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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 13 dicembre 1988; Pres. Amari, Est. Romeo; imp....

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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 13 dicembre 1988; Pres. Amari, Est. Romeo; imp. Morgante e altro

sentenza 13 dicembre 1988; Pres. Amari, Est. Romeo; imp. Morgante e altroSource: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp.441/442-449/450Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182759 .

Accessed: 25/06/2014 07:33

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GIURISPRUDENZA PENALE

nali, del tutto svincolati dalle finalità e dagli interessi delle socie

tà Italscai e Italstrade e, in vari casi, da quelli di qualsivoglia società del gruppo.

Osserva questa sezione istruttoria che il richiamo all'istituto della

gestione di affari, previsto dall'art. 2028 c.c. non è pertinente,

perché esso suppone che un soggetto assuma scientificamente e

utilmente la gestione di un affare altrui, mentre nella specie si

rimprovera al Bernabei proprio l'avere ignorato gli interessi delle

società Italscai e Italstrade.

Del pari fuorviante è la discussione sulla differenza fra atto

di appropriazione e atto di distrazione, differenza che l'art. 314

c.p. introduce a proposito del reato di peculato e che concerne

le particolari caratteristiche di tale reato.

Nella specie, si deve soltanto stabilire se gli atti di disposizione

compiuti dal Bernabei rientrino nella nozione di appropriazione

indebita, a norma dell'art. 645 c.p. Com'è noto l'essenza del reato di appropriazione indebita con

siste nell'abuso del possessore, il quale dispone della cosa come

se ne fosse il proprietario (uti dominus). Il possessore, cosi, si

arroga poteri che spettano al proprietario e, esercitandoli, ne dan

neggia il patrimonio. È esattamente quanto avvenuto nella specie: il Bernabei, entra

to in possesso della somma di circa trenta miliardi di proprietà delle società Italstrade e Italscai, ha compiuto atti di disposizione che spettavano unicamente agli organi rappresentativi e di gestio ne delle predette società e ha depauperato il patrimonio delle stesse,

a vantaggio di altre società del gruppo o addirittura di terzi del

tutto estranei al gruppo. È evidente che il personale disinteresse del Bernabei non può

valere ed esimerlo da responsabilità perché il reato si perfeziona tanto nel caso in cui l'atto di appropriazione venga compiuto a profitto del soggetto agente quanto nel caso che sia posto in

essere a profitto di altri, come appunto è avvenuto nella specie. Dal punto di vista soggettivo, il dolo proprio del reato in esa

me è caratterizzato dalla consapevolezza del possesso e dell'al

truità della cosa, dalla volontà consapevole di compiere l'atto

di disposizione e dal fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto

profitto. Orbene, nella specie non si può sostenere che il Berna

bei non fosse consapevole dell'altruità della cosa: si è già visto,

infatti, che egli acquisi tale consapevolezza sin dal 1983 e che,

comunque, continuò a disporre del fondo uti dominus anche do

po il gennaio 1984, data in cui, secondo la sua stessa ammissio

ne, apprese nei particolari l'origine e la proprietà del fondo stesso.

Questa sezione istruttoria, in conclusione, ritiene che la senten

za del giudice istruttore debba essere, per quanto concerne il ca

po in esame, confermata. (Omissis)

TRIBUNALE DI PALERMO; sentenza 13 dicembre 1988; Pres.

Amari, Est. Romeo; imp. Morgante e altro.

TRIBUNALE DI PALERMO;

Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio — Ente pub blico economico di gestione

— Amministratore — Incaricato

di pubblico servizio — Fattispecie (Cod. pen., art. 357, 358).

Peculato — Appartenenza alla pubblica amministrazione delle som

me distratte — Esclusione — Reato — Insussistenza — Fatti

specie di amministratori di ente pubblico economico di gestione

(Cod. pen., art. 314).

Riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio ai fini penali

il presidente dell'Ente minerario siciliano, ente pubblico econo

mico di gestione, in quanto l'attività del consiglio di ammini strazione inerente il perseguimento degli scopi istituzionali (nella

specie, la promozione della ricerca, della coltivazione e della

trasformazione delle risorse minerarie esistenti nel territorio della

Sicilia) risulta finalizzata al raggiungimento dell'interesse

pubblico. (1)

(1-2) Va preliminarmente osservato che i giudici hanno accolto una

nozione di pubblico servizio ricostruita secondo gli schemi della c.d. teo

II Foro Italiano — 1989.

Non si configura il delitto di peculato ex art. 314 c.p. quando una legge regionale, intervenuta successivamente ai fatti conte

stati agli imputati, modifichi l'appartenenza pubblica delle som

me distratte, trasferendone la titolarità da un ente pubblico economico di gestione ad una società a partecipazione mista

pubblica e privata, poiché i principi che regolano la successione

delle norme penali nel tempo devono estendersi anche alle nor

me extrapenali integratrici delle fattispecie criminose (nella spe

cie, il presidente dell'Ente minerario siciliano e l'amministratore

delegato dell'Emsams, società mista a prevalente capitale pub

blico, accusati di aver stipulato, per la gestione separata di fon di istituiti dalla regione Sicilia presso l'Ems e destinati alla

realizzazione di opere minerarie infrastnitturali, convenzioni nelle

quali si consentiva di dirottare parte degli interessi sulle giacen ze liquide dei fondi stessi, per oltre due miliardi e mezzo di

lire, sul conto economico dell'Emsams, a beneficio, dunque, anche dei soci privati, fra i quali uno degli imputati e la mo

glie, sono stati assolti dal delitto di peculato dopo che una leg

ge regionale, ritenuta dal tribunale retroattiva, ha conferito all'Emsams la piena titolarità delle somme distratte). (2)

ria oggettiva, riconoscendo al presidente dell'Ems (ente pubblico econo mico di gestione) la qualifica di incaricato di pubblico servizio ex art. 358 c.p., e ritenendo dunque applicabile, almeno in linea di principio, lo statuto penale della pubblica amministrazione all'imprenditoria pubbli ca. Si tratta di un'opzione interpretativa coraggiosa, in quanto, contrav

venendo al prevalente orientamento giurisprudenziale, si fa implicitamente carico del problema di non sottrarre ad un controllo penalistico forte le attività lato sensu economico-finanzarie di rilevanza pubblica (proprio con riguardo alla vicenda oggetto di Trib. Palermo in epigrafe, le qualifi che soggettive pubbliche sono state per ben due volte escluse dalla Cassa

zione: cfr. le sentenze 13 agosto 1986, Morgante, Foro it., 1987, II, 592

e 27 maggio 1986, Morgante, id., Rep. 1987, voce Peculato, n. 6 e, per esteso, in Cass, pen., 1988, 842, con nota di Del Corso, e in Giust.

pen., 1988, II, 73, con nota di Lemme, entrambe concernenti ricorsi av

verso provvedimenti restrittivi della libertà personale di uno degli imputa ti, cui adde, in termini, con fattispecie concreta relativa alle partecipazioni statali, Cass. 11 luglio 1985, Iannarelli, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 11 e 10 gennaio 1985, Macri, id., Rep. 1986, voce cit., n. 4; analoga mente, ma con riferimento all'attività bancaria, le qualifiche pubblicisti che sono state ritenute incompatibili con l'esercizio dell'impresa da Cass. 28 giugno 1988, Centa Marin, id., 1988, II, 669; App. Roma 17 giugno 1988 e 21 aprile 1988, ibid., 670, tutte con nota di Rapisakda; in tema, da ultimo, Cass., sez. un., 28 febbraio 1989, Vita e altri, inedita; in dot

trina, nel senso dell'inapplicabilità dello statuto penale della pubblica am

ministrazione agli amministratori di società in mano pubblica, Lemme, Società a partecipazione statale e reati contro la pubblica amministrazio

ne, in AA.VV., La riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione a cura di A. M. Stile, Napoli, 1987, 115 ss.).

Dall'approccio prescelto, però, i giudici non sembrerebbero, invero, aver tratto tutte le conseguenze, pervenendo a conclusioni assolutorie at

traverso alcuni passaggi argomentativi che suscitano qualche perplessità,

soprattutto in relazione al rapporto fra il risultato sanzionatorio ottenuto

(nella specie, nullo) ed il contenuto di disvalore e di lesività intrinseco

ad una manovra speculativa comunque implicante un impiego di fondi

pubblici per finalità diverse da quelle che ne avevano determinato l'ero

gazione. Precisamente, il reato è stato escluso perché una legge della re

gione Sicilia, emanata, con singolare tempestività, proprio all'indomani

dell'avvio dell'inchiesta, ed intervenuta successivamente ai fatti contesta

ti, ha trasferito la titolarità delle somme distratte a quella società in favo

re della quale gli imputati erano accusati di averle illecitamente dirottate, inscrivendole nel conto economico invece che gestirle con la prescritta contabilità separata.

Le questioni che vengono in rilievo sono, pertanto, due: in primo luo

go, cosa debba intendersi per pecunia pubblica ai fini della configurabili tà del peculato ex art. 314 c.p.; in secondo luogo, la determinazione degli effetti di una successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del

precetto penale. A ben vedere, si tratta di problemi strettamente connes

si, perché appunto in ragione dello ius superveniens (regionale) è stato

ritenuto che il denaro non potesse più considerarsi appartenente alla pub blica amministrazione. Senza potere qui accennare a tutte le complesse

questioni che attengono alla definizione del concetto di appartenenza alla

pubblica amministrazione ex art. 314 c.p. (sul punto si rinvia a Paglia

ro, Principi di diritto penale, parte speciale, Milano, 1986, 46 ss.), basti

ricordare che, per quel che concerne specificamente il denaro, è stato

ripetutamente precisato dalla giurisprudenza che le somme derivanti da

pubblico finanziamento non perdono la loro connotazione pubblica, man

tenendo il vincolo originario della destinazione per la quale

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PARTE SECONDA

(Omissis). L'impostazione accusatoria delle problematiche che

scaturiscono dai fatti sopra ricordati va analiticamente esamina

ta, anche alla luce di un intervento legislativo regionale del 10

agosto 1984 di importanza fondamentale e di cui appresso si dirà.

Il primo problema da esaminare, in relazione alle imputazioni di peculato e di interesse privato in atti di ufficio, è quello della

qualifica soggettiva da attribuire al presidente del consiglio di am

ministrazione dell'Ente minerario, D'Angelo, in concorso con il

quale il Morgante è chiamato a rispondere dei reati sopra indica

ti, anche in considerazione della decisione della Suprema corte

di cassazione, sez. feriale, del 13 agosto 1986, Morgante (Foro

it., 1987, II, 592) che ha escluso la qualità di pubblico ufficiale

furono erogate, anche quando entrano nella materiale disponibilità del

soggetto finanziato: in relazione al caso oggetto della sentenza qui ripor tata tale principio è stato espressamente ribadito da Cass. 27 maggio 1986,

Morgante, cit.; cfr. altresì' Cass. 10 dicembre 1986, Tortora, Foro it.,

Rep. 1987, voce cit., n. 9; 23 ottobre 1985, Iannaccone, id., Rep. 1986, voce cit., n. 12; 30 marzo 1983, Nicolosi, id., Rep. 1984, voce cit., n.

11; implicitamente, v. pure Cass. 5 luglio 1985, Di Nardo, id., Rep. 1986, voce cit., n. 18; 23 marzo 1983, D'Alonzo, id., Rep. 1984, voce cit., n. 8; 17 gennaio 1983, Colabella, ibid., n. 10. Un siffatto orientamento,

però, non è andato esente da critiche in dottrina. È stato, infatti, osserva

to che il perdurare dell'appartenenza pubblica delle somme erogate a tito

lo di sovvenzione sarebbe da escludere, data la sostanza pattizia del rapporto e considerato che, in simili ipotesi, i finanziamenti sono mirati al soddi

sfacimento di un interesse pubblico solo in via mediata, attraverso il sod

disfacimento degli interessi del beneficiario (le obiezioni sono di Lemme,

Appartenenza alla pubblica amministrazione di somme conferite a società

private a titolo di sovvenzione e appropriazione indebita, nota a Cass.

27 maggio 1986, Morgante, in Giust. pen., 1988, II, 80).

Quanto al secondo punto, il tribunale ha ritenuto che la legge regiona le, in sé nella specie non retroattiva, debba essere considerata tale quando

integri la norma penale, che retroattiva, invece, è in virtù del principio del favor rei sancito dall'art. 2, 3° comma, c.p. Evidente la recezione

della c.d. teoria dell'incorporazione, secondo cui la norma extrapenale

integratrice forma un corpo unico con la norma penale incriminatrice, teoria che trova, cosi, conferma nella prassi di merito dopo essere stata

autorevolmente adottata, in materia di reati contro la pubblica ammini

strazione, da Cass., sez. un., 23 maggio 1987, Tuzet, Foro it., 1987, II,

481, con nota di Giacalone (contra, però, sempre in tema di peculato, Trib. Roma 4 febbraio 1985, id., 1985, II, 390, con nota di Ingroia). Ma la giurisprudenza non ha fornito una lettura univoca dell'espressione

«legge penale» di cui all'art. 2 c.p., orientandosi ora verso una interpre tazione estensiva volta a ricomprendervi anche le norme extrapenali inte

gratrici, con adesione alla teoria dell'incorporazione in chiave di favor rei, ora, per contro, verso un'interpretazione restrittiva secondo cui l'o

peratività delle fattispecie penali non viene alterata quando interventi le

gislativi successivi alla commissione del reato incidano sugli elementi normativi delle incriminazioni (nel senso dell'incorporazione, con riguar do però a ipotesi diverse da quelle inerenti i reati contro la pubblica am

ministrazione, cfr. Cass. 7 febbraio 1984, Di Piazza, id., Rep. 1985, voce

Legge penale, n. 4; 22 aprile 1981, Bura, id., Rep. 1982, voce cit., n.

9; nel merito, Trib. Oristano 28 gennaio 1985, id., Rep. 1986, voce cit., n. 9; escludono, invece, ogni influenza del fenomeno di successione di

leggi extrapenali integratrici di elementi normativi sulla punibilità del fat

to, Cass. 4 giugno 1986, Cioccia, id., 1987, II, 156, con nota di Paone; 2 dicembre 1983, Spinozzi, id., Rep. 1984, voce cit., n. 9, ove esplicita mente si nega che leggi regionali possano in alcun caso condizionare l'ap plicabilità del precetto penale; 24 maggio 1978, Pelegatti, id., 1979, II, 41; 8 maggio 1978, Zamengo, ibid., 577.

Forse non è superfluo ricordare a questo punto che, mentre in materia di successione nel tempo l'assimilazione della legge extrapenale alla disci

plina della legge penale consente di raggiungere risultati favorevoli per il reo, l'identico procedimento produce effetti di segno diametralmente

opposto in tema di errore. La giurisprudenza, infatti, ha quasi costante mente ritenuto inescusabile l'errore ricadente su leggi extrapenali integra trici, equiparandole, agli effetti dell'art. 47 c.p., alla legge penale: cfr., fra le altre, Cass. 17 dicembre 1986, Vicari, id., Rep. 1987, voce cit., n. 9; 14 luglio 1986, Cannavo, ibid., voce Errore penale, n. 3; 20 giugno 1986, Quaranta, ibid., n. 2; 18 gennaio 1986, Banacu, ibid., n. 1; 15

maggio 1985, Tauro, id., Rep. 1986, voce cit., n. 4; da ultimo, anche

per estesi riferimenti giurisprudenziali, cfr. Licitra, L'errore sulla legge extrapenale, Padova, 1988, passim.

Senonché, da una parte della dottrina è stato osservato che, nelle ipote si di abolizione o modifica della norma integrativa di un elemento nor

II Foro Italiano — 1989.

o di incaricato di pubblico servizio per il presidente dell'Ente mi

nerario siciliano. È da ricordare infatti che nel presente procedi mento la Suprema corte, con riguardo allo status libertatis del

Morgante (che nel corso dell'istruttoria era stato raggiunto da

ordine di cattura, prima, e da mandato di cattura, poi, per i

reati di cui in epigrafe e per altri reati di peculato che, come

sopra accennato, sono stati derubricati ad appropriazione indebi

ta) si è pronunciata due volte con decisioni però non del tutto

coincidenti. In particolare la citata sentenza del 13 agosto 1986,

muovendo dal presupposto che gli amministratori degli enti pub

blici economici svolgono attività imprenditoriale e come tali non

sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia

di responsabilità contabile, ha escluso la loro assoggettabilità alle

regole del diritto pubblico, anche in considerazione del fatto che

il carattere vincolante delle direttive e dei programmi politici e

ministeriali nel settore delle partecipazioni statali (e del pari in

campo regionale) e la conseguente strumentalità degli enti di ge stione rispetto ai fini dello Stato, non valgono ad escludere la

natura privatistica dell'attività stessa, consistente nella gestione di partecipazioni azionarie secondo canoni e criteri di economici

tà propri della holding. Il tribunale ritiene di non condividere tale orientamento alme

no per quanto attiene alla qualifica di incaricato di pubblico ser

vizio attribuito al presidente dell'Ems. Invero, il problema non

può avere una soluzione unitaria ma va affrontato con riferimen

to specifico alle funzioni che nel caso in argomento il presidente dell'ente minerario ha concretamente svolto.

L'Ente minerario siciliano si annovera fra gli enti pubblici eco

nomici di gestione che, come è noto, sono sorti per la necessità

di creare un tipo di organizzazione che, svincolata dalle rigide

regole della contabilità pubblica, esercitasse attività di impresa allo scopo di soddisfare a finalità pubbliche.

Da tale particolarità discende che l'attività dell'ente è sottopo sta per un verso al diritto privato per quanto attiene ai rapporti con i terzi, ai quali fornisce le stesse condizioni di certezza offer

te dall'attività delle imprese private, e per altro verso alla regola mentazione pubblicistica, per la rimanente attività rivolta alla

organizzazione dell'ente e ad assicurare il permanere della finali

tà pubblica.

mativo, non sarebbero applicabili le norme sulla successione delle leggi penali in tutti quei casi in cui «tale abolizione non fa venire meno il

disvalore penale del fatto commesso anteriormente e, quindi, la ratio pu niendi del medesimo» (cosi, testualmente, Mantovani, Diritto penale, Padova, 1988, 118 s.). E, per vero, non si direbbe che, nel caso di specie, l'intervento della legge regionale abbia eliso il disvalore penale di una distrazione di fondi (originariamente) pubblici che si è risolta in beneficio non solo di uno degli imputati, ma anche della moglie di questi.

Alla stregua delle brevi considerazioni che precedono, sembrerebbe al lora di potere, più in generale, osservare che, nel caso di abuso del patri monio sociale da parte di amministratori di società in mano interamente o parzialmente pubblica, il peculato ex art. 314 c.p. resta un'ipotesi san zionatoria praticabile, o per lo meno argomentabile attraverso passaggi che, forse, non sono più ardui di quelli necessari per giungere ad una sua esclusione: spetterà al giudice decidere quale delle due strade percor rere, operando una scelta che implica valutazioni di politica criminale non pertinenti alla funzione giudiziaria, in una situazione di incertezza

che, come è stato segnalato, potrebbe dar luogo a zone di «odiosa impu nità» (cosi Del Corso, Brevi osservazioni sull'appropriazione indebita

degli amministratori delle s.p.a. in mano pubblica, in Cass, pen., 1988, 849). E di quanto siano concreti i rischi di impunità per gli illeciti com messi nel settore dell'imprenditoria pubblica è un preoccupante segnale proprio Trib. Palermo in epigrafe, che, pronunciata assoluzione per il

peculato, ha negato anche la configurabilità dell'appropriazione indebita ex art. 646 c.p., ipotesi, peraltro, indicata dalla Cassazione nelle sentenze 13 agosto e 27 maggio 1986 cit. come alternativa al peculato (Del Corso, op. cit., 847, critica la funzione surrogatoria rispetto al peculato che la

giurisprudenza tenderebbe ad assegnare all'appropriazione indebita e ri tiene che lo statuto penale della pubblica amministrazione, ancorché «ec cessivamente demonizzato pur se certo bisognoso di urgenti riforme», sia l'insostituibile strumento di controllo penalistico dell'imprenditoria pub blica). Sul problema della riconducibilità della condotta di «distrazione» alla fattispecie dell'appropriazione indebita, cfr. Militello, nota a App. Roma 23 giugno 1988, che precede. [C. Rapisarda]

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GIURISPRUDENZA PENALE

Connotazioni pubblicistiche vanno dunque ravvisate in tutte

quelle attività che vengono svolte in adempimento delle finalità

istitutive dell'ente e, in particolare, nel perseguimento dello sco

po di «promuovere la ricerca, la coltivazione la trasformazione»

delle risorse minerarie esistenti nel territorio siciliano (v. art. 1, 2° comma, 1. reg. istitutiva dell'Ems).

Ne consegue che l'attività del consiglio di amministrazione ine

rente al perseguimento degli scopi istituzionali dei quali si è testé

detto risulta finalizzata al raggiungimento dell'interesse pubblico; in ciò va ravvisato lo svolgimento di una «attività pubblicistica» che non può essere definita pubblica funzione in senso stretto,

trattandosi pur sempre di attività che promana da un soggetto

privato e non dalla pubblica amministrazione, ma riveste i carat

teri del pubblico servizio, proprio perché svolta in posizione pari

tetica e non autoritativa. Va infatti rilevato che la pubblica funzione viene definita in dottrina come il complesso di pensiero, di volontà e di azione che si esplica con attributi di autorità nella

sfera del potere amministrativo (oltre che legislativo o giudizia

rio) ad opera di pubblici uffici ed è caratterizzata dal fatto di

essere riservata agli organi essenziali o ausiliari dello Stato dai

quali promanano atti amministrativi autoritativi, capaci cioè di

produrre unilateralmente, nella sfera giuridica di altri soggetti, le modificazioni giuridiche previste dalle proprie statuizioni.

Tali caratteristiche non possono ravvisarsi negli atti deliberativi

del consiglio di amministrazione dell'Ems che non dispone di tali

poteri autoritativi nei confronti delle società collegate, con le quali intrattiene rapporti regolati dal diritto privato in posizione di so

cietà capogruppo.

Ma, pur escludendo un esercizio di pubblica funzione nella pre detta attività dell Ems, non può non ravvisarsi in ciò l'esercizio

di un pubblico servizio prorpio perché si tratta di attività che

l'ente svolge per perseguire quale fine istituzionale di promozio

ne, di ricerca e di coltivazione delle risorse minerarie esistenti

nel territorio regionale che rappresentano il fine pubblico, diretto

e non strumentale, per il quale l'ente stesso è stato costituito.

Alla luce delle considerazioni che precedono va dunque ricono

sciuta la qualifica di incaricato di pubblico servizio nel consiglio

di amministrazione — e nel suo presidente — nello svolgimento

di ogni attività che costituisca espletamento di tali compiti istitu

zionali. La prima immediata conseguenza della qualificazione di incari

cato di pubblico servizio al D'Angelo è intanto quella di far venir

meno la configurabilità del reato ascrittogli, in concorso con il

Morgante, al capo D) dell'imputazione, poiché il delitto di inte

resse privato in atti d'ufficio postula che il soggetto agente sia

esclusivamente un pubblico ufficiale.

Tanto premesso, non v'è dubbio, peraltro, che gli atti delibera

tivi di tale ente e che interessano il presente procedimento sono

atti collegiali, ad eccezione di quelli di cui al capo B) nei quali

il D'Angelo ha agito quale commissario straordinario dell'Ems;

e le considerazioni circa lo svolgimento di un pubblico servizio

devono per logica essere riferite alle attività del consiglio di am

ministrazione dell'ente e non soltanto del suo presidente. Al riguardo è opportuno ricordare che, secondo l'impostazione

accusatoria, 1 'attribuibilità del reato al solo presidente del consi

glio di amministrazione e non anche a tutti i membri dello stesso,

si giustifica con il ricorso alla figura della loro induzione in erro

re da parte del D'Angelo, in concorso con il Morgante.

Tale «costruzione» dà luogo a perplessità alla luce delle diverse

e per certi versi contrastanti emergenze istruttorie e dibattimentali.

Si sostiene da parte dell'accusa che, secondo quanto dichiarato

da numerosi componenti del consiglio di amministrazione dell'Ems

al procuratore della repubblica e al giudice istruttore, gli atti deli

berativi di cui al presente procedimento sarebbero stati approvati

sulla base delle prospettazioni effettuate dal presidente nelle sue

relazioni; in particolare la clausola, contenuta nelle convenzioni

e trasfusa negli atti deliberativi di cui si è detto, relativa all'obbli

go di «impinguare il fondo dell'ammontare degli interessi sulle

giacenze liquide in conformità all'art. 1284 c.c.» non sarebbe sta

ta compresa nella sua reale portata dai consiglieri dell'Ems, alcu

ni dei quali nel corso della (iniziale) sommaria istruttoria ne avrebbero capito l'esatto significato soltanto a seguito della spie

II Foro Italiano — 1989.

gazione del magistrato inquirente (cfr. dichiarazioni Tamburini, Dalla Scala, Fiandaca, Zipelli). Ne conseguirebbe, sempre secon

do l'ottica accusatoria, una approvazione viziata da una falsa

rappresentazione della realtà, strumentalizzata, ad opera del D'An

gelo, per il conseguimento del fine di consentire alla società Em

sams l'utilizzo delle giacenze liquide e la manipolazione degli interessi prodotti a vantaggio dei soci della collegata. E poiché l'interesse principale — se non addirittura esclusivo — ad ottene

re le somme era dell'Emsams — e dunque del Morgante ne con

seguirebbe ancora la prova — secondo l'accusa — dell'accordo

tra il Morgante e il D'Angelo. La prospettazione anzidetta induce perplessità perché se per un

verso non può negarsi che le deliberazioni in argomento — che

consentirono all'Emsams prima e alla Italkali poi notevoli incre

menti al loro bilancio — costituirono un vantaggio per le società

collegate e per i loro soci, non può però trascurarsi che la qualità e le qualifiche rivestite dai singoli membri dell'Ems, in maggio ranza professionisti di buon livello intellettuale e culturale, non

fa indulgere a credere che essi abbiano votato le deliberazioni

del tutto passivamente senza rendersi conto delle relative conse

guenze, e ciò anche alla stregua delle risultanze dibattimentali

laddove è stato affermato dai testi che a tutti i consiglieri dell'en

te venivano tempestivamente inviati, comunicati e forniti in copia tutti gli atti relativi alle adottande deliberazioni, in modo che essi

potessero apprenderne il contenuto e farne oggetto di discussione

durante le sedute (cfr. Leto Girolamo, Fiandaca Ferdinando, Cur

topelle Calogero). Altro elemento di rilievo e di supporto all'accusa sarebbe costi

tuito dal fatto che, nella seduta del 28 settembre 1979, su inter

vento del D'Angelo, fu accolta la tesi, favorevole alle richieste

dell'Emsams, della opportunità dell'immediato trasferimento dei

fondi alla società collegata, che con gli interessi maturati dai fon

di stessi avrebbe coperto la svalutazione monetaria; il presidente

D'Angelo però non avrebbe precisato chi (e con quali modalità)

avesse predisposto gli schemi di regolamentazione convenzionale,

omettendo poi di specificare che il riferimento normativo all'art.

1284 c.c. avrebbe obbligato la società collegata ad incrementare

il fondo del 5%, in misura perciò certamente inidonea e insuffi

ciente a coprire la svalutazione.

Non può, però, sottacersi, per altro verso, che se i fondi non

fossero stati attribuiti alla società collegata, questi avrebbero con

tinuato a produrre un interesse di poco superiore al 4% (cfr. te

ste Leone) come tutti i fondi regionali depositati presso il Banco

di Sicilia secondo la 1. reg. n. 45 del 1976 (modificata con la

1. reg. n. 94 del 5 agosto 1982) e la collegata non avrebbe avuto

alcuna possibilità di coprire neppure in parte la svalutazione.

E D'Angelo al riguardo ha inoltre chiarito che ritenne conve

niente per l'Ems che si facesse in quel momento riferimento alla

misura del saggio legale degli interessi per evitare ogni discrezio

nalità da parte dell'Emsams.

Peraltro, non si può negare — perché obiettivamente traspare

da tutta l'istruzione compiuta e dalle risultanze acquisite — il

travaglio interpretativo creatosi tra Ems ed Emsams al fine di

dare una soluzione all'art. 10 1. reg. n. 100 del 1977 che aveva

istituito presso l'ente economico di gestione il fondo a gestione

separata di tre miliardi da destinare alla società collegata.

Orbene, premesso che l'art. 48 c.p., al quale fa ricorso la pro

spettazione accusatoria, contempla l'ipotesi di responsabilità del

l'autore mediato, ossia di chi si serve per commettere un reato

di altro soggetto come strumento, e premesso ancora che tale

norma postula che l'autore immediato, ossia lo «strumento», agisca

per volontà viziata e cioè in conseguenza dell'inganno adoperato

su di lui dall'autore mediato, ritiene il tribunale che nel caso di

specie non possa dirsi raggiunta pienamente la prova di tale stru

mentalizzazione da parte degli odierni imputati sui consiglieri del

l'Ems e ciò per il contrasto degli elementi sopra ricordati che

inducono a seria perplessità. Tuttavia la discordanza e la divergenza degli elementi probato

ri di cui si è detto non hanno una concreta rilevanza se si pongo

no — come deve essere fatto — alla luce della 1. reg. 10 agosto

1984 n. 46 intervenuta nel corso delle indagini della guardia di

finanza.

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PARTE SECONDA

E va soggiunto inoltre che nell'ambito della applicabilità di ta

le nuova normativa si rende inutile, ai fini del decidere, verificare

e stabilire se le somme oggetto dei pretesi peculati avessero con

notazioni di natura pubblica o meno.

Invero la norma contenuta all'art. 3 di detta legge dispone: «Gli interventi finanziari a carico dei fondi a gestione separata di cui agli art. 2 e 3 1. reg. 26 marzo 1982, nonché quelli a carico

dei fondi di cui all'art. 2 1. reg. 29 dicembre 1981 n. 175 sono

destinati quali contributi in conto esercizio di cui alla lettera A) dell'art. 55 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, alla copertura dei

costi sostenuti dalle società interessate per le finalità rispettiva mente previste dalle disposizioni citate.

«Il fondo istituito con l'art. IO 1. reg. 29 dicembre 1977 n.

100, incrementato con l'art. 5 1. reg. 5 marzo 1979 n. 17, con

l'art. 63, 2° comma, 1. reg. 12 agosto 1980 n. 85 e con l'art.

2 1. reg. 5 agosto 1982 n. 99, è soppresso quando le opere e

gli impianti realizzati dalle società destinatarie dei contributi in

conto capitale previsti dalle leggi citate sono collaudati a cura

dell'assessorato regionale all'industria.

«Le opere e gli impianti medesimi saranno devoluti alle regio

ni, senza indennizzo per le società che ne sono titolari, alla cessa

zione per qualunque causa delle concessioni minerarie al cui servizio

sono finalizzate.

«Il fondo di dotazione dell'Ems è ridotto dell'ammontare dei

contributi in conto capitale corrisposti alle società collegate sulla

disponibilità e per gli scopi di cui all'art. 63 1. reg. 12 agosto 1980 n. 85 ed all'art. 35, lett. B) e C), 1. reg. 11 aprile 1981 n. 54.

«I proventi realizzati dalle società beneficiarie nella gestione dei contributi di cui ai due commi precedenti sono imputati al

rispettivo conto economico, anche a titolo di sopravvenienza».

Ora, l'effetto immediato di tale norma è stato quello di attri

buire la titolarità esclusiva dei fondi e delle loro sopravvenienze alle società collegate poiché le somme in argomento sono da con

siderare «contributi in conto capitale» e i relativi proventi vanno

imputati al rispettivo conto economico.

Premesso che non compete a questo tribunale esprimere giudizi sulle ragioni politiche che hanno indotto alla innovazione legisla tiva in parola, espressione di sovranità che non può essere giudi zialmente sindacata, va invece affrontato il problema dell'incidenza

della norma regionale sul precetto penale contenuto nell'art. 314

c.p. circa il concetto di pecunia pubblica dell'oggetto della distra

zione, poiché non può disconoscersi che la modifica legislativa

regionale ha mutato la disciplina normativa extrapenale a cui l'art.

314 c.p. faceva riferimento per ricavare il carattere pubblico dei

fondi in argomento. Si affaccia qui il problema della successione di leggi penali o

meglio delle norme integratrici di legge penale. Infatti, secondo

un'accreditata dottrina, la legge penale può rinviare per una com

pleta delimitazione dell'illecito ad ogni altro tipo di norma, la quale concorrerà con la legge alla formazione della fattispecie

penale completa, partecipandone della natura di «norma penale» in quanto norma integratrice di quella penale in senso stretto.

A tali principi si è costantemente ispirata la Suprema corte in

tema di interpretazione dell'art. 47, ultimo comma, c.p., stabi

lendo che «va considerato errore su norma penale e quindi ine

scusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche

del diritto, introdotti nella norma penale ad integrazione della

fattispecie criminosa» (Cass. 11 ottobre 1965, Casale, id., 1966,

II, 545). Delineato cosi il concetto di norma integratrice di legge penale,

si tratta di stabilire se la violazione di tale regola extrapenale sia

assoggettabile o meno alla disciplina dell'art. 2, 2° comma, c.p. Al riguardo dottrina e giurisprudenza appaiono oscillanti tra

due diverse soluzioni, ora ritenendo che la norma in questione si riferisca esclusivamente alla «legge penale» in senso stretto, ovvero che la norma extrapenale si incorpori in quella penale, divenendo soggetta alla disciplina del predetto art. 2 c.p.

Con recente e nota decisione, le sezioni unite della Suprema corte (sent. 23 maggio 1987, Tuzet, id., 1987, II, 481) sono per venute ad una soluzione positiva alla quale il tribunale ritiene di aderire, anche in considerazione della ratio dell'art. 2 che, espri

II Foro Italiano — 1989.

mendo il principio fondamentale del favor rei diretto alla tutela

della libertà del cittadino, indica una tendenza ad applicarsi ogni

qualvolta la libertà del cittadino se ne avvantaggi. Per legge incriminatrice, come è dato rilevare dalla citata sen

tenza delle sezioni unite, deve intendersi il complesso di tutti gli elementi rilevanti ai fini della descrizione del fatto, tra i quali nel reato di peculato si colloca l'appartenenza del denaro alla

regione siciliana, che appunto costituisce «elemento» del

fatto-reato.

È dunque l'intervento legislativo che ha, nel caso in esame,

modificato un elemento normativo della fattispecie di reato e di

ciò il giudice deve senz'altro prendere atto, prescindendo da valu

tazioni di altra natura.

In conclusione, qui non giova tanto discutere sulla irretroatti

vità della legge regionale che, come sostenuto dalla Suprema cor

te nella sentenza del 27 maggio 1986, Morgante (id., Rep. 1987,

voce Peculato, n. 6) resa nel corso di questo procedimento, non

può essere messa in dubbio, quanto invece sul contenuto della

modifica legislativa intervenuta successivamente e degli effetti pro

dotti, per cui questa, nell'ambito del rapporto integrativo — sus

sistente certamente, sotto il profilo della appartenenza tra norma

penale e 1. 46/84 — resta attratta nella sfera di operatività del

l'art. 2 c.p. e, pertanto, deve essere applicata retroattivamente

alle ipotesi di reato configurate ai capi A), B), C) della rubrica.

Pertanto, avendo il fatto perduto il carattere di illecito penale, dovrà adottarsi nei confronti del Morgante e del D'Angelo l'am

pia formula liberatoria della assoluzione perché il fatto non è

più previsto come reato per i fatti di peculato loro ascritti ai

capi A), B) e C). Passando quindi all'esame delle altre imputazioni, è da ricor

dare che con i capi E), F) e G) sono stati originariamente conte

stati al solo Morgante, nella qualità di amministratore delegato della s.p.a. Emsams prima, ed Italkali, dopo, più fatti di distra

zione aventi ad oggetto gli interessi attivi prodotti dai fondi a

gestione separata di cui alle convenzioni 1° giugno 1979, 28 di

cembre 1981, 18 marzo 1982, qualificando tali fatti, nel corso

dell'istruttoria, come peculato e derubricandoli, poi, in appro

priazione indebita aggravata, per difetto della qualità soggettiva di incaricato di pubblico servizio nell'amministratore delegato di

società partecipata. Come in premessa indicato le suddette con

venzioni (relative ai fondi assegnati all'Ems per ricerche minera

rie in località Mandre e Cozzo Campana, per la realizzazione

degli impianti di depurazione, e per le opere necessarie alla ricer

ca «Milana») presentavano talune diversità di formulazione, fa

cendo ricorso alcune alla figura del mandato, ma prevedevano tutte lo stesso regime giuridico quanto alla destinazione degli in

teressi attivi, maturati nelle more dell'utilizzo dei fondi cui ineri

vano, che avrebbero dovuto essere integralmente riversati nei fondi

stessi; ciò comportava dunque l'obbligo di tenere una contabilità

separata, come del resto previsto espressamente in due delle con

venzioni.

Gli obblighi in argomento però non sono stati osservati dal

Morgante, il quale non istituì' mai la contabilità separata, facen

do cosi confluire nell'unico conto economico delle società da lui

amministrate tutti gli interessi prodotti dalle giacenze liquide dei

predetti fondi e che ha determinato il difetto di quella trasparen za insita nell'obbligo della contabilità separata.

Infatti, i fondi erogati dall'Ems, essendo stati canalizzati sui

conti correnti bancari della gestione ordinaria, hanno in concreto

prodotto una distrazione dei fondi e degli interessi prodotti dal

vincolo di destinazione. Stessa procedura è stata adottata dal Morgante per la contabi

lizzazione dell'Iva; infatti, le somme costituite dai rimborsi Iva

provenienti dai costi sostenuti per la realizzazione delle opere fi

nanziate con i fondi speciali avrebbero dovuto essere indicate in

un apposito conto «Iva c/Erario» sempre per l'obbligo della con

tabilità separata previsto nelle convenzioni.

Le società Emsams ed Italkali si sono invece limitate ad evi

denziare nel proprio bilancio le somme ricevute, gli interessi ma

turati — secondo le pattuizioni — e i costi sostenuti per le opere. Cosi facendo i crediti vantati verso l'erario a titolo di Iva con

fluirono indistintamente nel conto generale delle società con il

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GIURISPRUDENZA PENALE

risultato che le somme rimborsate dall'erario, invece di incremen

tare i fondi speciali, incrementarono gli altri crediti Iva maturati

per la restante attività societaria.

La mancata imputazione ai fondi a destinazione vincolata e a gestione separata dei rimborsi Iva e degli interessi maturati in

tegra, a giudizio del collegio, una condotta di semplice distrazio

ne e non di appropriazione.

Infatti, se è vero che la violazione dell'obbligo della contabilità

separata ha anche in questo caso determinato una modifica del

vincolo di destinazione delle somme che sono state fatte confluire

nella voce di bilancio dell'unico conto economico della società

e se è vero che non è facile stabilirne l'impiego con riguardo allo scopo per cui erano state stanziate, è anche vero che i fondi

ed i relativi proventi non sono stati riversati in conti occulti e

non controllabili e ciò deve far escludere appunto un comporta mento diretto ad un trasferimento del bene nella esclusiva e per sonale sfera giuridica del Morgante. E poiché la formulazione

tipica dell'art. 646 c.p., che peraltro esige soggettivamente il dolo

specifico dell'ingiusto profitto, non si estende, a differenza dell'i

potesi delittuosa di cui all'art. 314 c.p. a comprendere condotte

di semplice distrazione, quale nel caso è stata per vero l'imputa zione dei proventi a conto economico della società collegata; e

tenuto conto che le opere per le quali le somme erano state stan

ziate sono state di fatto realizzate senza ulteriori interventi di pub blico finanziamento, ne consegue che il Morgante deve essere

assolto da tutte le altre imputazioni perché il fatto non sussiste.

PRETURA DI BRUNICO; sentenza 14 marzo 1989; Giud. Bisi

gnano; imp. Leimgruber.

PRETURA DI BRUNICO

Quiete pubblica e privata (disturbo della) — Disturbo del riposo delle persone — Reato — Sussistenza — Fattispecie (Cod. pen., art. 659).

Incolumità pubblica (reati e sanzioni amministrative contro la) — Getto pericoloso di cose — Emissione di gas e fumi atti

a molestare le persone — Reato — Sussistenza — Fattispecie

(Cod. pen., art. 674).

Risponde del reato di disturbo del riposo delle persone, ex art.

659 c.p., la titolare di una panetteria che, alle prime ore del

mattino, accenda il motore della propria autovettura diesel sot

to le finestre di un albergo, lasciandolo a lungo in funzione

per farlo riscaldare prima di partire per la distribuzione del

pane, perché il motore diesel, in fase di avviamento, provoca un rumore martellante e di considerevole intensità sufficiente a svegliare, o comunque a disturbare, chiunque dorma nelle

vicinanze. (1) Risponde del reato di emissione di gas e fumi atti a molestare

le persone, ex art. 674 c.p., chi, avviato il motore della propria autovettura diesel, lo lasci girare a lungo a macchina ferma,

poiché i gas di scarico emessi da tale tipo di motore contengo no sostanze che li rendono altamente velenosi, con conseguen

ze idonee a ledere l'interesse alla salute dei cittadini ad essi

esposti. (2)

(1-2) La salvaguardia dell'ambiente è, senza dubbio, fra i temi che oggi trovano maggiore risonanza nell'opinione pubblica: parallelamente al dif

fondersi di una coscienza ecologista nella società a tutti i livelli, si è assi

stito alla crescita delle istanze di tutela del «diritto all'ambiente». È

accaduto, cosi, che la giurisprudenza, sempre più di frequente, è stata

chiamata a misurarsi con i problemi posti dalla necessità di ricondurre

al controllo penalistico fenomeni patologici e dannosi connessi, ad esem

pio, allo smaltimento dei rifiuti o agli scarichi industriali. Il traffico auto

mobilistico, fra i diversi fattori inquinanti, è andato assumendo da ultimo

un sempre maggiore rilievo (cfr., ad es., gli articoli sulla grave situazione

atmosferica di Milano apparsi sul Corriere della Sera e La Repubblica del 29 gennaio 1989, con i commenti, rispettivamente, di A. Panebianco

Il Foro Italiano — 1989 — Parte II-19.

Fatto. — Con rapporto giudiziario n. 40/7 prot. d.d. 15 marzo

1988, i carabinieri di Cadipietra denunciarono a questo pretore — su esposto di Edgar Hermann Siemens, turista germanico in

ferie a San Giovanni di Valle Aurina — tale Maria Leimgruber in von Wenzel per schiamazzi notturni, asseritamente commessi

in detto comune frazione San Giovanni nelle notti del 4, 5 e 7

gennaio precedente. Condannata con decreto n. 336 del 26 settembre s.a. alla pena

di complessive lire 500.000 di ammenda per i reati di cui in rubri

e G. Bocca; v., inoltre, il dossier sul traffico nelle grandi città italiane

pubblicato da L'Espresso del 6 novembre 1988, a cura di E. Arosio e Mario Scialoja).

Appunto un episodio di inquinamento automobilistico è oggetto della sentenza di epigrafe, la quale rappresenta, per quanto risulta, un inedito caso di condanna per disturbo della quiete pubblica ed emissione danno sa di gas nell'ipotesi di un uso ritenuto improprio (a macchina ferma) di automobile dotata di motore diesel. Un precedente indiretto può, tut

tavia, rinvenirsi in Pret. Roma 2 marzo 1987, Foro it., 1987, II, 619, con nota di Giorgio, che ha ritenuto configurabile in linea teorica (ma pervenendo, in concreto, all'assoluzione) il reato di omissione di atti d'uf ficio a carico del sindaco della capitale per non aver adottato provvedi menti idonei a impedire gli inconvenienti ambientali, qualificati come

penalmente rilevanti ex art. 659 e 674 c.p., causati dall'incontrollato espan dersi del traffico automobilistico nel centro abitato (sulla chiusura del centro storico di Roma al traffico autoveicolare a tutela della salute pub blica, cfr. Tar Lazio, sez. II, 16 giugno 1988, n. 865 e 9 giugno 1988, n. 802, id., 1989, III, 297). Il Pretore di Roma, però, si era preoccupato di far accertare con perizie tecniche che il rumore e i fumi prodotti dalla circolazione veicolare fossero di intensità e dannosità particolarmente ele

vata, prima di stabilire la sussistenza dei reati de quibus, sia pure a carico di ignoti. Tali preoccupazioni, per vero, sono rimaste estranee a Pret.

Brunico, che afferma tout court la punibilità dell'automobilista reo di un uso improprio (di un abuso, se si vuole) del motore diesel, con il dichiarato intento di «sensibilizzare al problema dei piccoli inquinamenti quotidiani che ognuno, con modesto impegno, può evitare»: una senten

za, dunque, nel suo piccolo «esemplare». La possibilità di un controllo penale sui fenomeni di inquinamento au

tomobilistico è stata prospettata, in sede civile, anche da Pret. Torino 3 dicembre 1986, ibid., I, 969, con nota di Troiano, che ha però respinto la richiesta di un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. con la quale il ricorrente sollecitava la chiusura del centro storico torinese lamentando la lesione del proprio diritto alla salute a causa dell'intenso traffico vei colare.

Con riguardo ai rumori molesti prodotti in centro abitato da un ciclo

motore, l'art. 659 c.p. è stato applicato già da Pret. Pinerolo 29 maggio 1972, id., Rep. 1973, voce Quiete pubblica (disturbo della), n. 7; per un'ulteriore ipotesi applicativa, cfr. Pret. Mirandola 31 gennaio 1986, id., 1986, II, 640, relativa ad un corteo di tifosi che festeggiavano la vittoria della loro squadra suonando i clacson delle automobili. Per un'am

pia rassegna dei diversi orientamenti emersi in materia di tutela penale

dell'inquinamento da rumore, Fiandaca - Tessitore, Inquinamento acu

stico e controllo penale, id., 1982, II, 485. Con riguardo specifico all'emissione di gas, per vero, la giurisprudenza

ha avuto occasione di pronunciarsi relativamente a fenomeni di natura

industriale: cfr. Pret. Voltri 16 marzo 1987, id., 1988, II, 266, con nota

di Amandonico, ove si afferma che, ai fini della configurabilità del rea

to, a nulla rileva che siano stati o meno superati i limiti di portata e

concentrazione degli scarichi industriali inseriti nei provvedimenti auto rizzativi. Nello stesso senso sembrerebbe implicitamente orientarsi la sen

tenza in epigrafe che, in assenza di rilevamenti tecnici specifici sulla dannosità delle emissioni, ha ritenuto sussistente il reato in base alla sem

plice considerazione che, essendo le automobili costruite per consentire lo spostamento da un luogo ad un altro, ne sarebbe inibito ogni altro

uso implicante coseguenze moleste come l'emissione di gas di scarico (cir ca l'inquinamento atmosferico industriale, Amendola, Industrie e inqui namento atmosferico. Primi appunti sulla nuova disciplina penale, ibid.,

V, 520). Da ultimo, in tema di tutela penale dell'ambiente, cfr., con riguardo

allo smaltimento di rifiuti, Cass. 29 settembre 1987, Asinoro, id., 1989,

II, 109, con nota di Amendola; Pret. Cosenza 17 marzo 1989, ibid.,

330, e Pret. Lendinara 26 aprile 1988, ibid., 193, con nota di richiami, cui si rinvia per ulteriori riferimenti; nonché Cass. 17 gennaio 1989, Buz

zi e 16 febbraio 1988, Ridolfi, in questo fascicolo, II, 406. Testimonianza

che il «diritto all'ambiente» ha assunto ormai nella prassi giurispruden ziale la rilevanza di un interesse diffuso meritevole della più piena tutela,

possono essere considerate anche le numerose decisioni che hanno ricono

sciuto l'ammissibilità della costituzione di parte civile di associazioni am

bientaliste in processi per inquinamento: Pret. Vibo Valentia 24 novembre

1986, id., 1988, II, 48, con nota di Giorgio e Pret. Sestri Ponente 7

febbraio 1986, id., 1986, II, 323, fra le altre.

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