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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 11 febbraio 1988; Giud. Di Paola; imp. Rinzivillo

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sentenza 11 febbraio 1988; Giud. Di Paola; imp. Rinzivillo Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp. 217/218-219/220 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23182720 . Accessed: 28/06/2014 09:58 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.102.36 on Sat, 28 Jun 2014 09:58:40 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 11 febbraio 1988; Giud. Di Paola; imp. RinzivilloSource: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp.217/218-219/220Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182720 .

Accessed: 28/06/2014 09:58

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

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Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

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GIURISPRUDENZA PENALE

vista nella 1. 706/75 sicché si erano determinate incertezze nella

pratica sul se, in tali casi, operasse o meno la depenalizzazione per la forma semplice (nella relazione al d.d.l. 1799, il quale suc

cessivamente ha dato vita alla 1. 689/81, si afferma che tale prin

cipio «forse potrebbe ritenersi già implicitamente contenuto nell'art. I 1. 706/75»),

Questa scelta normativa aveva dato luogo al sorgere di perples sità di carattere costituzionale evidenziandosi come la rilevanza

della condotta dell'agente nell'una o nell'altra branca dell'ordi

namento (penale o amministrativo) era demandata non alla legge ma alla valutazione discrezionale del giudice, chiamato ad accer

tare la maggiore o minore gravità del fatto, e di conseguenza a determinare la natura e la rilevanza giuridica del comportamento.

Di fatto la prevalente giurisprudenza di merito affrontando il

problema ha ritenuto la fattispecie oggi assunta dall'imputato co

me depenalizzata, configurata tuttora come reato (Pret. Lecco

24 giugno 1977, Foro it., Rep. 1978, voce Sanità pubblica, n.

154; Pret. Assisi 3 maggio 1977, ibid., n. 155; Trib. Milano 2

dicembre 1977, ibid., n. 152; Pret. Narni 25 novembre 1976, ibid., n. 153; contra, per il formale rilievo che l'art. 169 non è ricom

preso tra i casi di esclusione contemplati dall'art. 14 1. 706/75, Pret. Monza 1° giugno 1977, ibid., n. 157).

Tale fattispecie, in effetti, dà luogo ad un'entità unica doven

dosi prendere in considerazione il comportamento astratto come

tale considerato illecito.

Il fatto che tale comportamento sia punito per la prima volta

con la sola ammenda e quando vi sia recidiva anche con l'arre

sto, può solo significare che, nel caso della prima violazione, vi

è una considerazione di minore gravità mentre l'ulteriore atteg

giamento illecito fa caducare tale presunzione. Ma nell'unicità

dell'entità giuridica non v'è dubbio che la violazione è punita sia con l'ammenda che con l'arresto.

Valido conforto è dato dalla considerazione che, se fosse di

chiarata depenalizzata la violazione commessa per la prima volta

(violazione non diversa dalle ulteriori) non potrebbe verificarsi

l'ipotesi della recidiva cosiché si toglierebbe di fatto valore di

illecito penale a quel comportamento per cui è comminata la pe na dell'arresto.

La 1. 689/81, come detto, propone una esplicita disposizione in materia.

Pure nell'ambito di un tentativo di interpretazione restrittiva

che favorisca il mantenimento tra le ipotesi di depenalizzazione della maggior parte delle ipotesi semplici, deve ritenersi che l'art.

32, 2° comma, cit. si applichi pure ai casi, come quello in esame, in cui la condotta in tutti i suoi elementi materiali resta immutata

e l'aggravamento dipende esclusivamente da una condizione sog

gettiva dell'agente.

Questa interpretazione corrisponde al dato letterale riferendosi

l'art. 32 non alle aggravanti in senso tecnico bensì più generica mente alle «ipotesi aggravate».

Allorquando l'aggravamento non è ricollegabile ad un elemen

to materiale della condotta espressamente previsto (com'è nell'art.

169 cit.), la fattispecie prevista anche con pena detentiva non è

diversa da quella sanzionata con pena pecuniaria e dunque essa

deve essere configurata come entità unica esclusa dalla depenaliz

zazione; negli altri casi la violazione semplice sarà da considerarsi

depenalizzata e quella aggravata manterrà il suo carattere di ille

cito criminale.

La Suprema corte si è pronunciata due volte sulla questione: la prima, non ancora vigente la 1. 689/81, ritenendo depenalizza ta la ipotesi di reato meno grave (Cass. 17 dicembre 1981, Capo

casale, id., Rep. 1983, voce Contravvenzione, n. 42); con la

seconda pronuncia la Cassazione, pur non specificamente soffer

mandosi ad esaminare la problematica de qua, pare aderire a quel

l'orientamento che non ricomprende tra le ipotesi aggravate di

cui all'art. 32 quelle che sono tali esclusivamente per la presenza

della recidiva e conseguentemente ritenere depenalizzata la relati

va ipotesi semplice (Cass. 15 ottobre 1982, Spinelli, id., Rep. 1984, voce Sanità pubblica, n. 144).

A tale proposito può osservarsi che allorquando la fattispecie

legale riconnette alla recidiva l'applicabilità della pena detentiva

deve aversi riguardo soprattutto ai casi di reiterazione della me

desima violazione, ed inoltre che la recidiva è evidentemente inte

sa nella sua accezione penalistica, e cioè con riferimento unicamente

alla commissione di fatti-reato.

Fatte queste premesse, va osservato che il ritenere depenalizza

ta la fattispecie semplice dovrebbe portare, come effetto indotto,

II Foro Italiano — 1989 — Parte II-8.

all'applicabilità della sanzione penale anche per l'ipotesi di reite razione della stessa violazione che il legislatore pure assoggetta a pena detentiva, dovendosi certo dubitarsi della legittimità di una interpretazione che estendesse in forza delle successive leggi depenalizzatrici lo status di recidivo anche a colui che, già sotto

posto a sanzione pecuniaria per una determinata infrazione ora

amministrativa, commette un'altra identica infrazione, quest'ulti ma costituente reato. Aderendo alla opinione espressa dalla Su

prema corte, solo accogliendo una interpretazione di questo tipo, sarebbe possibile pervenire all'applicazione della sanzione penale

per l'ipotesi di reiterazione della medesima violazione, poiché, diversamente opinando, non vi sarebbe «recidiva».

Ma vi è un ulteriore motivo di carattere sostanziale: appare del tutto ingiustificato sia sotto il profilo logico che sotto quello teorico e sistematico, che a fatti identici e dunque con una mede

sima potenzialità lesiva del bene tutelato, venga prestata una tu

tela differenziata (amministrativa o penale) sulla base della sola

recidiva, come se tra violazione amministrativa e reato non vi

siano differenze antologiche. Le argomentazioni finora esposte inducono il giudicante a con

siderare non fondata la tesi dell'avvenuta «depenalizzazione» del

la norma in esame (in tal senso si esprime pure la circolare del

ministero della sanità 7 marzo 1983 dir. gen. serv.

800.7. AG.306/99). Per completezza espositiva può rilevarsi che anche la Suprema

corte in passato ha espresso un diverso orientamento rispetto a

quello attuale, affermando con sentenza 29 settembre 1978, Ghe

dini, la esclusione dalla depenalizzazione dell'art. 169 cit. a causa

della sussistenza della pena accessoria della sospensione dall'eser

cizio della professione. (Omissis)

PRETURA DI GELA; sentenza 11 febbraio 1988; Giud. Di Pao

la; imp. Rinzivillo. PRETURA DI GELA; !

Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Cattivo stato di con

servazione — Nozione — Fattispecie (L. 30 aprile 1962 n. 283,

disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostan

ze alimentari e delle bevande, art. 5; d.p.r. 26 marzo 1980 n.

327, regolamento di esecuzione della 1. 30 aprile 1962 n. 283

e successive modificazioni, art. 28).

Attraverso la previsione del cattivo stato di conservazione — art.

5, lett. b), /. 283 del 1962 — il legislatore si è voluto assicurare, in un'ottica di tutela anticipata della salute pubblica, che non

vengano poste in essere anomale condizioni di conservazione

dell'alimento che possano portare ad alterazioni del prodotto di maggiore gravità, che trovano la loro previsione nelle ulte

riori lettere dello stesso art. 5 (nella specie, un rivenditore espo neva in vendita pane riposto in contenitori non idonei dal punto di vista igienico perchè non consentivano una pulizia «facile,

rapida e completa»). (1)

(1) In tema, v. Cass. 11 luglio 1985, De Martino, Foro it., 1987, II, 321, con nota di richiami.

Con riferimento alla sentenza della Cassazione ora citata, Cappelli, In tema di responsabilità del commerciante per difettosa conservazione delle sostanze alimentari deperibili che siano detenute per la vendita, in

Giust. pen., 1988, II, 283, prende posizione in senso contrario, rilevando da un lato che «solo per alcuni determinati prodotti alimentari sono pre scritte nel regolamento alla 1. 283/62 . . . particolari modalità di conser

vazione al fine di preservarne la commestibilità e la salubrità» e osservando

dall'altro lato che «col distinguere i due 'stati' — cattivo stato di conser

vazione e stato di alterazione — il legislatore ha inteso dare rilievo pena le .. . anche a quelle modificazioni che, senza dar luogo ad alterazioni

biochimiche, compromettono le proprietà organolettiche del prodotto ri

levandone il 'cattivo stato di conservazione'. Condizione questa che . . . va

riscontrata nell'oggetto materiale del reato e non nelle modalità di con

servazione, anche per le conseguenze eccessivamente penalizzanti che de

riverebbero dalla lettura della norma nel senso indicato dalla sentenza

annotata». Aderisce invece alla opinione del Supremo collegio, Correrà, Tutela igienico-sanitaria degli alimenti e bevande, 2a ed., Milano, 1986,

71, il quale rileva che con la previsione 'cattivo stato di conservazione'

il legislatore ha inteso fare riferimento alle modalità di conservazione del

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PARTE SECONDA

Fatto e diritto. — Citato a comparire per rispondere dei reati

indicati in epigrafe, l'imputato negava gli addebiti riferendo di

aver eseguito nel suo esercizio lavori di messa a nuovo dei servizi

igienici e dei rivestimenti in muratura nel mese di giugno del 1987;

affermava di conservare il pane nelle ceste, appena sfornato, e

quindi nelle vetrine; precisava che la vendita del pane nel suo

locale si verifica «quasi all'istante», appena uscito dal forno. Il

teste Samparisi riferiva circa le condizioni del forno come da lui

rilevate in un sopralluogo successivo effettuato nel mese di di

cembre. Veniva, quindi, ascoltato come teste il vigile sanitario

Lautorisi, presente in aula, che aveva eseguito personalmente il

sopralluogo del 20 ottobre 1987; riferiva sulle condizioni igieni

che del locale adibito a forno da parte dell'imputato e sulla man

canza di contenitori idonei per la conservazione del pane.

Pubblico ministero e difesa rassegnavano le loro conclusioni

come trascritte nel verbale di udienza.

La prima questione da affrontare attiene alla correttezza della

contestazione di cui al capo A) del decreto di citazione. Si è so

stenuto, infatti, dalla difesa che in ordine ad alimenti come il

pane non è dato parlare di conservazione, in quanto il prodotto

non viene detenuto per un congruo lasso di tempo dal commer

ciante e, nella consuetudine del luogo in cui è stata elevata la

contestazione, il pane viene immediatamente smerciato, appena

dopo la cottura, sicché non si può giungere a quel processo indi

viduato dalla legge come conservazione.

I rilievi ora esposti, pur risultando prima facie corrispondenti

ad una realtà naturalistica, si rivelano ad un più attento esame

viziati da un eccesso di semplicismo che non consente di farli

ritenere giuridicamente rilevanti. Tralasciando sin d'ora quelle che

possono essere mere circostanze inerenti a particolari situazioni

di tempo e di luogo che non possono assurgere a criteri generali

di valutazione della condotta (non tutto ciò che si verifica in quel di Gela è regola), va considerata la natura dell'imputazione di

cui all'art. 5, lett. b), per cogliere l'ambito e la portata della

norma incriminatrice.

La disposizione in esame si pone in rapporto di stretta correla

zione con altre previsioni dello stesso art. 5, specificate nelle suc

cessive lett. c) e d): difatti è stato rilevato come queste ultime

previsioni, per il loro grado di specificità nel descrivere la con

dotta punibile, finiscono per assorbire gran parte, se non tutte

le ipotesi di cattiva conservazione (emblematica è la previsione di cui alla lett. d che fa riferimento alle «sostanze comunque no

cive»). In quest'ottica, però, si finisce per negare concreta effica

cia alla norma in esame, che risulterebbe meramente ripetitiva

rispetto alla descrizione di condotte più circostanziate.

Evidentemente, però, va privilegiata una diversa interpretazio ne della norma che consenta di attribuire un senso, e, quindi, una portata applicativa.

È proprio la struttura complessiva della norma di cui all'art.

5 che conforta questa direttiva: se la condizione (come è stata

definita) biochimica dell'alimento trova tutela, in relazione a con

dizioni anomale man mano di diversa entità e gravità, nelle lette

re dell'art. 5 diverse dalla lett. b), quest'ultima previsione si pone ad un livello di tutela, per cosi dire, preventiva nell'ottica com

plessiva della norma; in altri termini, il legislatore si è dato cura

non solo di tutelare in tutte le diverse manifestazioni degenerative

l'igienicità degli alimenti, ma anche di assicurare che non venga no poste in essere condizioni da cui possano scaturire situazioni

destinate a sfociare in una delle condizioni anomale sanzionate

nelle ulteriori lettere dell'art. 5.

L'interpretazione ora proposta è in sintonia con la più recente

giurisprudenza della corte di legittimità, che ha specificato come

la norma di cui all'art. 5, lett. b), si applica senza distinzione

prodotto alimentare perché altrimenti quella prescrizione non avrebbe un

proprio campo di applicazione. In argomento, v. Ranucci, Analisi chimica di campione alimentare

offerto in vendita in apparente cattivo stato di conservazione, in Giur.

merito, 1981, 1032. In tema di sfarinati, v. Correrà, Cereali, sfarinati, pane, pasta, dol

ciumi e prodotti da forno, Salerno, 1985 (in particolare, sull'igiene dei locali di produzione e vendita del pane, p. 49-60); Correale, Pane, pani ficazione e pasta, voce dell' Enciclopedia del diritto, 1981, XXXI, 608.

Per una fattispecie di vendita di pane con umidità superiore al limite di legge, v. Cass. 18 marzo 1986, Della Ragione, Foro it., 1988, II, 513.

Il Foro Italiano — 1989.

agli alimenti conservati naturalmente, artificialmente o in confe

zioni, «dal momento della loro produzione fino a quello del con

sumo» (cosi Cass. 11 luglio 1985, De Martino, Foro it., 1987,

II, 321), che si trovino in condizioni di «non buona conservazio

ne sotto il profilo igienico-sanitario per cui vi è il pericolo della

loro alterazione, contaminazione e degradazione» (ancora Cass.

11 luglio 1985, De Martino, cit.). Quest'ultimo rilievo è ugual

mente determinante per l'esatta comprensione della norma che

si qualifica come tipica fattispecie di reato di pericolo, non essen

do richiesto «il verificarsi effettivo dello stato di alterazione del

prodotto» (Cass. 12 luglio 1985, Pisapia, id., Rep. 1986, voce

Alimenti e bevande, n. 73) né essendo rilevante «che le analisi,

compiute in un determinato momento, escludano fenomeni dege

nerativi e comprovino la buona qualità del prodotto» (Cass. 29

marzo 1985, Pozzolini, ibid., n. 74). Passando all'esame della fattispecie concreta, va rilevato che

il pane detenuto dall'imputato non era riposto negli appositi con

tenitori come invece dichiarato dall'imputato; non è sufficiente,

infatti, deporre il pane sulle rastrelliere, in «ceste» non meglio

identificate, e nelle vetrinette per l'esposizione, quando si tratti

di «alcuni mobili in legno di vecchia data» (cosi il teste Lautori

si); tali recipienti non soddisfano al requisito di legge perché non

consentono una pulizia «facile, rapida e completa» ai sensi del

l'art. 28, 9° comma, lett. a), d.p.r. 26 marzo 1980 n. 327. Senza

tener conto che la contestuale carenza, sotto il profilo igienico

sanitario, riscontrata nei locali in cui avveniva la produzione e

la vendita del pane da parte del Rinzivillo rendeva ancor più con

creto il «pericolo» di cui si è fatto cenno in precedenza, integrato

anche dalla semplice mancanza di «protezione igienica», che pre servi gli alimenti «dalla contaminazione ambientale e dal contat

to diretto con i potenziali acquirenti» (cosi, la già citata Cass.

11 luglio 1985, De Martino). La difesa si è fatta carico di un'ulteriore considerazione che,

pur non escludendo la sussistenza di un'ipotesi di cattivo stato

di conservazione, porterebbe a ritenere depenalizzata la violazio

ne contestata all'imputato. Si dice, al riguardo, che la violazione

commessa dal Rinzivillo ricade nel paradigma dell'art. 27 1. 4

luglio 1967 n. 580 («È vietato vendere o detenere per vendere

pane alterato, adulterato, sofisticato o infestato da parassiti ani

mali o vegetali») e poiché l'art. 44, lett. a), della stessa legge

prevede la sola pena pecuniaria per tale contravvenzione, atteso

il principio di specialità ribadito dall'ultimo comma dello stesso

art. 44, troverà applicazione la sola sanzione amministrativa, ri

sultando depenalizzata la violazione dell'art. 27, come sanzionata

dall'art. 44, lett. a). La tesi non è punto condivisibile: in primo luogo, perché si

fonda su un assunto che contrasta con quanto si è venuto espo nendo in precedenza; in secondo luogo, ove non dovesse ritenersi

sufficiente il primo ordine di argomenti, perché essa ignora la

disciplina di cui all'art. 9 1. 689/81 che regola espressamente il

concorso tra la norma di cui all'art. 5 1. 283/62 e le «disposizioni amministrative che hanno sostituito disposizioni penali speciali».

In tanto si può discutere di concorso tra la normativa della

legge speciale sui cereali, gli sfarinati, il pane e la pasta e le di

sposizioni della legge generale sulla tutela degli alimenti, in quan to lo stesso fatto (per riprendere l'espressione di Cass., sez. un., 28 novembre 1981, Emiliani, id., 1982, II, 359) sia previsto, di

sciplinato e sanzionato da entrambe le norme. Ciò non è nel caso

di specie; un conto è parlare di cattivo stato di conservazione, altro è riferirsi a situazioni di alterazione, adulterazione, sofisti

cazione che non sono state contestate nel caso di specie. Poiché,

dunque, il cattivo stato di conservazione dell'alimento non è pun to previsto dalla legge speciale ed è cosa diversa dallo stato com

provato di degenerazione dell'alimento, non vi è concorso tra le

norme suddette e non si può ritenere applicabile la disciplina spe ciale (cosa che protrebbe verificarsi in astratto se venisse conte

stata la violazione della lett. d dell'art. 5 1. 283/62). A tutto concedere, infine, il concorso tra le norme su ricordate

(art. 27 1. 580/67 ed art. 5, lett. b, 1. 283/62) troverebbe, ove

sussistesse, la sua risoluzione nell'art. 9, ultimo comma, 1. 689/81

che prevede l'applicazione «in ogni caso» delle disposizioni pena li previste nell'art. 5 1. 283/62 (v., al riguardo, la relazione al

d.d.l. ove è detto che «in tal modo tutte le gravi condotte rien

tranti nei citati art. 5 e 6 mantengono una rilevanza penale e

subiscono un medesimo trattamento sanzionatorio, a prescindere dal tipo di sostanza alimentare che ne costituisce l'oggetto mate

riale»). (Omissis)

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