non
mirava a provare e a far dichiarare, che la persona giudicata e con dannata con la sovra indicata sentenza fosse una persona diversa da
quella, che era stata imputata, nel qual caso sarebbesi davvero ve nuto a variare la cosa giudicata con la sentenza medesima; ma ten deva soltanto, nell'interesse pubblico, non che della persona in danno della quale appariva la colpevolezza per un reato da lei non com
messo, a constatare che la persona giudicata e condannata aveva un nome ed un cognome diversi, e che era un Bottani Luigi con le sue vere generalità:
2° perchè non regge il motivo con cui si pretende, che dall'ac cennata correzione di nome ne deriverebbe un nuovo reato di ordi naria competenza di altro giudizio, in quanto che il condannato, es sendo pur sempre la stessa persona, e le sentenze che lo condannarono, essendo passate in cosa giudicata, la dichiarazione, che la persona medesima assunse un falso nome, non potrebbe aver per effetto di far luogo ad altro giudizio sopra l'identico fatto giudicato con le sen tenze, le quali, sebbene in via eccezionale, ne conobbero legalmente, e non potrebbero oggi essere in alcuna maniera impugnate ed an nullate ;
3° perchè se non vi ha una disposizione speciale, che preveda il caso in esame, egli è però facile il ravvisare come il rimedio della rettificazione sia già riconosciuto in materia civile dalla nostra legi slazione, e come quindi, in condizioni analoghe e di indeclinabile ne
cessità, un siffatto provvedimento si presenti applicabile anche in materia penale, nei limiti e per gli effetti, di cui nell'alinea del l'art. 362 e nel successivo 479 del Cod. di proc. civ., nei quali ap punto si provvede, tra l'altro, alle omissioni o agli errori relativi ai nomi e cognomi delle parti; e tanto più che negli accennati casi il
provvedimento stesso è adottato anche quando gli errori e le omissioni
potrebbero ripararsi coi mezzi ordinari dell'opposizione e dell'appello, che nel caso attuale non sarebbero punto esercibili;
4° perchè non varrebbe il dire, che un rimedio vi sarebbe nel pro- 1
cedersi contro Bottani Luigi pel fatto d'aver egli mentito il suo nome; j
e ciò sia perchè tale giudizio avrebbe per oggetto un reato diverso da
quello che fu giudicato dalle preaccennate sentenze, che, per ciò solo, rimarrebbero quali sono o designerebbero come colpevole altra persona; sia perchè, se questo dovesse essere il vero e legale ri medio, sarebbe mestieri, che la sua applicazione potesse avere luogo in qualùnque caso; il che non è. mentre, ove al momento in cui si
scoprisse l'uso del falso nome il condannato che lo assunse fosse morto, o fosse prescritta l'azione penale, l'accennato procedimento non potrebbe aver luogo, la persona pregiudicata dall'esistenza delle sentenze, e del cartellino del casellario, non avrebbe alcun mezzo per ottenere la dovuta riparazione, e la giustizia sarebbe costituita nel l'impotenza di far cancellare dalle sentenze e dagli atti un errore, che la offenderebbe.
E quanto al rito osservò che mentre per le rettificazioni o pei prov vedimenti analoghi, tanto in ordine agli atti dello stato civile, quanto alle sentenze, salvo i casi in cui la rettificazione o la correzione as suma il vero e proprio carattere di subbietto contenzioso, la compe tenza ad ordinarli è deferita alla Camera di Consiglio, non potrebbe siffatto procedimento seguirsi per la rettificazione di sentenze in ma teria penale, imperocché per una parte si tratta di cosa d'interesse, d'ordine pubblico, e così di una dichiarazione del magistrato che fa stato al cospetto della società, e per l'altra d'un provvedimento, che ha strettissima relazione con le sentenze già intervenute e consta tanti la colpevolezza dell'imputato, contro cui esse furono pronun ciate, il che tutto rende necessario che il giudizio abbia luogo in pub blico e citato il condannato nelle forme ordinarie stabilite pei giudizi penali.
(1-2) La Corte, ecc. — «Attesoché tornerebbe vana l'indagine se il giurato Mazza possa riguardarsi colpito dalla pretesa incompatibilità, quando sta in fatto, per le risultanze del verbale, che non ebbe egli a far parte del giurì della causa. Imperocché cotesta circostanza è appunto il motivo onde l'art. 43 della legge suddetta non riconosce fondato il lagno quando sieno state comprese nei trenta giurati di ser vizio persone colpite da causa d'incompatibilità di natura appunto di quelle del preteso violato n. 5 dell'art. 37. E sia pure che il giurato Mazza sia stato eliminato dal far parte del giurì della causa per ri cusa fattane dal difensore del ricorrente, come invero ne conforta lo stesso verbale, ma non può lagnarsi costui di detrimento apportato perciò al di lui diritto di ricusa assicuratogli dall'art. 40 sempre della stessa legge. Imperocché dal verbale medesimo consta che il difensore si limitò a ricusare soltanto sei giurati, compresovi il Mazza, onde non può in fatto aver sofferto il ricorrente alcun pregiudizio, quando aveva diritto e modo di ricusarne altri due, ed invece preferì di aste nersene ».
V. la sentenza della Cass. di Napoli, 28 luglio 1879, e la relativa nota a col. 367 di questo volume.
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421 GIURISPRUDENZA PENALE 422
mera appartata, non è richiesto, a pena di nullità, che
il verbale faccia menzione che esso sia stato nuova
mente sentito, e che, prima di riassumerlo, il presi dente siasi recato da solo nella camera suddetta per
conferire con esso. (1)
Non essendo tale menzione prescritta sotto pena di
nullità, neppure può farsi inscrizione in falso contro
il verbale per averla omessa. (2) La circostanza dirimente della necessità attuale della
legittima difesa non è inconciliabile coll'animo di uc
cidere. (1) Quindi la domanda proposta colla forinola siete con
vinti, ecc., intorno al reato di omicidio volontario, e
seguita dall'altra sulla dirimente, e dalla terza sulla
colpevolezza, non può dirsi viziata per esservisi ag
giunto che l'accusato ebbe a colpire con animo di uc
cidere. (2)
(Cassazione Torino, 30 aprile 1879, Pres. Montagnini, Est. Malagoli, P. M. Gambara (Conci, conf.) — Ric. Ge
rosa — Giorn. trib., Milano, 1879, n. 122, pag. 489; Mon. trib., Milano, 1879, pag, 543).
Citazione — Imputazione — Rifiuto di dar le ge neralità — Condanna per aver mentito il nome
(Cod. pen., art. 685, n. 10).
Deve annullarsi la sentenza che abbia condannato
taluno pel fatto di aver mentito davanti all'autorità
che lo richiedeva delle sue generalità, mentre era stato
citato sotto l'imputazione di essersi rifiutato di dare
le generalità stesse ad un brigadiere dei reali cara
binieri. (3)
(Cassazione Torino, 23 luglio 1879, Pres. Enrico, Est.
Pagani, P. M. Pozzi (Conci, contrarie alla domanda) —
Ric. Beltrami Fortunato ed Ambrogio, Giorn. trib.,
Milano, 1879, n. 251, pag. 1006; Mon. trib., Milano,
1879, 1077).
Appello — Sentenza contumaciale — Appello senza
notificazione — Occorrenza del termine (Cod. proc.
pen., art. 401).
Chi interpone appello regolare contro una sentenza
contumaciale deve poi, sotto pena di irricevibilità, pro
durre il motivato ricorso nei termini di legge, che de
corrono dalla fatta dichiarazione d'appello, benché la
(1-2) La Corte, ecc. — « Attesoché risulta dal verbale d'udienza che
dopo l'esame della teste Matilde Zanetti vedova Nani il pre sidente ordinò che venisse condotta e trattenuta in separata stanza. E sebbene non ne appaia il motivo, è facile però immaginarlo sugge rito da ragioni di convenienza e di precauzione alla migliore istruzione della cause, quando si ponga mente che era costei madre dell'ucciso ed amante dell'accusato, e che furono tali relazioni con costui indi
rettamente la causa della strage del figlio, avvenuta quasi sotto i di
lei occhi....
« Ora il ricorrente si querela, perchè il verbale d'udienza non faccia
menzione che a certo punto del pubblico dibattimento, e mentre la Za
netti-Nani sarebbesi tuttavia trovata nella stanza a lei assegnata, avendo il P. M. annunziato che aveva essa manifestato desiderio di
essere di nuovo sentita, il presidente sarebbesi allontanato dalla sala
per aver parola con lei, e, dopo una segreta conferenza, l'avrebbe di
nuovo in pubblica udienza escussa.
« Per ragione della quale mancata menzione, ebbe poi esso ricor rente assai dopo la domanda di cassazione, e il ricorso motivato, a
fare dichiarazione d'iscrizione in falso contro il verbale d'udienza, mediante atto scritto rilasciato all'ufficio del procuratore del re di
Sondrio, sede della Corte d'assise, che attestò esservisi il ricorrente medesimo firmato a di lui vista; corredata tale dichiarazione di un atto
di notorietà a prova del fatto affermato. E vorrebbe quindi, che per tale operato del presidente fosse stato violato il principio di pubbli
cità, e perciò l'art. 268 del Cod. proc. pen. ;
« Attesoché, a parte se possa ritenersi abbastanza regolare un tal
modo d'iscrizione in falso di fronte ali art. 722 del Codice di rito, ed
alle correlative disposizioni ; a parte, nell' ipotesi che sia sussistente
quanto si afferma a carico del presidente, se avess'egli ad impingere con quel suo contegno, che, ove fosse vero, non sarebbe stato di certo
troppo corretto nella violazione del principio di pubblicità, è piuttosto da vedersi se il verbale d'udienza avrebbe dovuto far menzione, a pena di nullità, di cotesti emergenti.
« E di fronte agli art. 316 e 317 del Cod. proc. pen. sarebbe la ri
soluzione in senso negativo pienamente fondata. Per fermo, dacché
il verbale d'udienza fa menzione, ed era di rigore, dell'audizione della
Zanetti-Nani nella qualità di teste, non eravi d'uopo d'ulteriore an
notamelo, quando avesse avuto di nuovo ad escutersi. E non era nem
meno richiesta a rigore la menzione del censurato preteso operato del
presidente; imperocché non avrebbe costituito esso di per sé uno di
quei fatti o circostanze, di cui, ai termini dei menzionati articoli, avrebbe dovuto apparire a pena di nullità dal verbale di udienza
« Sarebbe stato altrimenti ove fosse intervenuta richiesta dell'ac
cusato e del suo difensore, che di tutto dovesse far menzione il ver
bale; ma niuna istanza al riguardo sarebbe stata fatta.
« Ed è sì vero, che dal ricorrente si afferma che della lamentata
omessa menzione sarebbe stato indarno richiesto il cancelliere. Il quale tenne in tal modo un contegno esatto e regolare; imperocché non è
per coteste vie oblique, subdole e segrete, ma con istanza fatta in
udienza al presidente ed a seconda dei casi alla Corte, che vengono accertate col verbale quelle speciali circostanze che credono le parti del loro interesse, e che altrimenti ne dovrebbero rimanere estranee.
« Assodato pertanto una volta che il verbale d' udienza non doveva, a pena di nullità, far menzione di quanto lamenta il ricorrente, manca
manifestamente ogni sostrato all'iscrizione in falso contro il verbale.
Sarebbe un controsenso arguire di falso un atto per esservisi omessa
un'enunciazione non richiesta punto alla legale integrità del mede
simo ».
(1-2) Conforme: Cass. Napoli, 4 luglio 1879, a col. 370 di questo volume.
(3) « La Corte, ecc. — Ritenuto, che l'imputazione ascritta ai Bel trami era quella di essersi rifiutati di dare al brigadiere dei reali ca rabinieri di Soriasco le loro generalità, di cui erano stati richiesti;
« Che tale imputazione si ritenne preveduta dall'art. 685, n. 10 del Cod. pen., nel quale si contempla il caso di chi richiesto da compe tente autorità di dare il proprio nome e cognome, lo abbia mentito;
« Che il pretore nella parte razionale della sentenza denunciata ri
tenne, non già che gli imputati abbiano ricusato di dare le loro ge neralità, ma che invece le abbiamo mentite, senza però addurre in
qual modo, ossia con quali parole siansi resi mentitori; « Che evidentissima per sè stessa è la differenza tra il caso di chi
tace e quello di chi parlando mentisce; « Che se, data l'imputazione di un fatto costituente reato, spetta al
giudice del merito di determinare la natura del medesimo, ossia di
indicare l'articolo legge, che lo prevede, per applicarvi poi, ove ne
sia il caso, la sanzione penale, non sarà mai lecito di porre a base di una condanna la prova di un fatto non solo diverso, ma che si
trova anzi in diretta opposizione con quello imputato ; « Che pertanto essendosi, nella specie, i Beltrami ritenuti autori di
un fatto senza prima esaminare se quello costituisse reato, e punito in base ad una disposizione di legge, che non riguarda l'imputazione surriferita, e come sovra trasformata, furono in tal modo disconosciuti
i principi fondamentali del diritto penale, e devesi conseguentemente annullare senz'altro la sentenza denunciata ».
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423 PARTE SECONDA 424
sentenza non sia stata peranco notificata, dovendosi
equiparare alla notifica l'appellazione. (1)
Epperò sarebbe irricevibile un secondo appello, seb
bene appoggiato a motivi, prodotto nei cinque giorni
dalla notificazione della sentenza contumaciale. (2)
Non è ammessibile la prova diretta a constatare la
presentazione dei motivi in un giorno diverso da quello
risultante dal certificato del cancelliere, se il certificato
stesso non fu previamente impugnato mediante iscri
zione in falso.
(Cassazione Torino, 7 maggio 1879, Pres. Montagnini,
Est. Malagoli, P. M. Pozzi (Conci, conf.) — Ric. Biga —
tìior. trib., Milano, 1879, 127, pag. 508; Mon.trib., Mi
lano, 1879, 747).
Furto campestre — Uccidi va ila più reati dello stesso
genere — Unico aggravamento (Cod. pen., art. 625
e 123).
Perchè a carico di un imputato di furto campestre
possa dirsi concorrere così l'aggravante di cui all'ul
timo capoverso dell'art. 625, come la recidiva, di cui
ai precedenti articoli 118 e 123 del Cod. pen., non basta
ch'egli sia stato precedentemente condannato per altri
furti campestri, ma è necessario che sia stato già con
dannato anche per altri reati. (3)
(Cassazione Torino, 16 luglio 1879, Pres. Enrico, Est.
Pasini, P. M. Gambara (conci, conf.) — Ric. P. M. c.
Malavasi — Giom. trib. Milano, 1879, n. 239, pag. 958;
Monit. trib., Milano, 1869, pag. 1027; Riv. leg., 1879,
pag. 281).
Appello — Merito e violazione <11 forme — Sussi
stenza della violazione — Movere «lei giudice <11
appello (Cod. proc. pen., art. 366).
Dalla disposizione dell'art. 366 del Cod. di proc. pen.
alinea, giusta la quale quando l'appello è stato inter
posto per violazione od omissione di forme prescritte
sotto pena di nullità ed insieme per essersi mal giu
dicato nel merito, se il Tribunale riconosce che i mo
tivi di violazione od omissione di forme non sono
fondati, lo dichiarerà, e pronunzierà nel merito: male
si argomenta che, quando invece esso riconosca che i
motivi sono fondali, debba annullare la sentenza del
pretore e rinviargli la causa per un ulteriore giu
dizio. (1) Quest' ultimo caso è retto dal precedente art. 365, in
fine, giusta il quale il Tribunale deve annullare e pro nunziare esso stesso in merito. (2)
(Cassazione Torino, 26 giugno 1879, Pres. Enrico, Est.
Malagoli, P. M. Gambara (Conci, conf.) — Ric. P. M.
in causa Pallavoni — Mon. trib., Milano, 1879, pag. 778; Giorn. trib., Milano, 1879, 732; Riv. leg., 1879, 185).
(1-2) Dopo aver enunciato che il termine per appellare decorre per l'imputato contumace dalla notificazione della sentenza, la suprema Corte osservò che « quando egli, malgrado non abbia peranco avuta la notificazione della sentenza, o, il che torna lo stesso, la notifica zione stessa sia radicalmente viziata, preferisca di valersi senz'altro del rimedio dell'appello, è manifesto che facendo in tal modo uso le
gittimo di un suo diritto, viene a manifestare la propria intenzione di rinunziare al benefizio della regolare notificazione della sentenza, viene a dare per notificata, in una parola, regolarmente la sentenza ad ogni conseguente effetto di ragione, e quindi costituendosi, per così
dire, da sè stesso in mora, apre il corso a quel termine di rigore, che è dalla legge stabilito alla produzione del ricorso contenente i motivi
dell'appello ». Nello stesso senso decise la stessa Cassazione di Torino con la sen
tenza 27 dicembre 1877, ric. Salvini (Monitore dei trib., Milano, 1878, pag. 214).
(3) « La Corte : — Attesoché il furto campestre di cosa il cui valore non eccede le lire 20, commesso di giorno, è punito col carcere non minore di tre mesi, sol quando l'autore del furto stesso sia stato pre cedentemente condannato per reati della stessa specie;
« Che in questo caso la recidività non produce l'effetto giuridico sta bilito dall'art. 123 del Cod. pen., ma costituisce un fatto onde il furto
preaccennato assume una maggiore gravità, ed è quindi punito con un
genere di pena superiore a quella sancita dal n. 1 dell'art. 625 del Codice sopracitato ;
« Che, ciò posto, non può ammettere che, dato il caso di due o più precedenti condanne per furti campestri, una di esse abbia ad essere considerata come costituente elemento del più grave reato previsto dall'ultimo capoverso dell'art 625 del Cod. pen., e le altre, come cir costanze aggravanti la pena dovuta al reato stesso, ai sensi e ai ter mini del precitato art. 123; nè poi la legge ha fatto una tale distin zione in ordine alla recidività di cui è cenno nell'ultimo capoverso dell'art. 625 sovra mentovato ;
« Che il mezzo dedotto non potrebbe quindi aver fondamento, se non nel caso in cui il Malavasi fosse stato precedentemente condan nato per furti campestri e per altri reati ; avvegnaché mentre le pre cedenti condanne pei detti furti costituirebbero il fatto aggravante il furto imputato pel quale è stato condannato con la sentenza sovrac
cennata, le condanne per reati di diverse specie porrebbero in essere la recidiva sul senso e all'effetto di cui agli articoli 118 e 123 del
Cod. pen., operando l'aumento della f)ena applicabile pel reato di furto
campestre preveduto dall'ultimo capoverso dell'art. 625 più sopra ri cordato ;
« Che nel caso del Malavasi le condanne precedenti essendo state a lui inflitte soltanto per furti campestri, il loro effetto giuridico è circoscritto a costituire un reato più grave, e pel quale è comminata la pena del carcere in luogo delle pene di polizia; il che peraltro non
toglie al giudice del merito di tenere nel debito conto, sull'applicazione della pena così delle precedenti condanne, come dalle circostanze re lative all'importanza del fatto imputato ».
(1-2) « La Corte, ecc. — Attesoché il Tribunale correzionale di Pia cenza investito di giurisdizione a conoscere ex integro di questa causa in virtù di appello del condannato, interposto e per violazione di forme
prescritte dalla legge sotto pena di nullità, e ad un tempo per essersi mal giudicato nel merito, ebbe a riconoscere fondato il motivo in linea d'ordine;
« Attesoché a tal punto la norma a cui doveva esattamente unifor marsi il Collegio era letteralmente e nettamente tracciata dalla se conda parte del capoverso dell'art. 365 del Cod. di proc. pen. Inspi rata al principio d'economia, la legge proclama in siffatta contingenza annullare e pronunziare nel merito. Ed è troppo ovvio poi che nella
specialità del caso ciò non poteva dichiararsi in unico contesto, ma dovevasi frattanto annullare la sentenza e rinviare la causa ad altra udienza per rinnovarvi il dibattimento e quindi pronunciare nel merito.
« Se non che invece il Tribunale, lasciata in non cale la menzionata
disposizione, si preoccupò di quelle del successivo art. 366, nella specie manifestamente inapplicabili, e malamente argomentandone, annullò bensì la sentenza, ma in luogo di ritenerla, rimandò la causa al pre tore per un nuovo giudizio, e a quello stesso pretore che aveva dianzi
giudicato, e così non si arrestò nemmeno di fronte a quell'ostacolo legale dei non bis in idem, ecc. »
V. nello stesso senso la sentenza pure della Cassazione di Torino, a col. 146 del presente volume, e la relativa nota dell'avv. Ferrucci ; con la quale sentenza fu stabilita la uguale massima anche nel caso in cui per essere avvenuta la nullità nell'atto di citazione, tutto il
giudizio di primo grado fosse da dichiararsi nullo.
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