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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Sentenza 13 giugno 1952; Pres. ed est. Mattera; app....

Date post: 31-Jan-2017
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Sentenza 13 giugno 1952; Pres. ed est. Mattera; app. Ruggiero, Caputo (Avv. Ruberti, Gritti) Source: Il Foro Italiano, Vol. 75, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1952), pp. 135/136-137/138 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23142972 . Accessed: 28/06/2014 09:07 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.194.106 on Sat, 28 Jun 2014 09:07:55 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Sentenza 13 giugno 1952; Pres. ed est. Mattera; app. Ruggiero, Caputo (Avv. Ruberti, Gritti)

Sentenza 13 giugno 1952; Pres. ed est. Mattera; app. Ruggiero, Caputo (Avv. Ruberti, Gritti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 75, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1952), pp.135/136-137/138Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23142972 .

Accessed: 28/06/2014 09:07

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136 PARTE SECONDA 136

La'Corte, ecc. — L'Ispettore del lavoro del Circolo

di Livorno trasmetteva il 2 gennaio 1951 al Pretore di

Piombino due verbali di contravvenzione (è la parola che

si legge nello denunzie) a carico di Dimiziani Furio, titolare

di una Ditta idraulica ivi corrente. Con il primo si conte

stava a detto datore di lavoro la violazione dell'art. 36

legge 11 gennaio 1943 n. 138, consistente nella omessa

comunicazione dei nominativi di tredici operai dipendenti all'I.n.a.m. e nel mancato versamento dei relativi con

tributi mutualistici, dovuti per il periodo 1 agosto 30 set

tembre 1950, ammontanti a lire 32.706. Con il secondo

si imputava allo stesso l'omesso versamento dei contri

buti all'I.n.a.-casa per l'importo di lire 10.985.85, rela

tivi allo stesso periodo di tempo, ed il conseguente reato

di cui agli art. 5, lett. e), 7, 3° comma, e 26 della legge 28 febbraio 1949 n. 43.

Prima del dibattimento il Dimiziani faceva oblazione

alle competenti autorità amministrative in entrambi i

reati contestatigli, come egli ebbe a dichiarare nella udienza, e come ne danno conferma le ricevute di versamento.

È da rilevare che mentre nella comunicazione dello

Istituto nazionale per l'assicurazione malattie si affermava

che « entrambe le contestazioni erano state conciliate me

diante oblazione » la nota dell'Istituto nazionale della

previdenza sociale, invece, rendeva noto, tra l'altro, al

Pretore di Piombino che « dai competenti organi dell'Isti

tuto non erano state ancora comunicate le decisioni adot

tate circa la domanda di composizione in via amministra

tiva presentata dal contravvenuto ». Ed aggiungeva : « non appena possibile verranno date ulteriori comunica

zioni circa il perfezionamento della conciliazione ammini

strativa nelle controversie stesse ».

Il Pretore, senza attendere tali comunicazioni, celebrò

il dibattimento il 4 luglio 1951, e condannò il Dimiziani

Furio a lire 15.000 di multa e accessori, per il reato di cui

alla legge 28 febbraio 1949 n. 43 ; ritenuto''tale reato di

carattere delittuoso per la qualifica della pena, e quindi non conciliabile in via amministrativa. Lo assolse dall'altro

di cui alla legge 11 gennaio 1943 n. 138 (omesso versamento

dei contributi per le malattie degli operai) per estinzione

dell'azione penale in seguito ad oblazione amministrativa.

Avverso tale sentenza ha ricorso per cassazione il Di

miziani, adducendo a motivi : 1) erronea applicazione degli art. 42, 1° cap., cod. pen., e 26 legge 28 febbraio 1949 n. 43

per inesistenza del dolo necessario ad integrare il delitto ;

2) violazione dell'art. 7, comma 4°, legge suindicata, e de

gli art. 36, 37 legge li gennaio 1943 n. 138, per mancata

applicazione dell'oblazione. Il secondo motivo di ricorso è fondato. Deve ritenersi

ammissibile l'oblazione nella violazione delle norme con

tenute nella legge 28 febbraio 1949 n. 43 sulla costruzione

delle case per i lavoratori. L'art. 7, 3° comma, infatti estende ai contributi di cui

alle lettere b) e c) dell'art. 5 stessa legge le disposizioni relative alla vigilanza, ai controlli, ai ricorsi e alle con

troversie, previste per il contributo, « unitamente al quale dovrà effettuarsi la riscossione ». E i contributi con cui

questa dovrà effettuarsi sono quelli della previdenza so

ciale, dell'assicurazione di malattia o della corresponsione

degli assegni familiari (art. 7, 2° comma). La legge 11 gen naio 1943 n. 138 per l'assistenza di malattia ai lavoratori

prevede appunto, in articoli diversi, la vigilanza, i controlli

e le controversie per i tributi medesimi. Lo stesso comma 3°

dell'art. 7 estende ai contributi di cui alle lettere 6) e c) anche le disposizioni per l'accertamento ed il versamento

delle penali previste per il contributo, unitamente al quale deve effettuarsi la riscossione.

Tra queste disposizioni penali, contenute nella legge n. 138, deve annoverarsi l'oblazione, la quale consente

applicabile l'art. 7, e non l'art. 26 della legge 28 febbraio 1949

n. 43, come regolante una ipotesi alternativa di natura contrav

venzionale. Non risultano altri precedenti giurisprudenziali editi.

Nella dottrina, cfr. Pezzatini Se il reato di omesso conferi mento dei contributi Ina-casa sia delitto o contravvenzione, in Giust.

pen., 1952, II, 673.

al trasgressore di far cessare il corso dell'azione penale mediante la esecuzione volontaria della pena fatta tempe stivamente (art. 37). L'art. 26 della legge n. 43, che com

mina la multa fino ad un massimo di lire 500.000, richiama

bensì gli obblighi imposti dagli art. 5 e 7 legge stessa, ma

si riferisce evidentemente alle lettere b) e c) dell'art. 5 e

lo, 2" e 4° comma dell'art. 7 e non già al 3° comma.

Questa è la interpretazione della legge sull'I.n.a.-casa, desunta dal significato delle parole considerate isolata

mente e nella loro connessione. Legge speciale che, pur

contenendo, come altre, sanzioni proprie dei delitti, ha

derogato al principio generale della oblazione consacrato

nell'art. 162 cod. penale. E la lettera della legge n. 43 è sorretta dal contenuto

spirituale della medesima, ossia dalle regole che ne gover nano il pensiero. Si tratta di fatti di non grave entità, nei quali l'interesse sociale e l'interesse individuale con

cordano nel suggerire misure conciliative, atte a definire

controversie con procedura sommaria ed economica, ri

spondente anche alle esigenze rigorose del diritto.

L'oblazione intrinsecamente considerata è consentanea

infatti a quell'economia dei giudizi in materia, nella quale la giustizia è paga quando viene tradotta in atto mercè

una misura equipollente, la sanzione stabilita dalla legge. Il provvedimento, mediante detta causa di estinzione

del reato, viene a rientrare nella competenza della giuris dizione amministrativa, riconosciuta espr, ssamente dal

l'art. 27 legge n. 43. I fatti omissivi ivi previsti sono in

gran parte determinati da trascuratezza o da negligenza, donde il loro carattere e la loro sostanza contravvenzionale,

il che conferisce giustificazione alla oblazione saggiamente consentita dalla legge n. 43. (Omi si 0

Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE D'APPELLO DI NAPOLI.

Sentenza L3 giugno 1952; Pres. ed est. Matter a ; app.

Ruggiero, Caputo ^\vv. Rub urti, Guitti).

Acquisto di cose di sospetta provenienza — Reato

di danno (Cod. pen., art. 712) Giudizio (rapporto) -— Acquisto di cose di sospetta

provenienza —- Estinzione del reato per amnistia —• Giudicato penale nel giudizio civile — Inesi

stenza (Cod. pen., art. 712 ; cod. proc. pen., art. 25).

Il reato di incauto acquisto è reato di danno e non di sem

plice pericolo, non potendosi < scindere un nesso di cau

salità tra l'azione dell'incauto acquirente e il danno sof

ferto dal derubato. (1) Se il giudice penale. sia pure a seguito di dibattimento, ri

tiene che il fatto, contes'ato all'imputato quale reato di ri

cettavi me, cmtenga invece gli estremi del reato di incauto

acquisi), compreso nel decreto di amnistia, e dichiara

quindi di non doversi procedere per estinzione del reato, tale pronuncia non costituisce giudicato penale sul fatt i,

avente autorità nel successivo giudizio civile per risarci

mento del danno. (2)

La Corte, ecc. — Occorre innanzi tutto esaminare il

quarto motivo di appello, col quale si pone una questione

(1) Nel senso che il reato di cui all'art. 712 cod. pen. abbia ca

rattere di pericolo, e non si richieda evento di danno, v. Cass. 25

febbraio 1)35, Azzimonti, Foro it., Hep. 1935, voce Omissione

di cautele, n. 4. Nella dottrina v , da ultimo, nello stesso senso :

Maggiore, Diritto penale, Bologna, 1650, vol. II, tomo II, 113 >.

In genere sui. rapporti tra il reato di incauto acquisto e ri

sarcimento di danni, confr. : Morandi, Incauto acquisto e risar

cimento di danni, in Riv. dir. pen., 1935, pag. 628.

(2) Vedi in senso conforme : Cass. 19 aprile 1949, Az. com.

c. Cocculoni, Foro it., I!ep. 1949, voce Giudizio (rapporto), n. 58;

App. Napoli 21 agosto 1950, Pisani c. Fusco, id., Rep. 1950, voce

cit., n. 42 ; Cass 7 aprile 1911, Bricchi c. Pauluri, id, 1942,1, 94,

con nota di richiami della giurisprudenza e della dottrina.

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137 GIURISPRUDENZA PENALE 138

ohe è pregiudiziale ad ogni altra, se cioè il reato d'incauto

acquisto sia soltanto, come sostiene l'appellante, un reato di

pericolo e non di danno e quindi non suscettibile di creare un obbligo di risa-cimento a carico dell'incauto acquirente.

Per rispondere al quesito occorra vede:e se esista un

nesso di causalità tra l'azione dell'incauto acquirente o il

danno patito dal derubato. Se un tale nesso esiste, se cioè il danno è una conseguenza diretta ed immediata del

reato d'incauto acquisto, si deve concludere che questo è

un reato di danno e non di semplice pencolo. Ora se si

cons deri che l'attività criminosa del ladro e dell'incauto

acquirente stanno sullo stesso piano, in quanto entrambi

concorrono, sia pure con diversità dell'elemento morale, alla sottrazione della cosa rubata, il danno appa e come

un evento immediato e diretto, non solo del furto ma an

che dell'incauto acquisto, giacché l'incauto acquirente,

acquistando dal ladro la cosa rubata senza accertarne la

legittima p-ovenienza, rende difficile e qualche volta im

passibile la restituzione della cosa stessa al de ubato.

Precisamente una tale ipotesi si è verificata nella specie, poiché il Ruggiero acquistò da uno dei ladri, tale Pastore

Pietro, un pezzo di oro di grammi 170 e lo trasformò su bito in oggetti nel suo negozio di oreficeria. Così facendo,

egli 11011 solo rese definitivo, portandolo alle ultime con

seguenze, l'impossessamento dell'oro operato dai ladri, ma

aggravò la condizione del derubato, impedendo a costui

di ritornare in possesso d il suo prezioso metallo. Causa

dunque immediata e diretta del pregiudizio economico su

bito dal Caputo non fu soltanto il delitto di furto, ma

anche la cont avvenzione d'incauto acquisto. È vano poi far ricorso al criterio classico di distinzione

tra delitti o contravvenzioni per escludere iti queste un

danno risarcibile. Se è vero che i delitti producono una

lesione giuridica e le contravvenzioni solo un pericolo di

lesione, non mancano, per converso, delitti che sono de

litti di pericolo, come non mancano cont'avvenzioni che

offendono veri e propri diritti. La fragilità di tutti i criteri

distintivi fra le due specie di reati ha indotto la dotti-ina

moderna ad ammette e che la differenza tra delitto e con

travvenzione è tutta strutturale. Il nostro codice, all'ar

ticolo 39, ha opportunamente adottato come unico criterio

discriminativo tra delitto e contravvenzione l'elemento

della pena. La produzione del danno dunque non è un effetto dei soli

delitti, ma anche di alcune contravvenzioni, ed è perciò che l'art. 185 cod. pen., dicendo genericamente che « ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non

patrimoniale, obbl'ga al risarcimento il colpevole, ecc. »

allude anche ai reati contravvenzionali. Tipico tra questi è certamente il reato d'incauto acquisto, la cui consuma

zione non può non produrre danno, come sopra si è visto.

(Omissis) Passando ai motivi di merito, la Corte, prima di ogni

altra indagine, deve esaminare la questione del giudicato

penale ritenuto dal Tribunale.

L'errore in cui questo è caduto appare manifesto. I

primi giudici non hanno tenuto presente le due ipotesi sta

bilite dalla legge, nelle quali il giudicato penale può avere

autorità nei giudizi civili. L'esame di queste ipotesi che

sono previste negli art. 27 e 28 cod. proc. pen., avrebbe

condotto senz'altro all'esclusione del giudicato penale sul

fatto. Nella specie, invero, non poteva e non può invocarsi

nè l'art. 27 nò l'art. 28, giacché il primo, che riguarda il

giudizio di danno, richiede che vi sia una sentenza di

condanna o di perdono giudiziale, mentre nel caso in esame

vi è sentenza di non doversi procedere per estinzione del

reato per amnistia, ed il secondo riguarda altri giudizi ci

vili in cui si controverta intorno a un diritto il cui rico

noscimento dipenda dall'accertamento dei fatti materiali

che furono oggetto del giudizio penale, riguarda cioè giu dizi che nulla hanno a che vedere con le controversie di

risarcimento di danno.

Appare pertanto chiavo, per le stesse tassative dispo sizioni di legge, che nella specie non può parlarsi di giu dicato penale sul fatto. È vero che i primi giudici per de

gradare l'imputazione di ricettazione in quella d'incauto

acquisto hanno dovuto esaminare il fatto, r.'t nondo che

questo integrasse l'ipotesi rninoie di reato compresa nel

decreto di amnistia. Ma è evidente che, per effetto dell' amnistia che

estingue il processo, non si è mai formato il giudicato tul fatto essendo ovvio che, per aversi un tale giudicato pe nale avente autorità nel giudizio civile, è necessario elio

l'esame del fatto oggetto del giudizio penale abbia avuto

la possibilità di percorrere le d'vorso fasi g'u hd'ziona'i

(la istanza, appello, cassazione). 11 olio nella sp.scie non si

è verificato e non poteva vellicarsi, ncn coaced'i.d} la

legge (art. 513 cod. proc. civ.) il diritto di impugnazione contro sentenza che ordini non doversi procedere per estin

zione del reato per amnistia. Oirde la distinzioni fatti dii

primi giudici tra l'amnistia applicata in periodo itt uttorio

e l'amnistia applicata a seguito di formale dibattimento

per ammettere il giudicato solo nella seconda ipotes1, non ha alcuna rilevanza giuridica.

Non si dica che il Ruggiero poteva rinunziare al le

neficio dell'amnistia a norma dell'art. G dicroto pres. 22

giugno 1946, e chiedere che il Tribunale rs amine, sic il me

rito, pronunziando l'assoluzione ccn la formula prescritta (art. 152, capov., cod. pen.). Non fu possibile al Ruggiero esercitare questa facoltà, perchè egli era chiamato a di

scolpa: si dal delitto di ricettazione, ncn compreso nel

l'amnistia ed il Tribunale solo con la sentenza detto una di

versa definizione giuridica al fatto ritenenend 3 la ipotesi amnistiabile dell'incauto acquisto. La Corto non ignora che

in tal caso una corrente giurisprudenziale della Corte su

prema (vedi Cass. 30 ottobre 1947, Foro il., Rep. 1948, voce

Amnistia, n. 66) ha ritenuto che spetti all'imputato, che non

ha potuto rinunciare al beneficio dell'amnistia, il diritto

di impugnare la sentenza per ottenere una pronuncia di

merito. Ma, a parte che la questione è oggetto di vivo

contrasto di fronte ai tassativi insuperabili disposti degli art. 190 e 513 cod. proc. pen., se il Ruggiero non ha im

pugnato la sentenza, convinto di non poterla impugnare, la mancata impugnazione, nella specie, non può costituire

acquiescenza o accettazione tacita della sentenza stessa.

Esclusa dunque l'esistenza del giudicato penale sul

fatto, non è vietato al giudice civile, quantunque sia av

venuta l'estinzione del reato per amnistia, procedere al

l'accertamento degli estremi del reato stesso al fine di sta

bilire la responsabilità civile per risarcimento del danno.

(Omissis) Per questi motivi, ecc.

GIDD1CE ISI RUTTORE PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA.

Sentenza 30 maggio 1952 ; Giud. Gabr'.otti ; imp. Viola.

Procedimento penale — Giudizio direttissimo — Tras

formazione del rito in istruzione formale — Fatti

determinati indicati 111 ((indizio — Esclusione del

contraddittorio — Sentenza di non doversi proce dere — Fattispecie (Cod. pen., art. i>9> ; cod. proe.

pen., art. 504 ; 1. 8 febbraio 1948 n. 47, disposizioni sulla stampa, art. 13, 21)

Quando si procede a giudizio direttissimo (nella specie : per

diffamazione per mezzo della stampa), la disposizione del

tribunale che faccia luogo ad istruzioni formale non può

ampliare il contraddittorio, quale risulta dall'a:ione pe nala promossa dal P. m. ; id in particolare, non pud es

sere ampliato il contraddittorio sul fondamento di fatti determinati esposti al dibittivunto. (1)

La disposizione che si proceda ad istruzione formale non può essere data che alla chiusura del dibatti tiento, anche

quando Vaccertamento della verità dei fatti costituisce in

dagine complessa. (2) A seguito della disposizione dell'istruzione formale, il giudice

istruttore pud anche emettere sentenza di 11011 d .v rsi pro

cedere. (3)

(1-3) Questioni sul giudizio direttissimo per reati a mezzo della stampa.

1 sentenza del Giudice istruttore d

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