sentenza 11 febbraio 1988; Giud. Di Paola; imp. RinzivilloSource: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp.217/218-219/220Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182720 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
vista nella 1. 706/75 sicché si erano determinate incertezze nella
pratica sul se, in tali casi, operasse o meno la depenalizzazione per la forma semplice (nella relazione al d.d.l. 1799, il quale suc
cessivamente ha dato vita alla 1. 689/81, si afferma che tale prin
cipio «forse potrebbe ritenersi già implicitamente contenuto nell'art. I 1. 706/75»),
Questa scelta normativa aveva dato luogo al sorgere di perples sità di carattere costituzionale evidenziandosi come la rilevanza
della condotta dell'agente nell'una o nell'altra branca dell'ordi
namento (penale o amministrativo) era demandata non alla legge ma alla valutazione discrezionale del giudice, chiamato ad accer
tare la maggiore o minore gravità del fatto, e di conseguenza a determinare la natura e la rilevanza giuridica del comportamento.
Di fatto la prevalente giurisprudenza di merito affrontando il
problema ha ritenuto la fattispecie oggi assunta dall'imputato co
me depenalizzata, configurata tuttora come reato (Pret. Lecco
24 giugno 1977, Foro it., Rep. 1978, voce Sanità pubblica, n.
154; Pret. Assisi 3 maggio 1977, ibid., n. 155; Trib. Milano 2
dicembre 1977, ibid., n. 152; Pret. Narni 25 novembre 1976, ibid., n. 153; contra, per il formale rilievo che l'art. 169 non è ricom
preso tra i casi di esclusione contemplati dall'art. 14 1. 706/75, Pret. Monza 1° giugno 1977, ibid., n. 157).
Tale fattispecie, in effetti, dà luogo ad un'entità unica doven
dosi prendere in considerazione il comportamento astratto come
tale considerato illecito.
Il fatto che tale comportamento sia punito per la prima volta
con la sola ammenda e quando vi sia recidiva anche con l'arre
sto, può solo significare che, nel caso della prima violazione, vi
è una considerazione di minore gravità mentre l'ulteriore atteg
giamento illecito fa caducare tale presunzione. Ma nell'unicità
dell'entità giuridica non v'è dubbio che la violazione è punita sia con l'ammenda che con l'arresto.
Valido conforto è dato dalla considerazione che, se fosse di
chiarata depenalizzata la violazione commessa per la prima volta
(violazione non diversa dalle ulteriori) non potrebbe verificarsi
l'ipotesi della recidiva cosiché si toglierebbe di fatto valore di
illecito penale a quel comportamento per cui è comminata la pe na dell'arresto.
La 1. 689/81, come detto, propone una esplicita disposizione in materia.
Pure nell'ambito di un tentativo di interpretazione restrittiva
che favorisca il mantenimento tra le ipotesi di depenalizzazione della maggior parte delle ipotesi semplici, deve ritenersi che l'art.
32, 2° comma, cit. si applichi pure ai casi, come quello in esame, in cui la condotta in tutti i suoi elementi materiali resta immutata
e l'aggravamento dipende esclusivamente da una condizione sog
gettiva dell'agente.
Questa interpretazione corrisponde al dato letterale riferendosi
l'art. 32 non alle aggravanti in senso tecnico bensì più generica mente alle «ipotesi aggravate».
Allorquando l'aggravamento non è ricollegabile ad un elemen
to materiale della condotta espressamente previsto (com'è nell'art.
169 cit.), la fattispecie prevista anche con pena detentiva non è
diversa da quella sanzionata con pena pecuniaria e dunque essa
deve essere configurata come entità unica esclusa dalla depenaliz
zazione; negli altri casi la violazione semplice sarà da considerarsi
depenalizzata e quella aggravata manterrà il suo carattere di ille
cito criminale.
La Suprema corte si è pronunciata due volte sulla questione: la prima, non ancora vigente la 1. 689/81, ritenendo depenalizza ta la ipotesi di reato meno grave (Cass. 17 dicembre 1981, Capo
casale, id., Rep. 1983, voce Contravvenzione, n. 42); con la
seconda pronuncia la Cassazione, pur non specificamente soffer
mandosi ad esaminare la problematica de qua, pare aderire a quel
l'orientamento che non ricomprende tra le ipotesi aggravate di
cui all'art. 32 quelle che sono tali esclusivamente per la presenza
della recidiva e conseguentemente ritenere depenalizzata la relati
va ipotesi semplice (Cass. 15 ottobre 1982, Spinelli, id., Rep. 1984, voce Sanità pubblica, n. 144).
A tale proposito può osservarsi che allorquando la fattispecie
legale riconnette alla recidiva l'applicabilità della pena detentiva
deve aversi riguardo soprattutto ai casi di reiterazione della me
desima violazione, ed inoltre che la recidiva è evidentemente inte
sa nella sua accezione penalistica, e cioè con riferimento unicamente
alla commissione di fatti-reato.
Fatte queste premesse, va osservato che il ritenere depenalizza
ta la fattispecie semplice dovrebbe portare, come effetto indotto,
II Foro Italiano — 1989 — Parte II-8.
all'applicabilità della sanzione penale anche per l'ipotesi di reite razione della stessa violazione che il legislatore pure assoggetta a pena detentiva, dovendosi certo dubitarsi della legittimità di una interpretazione che estendesse in forza delle successive leggi depenalizzatrici lo status di recidivo anche a colui che, già sotto
posto a sanzione pecuniaria per una determinata infrazione ora
amministrativa, commette un'altra identica infrazione, quest'ulti ma costituente reato. Aderendo alla opinione espressa dalla Su
prema corte, solo accogliendo una interpretazione di questo tipo, sarebbe possibile pervenire all'applicazione della sanzione penale
per l'ipotesi di reiterazione della medesima violazione, poiché, diversamente opinando, non vi sarebbe «recidiva».
Ma vi è un ulteriore motivo di carattere sostanziale: appare del tutto ingiustificato sia sotto il profilo logico che sotto quello teorico e sistematico, che a fatti identici e dunque con una mede
sima potenzialità lesiva del bene tutelato, venga prestata una tu
tela differenziata (amministrativa o penale) sulla base della sola
recidiva, come se tra violazione amministrativa e reato non vi
siano differenze antologiche. Le argomentazioni finora esposte inducono il giudicante a con
siderare non fondata la tesi dell'avvenuta «depenalizzazione» del
la norma in esame (in tal senso si esprime pure la circolare del
ministero della sanità 7 marzo 1983 dir. gen. serv.
800.7. AG.306/99). Per completezza espositiva può rilevarsi che anche la Suprema
corte in passato ha espresso un diverso orientamento rispetto a
quello attuale, affermando con sentenza 29 settembre 1978, Ghe
dini, la esclusione dalla depenalizzazione dell'art. 169 cit. a causa
della sussistenza della pena accessoria della sospensione dall'eser
cizio della professione. (Omissis)
PRETURA DI GELA; sentenza 11 febbraio 1988; Giud. Di Pao
la; imp. Rinzivillo. PRETURA DI GELA; !
Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Cattivo stato di con
servazione — Nozione — Fattispecie (L. 30 aprile 1962 n. 283,
disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostan
ze alimentari e delle bevande, art. 5; d.p.r. 26 marzo 1980 n.
327, regolamento di esecuzione della 1. 30 aprile 1962 n. 283
e successive modificazioni, art. 28).
Attraverso la previsione del cattivo stato di conservazione — art.
5, lett. b), /. 283 del 1962 — il legislatore si è voluto assicurare, in un'ottica di tutela anticipata della salute pubblica, che non
vengano poste in essere anomale condizioni di conservazione
dell'alimento che possano portare ad alterazioni del prodotto di maggiore gravità, che trovano la loro previsione nelle ulte
riori lettere dello stesso art. 5 (nella specie, un rivenditore espo neva in vendita pane riposto in contenitori non idonei dal punto di vista igienico perchè non consentivano una pulizia «facile,
rapida e completa»). (1)
(1) In tema, v. Cass. 11 luglio 1985, De Martino, Foro it., 1987, II, 321, con nota di richiami.
Con riferimento alla sentenza della Cassazione ora citata, Cappelli, In tema di responsabilità del commerciante per difettosa conservazione delle sostanze alimentari deperibili che siano detenute per la vendita, in
Giust. pen., 1988, II, 283, prende posizione in senso contrario, rilevando da un lato che «solo per alcuni determinati prodotti alimentari sono pre scritte nel regolamento alla 1. 283/62 . . . particolari modalità di conser
vazione al fine di preservarne la commestibilità e la salubrità» e osservando
dall'altro lato che «col distinguere i due 'stati' — cattivo stato di conser
vazione e stato di alterazione — il legislatore ha inteso dare rilievo pena le .. . anche a quelle modificazioni che, senza dar luogo ad alterazioni
biochimiche, compromettono le proprietà organolettiche del prodotto ri
levandone il 'cattivo stato di conservazione'. Condizione questa che . . . va
riscontrata nell'oggetto materiale del reato e non nelle modalità di con
servazione, anche per le conseguenze eccessivamente penalizzanti che de
riverebbero dalla lettura della norma nel senso indicato dalla sentenza
annotata». Aderisce invece alla opinione del Supremo collegio, Correrà, Tutela igienico-sanitaria degli alimenti e bevande, 2a ed., Milano, 1986,
71, il quale rileva che con la previsione 'cattivo stato di conservazione'
il legislatore ha inteso fare riferimento alle modalità di conservazione del
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PARTE SECONDA
Fatto e diritto. — Citato a comparire per rispondere dei reati
indicati in epigrafe, l'imputato negava gli addebiti riferendo di
aver eseguito nel suo esercizio lavori di messa a nuovo dei servizi
igienici e dei rivestimenti in muratura nel mese di giugno del 1987;
affermava di conservare il pane nelle ceste, appena sfornato, e
quindi nelle vetrine; precisava che la vendita del pane nel suo
locale si verifica «quasi all'istante», appena uscito dal forno. Il
teste Samparisi riferiva circa le condizioni del forno come da lui
rilevate in un sopralluogo successivo effettuato nel mese di di
cembre. Veniva, quindi, ascoltato come teste il vigile sanitario
Lautorisi, presente in aula, che aveva eseguito personalmente il
sopralluogo del 20 ottobre 1987; riferiva sulle condizioni igieni
che del locale adibito a forno da parte dell'imputato e sulla man
canza di contenitori idonei per la conservazione del pane.
Pubblico ministero e difesa rassegnavano le loro conclusioni
come trascritte nel verbale di udienza.
La prima questione da affrontare attiene alla correttezza della
contestazione di cui al capo A) del decreto di citazione. Si è so
stenuto, infatti, dalla difesa che in ordine ad alimenti come il
pane non è dato parlare di conservazione, in quanto il prodotto
non viene detenuto per un congruo lasso di tempo dal commer
ciante e, nella consuetudine del luogo in cui è stata elevata la
contestazione, il pane viene immediatamente smerciato, appena
dopo la cottura, sicché non si può giungere a quel processo indi
viduato dalla legge come conservazione.
I rilievi ora esposti, pur risultando prima facie corrispondenti
ad una realtà naturalistica, si rivelano ad un più attento esame
viziati da un eccesso di semplicismo che non consente di farli
ritenere giuridicamente rilevanti. Tralasciando sin d'ora quelle che
possono essere mere circostanze inerenti a particolari situazioni
di tempo e di luogo che non possono assurgere a criteri generali
di valutazione della condotta (non tutto ciò che si verifica in quel di Gela è regola), va considerata la natura dell'imputazione di
cui all'art. 5, lett. b), per cogliere l'ambito e la portata della
norma incriminatrice.
La disposizione in esame si pone in rapporto di stretta correla
zione con altre previsioni dello stesso art. 5, specificate nelle suc
cessive lett. c) e d): difatti è stato rilevato come queste ultime
previsioni, per il loro grado di specificità nel descrivere la con
dotta punibile, finiscono per assorbire gran parte, se non tutte
le ipotesi di cattiva conservazione (emblematica è la previsione di cui alla lett. d che fa riferimento alle «sostanze comunque no
cive»). In quest'ottica, però, si finisce per negare concreta effica
cia alla norma in esame, che risulterebbe meramente ripetitiva
rispetto alla descrizione di condotte più circostanziate.
Evidentemente, però, va privilegiata una diversa interpretazio ne della norma che consenta di attribuire un senso, e, quindi, una portata applicativa.
È proprio la struttura complessiva della norma di cui all'art.
5 che conforta questa direttiva: se la condizione (come è stata
definita) biochimica dell'alimento trova tutela, in relazione a con
dizioni anomale man mano di diversa entità e gravità, nelle lette
re dell'art. 5 diverse dalla lett. b), quest'ultima previsione si pone ad un livello di tutela, per cosi dire, preventiva nell'ottica com
plessiva della norma; in altri termini, il legislatore si è dato cura
non solo di tutelare in tutte le diverse manifestazioni degenerative
l'igienicità degli alimenti, ma anche di assicurare che non venga no poste in essere condizioni da cui possano scaturire situazioni
destinate a sfociare in una delle condizioni anomale sanzionate
nelle ulteriori lettere dell'art. 5.
L'interpretazione ora proposta è in sintonia con la più recente
giurisprudenza della corte di legittimità, che ha specificato come
la norma di cui all'art. 5, lett. b), si applica senza distinzione
prodotto alimentare perché altrimenti quella prescrizione non avrebbe un
proprio campo di applicazione. In argomento, v. Ranucci, Analisi chimica di campione alimentare
offerto in vendita in apparente cattivo stato di conservazione, in Giur.
merito, 1981, 1032. In tema di sfarinati, v. Correrà, Cereali, sfarinati, pane, pasta, dol
ciumi e prodotti da forno, Salerno, 1985 (in particolare, sull'igiene dei locali di produzione e vendita del pane, p. 49-60); Correale, Pane, pani ficazione e pasta, voce dell' Enciclopedia del diritto, 1981, XXXI, 608.
Per una fattispecie di vendita di pane con umidità superiore al limite di legge, v. Cass. 18 marzo 1986, Della Ragione, Foro it., 1988, II, 513.
Il Foro Italiano — 1989.
agli alimenti conservati naturalmente, artificialmente o in confe
zioni, «dal momento della loro produzione fino a quello del con
sumo» (cosi Cass. 11 luglio 1985, De Martino, Foro it., 1987,
II, 321), che si trovino in condizioni di «non buona conservazio
ne sotto il profilo igienico-sanitario per cui vi è il pericolo della
loro alterazione, contaminazione e degradazione» (ancora Cass.
11 luglio 1985, De Martino, cit.). Quest'ultimo rilievo è ugual
mente determinante per l'esatta comprensione della norma che
si qualifica come tipica fattispecie di reato di pericolo, non essen
do richiesto «il verificarsi effettivo dello stato di alterazione del
prodotto» (Cass. 12 luglio 1985, Pisapia, id., Rep. 1986, voce
Alimenti e bevande, n. 73) né essendo rilevante «che le analisi,
compiute in un determinato momento, escludano fenomeni dege
nerativi e comprovino la buona qualità del prodotto» (Cass. 29
marzo 1985, Pozzolini, ibid., n. 74). Passando all'esame della fattispecie concreta, va rilevato che
il pane detenuto dall'imputato non era riposto negli appositi con
tenitori come invece dichiarato dall'imputato; non è sufficiente,
infatti, deporre il pane sulle rastrelliere, in «ceste» non meglio
identificate, e nelle vetrinette per l'esposizione, quando si tratti
di «alcuni mobili in legno di vecchia data» (cosi il teste Lautori
si); tali recipienti non soddisfano al requisito di legge perché non
consentono una pulizia «facile, rapida e completa» ai sensi del
l'art. 28, 9° comma, lett. a), d.p.r. 26 marzo 1980 n. 327. Senza
tener conto che la contestuale carenza, sotto il profilo igienico
sanitario, riscontrata nei locali in cui avveniva la produzione e
la vendita del pane da parte del Rinzivillo rendeva ancor più con
creto il «pericolo» di cui si è fatto cenno in precedenza, integrato
anche dalla semplice mancanza di «protezione igienica», che pre servi gli alimenti «dalla contaminazione ambientale e dal contat
to diretto con i potenziali acquirenti» (cosi, la già citata Cass.
11 luglio 1985, De Martino). La difesa si è fatta carico di un'ulteriore considerazione che,
pur non escludendo la sussistenza di un'ipotesi di cattivo stato
di conservazione, porterebbe a ritenere depenalizzata la violazio
ne contestata all'imputato. Si dice, al riguardo, che la violazione
commessa dal Rinzivillo ricade nel paradigma dell'art. 27 1. 4
luglio 1967 n. 580 («È vietato vendere o detenere per vendere
pane alterato, adulterato, sofisticato o infestato da parassiti ani
mali o vegetali») e poiché l'art. 44, lett. a), della stessa legge
prevede la sola pena pecuniaria per tale contravvenzione, atteso
il principio di specialità ribadito dall'ultimo comma dello stesso
art. 44, troverà applicazione la sola sanzione amministrativa, ri
sultando depenalizzata la violazione dell'art. 27, come sanzionata
dall'art. 44, lett. a). La tesi non è punto condivisibile: in primo luogo, perché si
fonda su un assunto che contrasta con quanto si è venuto espo nendo in precedenza; in secondo luogo, ove non dovesse ritenersi
sufficiente il primo ordine di argomenti, perché essa ignora la
disciplina di cui all'art. 9 1. 689/81 che regola espressamente il
concorso tra la norma di cui all'art. 5 1. 283/62 e le «disposizioni amministrative che hanno sostituito disposizioni penali speciali».
In tanto si può discutere di concorso tra la normativa della
legge speciale sui cereali, gli sfarinati, il pane e la pasta e le di
sposizioni della legge generale sulla tutela degli alimenti, in quan to lo stesso fatto (per riprendere l'espressione di Cass., sez. un., 28 novembre 1981, Emiliani, id., 1982, II, 359) sia previsto, di
sciplinato e sanzionato da entrambe le norme. Ciò non è nel caso
di specie; un conto è parlare di cattivo stato di conservazione, altro è riferirsi a situazioni di alterazione, adulterazione, sofisti
cazione che non sono state contestate nel caso di specie. Poiché,
dunque, il cattivo stato di conservazione dell'alimento non è pun to previsto dalla legge speciale ed è cosa diversa dallo stato com
provato di degenerazione dell'alimento, non vi è concorso tra le
norme suddette e non si può ritenere applicabile la disciplina spe ciale (cosa che protrebbe verificarsi in astratto se venisse conte
stata la violazione della lett. d dell'art. 5 1. 283/62). A tutto concedere, infine, il concorso tra le norme su ricordate
(art. 27 1. 580/67 ed art. 5, lett. b, 1. 283/62) troverebbe, ove
sussistesse, la sua risoluzione nell'art. 9, ultimo comma, 1. 689/81
che prevede l'applicazione «in ogni caso» delle disposizioni pena li previste nell'art. 5 1. 283/62 (v., al riguardo, la relazione al
d.d.l. ove è detto che «in tal modo tutte le gravi condotte rien
tranti nei citati art. 5 e 6 mantengono una rilevanza penale e
subiscono un medesimo trattamento sanzionatorio, a prescindere dal tipo di sostanza alimentare che ne costituisce l'oggetto mate
riale»). (Omissis)
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