sentenza 1° dicembre 1993; Pres. ed est. Cappiello; imp. MazzucchelliSource: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp.369/370-377/378Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188488 .
Accessed: 28/06/2014 08:00
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 91.220.202.49 on Sat, 28 Jun 2014 08:00:22 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA PENALE
denza insussistenti (art. 129 c.p.p.) e la condotta complessiva dei due pubblici ufficiali imputati risulta esente da qualunque
rimproverabilità. Perspicue al riguardo le parole del p.g. di udienza, il quale,
pur senza rinunciare ai gravami dei due uffici del p.m., ha sot
tolineato chiaramente come nella presente vicenda esuli ogni so
spetto o indizio di collusione o di aggiramento delle leggi di protezione dei beni storico-artistici, essendo fuori di dubbio la correttezza sostanziale della condotta dei due imputati, cui in
combeva il preciso dovere di ufficio di realizzare l'opera affida
ta al consorzio, opera che anzi costituiva l'unica ragione di fon
dazione e di azione dell'ente.
Del resto, anche volendo entrare nello specifico delle opere
realizzate, non può tacersi che le conclusioni del consulente di
ufficio del p.m., enunciate nella relazione 31 gennaio 1990 al
punto 6.2.B, vanno raffrontate con quelle dello stesso ingegne
re al punto 5.2 della successiva relazione 4 giugno 90, laddove
leggesi: «l'opera risulta conforme per dimensioni, tipologia e
tracciato agli elaborati a suo tempo progettati e presentati alla
competente soprintendenza». Deve dunque escludersi che, nella fase esecutiva, sia stata con
cretamente attuata una qualche subdola modificazione, per elu
dere i controlli e quindi porre in non cale le raccomandazioni
degli organi dei beni culturali e ambientali, cosicché l'opera ri sulta realizzata nei termini concreti sui quali si formò il concer
tato assenso dei vari organi di sorveglianza. Chi volesse poi conoscere nei particolari le vicende progettua
li, le modifiche via via apportate, tramite i molti colloqui ed
incontri con le associazioni agricole, le associazioni ambientali
stiche, i rappresentanti dei vari enti interessati, potrebbe dilun
garsi nella lettura dell'ampia ricostruzione elaborata dalla con
sulenza della difesa, redatta dalla prof. Giovanna Bermond Mon
tanari, funzionario a riposo della amministrazione dei beni
culturali, che aveva retto anteriormente proprio la soprinten
denza archeologica di Bologna, ufficio vigilante, e che aveva
condotto appositi studi sulla centuriazione.
A pag. 8-11 della relazione si illustra come il progetto del
1987, accogliendo le istanze di tutela, aveva adottato per il trat
to di canale Savio-Pisciatello di cui trattasi il criterio del rispet
to assoluto delle infrastrutture storiche, cosicché il canale scom
pariva alla vista — dalla quota di campagna — o comunque
lasciava indisturbato il livello altimetrico, apparendo dall'aereo
come una serie di linee, affiancate concordi con quelle perime
trali dell'ordito centuriale: in parole povere si evitavano le dia
gonali taglianti le aree della centuriazione.
Concludendo, anche la analitica rassegna degli atti, indicata
nella citata consulenza difensiva, conferma il giudizio già enun
ciato di sostanziale conformità dell'opera, come in concreto rea
lizzata, alle raccomandazioni degli organi di tutela dei beni cul
turali. Sulla base delle svolte considerazioni, condotte sui documenti
esistenti nel fascicolo, tutte le doglianze delle parti civili, che
peraltro hanno combattuto una apprezzabile battaglia civica,
conforme ai loro fini statutari di impegno per l'ambiente ed
il patrimonio storico nazionale, ed hanno senza dubbio positi vamente influito su quelle scelte, (che però ancora oggi non
condividono), non possono essere accolte nel merito, salvo ri
badire, come si è fatto, la piena legittimità del loro intervento
processuale, quali interlocutori dei pubblici poteri in genere, so
stenitori dell'azione dell'organo di accusa e compartecipi del con
fronto giudiziario, in un ruolo accessorio si, ma di grande signi
ficato sociale.
La constatazione dell'insussistenza di qualsiasi reato, nella con
dotta degli imputati, porta ad escludere ovviamente qualunque
sanzione civilistica e riparatoria, ed impedisce qualunque rifu sione delle spese a favore delle stesse parti civili, rendendo inu
tile investigare se in concreto le associazioni costituitesi abbiano
riportato, in assenza del danno diretto, almeno il danno dei
costi dell'azione giudiziaria per il loro intervento, che resta ap
punto a loro totale carico, risultando nel caso concreto supera
ta ogni questione definitoria sulla natura del danno risarcibile a favore di una associazione ambientalistica volontaria.
Il Foro Italiano — 1994.
CORTE D'ASSISE DI MASSA CARRARA; sentenza 1° di cembre 1993; Pres. ed est. Cappiello; imp. Mazzucchelli.
CORTE D'ASSISE DI MASSA CARRARA;
Istigazione a delinquere o a disobbedire e apologia di reato o
sovversiva — Apologia — Erezione di monumento ad anar
chico regicida — Reato — Esclusione (Cod. pen., art. 280,
303).
Non ha concreta idoneità a provocare delitti di sorta, né in par
ticolare quello di attentato per finalità terroristiche o di ever
sione, l'erezione nei pressi del cimitero di Carrara di un mo
nolite marmoreo a forma di parallelepipedo irregolare che,
dedicato dagli anarchici a Gaetano Bresci, non ricorda nella
struttura e nell'iscrizione l'uccisione di Umberto I di Savoia,
non sussistendo, in relazione ali 'humus locale, alla inattualità
del personaggio e del suo gesto, al mutato contesto storico,
economico e sociale, all'esaurirsi del movimento anarchico,
un collegamento causale tra l'erezione del cippo marmoreo
e il possibile rinascere di una emergenza terroristica o il veri
ficarsi di un violento fatto di sangue, inoltre, l'elemento sog
gettivo del reato di apologia ex art. 303, 2° comma, c.p. con
sistendo nel cosi' detto «dolo istigatorio», cioè nella coscienza
e nella volontà di turbare — con le parole e/o con fatti sim
bolici — l'ordine pubblico o la personalità dello Stato. (1)
(1) Con la decisione in epigrafe si chiude la vicenda processuale di
Ugo Mazzucchelli, anarchico carrarese, nato nel 1903, imputato di apo
logia del reato di «attentato per finalità terroristiche o di eversione»
(art. 280 c.p.) per avere eretto il 2 maggio del 1990 un cippo di marmo
dedicato alla memoria di Gaetano Bresci, l'anarchico di Prato che il
29 luglio del 1900, in Monza, uccise il re Umberto I di Savoia.
Assolto nei primi due gradi di giudizio, Mazzucchelli è stato assolto
anche nel giudizio di rinvio (al quale si riferisce la sentenza qui riporta
ta) disposto dalla prima sezione della Cassazione con la sentenza 27
settembre 1991, nella quale la corte ha in punto di diritto ritenuto che
«è configurabile l'apologia di reato sotto forma di istigazione a delin
quere nel fatto di erigere un monumento a perenne memoria — addi
tandola ad esempio — a persona nota per avere spento la vita di un
capo di Stato, qualora si accerti che, nonostante la lontananza storica
dell'assassinio, sussiste attualmente e concretamente la possibilità che
l'erezione del monumento eserciti una forza di suggestione e di persua
sione tale da poter stimolare la commissione di altri fatti criminosi,
corrispondenti o similari a quello esaltato» (1).
I giudici di Massa Carrara hanno ritenuto che nel caso in esame,
per una articolata serie di ragioni dettagliatamente individuate, questo
pericolo in concreto non esistesse, mandando assolto l'imputato.
II principio di diritto enunciato dalla Cassazione e fedelmente appli
cato dai giudici di Massa Carrara è frutto della interpretazione data
al reato di apologia dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 65
del 4 maggio 1970 nella quale l'eccezione di incostituzionalità, per con
trasto con la libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost.,
dell'art. 414, ultimo comma, c.p. — norma generale rispetto alle varie
ipotesi di apologia previste dal codice penale e da alcune leggi specia
li (2) — venne rigettata ritenendo che «l'apologia punibile non è la ma
nifestazione del pensiero pura e semplice, ma quella che per le sue mo
dalità integri comportamento concretamente idoneo a provocare la com
missione di delitti» (3).
Quella storica decisione segnò una profonda inversione di tendenza,
almeno sul piano dei principi, rispetto a quanto era andata fino allora
(1) In Foro it., Rep. 1992, voce Istigazione a delinquere, n. 5.
(2) C.p. art. 266 (Istigazione di militari a disobbedire alle leggi) 272
(Propaganda e apologia sovversiva o antinazionale); 303 (Pubblica isti
gazione e apologia); 327 (Eccitamento al dispregio e vilipendio delle
istituzioni, delle leggi e degli atti delle autorità); 414 (Istigazione a de
linquere); 553 (Incitamento a pratiche contro la procreazione), abroga
to da Corte cost. 16 marzo 1971, n. 49 (Foro it., 1971, I, 831); c.p.
mil. pace art. 213 (Istigazione di militari a disobbedire alle leggi); 1.
9 ottobre 1967 n. 962, art. 8 (Prevenzione e repressione del delitto di
genocidio); 1. 20 giugno 1952 n. 645, art. 4 (Apologia del fascismo)
cosi come sostituito dall'art. 10 1. 22 maggio 1975 n. 152.
(3) In Foro it., 1970, I, 1545, e col commento di Bognetti, in Riv.
it. dir. e proc. pen., 1971, 18; Amato e Branca, in Politica del diritto,
1971, 281, 655; Jemolo, in Giur. costit., 1970, 957; Summa, in Demo
crazia e diritto, 1970, 407; Fiore, in Arch, pen., 1971, II, 15.
This content downloaded from 91.220.202.49 on Sat, 28 Jun 2014 08:00:22 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE SECONDA
Fatto e diritto. — Il 4 maggio 1990 il sig. Alberico Varoli, residente in Mocrome di Villafranca in Lunigiana, depositava
presso la segreteria della locale procura della repubblica un espo
sto col quale, premesso: che anni prima aveva portato a cono
scenza dello stesso ufficio che il comune di Carrara aveva, in
sede di assemblea consiliare, deliberato la erezione di un monu
mento all'anarchico Bresci presso il cimitero di Turigliano in
Carrara, nel che era da ravvisarsi l'ipotesi di apologia di reato;
che da tale esposto era derivato procedimento penale a carico
degli amministratori del comune di Carrara, definito avanti la
Corte d'appello di Genova con assoluzione con formula dubita
tiva; che il precedente giorno 1, come pubblicato dal quotidia
no La Nazione il successivo di' 3, certi Ugo Mazzucchelli ed
sostenendo la Cassazione. Questa, nonostante agli inizi della vita re
pubblicana sembrasse orientata a rivedere la legittimità di determinate
forme apologetiche, ritenendo che tra le disposizioni penali emanate
a tutela del regime fascista ed abrogate dal d.leg.lgt. 27 luglio 1944
n. 159 fosse anche da ricomprenderne l'art. 272 c.p. (4), tuttavia, in
seguito, fece di quelle stesse figure di apologia previste dal codice Roc
co un uso coerente alle valenze fortemente illiberali che ne determinaro
no storicamente la genesi (5). Emblematiche in proposito le affermazio
ni contenute in una fondamentale sentenza degli anni cinquanta (6), in cui la Cassazione sostenne che l'incriminazione della apologia ha
la funzione di «vietare la trasmissione di taluni elaborati mentali dalla
sfera intellettiva del soggetto che li ha concepiti a quella di altri sogget
ti, chiamati a riceverli» (7). L'attacco alla libertà di pensiero non pote va essere più esplicito e fedele alla matrice autoritaria delle norme in
questione (8). Nell'intenzione dei giudici della Consulta la sentenza n. 65 del 1970
doveva ridurre l'attrito tra l'art. 21 Cost, e le norme relative ai reati
di apologia, con una rilettura dell'art. 414, ultimo comma, c.p. che
lo armonizzasse col principio costituzionale di libera manifestazione del
pensiero. La strada che allora sembrò percorribile fu quella di ridurre
l'apologia ad una forma di istigazione indiretta. Questa prospettiva era
stata caldeggiata dalla dottrina degli anni sessanta, che aveva suggerito l'emissione di una sentenza interpretativa di rigetto (9) che, ferma re
stando la necessità di non espungere completamente dall'ordinamento
i reati di apologia, imprimesse una svolta nella loro interpretazione giu
risprudenziale, operando sia sull'elemento materiale del reato, con un
passaggio dal pericolo astratto a quello concreto, sia sull'elemento sog
gettivo, con un passaggio dal dolo generico al dolo specifico (10). La
soluzione, tra l'altro, si armonizzava anche con l'indirizzo seguito dalla
più risalente dottrina penalistica che aveva ricostruito il reato di apolo
gia sul paradigma della istigazione, facendone la forma indiretta di ma
nifestazione (11). Non mancò, tuttavia, chi sostenne la irrimediabile in
(4) Vedi Cass. 13 settembre 1949, Aglietto, Foro it., Rep. 1949, voce
Fascismo, n. 32; 13 settembre 1949, Trezzi, Giur. Cass, pen., 1949, 456; 12 giugno 1950, Cambi, Foro it., Rep. 1950, voce cit., n. 155.
Questo orientamento fu abbandonato a partire da Cass. 31 marzo 1950, Giur. Cass. pen., 1950, 67, seguita da note di Brasiello, Sovversivismo
(associazioni e propaganda) e Allegra, In tema di annullamento delle
sentenze del tribunale speciale. (5) Per una sintetica ricostruzione dell'evoluzione storica e giurispru
denziale delle figure di apologia, a partire dai codici preunitari fino
agli anni ottanta, vedi La Cute, Apologia e istigazione, voce de\\'Enci
clopedia giuridica Treccani, 1988, II.
(6) Cass., sez. un., 18 novembre 1958, Colorai, Foro it., 1959, II, 162 e Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, 183, con nota di Bognetti, Apo logia di delitto e principi costituzionali di libertà d'espressione.
(7) La sentenza si segnala anche perché traccia una distinzione netta tra i concetti di apologia, istigazione e propaganda sostenendo che l'a
pologia si sostanzia in un'attività che si ripromette di incidere solo sul l'intelletto dei destinatari e si riferisce ad un concreto avvenimento del
passato; l'istigazione consiste in una espressione del pensiero che tende a stimolare l'altrui volontà per ottenere uno specifico risultato e non
può che proiettarsi verso il futuro; la propaganda agevola la formazio ne del giudizio da parte del destinatario, cerca di conseguire uno speci fico risultato e si avvale di solito di richiami a cose e ad uomini del momento.
(8) Vedi Bognetti, Apologia di delitto, cit.
(9) Fleltry, L'apologia del delitto nella legge positiva e i problemi di legittimità costituzionale, in Scuola positiva, 1966, 281.
(10) Bognetti, Apologia di delitto, cit.
(11) Zerboglio, Delitti, contro l'ordine pubblico, in Trattato Flo
rian, 1935, 32; Dì Vico, Il delitto di apologia, in Annali di dir. e proc. pen., 1936, 785; Antolisei, Manuale di dir. pen., 10a ed., 1991, p.s. II, 232; Manzini, Trattato di dir. pen., 5a ed., 1981, vol. IV, 689.
Il Foro Italiano — 1994.
altri avevano messo a dimora il monumento; tanto premesso,
denunciava tale fatto chiedendo che gli autori del medesimo
venissero perseguiti penalmente qualora nel medesimo fossero
rilevabili ipotesi di reato. Analoga denuncia veniva, per il me
desimo episodio, presentata, il successivo 11 maggio 1990, allo
stesso ufficio dai sig. Sergio Boschiero e Mario Cagetti; nella
quale si specificava che il monumento recava la scritta «A Gae
tano Bresci, gli anarchici carraresi».
A seguito di tanto — nonché di relativa informativa dei cara
binieri di Carrara in data 3 maggio 1990 che, nel confermare
l'erezione del cippo marmoreo, riferivano che della stessa il Maz
zucchelli si era, ad essi militari, dichiarato autore, unitamente
ad altri «fidati» — veniva dato corso alle indagini preliminari,
costituzionalità dell'art. 414, ultimo comma (12) e chi prospettò la ne
cessità di limitare, legislativamente e tassativamente, l'incriminazione
per apologia all'ambito dei soli delitti comuni, escludendo i delitti di
natura politica (13). La Corte costituzionale ha salvato l'art. 414, ultimo comma, ritenen
dolo non in contrasto con la libertà di manifestazione del pensiero a
condizione che il pericolo derivante dalla apologia sia concreto e non
astratto. La dottrina più moderna, e sensibile alla valorizzazione dei
precetti costituzionali, ha ampiamente criticato questa soluzione, sia sul
piano contenutistico (riduzione della apologia a istigazione indiretta), sia per lo strumento utilizzato (sentenza interpretativa di rigetto). Dal
primo punto di vista si è obiettato che, se l'apologia punibile è solo
quella che «integri un comportamento concretamente idoneo a provo care la commissione di delitti», si trasforma l'apologia in un doppione inutile della istigazione, essendo un'azione cosi caratterizzata già puni bile in base al 1° comma dell'art. 414 (14). Dal secondo punto di vista
si è rilevato che la pronuncia della Consulta, priva di efficacia vincolan
te, non può di per sè costituire un argine sicuro contro un possibile
riemergere del conflitto tra la libertà di manifestazione del pensiero e
le fattispecie di apologia, e, dall'analisi della giurisprudenza successiva
della Cassazione, si è evidenziato quanto poco quella decisione abbia
inciso sul piano pratico ed operativo (15). Da un punto di vista dogmatico, gli strumenti utilizzati dalla giuris
prudenza predetta per svuotare le indicazioni della Consulta sono stati
il ritorno alla ricostruzione della fattispecie oggettiva nei termini di rea
to a pericolo presunto (16), l'individuazione dell'elemento soggettivo nel
dolo generico (17), la riduzione del requisito della «pubblicità» dell'a
(12) Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordina
mento italiano, 1958.
(13) Fois, Principi costituzionali e libera manifestazione del pensiero, 1957.
(14) Fiore, Libera manifestazione del pensiero e apologia di reato, va Arch, pen., 1971, II, 19; Id., I reati di opinione, 1972, 104; Galas
so, In tema di apologia di reato, in Cass, pen., 1975, 516; Napoleoni, «Horror vacui» e false interpretazioni in tema di apologia di delitto, in Cass, pen., 1981, 772.
(15) Trucco, Brevi note sui più recenti atteggiamenti giurispruden ziali in tema di apologia, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1982, 735.
(16) Vedi Cass. 11 marzo 1975, Raspadori, Foro it., Rep. 1976, voce
Istigazione a delinquere, n. 8; 11 dicembre 1981, Scuderi, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1; 13 giugno 1984, Di Maio, id., Rep. 1986 voce
cit., n. 6; 29 marzo 1985, Abate, id., 1986, II, 19, con nota di Fianda
ca; 11 aprile 1986, Alloro, id., Rep. 1987, voce cit., n. 10. Sulla categoria dei reati di pericolo, vedi, di recente, Dì Pietro, In
margine al problema dei reati di pericolo ed al loro rapporto con i
delitti di attentato, in Riv. polizia, 1992, 783; Canestrari, Reato di
pericolo, voce dell'Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1991, XXVI; Parodi Giusino, I reati di pericolo tra dogmatica e politica criminale,
Giuffrè, Milano, 1990; Montano, Il proclamato pericolo concreto e
la genericità dell'oggetto giuridico nel reato di istigazione dei militari a disobbedire alle leggi, in Cass, pen., 1990, I, 852; Grasso, L'anticipa zione della tutela penale: i reati di pericolo e i reati di attentato, in
Riv. it. dir. e proc. pen., 1986, 689; Calamanti, Tutela penale anticipa ta e sacrificio di libertà: la legittimazione dei reati di pericolo nella
giurisprudenza costituzionale, in Giust. pen., 1985, II, 743; Fiandaca, La tipizzazione del pericolo, in Dei delitti e delle pene, 1984, 441; Aieo, Il danno e il pericolo nel reato, Catania, 1983; Riz, Pericolo, situazione di pericolo, condotta pericolosa, in Indice pen., 1983, 495.
(17) Cass. 22 novembre 1974, Bindi, Foro it., 1975, II, 136; 11 mar
zo 1975, Raspadori, cit.; 10 marzo 1981, Menghini, id., 1981, II, 508; 11 dicembre 1981, Scuderi, cit.; 11 giugno 1986, Rapa, id., Rep. 1987, voce Istigazione a delinquere, n. 12.
This content downloaded from 91.220.202.49 on Sat, 28 Jun 2014 08:00:22 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA PENALE
al termine delle quali il p.m., formulati a carico del Mazzuc
chelli gli addebiti di cui agli art. 110, 414, ultimo comma, in relazione all'art. 280 c.p. «per avere... fatto l'apologia del de
litto di attentato per finalità di terrorismo e di eversione dell'or
dine democratico», nonché di cui agli art. 110, 349 c.p. (viola
zione di sigilli apposti al cantiere per la erezione del monumen
to in questione) ne chiedeva il rinvio a giudizio.
Il g.i.p. andava in diverso avviso e, con sentenza 20 settem
bre 1990, proscioglieva il Mazzucchelli da entrambe le accuse
perché «i fatti ascrittigli non costituiscono reato»: quanto alla
prima, per carenza di entrambi gli elementi, oggettivo e sogget
tivo, costitutivi del reato; quanto alla seconda, essendo ragione
vole supporre che il Mazzucchelli avesse ignorato la persistenza
del vincolo a suo tempo apposto dal p.m. (in relazione al can
tiere in precedenza predisposto per l'erezione del monumento,
secondo la delibera consiliare cui si è cennato).
La decisione veniva impugnata — per il solo capo riguardan
te l'apologia — dalla p.g. della repubblica in Genova, con atto
22 ottobre 1990; ma, con sentenza 5 aprile 1991, la sezione pro
miscua della corte d'appello respingeva il gravame conferman
do — sia pure sotto diverso profilo — la decisione del g.i.p.
Avverso tale sentenza il p.g. proponeva, in data 19 aprile
1991, ricorso per cassazione; e la Suprema corte, con sentenza
27 settembre 1991 (Foro it., Rep. 1992, voce Istigazione a delin
quere, n. 5), ritenuto non sufficientemente motivato il punto
concernente la idoneità (o meno) della forma apologetica in ar
gomento a provocare — per la forza di suggestione nei con
fronti di terzi — condotte violatrici di leggi penali, segnatamen
te di quella di cui all'art. 280 c.p., annullava l'impugnata sen
pologia da elemento costitutivo del reato a condizione obiettiva di puni bilità (18). Anche le sentenze che hanno abbracciato la prospettiva del
pericolo in concreto prevalentemente riducono il requisito della concre
ta idoneità della apologia a provocare delitti nei termini di una possibi
lità (variamente intesa) che l'evento si verifichi (19), scegliendo, tra le
possibili valenze della «idoneità in concreto» (20), quella meno restritti
va dell'ambito operativo dei reati di apologia (21). La sentenza dei giudici di Massa Carrara qui riportata si segnala in
vece per aver aderito alle indicazioni e allo spirito della decisione della
Consulta, andando anche oltre la sentenza di rinvio della Cassazione
nella parte in cui ha precisato che l'elemento psicologico che deve sor
reggere la condotta dell'apologeta deve consistere nel c.d. «dolo istiga
torio», cioè nella coscienza e volontà di turbare — con le parole e/o
con fatti simbolici — l'ordine pubblico o la personalità dello Stato.
Ma una rondine non fa primavera e il problema della legittimità co
stituzionale dei reati di apologia resta tuttora aperto (22). [F. M. Amato]
(18) Cass. 14 dicembre 1973, Zanchè, Foro it., Rep. 1975, voce Isti
gazione a delinquere, n. 8; 10 novembre 1982, Morlacchi, id., Rep. 1984, voce cit., n. 4; 18 aprile 1983, Calà, id., 1984, II, 391; 11 giugno
1986, Nastri, id., Rep. 1987, voce cit., n. 13.
(19) Vedi Cass. 27 settembre 1991, Mazzucchelli, cit.; 28 ottobre 1987,
Bertagnolli, Foro it., Rep. 1990, voce Istigazione a delinquere, n. 5; 23 giugno 1988, Struwe, id., Rep. 1989, voce cit., n. 6; 18 marzo 1983,
Bonanno, id., Rep. 1984, voce cit., n. 10; 5 luglio 1979, Pantrandolfo,
id., Rep. 1981, voce cit., n. 6; 23 gennaio 1979, Paolozzi, id., 1980,
II, 248; 14 dicembe 1973, Zanché, cit.
(20) Vedi Bognetti, Apologia di delitto punibile ai sensi della Costi
tuzione e interpretazione della norma dell'art. 414 c.p., ultimo comma,
in Riv. it. dir. e proc. pen., 1971, 18, che distingue tra capacità di
indurre terzi alla commissione immediata di delitti, probabilità che i
delitti vengano commessi e semplice possibilità che ciò accada.
(21) Propende per una interpretazione più restrittiva, Cass. 16 otto
bre 1973, D'Ali, Foro it., Rep. 1974, voce Istigazione a delinquere, n. 13, e, per esteso, in Giust. pen., 1974, II, 617, che parla di condotta
idonea «ad incidere su specifiche situazioni dalle quali derivi un perico lo diretto e immediato per l'ordine e la sicurezza pubblica».
(22) Vedi Marconi, Propaganda e apologia sovversiva, voce dell'&i
ciclopedia del diritto, Milano, 1988, XXXVII, 147; La Cute, Apologia e istigazione, cit.; Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte speciale, Bo
logna, 1988, I, 63; Stortoni, L'incostituzionalità dei reati di opinione: una questione liquidata? (nota a Corte cost. 5 giugno 1978, n. 71), in Foro it., 1979, I, 899.
Il Foro Italiano — 1994.
tenza e rinviava per nuovo esame ad altra sezione della corte
d'appello suddetta.
Quest'ultima, con decreto 30 gennaio 1992, rinviava il Maz
zucchelli al giudizio del Tribunale di Massa Carrara, per rispon
dere del reato di cui agli art. 110, 414, ultimo comma, in rela
zione all'art. 280 c.p., cosi come formulato a suo tempo davan
ti al g.i.p. Il Tribunale di Massa Carrara, con sentenza 27 marzo 1992,
ravvisata — secondo la puntualizzazione in fatto — non già
l'ipotesi contestata con riferimento alla suddetta norma di cui
all'art. 414 c.p., bensì quella prevista dall'art. 303, 2° comma,
c.p., dichiarava la propria incompetenza per materia e ordinava
la trasmissione degli atti alla Corte di assise di Massa, compe tente sotto detto profilo, ai sensi dell'art. 5, lett. d), c.p.p..
All'esito del relativo iter, il g.i.p. disponeva — con decreto
30 giugno 1993 — il rinvio del Mazzucchelli al giudizio di que sta corte di assise, per rispondere del delitto specificato in
epigrafe. All'odierna udienza dibattimentale, l'imputato è comparso.
Sono stati sentiti il denunziante Varoli (gli altri due non sono
comparsi, nonostante le rituali convocazioni: consta informal
mente con il prof. Cagetti è, nelle more, deceduto) i verbaliz
zanti maresciallo D. Liberatore e carabiniere I. Burgio, che hanno
confermato gli atti a suo tempo rispettivamente depositati e re
datti, ed infine l'imputato che ha reso spontanee dichiarazioni
con le quali ha, in sostanza, ribadito gli ideali di giustizia e di pace alla base della sua iniziativa.
All'esito, p.m. e difensori hano concluso come del pari sopra
riportato.
La corte premette che risulta pacificamente accertato, attra
verso gli atti assunti e le stesse ammissioni dell'imputato, come
nelle circostanze di tempo e di luogo specificate nel capo d'ac
cusa un cippo mormoreo dedicato a Gaetaneo Bresci dagli anar
chici, sia stato collocato in località Turigliano di Carrara nei
pressi dell'omonimo cimitero, cioè in luogo pubblico, accessibi
le incondizionatamente a tutti, ad opera del Mazzucchelli Ugo, in concorso con altre persone rimaste ignote.
In proposito va subito sgombrato il campo da un rilievo di
natura procedurale sollevato dalla difesa con riferimento al fat
to che a suo tempo lo stesso Mazzucchelli e gli amministratori
del comune di Carrara — i quali avevano, su istanza del primo,
approvato il progetto dell'erezione del monumento di che trat
tasi — vennero per ciò imputati del medesimo reato in argo
mento, e poi prosciolti dalla sezione istruttoria della Corte d'ap
pello di Genova: secondo la difesa, questa conclusione si river
bererebbe sull'attuale posizione processuale del Mazzucchelli —
il quale, con l'erezione del monumento, avrebbe lecitamente da
to attuazione a detta delibera — nel senso che l'ulteriore corso
dell'azione penale nei confronti di esso imputato sarebbe inibito
o dal disposto di cui all'art. 434 c.p.p. (in quanto nella fattispe
cie non si sarebbero prospettate «nuove fonti di prova», ma
vi sarebbe stato un logico e lecito sviluppo della detta delibera
consiliare) o dal disposto di cui al successivo art. 649 (divieto
di un secondo giudizio). È agevole osservare che il rilievo — e le conseguenti eccezioni
e conclusioni — vanno disattesi posto che la suaccennata sen
tenza di proscioglimento motivò (essa non è agli atti del presen
te incarto: ma il particolare si deduce chiaramente dai riferi
menti che in alcuni di essi vengono fatti alla medesima) sotto
il profilo che quanto fino ad allora posto in essere (istanza al
comune per ottenere l'area; relativa delibera di accoglimento)
non era idoneo a concretare l'apologia del fatto-reato posto in
essere da Gaetano Bresci con l'assassinio del re Umberto I, pe
raltro «impregiudicata ogni questione relativa alla rilevanza pe
nale di una eventuale collocazione di un monumento a Bresci
in luogo pubblico o aperto al pubblico»; mentre l'imputazione
attuale si riferisce ad un fatto diverso, nuovo e successivo, rap
presentato per l'appunto dall'erezione del suddetto monumento.
La corte prende altresì atto che l'accusa ha ravvisato in tale
fatto posto in essere dal Mazzucchelli gli estremi del reato di
apologia del delitto di cui all'art. 280 c.p. (attentato per finalità
terroristiche o di eversione dell'ordine democratico); e tale rea
to ha qualificato ai sensi dell'art. 303, 2° comma, c.p., species
This content downloaded from 91.220.202.49 on Sat, 28 Jun 2014 08:00:22 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE SECONDA
rispetto al genus previsto dall'ultimo comma del successivo art.
414, ritenendo che con detta azione l'imputato abbia voluto —
posto che Gaetano Bresci è passato alla storia ed è conosciuto
soprattutto, se non essenzialmente, per essere l'autore del regi cidio di Umberto I — fare pubblco e convinto elogio di tale
fatto delittuoso, indicandolo quale esempio o modello da imita re: nel che si concreta per l'appunto, lessicalmente e secondo
concordi dottrina e giurisprudenza, l'apologia (detta altrimenti
«istigazione indiretta» a delinquere). In proposito, la corte prende e dà atto di quanto dai giudici
che l'hanno preceduta ricordato ed egregiamente esposto — se
gnatamente nelle sentenze 5 aprile 1991 della sezione promiscua della Corte d'appello di Genova e 27 settembre 1991 della pri ma sezione penale della Corte di cassazione — in ordine al tra
vaglio soprattutto giurisprudenziale inteso a conciliare la per manenza nel codice penale vigente — anche dopo l'avvento del
nuovo ordine democrativo al termine degli eventi bellici che van
no dal 1939 al 1945, e della resistenza — di varie norme («fi
glie» del tempo in cui furono emesse) concernenti i cosi detti
«reati d'opinione», con l'introduzione del diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero, sancito dall'art. 21 Cost.
Sforzo conclusosi, per ciò che concerne l'apologia, con la sen
tenza 4 maggio 1970, n. 65 (id., 1970, I, 1545) della Corte costi
tuzionale, la quale ha affermato e stabilito che il relativo delitto
si ha quando la estrinsecazione dell'azione, per le sue modalità,
integri un comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti, trascendendo la pura e semplice mani
festazione del pensiero. A tale principio si è costantemente uniformata la successiva
giurisprudenza, di legittimità e di merito; se qualche divergenza è dato registrare, essa si pone su un piano ulteriore, e cioè men
tre per talune sentenze il pericolo concreto necessario per aversi
apologia punibile sarebbe l'immediata attitudine della stessa a
far commettere reati del genere di quelli oggetto dell'apologia,
per altre tale pericolo dovrebbe ravvisarsi anche solo con la pos sibilità che simili reati si perpetrino.
Resta fermo, comunque, il suenunciato principio della con
creta idoneità dell'azione a provocare la commissione di reati; e ad esso si è riportata anche la sopra menzionata sentenza 27
settembre 1991 della Corte suprema, là dove raccomanda di te
ner «conto della esistenza o meno di terreno fertile nel quale
possa trovare radici l'apologia di un fatto violento e penalmen te sanzionato, rispetto al cui humus la lontananza storica del
reato esaltato ...non cessa di conservare la sua pregnanza...». Ciò posto, ritiene la corte che nella fattispecie — e qui essa
richiama e sottolinea il suo ruolo in questo territorio, specie nella sua componente popolare e nella conoscenza che questa ha per l'appunto delVhumus locale — quanto compiuto dal
l'imputato non abbia assolutamente concreta idoneità a provo care delitti di sorta: non, in particolare, quello di cui all'art. 280 c.p.
A proposito del quale ultimo, e incidentalmente a livello più che altro teorico ed accademico, la corte si prospetta il dubbio
se l'asserita apologia sia riferibile a tale reato — che all'epoca in cui Bresci attentò alla vita di Umberto I non era configurato essendo, dopo l'abrogazione del codice penale vigente operata con l'art. 3 d.leg. lgt. 14 settembre 1944 n. 288, stato introdotto
con l'art. 2 1. 6 febbraio 1980 n. 15 — o non ad altra norma:
ad esempio quella di cui all'art. 276 c.p. (attentato contro il
presidente della repubblica) o, genericamente, di cui all'art. 575
c.p., nel quale ultimo caso il riferimento sarebbe all'art. 414
c.p.: e potrebbe essere specchio della sia pur inconscia incertez
za e perplessità, sul punto, di chi formulò la prima accusa, il
collegamento tra questa norma e quella di cui al menzionato
art. 280.
Comunque, ripetesi, all'episodio in esame non può essere at tribuita quell'efficacia — puntualizzata dalla Corte costituzio nale nella citata sentenza — in ordine a qualsivoglia reato, con
tro qualsiasi bene tutelato, con particolare riferimento alle per sone e/o alle istituzioni che esse rappresentino.
Il monumento di che trattasi, né nella sua struttura (un mo nolite marmoreo, a forma di parallelepipedo irregolare, fregia to di laterali rigature verticali) né nella sua iscrizione («A Gae
tano Bresci gli anarchici») ricorda in qualche modo — simboli camente o espressamente — l'episodio del regicidio; è collocato
Il Foro Italiano — 1994.
in località scarsamente abitata, di transito celere, e nei pressi del cimitero, la cui presenza invita ed ispira a sentimenti di pa
ce, di perdono e di oblio; Gaetano Bresci — anche se è ricorda
to, dalla più parte dei non molti che lo ricordano, essenzial
mente per avere ucciso il re Umberto I — non è certo conosciu
to da una grande, ed eterogenea, maggioranza, la sua figura e il suo gesto sanguinoso non sono di attualità, appartengono ad un passato oramai remoto, lontani nel tempo, in un contesto
storico economico e sociale ben diverso dall'attuale.
Infine, il movimento anarchico italiano è venuto progressiva mente ad esaurire il suo ruolo storico sul piano strettamente
politico a partire dal primo congresso del Partito socialista a
Genova dell'agosto del 1892 e, su quello sindacale e della difesa
dei lavoratori, dopo la grande guerra, perdendo ogni presa sulle
masse proletarie, le quali si riconobbero nel Partito socialista
in un primo tempo e poi in quello comunista, oltre che nel
cattolicesimo sociale.
Indicativo, il modesto contributo dato dagli anarchici nella
guerra partigiana del 1943/45, a fronte dell'apporto dei suddet
ti altri movimenti.
Alla stregua di quanto precede, ritiene la corte che non sussi
ste — né, a maggior ragione, possa sussistere per il futuro —
un collegamento di causa ad effetto tra l'erezione del cippo mar
moreo di che trattasi e il possibile rinascere di un'emergenza terroristica — la quale ultima, caratterizzatasi nel recente scor
cio di tempo, a partire dal 1968, come «rossa» o «nera», trae
origine da vicende ideologiche e culturali e da un contesto socio
economico molto diversi da quelli che alimentarono il movi
mento anarchico, e tuttora ispirano i non molti superstiti del
medesimo — o comunque il verificarsi di un violento fatto di
sangue. L'affermazione appare logica, valida e legittima sulla base
non soltanto di una ragionevole previsione formulata, come so
pra, in considerazione di elementi di fatto reali e non contro
versi, di natura storica, economica e sociale, ma anche della
concreta esperienza, recente e più lontana nel tempo. Per restare a Bresci, nello stradario di Prato, sua città natale,
figura una via a lui intestata, con la relativa targa, come docu
mentato in atti: non risulta che tale dedica abbia infiammato
petti e menti di ribelli ed armato la loro mano contro rappre sentanti dell'attuale ordine costituito.
Né risulta che siffatto effetto abbiano provocato i consimili
cippi eretti nel cimitero di Carrara ad altri anarchici: Meschi,
Vatteroni, Lucetti ed altri.
Ed innumerevoli si potrebbero elencare le vie, i corsi, le piaz
ze, le targhe, i cippi e i monumenti dedicati nel tempo, in Italia
e all'estero, a chi violentemente spense la vita di chi — a torto
o a ragione — era ritenuto un tiranno oppressore, colpevole di cancellare i diritti dell'uomo: senza presumere di formulare, in questa sede, un giudizio sulle relative azioni, solo per consta
tare come le autorità preposte alle varie fasi — di autorizzazio
ne e di controllo — di tali realizzazioni non abbiano ravvisato
in esse alcunché di contrario alla legge e di pericoloso per le
istituzioni. Esula, in particolare, dall'ambito della presente, il giudizio
— consegnato alla storia e agli storici — sul tempo, sulla figura e sull'azione politica e sociale del re Umberto I, sulla repressio ne sanguinosa dei moti di Milano del 1898 ad opera del gen.
Bava-Beccaris, sulla ricompensa al medesimo conferita dal so
vrano, sul gesto regicida di Bresci.
Si potranno formulare, a livello personale e di coscienza, va
lutazioni e giudizi di natura religiosa o etica, politica o sociale, positivi o negativi sull'episodio e sui protagonisti; ma la valuta zione giuridica — l'unica che può, e deve, farsi in questa sede — non può essere diversa da quella sopra esposta: e cioè che
tutto ciò appartiene ad un passato irripetibile e che il ricordo
marmoreo — ad opera di un vegliardo «romantico» ed incensu
rato qual'è il Mazzucchelli — di uno dei protagonisti di quel fatto remoto si esaurisce in quella stele, asettico, innocuo, privo di quelle perniciose conseguenze sulla personalità interna dello
Stato che l'accusa paventa. Per puro amore di completezza si aggiunge che la corte non
ravvisa nella fattispecie, oltre al sopra esaminato elemento og
gettivo, anche quello soggettivo che, secondo la prevalente dot
trina e giurisprudenza, consiste nel cosi detto «dolo istigato
This content downloaded from 91.220.202.49 on Sat, 28 Jun 2014 08:00:22 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA PENALE
rio», cioè nella coscienza e nella volontà di turbare — con le
parole e/o con fatti simbolici — l'ordine pubblico o la persona lità dello Stato: beni che, come si è detto, nulla hanno da teme
re dall'esistenza di quel cippo marmoreo, e cui il Mazzucchelli, che volle erigerlo per motivi d'ideale e di puro e semplice senti
mento — senza alcun riferimento specifico all'evocato fatto di
sangue — non aveva la benché minima consapevolezza ed in
tenzione di attentare.
Consegue dall'anzidetto che l'imputato va mandato assolto
con la formula piena che viene specificata in dispositivo.
TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 22 giugno 1993; Pres. ed
est. Martorelli; imp. Buscaglia ed altri.
TRIBUNALE DI MILANO;
Aborto e interruzione volontaria della gravidanza — Interruzio
ne della gravidanza su donne minorenni — Reato — Esclu
sione — Fattispecie (L. 22 maggio 1978 n. 194, norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria
della gravidanza, art. 6, 7, 12, 13, 19).
Non rispondono del reato di cui all'art. 19, 5° comma, I. 194/78,
i medici del servizio ostetrico-ginecologico di un ente ospeda
liero, i quali abbiano effettuato interruzioni di gravidanza su donne minorenni, dopo il novantesimo giorno dall'inizio del
la gestazione, certificando direttamente nella cartella clinica
la sussistenza dei processi patologici previsti all'art. 6, lett.
b), della stessa legge. (1) L'omessa comunicazione al direttore sanitario dell'ospedale, nel
quale deve praticarsi l'intervento interruttivo della gravidan
za, della certificazione attestante la sussistenza dei processi
patologici, di cui all'art. 6, lett. b), /. 194/78, non integra l'ipotesi criminosa sanzionata all'art. 19, 3° comma, l. cit.,
essendo tale modalità predisposta a fini interni e amministra
tivi dell'ente ospedaliero. (2)
(1-2) In tema di interruzione volontaria della gravidanza non si ri
scontrano precedenti giurisprudenziali circa condotte penalmente rile
vanti, ex art. 19 1. 22 maggio 1978 n. 194, in relazione ad interventi
abortivi su donne minorenni effettuati dopo il novantesimo giorno dal l'inizio della gestazione, senza l'accertamento medico dei processi pato
logici determinanti un grave pericolo per la salute fisica o psichica della
donna (art. 6, lett. b, 1. cit.), e comunque senza l'osservanza delle mo
dalità previste (art. 7 della stessa legge). Nel caso di specie, i giudici hanno escluso che la diretta certificazione
nella cartella clinica della sussistenza dei processi patologici legittimanti l'intervento abortivo possa assumere rilevanza penale, non essendo il
medico, in tale adempimento, vincolato al rispetto di forme particolari o prestabilite attestanti l'esistenza dei presupposti sostanziali per l'inter
ruzione della gravidanza ai sensi dell'art. 6, lett. b), cit.
Con riferimento agli aborti effettuati in violazione della disposizione
predetta, essi ritengono che le condotte penalmente illecite siano, piut
tosto, da individuare sia nella mancanza oggettiva dell'accertamento me
dico dei processi patologici che nella volontaria falsità di tale accer
tamento.
In tale senso si è indirizzata espressamente anche una parte della dot
trina, secondo la quale comporterebbe illiceità penale non solo il difetto
del fatto storico «accertamento», ma anche la certificazione volontaria
mente inveritiera di esso (cfr. Gaili-Itaua-Realmonte-Spina-Traverso,
L'interruzione volontaria della gravidanza. Commento alla l. 22 mag
gio 1978 n. 194, Milano, 1978, 313 s.; Luccioli, Alcune osservazioni
sulle fattispecie di reato previste dall'art. 19 l. 22 maggio 1978 n. 194,
in Cass, pen., 1982, 55); si ritiene, inoltre, che il giudice, pur non po
li Foro Italiano — 1994.
1. - Brevi premesse in fatto. Buscagli Mauro, Chiara Franco,
Zuliani Guglielmo, Dambrosio Francesco, Nicolini Umberto Al do, Colombo Umberto Franco, Como Maria Luisa, a seguito di decreto di giudizio immediato emesso dal g.i.p. di Milano, ai sensi dell'art. 419, 5° comma, c.p.p., su istanza presentata
dagli stessi imputati, venivano tratti a giudizio di questo tribu
nale per rispondere del reato loro ascritto in epigrafe.
Agli stessi, come si desume dalla lettura del capo di imputa
zione, veniva contestato di aver cagionato, in concorso tra loro
e con unicità di disegno criminoso, l'interruzione volontaria della
gravidanza su donne minori degli anni 18, dopo i primi novanta
giorni dall'inizio della gestazione, senza l'effettivo accertamen
to medico dell'esistenza dei processi patologici previsti dall'art.
6, lett. b), e comunque senza l'osservanza delle modalità previ ste dall'art. 7 1. 22 maggio 1978 n. 194, cosi violando il dispo sto dell'art. 19, 3° e 5° comma, 12, 7 e 6 1. cit.
Le violazioni sopra indicate concernevano interventi di inter
ruzione della gravidanza che i predetti imputati avevano com
piuto, nella loro qualità di medici del servizio ostetrico
ginecologico dell'istituto «Luigi Mangiagalli» di Milano, nel pe riodo che va dal 21 marzo 1981 (data del primo intervento)
al 15 luglio 1988 (data dell'ultimo intervento), come si desume
dal prospetto allegato al capo di imputazione, prospetto, a sua
tendo sindacare il giudizio medico, dovrebbe accertare che la documen
tazione e la certificazione non integrino falsi ideologici, non essendovi
alcun motivo plausibile per deviare, in tema di interruzione della gravi
danza, dalle norme comuni sulla tutela penale della verità documentale:
cfr. Nuvolone-Lanzi, Gravidanza (interruzione della), voce del Dige sto pen., Torino, 1992, VI, 35.
In senso contrario, invece, Padovani, in Nuove leggi civ., 1978, 1703, secondo cui l'accertamento medico in questione non implicherebbe an
che l'obiettiva presenza dei presupposti da accertare, e avverso la certi
ficazione non sarebbe possibile eccepire il difetto della situazione di
pericolo che ne costituisce l'oggetto. Da parte di altra dottrina, d'altronde, è stato rilevato che la ricondu
cibilità dell'accertamento inveritiero alla fattispecie criminosa di cui al
l'art. 19 cit. violerebbe il fondamentale principio di stretta legalità, trat
tandosi non di semplice interpretazione estensiva, ma di applicazione
analogica di norma incriminatrice (cfr. Antolisei, Diritto penale, parte
speciale, Milano, 1992, 103). Con la sentenza in epigrafe, inoltre, i giudici di Trib. Milano hanno
escluso che l'omessa comunicazione al direttore sanitario dell'ospedale, nel quale deve praticarsi l'intervento, ex art. 6, lett. b), 1. cit., della
relativa certificazione medica — ancorché formalmente rappresenti una
modalità dell'intervento prevista all'art. 7, 1° comma — possa assume
re rilevanza penale, essendo tale modalità predisposta a fini ammini
strativi dell'ente ospedaliero. Trib. Milano, infatti, ritiene che tra le modalità previste all'art. 7
della legge, la cui inosservanza è suscettiva di assumere rilevanza penale ex art. 19, 3° comma, rientrino quelle inerenti all'atto interattivo stric
to sensu, in quanto soltanto queste costituirebbero la garanzia della
non pretestuosità o strumentalità dell'intervento abortivo; mentre reste
rebbero fuori dalla previsione penale le modalità rispondenti a finalità di mera documentazione, di controllo amministrativo e di rilievo statistico
organizzativo. Anche la dottrina maggioritaria si è orientata generalmente a ricom
prendere tra le modalità richiamate dall'art. 19 cit. quelle relative a
taluni adempimenti essenziali ai fini dell'intervento abortivo (cfr.
Nuvolone-Lanzi, Gravidanza, cit., 36), escludendo espressamente l'i
potesi dell'omessa comunicazione al direttore sanitario della relativa do
cumentazione medica, in quanto rispondente a finalità di mera docu
mentazione e controllo (cfr. Casini-Cieri, La nuova disciplina dell'a
borto, Padova, 1978, 243; Galli, L'interruzione, cit., 315; Luccioli,
Alcune osservazioni, cit., 55; contra, tuttavia, Padovani, cit., 1706,
secondo il quale tale adempimento assumerebbe notevole rilevanza nel
determinare la regolarità dell'intervento, in quanto diretto a responsa bilizzare il sanitario, sottoponendone l'operato ad eventuale controllo
immediato da parte di un organo qualificato). In posizione critica, cfr. Antolisei, Diritto penale, cit., 104, il quale,
con specifico riferimento all'inossrvanza delle modalità dell'art. 7, ritie
ne che le interpretazioni abrogatrici sostenute in dottrina, pur se talora
ragionevoli, non possano trovare avallo nelle formule della legge; in
ogni caso, a giudizio dell'a., «resta agevole prevedere che la pessima tecnica finirà col risolversi in una almeno parziale disapplicazione della
norma».
This content downloaded from 91.220.202.49 on Sat, 28 Jun 2014 08:00:22 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions