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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 11 ottobre 1990; Giud. Monti; imp. Ballario

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sentenza 11 ottobre 1990; Giud. Monti; imp. Ballario Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp. 739/740-743/744 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23186441 . Accessed: 28/06/2014 08:08 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.55 on Sat, 28 Jun 2014 08:08:23 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 11 ottobre 1990; Giud. Monti; imp. Ballario

sentenza 11 ottobre 1990; Giud. Monti; imp. BallarioSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.739/740-743/744Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186441 .

Accessed: 28/06/2014 08:08

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

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Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

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PARTE SECONDA

le ampie considerazioni svolte nella parte di questa decisione

dedicata all'elemento soggettivo dei reati contestati, considera

zioni che si riferivano infatti soprattutto alla contravvenzione.

Gli imputati sono tutte persone che svolgono una attività di

lavoro regolarmente autorizzata come è emerso dalla produzio ne al dibattimento di tutte le varie licenze e come già emergeva dalle produzioni documentali del pubblico ministero. In buona

fede e per il contenuto di quei primi precedenti giurisprudenzia li gli imputati hanno ritenuto che non fosse necessaria una li

cenza ad hoc per questo tipo di oggetti per le stesse ragioni

per cui questo giudicante ha dovuto ritenere la buona fede e

l'ignoranza scusabile nella qualificazione degli oggetti come me

ri strumenti atti ad offendere. In sostanza, credendo gli imputa ti in buona fede che gli oggetti in questione non fossero armi, di conseguenza hanno creduto che non fosse necessaria la licen

za del questore. Può quindi ritenersi esclusa la colpa degli im

putati anche sotto questo profilo della mancata licenza specifica

per la vendita di questi oggetti, sia per la buona fede che per la sussistenza nella fattispecie delle condizioni indicate dalla Corte

costituzionale nella sentenza 364/88. (Omissis)

PRETURA DI VERCELLI; sentenza 11 ottobre 1990; Giud.

Monti; imp. Ballario.

PRETURA DI VERCELLI;

Pena (applicazione su richiesta) — Reato continuato — Richie

sta — Proscioglimento parziale (Cod. pen., art. 81; cod. proc.

pen., art. 129, 444). Pena (applicazione su richiesta) — Reato continuato — Pro

scioglimento parziale — Poteri del giudice (Cod. pen., art.

81; cod. proc. pen., art. 129, 444). Pena (applicazione su richiesta) — Dissenso del pubblico mini

stero — Criteri di valutazione del giudice del dibattimento

(Cod. proc. pen., art. 444, 448).

La richiesta di applicazione della pena a norma dell'art. 444

c.p.p. formulata dall'imputato relativamente a diversi reati

contestati e ritenuti unificati dal vincolo della continuazione, con indicazione della sola pena complessiva per il reato conti

nuato, contiene implicitamente anche una richiesta di appli cazione di pena per ogni singolo reato; tale richiesta, pertan to, può e deve essere riconosciuta nella sua autonoma rile

vanza qualora, sia predibattimentalmente ai sensi dell'art. 129

c.p.p., sia all'esito del dibattimento, venga riconosciuta la re

sponsabilità penale dell'imputato solo per alcuni dei reati per i quali nella richiesta di applicazione della pena veniva pro spettata l'unificazione ex art. 81 c.p. (1)

Nel caso di richiesta di applicazione di pena per più reati in

continuazione tra loro con indicazione della sola pena com

plessiva, il giudice, oltre al potere di individuare in tale ri

chiesta analoghe distinte richieste per ogni singolo reato da

considerarsi come autonomamente rilevanti qualora debba es

sere emessa sentenza di proscioglimento per uno dei reati pro

spettati come unificati a norma dell'art. 81 c.p., ha altresì

il potere di determinare in via interpretativa la misura della

pena richiesta per quei reati che residuino dalla pronunzia di proscioglimento ai fini della verifica della sua congruità e della possibilità di applicarla con sentenza nelle forme di

cui all'art. 448 c.p.p. (2)

(1-2) Prime fattispecie in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti e reato continuato successive alla sentenza della Corte costi tuzionale n. 313 del 26 giugno 1990, Foro it., 1990, I, 2385 con note di Fiandaca, Pena «patteggiata» e principio rieducativo: un arduo com promesso tra logica di parte e controllo giudiziale, e di Tranchina, «Patteggiamento» e principi costituzionali: una convivenza piuttosto dif ficile.

Sul patteggiamento richiesto per una pluralità di reati unificati o uni ficabili per la continuazione, v., in dottrina, Ambrosetti, Problemi at tuali in tema di reato continuato, Padova, 1991, 12 s.; Nappi, Guida al nuovo codice di procedura penale, 2" ed., Milano, 1991, 325 s.; San

na, Applicazione della pena negoziata e reato continuato, in Giur. it., 1990, II, 436.

Il Foro Italiano — 1991.

Il dissenso motivato del pubblico ministero sulla richiesta di

applicazione della pena avanzata dall'imputato deve essere va

lutato dal giudice del dibattimento ai sensi dell'art. 448, 1°

comma, c.p.p., non con riferimento alla situazione proces suale nella quale si è esplicato, bensì' ex post sulla base di

quanto è emerso dal completo svolgimento del dibattimento. (3)

(Omissis). Riconosciuta cosi la penale responsabilità dell'im

putato per il solo reato di cui al capo 1) della rubrica, resta

il compito di verificare, ai sensi dell'art. 448, 1° comma, secon

da parte, se la pena richiesta dall'imputato prima della dichia

razione di apertura del dibattimento possa considerarsi congrua e se il dissenso del p.m. debba considerarsi ingiustificato, e se

conseguentemente debba applicarsi la pena richiesta ex art. 444

c.p.p. (con i corollari di cui all'art. 445 c.p.p.) o se piuttosto debba invece essere irrogata una diversa pena secondo le regole del rito ordinario.

Deve innanzitutto ricordarsi che l'imputato ha formulato ri

chiesta ex art. 444 c.p.p. relativamente a tutti i reati contestati, considerando la continuazione fra gli stessi, e quantificando la

pena in complessivi mesi dieci di reclusione.

La «qualificazione giuridica del fatto» prospettata dall'impu tato nella sua richiesta potrebbe dunque essere ritenuta «diver

sa» e non corrispondente a quanto si è accertato nel corso del

dibattimento: potrebbe dunque concludersi che non ricorrono

le condizioni volute dall'art. 444 c.p.p. (avendo l'imputato ri

chiesto l'applicazione di pena qualificando tre distinti fatti de

littuosi secondo il paradigma del reato continuato, mentre all'e

sito del dibattimento è stata riconosciuta la penale responsabili tà dell'imputato per uno solo dei reati contestati); ma una tale

scelta interpretativa non può assolutamente essere ritenuta cor

retta: deve piuttosto ritenersi che la richiesta di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p. formulata dall'imputato relativamen

te a più reati contestati, e ritenuti unificati dal vincolo della

continuazione, con indicazione della sola pena complessiva per il reato continuato, contenga implicitamente anche una richie

sta di applicazione di pena per ogni singolo reato, richiesta che

può e deve essere riconosciuta nella sua autonoma rilevanza ove, sia predibattimentalmente ai sensi dell'art. 129 c.p.p., sia all'e

sito del dibattimento, venga riconosciuta la penale responsabili tà dell'imputato solo per alcuni dei reati per i quali, nella ri

chiesta di applicazione di pena veniva prospettata l'unificazione

ex art. 81 c.p. (Che la sentenza ex art. 444 c.p.p. presupponga un riconoscimento positivo della responsabilità penale è stato

affermato nella sentenza 313/90 Corte cost., Foro it., 1990, I,

2385, nella parte «interpretativa di rigetto», può leggersi che

«... anche la decisione di cui all'art. 444 c.p.p., quando non

è decisione di proscioglimento, non può prescindere dalle prove della responsabilità».).

Tale conclusione sembra doverosa secondo una duplice serie di motivi:

— l'istituto della continuazione per la ratio ad esso sottintesa

e per il suo meccanismo di funzionamento, è tale da consentire, anzi da imporre, che i singoli reati riacquistino la loro autono

mia ogniqualvolta una diversa soluzione vada a peggiorare il

trattamento sanzionatorio; un tale principio è stato affermato

dalla giurisprudenza in tema di applicazione dell'amnistia o del la prescrizione, ma non si vede davvero il motivo per cui esso

non possa ritenersi operante anche nell'ambito della richiesta

ex art. 444 c.p.p. (cfr., ad es., Cass. 3 maggio 1986, Alighieri: «... l'istituto del reato continuato costituisce un istituto ispirato al favor rei... sicché le singole violazioni che lo compongono

possono scindersi e riacquistare la propria autonomia ed i loro

specifici caratteri soltanto nel caso in cui il meccanismo della

continuazione comprometta le condizioni di favore volute dal

Per altre questioni sull'argomento, Assise Roma 15 marzo 1990, Fo ro it., Rep. 1990, voce Pena (applicazione), nn. 46, 63; Trib. Roma 28 febbraio 1990, ibid., voce Esecuzione penale, n. 29; Trib. Verona 26 ottobre 1989, ibid., voce Pena (applicazione) n. 47; Trib. Venezia 6 novembre 1989, id., 1990, II, 251.

(3) In generale, sull'art. 448, 1° comma, c.p.p., v., per tutti, Pigna

telli, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1990, IV, 812 s.; Lattanzi, L'applicazione del la pena sulla richiesta delle parti, in AA.VV., Contributo allo studio del nuovo codice di procedura penale, Milano, 1989, 124.

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GIURISPRUDENZA PENALE

legislatore...»; e ancora Cass. 4 maggio 1984, De Biase, id.,

Rep. 1985, voce Amnistia, n. 23; 28 ottobre 1980, Rota, id.,

Rep. 1982, voce Prescrizione penale, n. 18; 19 febbraio 1980,

Resta, id., Rep. 1981, voce cit., n. 10). — la richiesta di applicazione di pena avanzata dall'imputa

to, quale manifestazione di volontà diretta ad effetti giuridici

e, dunque, quale negozio giuridico, deve pur sempre essere in

terpretata; ora: la prospettazione, contenuta in tale richiesta, di un'unificazione di più reati secondo il paradigma del reato

continuato non può che essere interpretata secondo i canoni

ermeneutici di cui agli art. 1362 ss. c.c. (in quanto applicabili), non limitandosi, evidentemente, al solo senso letterale delle pa

role; già il solo superamento del tenore letterale della richiesta

e la doverosa indagine, secondo i criteri della c.d. interpretazio ne soggettiva e dell'interpretazione secondo buona fede, sulla

reale volontà dell'imputato, evidenzia come una richiesta di ap

plicazione di pena relativa a più reati ritenuti unificati ex art.

81 c.p., implichi necessariamente la volontà, se pur inespressa, di un'analoga opzione processuale per ogni singolo reato; anco

ra: ad identica ineludibile conclusione conduce l'applicazione, in particolare, del canone della c.d. «interpretazione funziona

le» (art. 1369 c.c.) diretta a ricercare il significato del negozio in coerenza con la causa concreta di esso; ora: è normativamen

te previsto nell'ambito del procedimento ex art. 444 c.p.p., che

di fronte ad una richiesta dell'imputato il giudice possa, sia pre dibattimentalmente sia all'esito del dibattimento, pronunziare sentenza di proscioglimento in luogo dell'applicazione di pena

richiesta; dunque, la richiesta di applicazione di pena relativa

mente a più reati, con indicazione della pena complessiva ex

art. 81 c.p., essendo volta all'attivazione di un c.d. «rito alter

nativo» che ben può avere un esito di proscioglimento relativa

mente ad alcuno dei reati contestati, non può non contenere

implicitamente anche una richiesta di applicazione di pena per

ogni singolo reato: solo cosi interpretando, la richiesta di appli cazione di pena si mantiene coerente con la sua finalità e fun

zione da una parte di deflazionare il dibattimento, e dall'altra

(ben più rilevante) di assicurare determinati benefici all'imputa to che effettui una tale opzione processuale; solo cosi si evita

il risultato paradossale, e certamente in stridente contrasto con

la funzione dell'istituto e con la causa concreta che ha determi

nato l'imputato ad attivarlo, secondo cui, in caso di richiesta

ex art. 444 c.p.p. avanzata per un reato continuato, tale richie

sta dovrebbe essere disattesa (con tutte le conseguenze di carat

tere processuale e sostanziale) ove risulti una qualche causa di

non punibilità relativamente ad alcuno dei reati! Insomma: se

l'imputato ritiene di rinunziare alla «facoltà di contestare l'ac

cusa» (sent. 313/90 Corte cost.) relativamente a molteplici rea

ti, come può non ritenersi che una scelta del tutto identica inve

sta anche ogni singolo reato?

Può davvero pretendersi a carico dell'imputato l'onere, nel

caso si determini alla richiesta di applicazione di pena riguardo ad un reato prospettato come «continuato», di specificare in

via subordinata un «ventaglio» di richieste che copra tutte le

possibili combinazioni sia in relazione ad ogni singolo reato,

sia riguardo ai possibili differenti reati continuati configurabili? Può davvero farsi conseguire al mancato assolvimento di un

tale onere (caratterizzato da un formalismo vischioso e bizanti

no) un risultato di sicuro e grave pregiudizio per l'imputato

(oltre che per quell'economia processuale che ruolo preponde rante ha avuto proprio nell'allestimento dei c.d. riti alternativi)?

Se qualcuno (Luigi Ferrajoli), sia pur «fuori dal coro», ha,

con felice (e condivisibile) espressione, correttamente e puntual

mente sottolineato come il nuovo processo penale possa trasfor

marsi in un «gioco d'azzardo», deve pur evitarsi (nei limiti del

possibile e del consentito ed ormai effettuata, riguardo al pro

cedimento di cui si tratta, la verifica costituzionale) che le «re

gole del gioco» si rivelino complicate al limite della praticabili tà, ottusamente rigide ed ineluttabili, contraddittorie con le stesse

premesse di introduzione del rito alternativo, ingiustificatamen

te sottratte alle comuni regole di interpretazione dei negozi giu

ridici, paradossali nelle loro conseguenze applicative. D'altra parte, il «mito» (tutt'altro che «accusatorio» beninte

so!) della «quasi intangibilità» della richiesta di applicazione di pena, rispetto alla quale al giudice era lasciata la sola verifica

della c.d. «cornice di legittimità» è stato significativamente ero

II Foro Italiano — 1991.

so dalla ricordata sentenza 313/90 della Corte costituzionale che

ha riconosciuto al giudice il potere-dovere di entrare nel merito

sia per quanto attiene alla valutazione sulla congruità della pe

na, sia per quanto concerne il necessario accertamento della re

sponsabilità penale (sia pur effettuato secondo le regole proprie del momento processuale nel quale deve avvenire la definizione

del procedimento: «... anche la decisione di cui all'art. 444 c.p.p.,

quando non è decisione di proscioglimento, non può prescinde re dalle prove della responsabilità»); dunque anche sotto questo

aspetto non pare si rinvengano ostacoli al riconoscimento al

giudice di un semplice potere di «interpretazione» (e non di «in

tegratone», si badi) della dichiarazione di volontà» con cui l'im

putato avanza richiesta di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p. Ulteriore ineludibile conseguenza di quanto si è fin'ora argo

mentato è che deve riconoscersi al giudice, nel caso di una ri

chiesta di applicazione di pena avanzata per un reato continua

to e con indicazione della sola pena complessiva, oltre al potere di rinvenire in tale richiesta analoghe distinte richieste per ogni

singolo reato, da considerarsi come autonomamente rilevanti

ove debba essere pronunziata sentenza di proscioglimento per uno dei reati prospettati come unificati ex art. 81 c.p., anche

il corrispondente potere di determinare in via interpretativa la

misura della pena richiesta per quei reati che residuino da una

pronunzia di proscioglimento, ai fini della verifica della sua «con

gruità» e della possibilità di applicarla con sentenza nelle forme

di cui all'art. 448 c.p.p.

Tutte, ma proprio tutte, le argomentazioni fin'ora svolte si

presentano pienamente convincenti anche su quest'ultimo pun to e perfettamente pertinenti: non si può far altro che rimanda

re ad esse; ma si pensi, ancora, come proprio in relazione alla

declaratoria di una causa di non punibilità o di improcedibilità relativamente ad alcuno dei reati ritenuti in sentenza unificati

ex art. 81 c.p., si è ritenuto che la Corte di cassazione possa determinare equitativamente la pena che va eliminata per il rea

to dichiarato estinto, ove nella sentenza impugnata non sia sta

ta operata una distinta determinazione di pena per ogni singolo reato (cfr., ad es., Cass. 23 febbraio 1990, Ceccarini; 7 ottobre

1986, Gobbo, id., Rep. 1988, voce Cassazione penale, n. 65); e deve sottolinearsi come nei più recenti decreti di amnistia (art.

2, 2° comma, d.p.r. 865/86 e art. 3, 2° comma, d.p.r. 75/90) sia stato espressamente previsto un analogo potere in capo al

giudice dell'esecuzione; dunque, ciò che può farsi in relazione

ad una sentenza, anche passata in giudicato, non potrebbe esse

re fatto, applicando i normali canoni ermeneutici, rispetto al

negozio giuridico costituito dalla richiesta di applicazione della

pena? Per quale motivo l'interpretazione della richiesta ex art.

444 c.p.p., giunta al doveroso e, pare, incontestabile, riconosci

mento che una richiesta relativa ad un reato continuato conten

ga implicitamente autonome, distinte richieste per ogni singolo

reato, dovrebbe astenersi dal ricostruire l'entità della pena cor

rispondente ad ogni reato ove per taluno di essi venga emessa

sentenza di proscioglimento? Lo si è già accennato: si sta parlando di «interpretazione»

della richiesta di applicazione di pena, non di una sua «integra zione»! La pena in tal modo «ricostruita» dal giudice è pur

sempre «la pena richiesta», nella «specie e nella misura indica

ta», non altro!

Tornando finalmente al caso di specie, deve rilevarsi che il

p.m. ha espresso il proprio dissenso alla richiesta di applicazio ne di pena formulata dall'imputato prima della dichiarazione

di apertura del dibattimento in quanto, come risulta da verbale,

ravvisava l'opportunità di verificare all'esito dell'istruttoria di

battimentale, l'opportunità di stimolare il giudicante a disporre

perizia d'ufficio per accertare se al momento dei fatti l'imputa

to era capace di intendere e volere; tale perizia, richiesta anche

dalla difesa, veniva in effetti disposta all'esito dell'assunzione

delle prove richieste dalle parti, e accertava, come si è già ricor

dato, la piena imputabilità del Ballario. Ora: sembra chiaro che la valutazione che il giudice deve fare

ai sensi dell'art. 448 c.p.p. all'esito del dibattimento sulla «giu

stificatezza» del dissenso espresso in fase di atti preliminari dal

p.m., non può non tener conto integralmente di tutte le risul

tanze dibattimentali; in altre parole: il dissenso del p.m. non

va valutato con riferimento alla situazione processuale nella quale

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PARTE SECONDA

si è esplicato, bensì ex post, sulla base di quanto è emerso dal

completo svolgimento del dibattimento, dibattimento, «deter

minato» proprio da quel dissenso. Una tale soluzione pare dav

vero «imposta» dalla logica (al di là di possibili obiezioni incen trate sull'esclusiva valorizzazione dei contenuti di «incentivazio

ne» e di «deflazione» dei c.d. processi alternativi — o «alternative

al» processo? —): come potrebbe il giudice «ignorare» tutto

quanto è accaduto nel corso del dibattimento ai soli fini della

valutazione del dissenso del p.m., tenendone invece pienamente

conto, ed in via «eclusiva» per ogni sua altra determinazione?

Su cosa dovrebbe basare una tale valutazione se, escludendosi

le risultanze dibattimentali, null'altro residua agli atti del proce dimento (non certo il fascicolo del p.m., che poteva essere

acquisito — art. 135 att. c.p.p. — solo in caso di

consenso)? Vero è, piuttosto, che solo sulla scorta di tutto quanto emerso dallo svolgimento del dibattimento si rende possibile l'e

sercizio da parte del giudice di quel potere di valutazione sul

dissenso espresso dal p.m. alla richiesta di applicazione di pena, conferito dal 1° comma dell'art. 448 c.p.p.

Applicato il principio che si è subito sopra illustrato, il dis

senso formulato dal p.m. appare, all'esito del dibattimento, del

tutto ingiustificato: i motivi del dissenso erano determinati, co

me si è detto, da un dubbio sulla capacità di intendere e volere

dell'imputato che fondava l'esigenza di una verifica in tal sen

so; tale verifica è stata effettuata con esito di riconoscimento

della piena imputabilità del Ballario; dunque il dubbio si è rile

vato infondato, il dissenso, che su di esso si radicava, ingiustifi cato. (Omissis)

Il Foro Italiano — 1991.

FINE DELLA PARTE SECONDA

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