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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 13 giugno 1979; Pres. U. Reale, Est. Maggi; imp....

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sentenza 13 giugno 1979; Pres. U. Reale, Est. Maggi; imp. Ragazzi e altro Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp. 123/124-127/128 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171546 . Accessed: 28/06/2014 13:09 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.139 on Sat, 28 Jun 2014 13:09:36 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 13 giugno 1979; Pres. U. Reale, Est. Maggi; imp. Ragazzi e altroSource: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp.123/124-127/128Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171546 .

Accessed: 28/06/2014 13:09

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PARTE SECONDA

diverso da quello che si articola nell'ambito della conflittualità sindacale. Di modo che, se gli operai scioperanti esplicano una

energia fisica tale che, avanzando, fa retrocedere a spintoni i c. d. crumiri allontanandoli dal luogo ove essi sostano, l'ostacolo o barriera originariamente statica si trasforma in un mezzo ag gressivo e dinamico verso chi ha diritto di partecipare all'as sembramento con opinione diversa. E, se l'azione violenta non è riferibile, n<5 materialmente né psicologicamente, al gruppo de

gli scioperanti, in quanto soltanto taluno di essi rompe la barriera ed affronta uno o più dissenzienti, allora il fatto di

reato perde sia il carattere collettivo, sia i lineamenti del con corso di persone, il cui atteggiamento si risolve, tutt'al più, in un contegno puramente negativo.

Nel caso di specie, l'aspetto della violenza fisica è costituito o da elementi che non esprimono l'energia materiale da cui de riva coazione personale (« urti e grida »), oppure è riferito a cirostanze equivoche ed inadeguate, come quella degli « spintoni e respinsioni ». Invero, l'unico fatto accertato di violenza fisica

riguarda la condotta dell'operaia Giaccardi Maria, che, agendo isolatamente, afferrò per i vestiti e per il corpo la dissidente Ferrerò Anna e la sospinse indietro per diversi metri. Evi dentemente, tale condotta integra l'ipotesi della contestata vio lenza privata; devesi, però, rilevare che l'azione unisoggettiva, e l'età del soggetto attivo (minore degli anni 18), escludono la sussistenza dell'aggravante delle persone riunite (art. 339 cod. pen. che è assorbente rispetto all'ipotesi di cui all'art. 112, n. 1, cod. pen.) e fanno diminuire la pena (art. 98 cod. pen.), rendendo applicabile il beneficio dell'amnistia previsto dall'art.

1, lett. b, del d. pres. 1978 n. 413. In definitiva, le argomenta zioni dinanzi svolte inducono il tribunale a pronunciare sen tenza di assoluzione nei confronti delle imputate del delitto di violenza privata con la formula « perché il fatto non costituisce reato»; mentre, per l'imputata Giaccardi Maria, deve dichia rarsi che lo stesso reato è estinto per effetto di sopravvenuta amnistia.

La formula di assoluzione « perché il fatto non costituisce rea to » si impone anche per le operaie imputate del delitto di re sistenza a pubblico ufficiale (art. 337 e 339 cod. penale). A tal riguardo, le prevenute hanno costantemente affermato che lo scio pero si svolse con criterio democratico, senza che fossero sorti fatti di violenza collettiva o isolata diretti ad opporsi ai cara binieri nell'espletamento del loro servizio. Tale versione è stata sostanzialmente confermata dal brigadiere verbalizzante (Lino Fabrizio), che ha precisato, in istruttoria ed in dibattimento, di non aver subito alcun atto o gesto offensivo, minaccioso o vio lento e di avere, d'altro canto, agito con la massima prudenza, mantenendosi lontano dall'assembramento dal quale era uscito a fatica, onde evitare, con la sua vigilanza, il ripetersi di epi sodi violenti, come quello che aveva coinvolto la Giaccardi e la Ferrerò.

Ora, considerando la fase iniziale dell'intervento dei carabi nieri, quando ognuno dei due, in punti diversi, cercò di aprire un varco tra il massiccio gruppo delle scioperanti, attraverso il quale la minoranza dissenziente avrebbe dovuto transitare, è da ritenersi inevitabile che i due militari venissero a trovarsi in seriti come in un blocco di persone agitate e recriminanti, tanto da essere sospinti da più parti e da seguire la sorte di tutti i presenti. Certo: lo spostamento spontaneo di una tal folla nello spazio antistante alla fabbrica ebbe ragione anche rispetto alla direzione di marcia del brigadiere Lino, costringendolo a com piere i movimenti della calca. Di modo che, quando egli riuscì a portarsi fuori di questa, non poteva che essere disordinato nella divisa. Ma, che il cennato allontanamento fosse avvenuto previo deliberato sollevamento, totale o parziale, della persona, da parte delle operaie, non risulta, in verità, con chiarezza nean che dalla deposizione resa dall'interessato; il quale una volta ha detto di essere stato « soverchiato e come sollevato tra la calca »; e, altra volta, ha precisato che « le operaie avevano tentato di sollevarlo, afferrandolo per le gambe ». Il tribunale, per dare coerenza logica alla sostanziale deposizione del teste, deve mettere in rilievo che costui ha sempre escluso di essere stato oggetto di violenza, di minacce o di offesa; per cui, la modalità della condotta testé menzionata appare più corrispon dente al senso esemplificativo della prima versione (« come sol levato ») anziché a quello affermativo della seconda: tanto più che l'accertato e ragionevole proposito delle scioperanti era solo quello di ottenere la massima solidarietà da parte delle operaie interessate. Ne deriva, comunque, la mancanza di dolo specifico nella condotta incriminata, dal fatto che, se l'atto di ufficio o di servizio che i carabinieri compivano era quello di garantire alle operaie dissidenti la « libertà del lavoro » — cosi' come ri

sulta dal capo di imputazione — allora il discorso dovrebbe

spostarsi sul carattere dell'intervento dei carabinieri, imponen dosi la distinzione tra libertà di lavoro, libertà del lavoratore e libertà sindacale, sulla quale il tribunale si è in precedenza sof fermato.

Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE MILITARE TERRITORIALE DI BARI; sentenza 13 giugno 1979; Pres. U. Reale, Est. Maggi; imp. Ragazzi e altro.

TRIBUNALE MILITARE TERRITORIALE DI BARI;

Insubordinazione, rivolta, ammutinamento e disobbedienza —

Disobbedienza — Soldati in borghese — Rifiuto di obbedire all'ordine di un superiore non impartito per ragioni di servi zio — Reato — Insussistenza (Cod. pen. mil. pace, art. 173; legge 11 luglio 1978 n. 382, norme di principio sulla disci plina militare, art. 4, 5).

Insubordinazione, rivolta, ammutinamento e disobbedienza —

Insubordinazione con ingiuria nei confronti di superiore uffi ciale — Intento offensivo dell'agente — Criteri di accerta-, mento (Cod. pen. mil. pace, art. 189).

Il regolamento di disciplina militare si applica ai soldati in bor ghese solo se svolgono attività di servizio, se sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio e se, in relazione a compiti di servizio, si rivolgono ad altri militari in divisa; non commettono pertanto il reato di disobbedienza di cui all'art. 173 cod. pen. mil. pace i militari in libera uscita e senza divisa che si rifiutino di fornire ad un superiore le loro generalità e di esibire il documento di riconoscimento, qualora l'ordine dato dal superiore non sia attinente a ragioni di servizio o di disciplina. (1)

Nel reato di insubordinazione con ingiuria di cui all'art. 189 cod. pen. mil. pace, qualora non si possa ritenere il carattere intrin secamente criminoso delle parole pronunciate dall'agente, fin

ii) La questione è stata decisa alla luce delle nuove norme sulla disciplina militare introdotte con la legge 11 luglio 1978 n. 382, che ha provveduto ad adeguare l'ordinamento militare ai principi fonda mentali della Costituzione. Per un commento di tale normativa v. Pinto, Forze armate e Costituzione, 1979; Battistelli-Bevere-Cane strini-Canosa-De Marchi-Galasso-Rochat, I diritti del soldato, Intro duzione e commento alla legge sui principi della disciplina militare, 1978.

Nel senso che integra gli estremi del reato di disobbedienza il com portamento del militare che, ricevuto da un superiore l'ordine di esibire il tesserino di riconoscimento, si limiti a mostrare il tesserino stesso senza renderne possibile la rilevazione del contenuto, v. Trib. sup. mil. 14 novembre 1975, Foro it., Rep. 1977, voce Insubordina zione, n. 1.

Circa la necessità che, affinché si configuri il reato di disobbe dienza, l'ordine impartito debba essere attinente a ragioni di servizio o di disciplina cfr. Trib. sup. mil. 8 aprile 1975, id., Rep. 1976, voce cit., nn. 2, 3; 7 luglio 1972, id., Rep. 1974, voce cit., n. 1; 21 novembre 1969, id., Rep. 1970, voce cit., n. 12, che ha ritenuto non costituire il reato di disobbedienza il fatto di non ottemperare ad un ordine impartito per una causa estranea al servizio o alla disciplina, poiché siffatta causa toglie alla disobbedienza il presupposto essenziale del carattere vincolante dell'ordine. Secondo Trib. sup. mil. 19 febbraio 1971 (id., Rep. 1972, voce cit., n. 5) l'attinenza dell'ordine al ser vizio o alla disciplina va valutata prendendo come parametro non già l'opportunità dell'ordine rispetto al servizio o alla disciplina, ma unicamente la riferibilità dell'ordine stesso a cose di servizio o di disciplina.

Per alcune ipotesi in cui l'ordine impartito è stato considerato at tinente al servizio o alla disciplina ed in cui è stato ravvisato il reato di disobbedienza v. Trib. sup. mil. 23 marzo 1973, id., Rep. 1974, voce cit., n. 3, che ha ritenuto attinente alla disciplina l'or dine impartito da un sottufficiale dei carabinieri a un militare in licenza e in abiti civili di togliersi dalla bocca un fazzoletto con cui si era mascherato il volto e di allontanarsi dal luogo di una manifestazione politica; Trib. sup. mil. 2 luglio 1971, id., Rep. 1972, voce cit., n. 11, secondo cui è attinente alla disciplina l'ordine di fare silenzio impartito da un superiore nel corso di una discussione con un infe riore allo scopo di por fine alla discussione stessa; Trib. sup. mil. 4 marzo 1969, id., Rep. 1970, voce cit., n. 5, che ha ritenuto atti nente al servizio l'ordine di declinare le proprie generalità intimato da un maresciallo dei carabinieri a un soldato disertore.

In tema di errore da parte dell'agente sull'attinenza dell'ordine al servizio cfr. Trib. sup. mil. 18 ottobre 1968, ibid., n. 4, il quale ha ritenuto che, quando sia chiaro il contenuto di un ordine e la sua provenienza da un superiore, non vale a giustificare la disobbedienza l'erronea convinzione che l'ordine non sia attinente al servizio, risol vendosi tale erronea convinzione in una ignoranza dei doveri inerenti allo stato militare.

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GIURISPRUDENZA PENALE

tento offensivo di quest'ultimo deve essere ricavato dal conte

sto generale in cui si è svolta l'azione, al fine di verificare se

il soggetto abbia inteso con il suo comportamento recare un'of

fesa al prestigio del superiore. (2)

Il Tribunale, ecc. — Fatto e diritto. — Con foglio in data 19

febbraio 1979 il comando della scuola specializzati truppe coraz

zate di Lecce riferiva alla procura militare di Bari quanto ripor tato in una relazione presentata dall'ufficiale di vigilanza in città.

Questi affermava che il giórno 15 febbraio 1979, come da or

dine di servizio emanato dal comando del battaglione blindo, aveva espletato il servizio di vigilanza in città.

Mentre alle ore 22.00 circa percorreva, in divisa, a bordo della

sua autovettura il corso Vittorio Emanuele per incontrare — come

in precedenza concordato — la ronda in piazza S. Oronzo, nei

pressi del liceo scientifico notava circa venti giovani che inqua drati percorrevano in senso contrario al suo il corso verso porta

Rudiae, schiamazzando ed urlando ordini di addestramento for

male.

Avuta la sensazione che si trattasse di militari in borghese par

cheggiava la propria autovettura e chiamato il capo-gruppo gli chiedeva le generalità ed i documenti. Questi esibiva il documen

to di riconoscimento tenendolo in mano ad una distanza tale che,

data l'ora, gli era impossibile leggere i dati. Rifiutava di conse

gnargli il documento asserendo di aver avuto disposizioni in tal

senso. Non riusciva cosi, nonostante vari tentativi, a leggere o a

farsi consegnare il documento.

Intanto dal gruppo un giovane incitava gli altri ad andar via,

cosi da evitare perdite di tempo. Interveniva, quindi, anche nei

confronti di quest'ultimo e lo invitava a fornirgli le generalità e ad esibirgli il proprio documento di riconoscimento. Questi

asseriva di non essere militare e di non capire il perché fosse

stato fermato. Con gesto irriguardoso sottoponeva un fiore al suo

olfatto, un fiore che teneva nella mano destra, profferendo, con

scherno, ogni volta che tentava di parlare, « lo vuole un fiore? ».

Essendosi formato un capannello di civili incuriositi soprassedeva ad ulteriori indagini ripromettendosi di recarsi alla caserma « Nac

ci » per individuare all'ora della ritirata i responsabili.

Verso le 23.00, mentre tutti i militari rientravano dalla libera

uscita, individuava il ragazzo del fiore. Chiamatolo da parte gli chiedeva il documento che gli veniva regolarmente esibito. Alla

domanda del perché in precedenza avesse dichiarato di non es

sere militare, dichiarava che non sapeva chi fosse, e cosa facesse.

Il carrista in questione era il Bracciorosso, che successivamente,

dopo essersi rifiutato in un primo tempo, rivelava il nome del

militare capo gruppo identificandolo per il Ragazzi. Procedeva la procura militare con. rito sommario ed ordine

di comparizione a carico del Ragazzi per il reato di disobbedienza

e del Bracciorosso per disobbedienza e insubordinazione' con in

giuria nei confronti di superiore ufficiale. Il magistrato incaricato

del processo emetteva ordine di cattura essendo obbligatorio e

(2) In senso conforme v. Trib. sup. mil. 29 gennaio 1971, Foro it., Rep. 1972, voce Insubordinazione, n. 32, il quale ha ritenuto che nel caso di una frase ambigua pronunciata dall'inferiore, il giudice deve analizzare rigorosamente tutti i momenti dell'azione, i precedenti di

essa, la condotta successiva del giudicabile per trarne il convincimento se la frase pronunciata abbia carattere canzonatorio e, perciò, offen sivo o non debba invece considerarsi come una manifestazione di dis senso o di commento irriguardoso.

Nel senso che quando le espressioni o i gesti usati, tenuto conto delle situazioni di ambiente e di persone, abbiano un significato uni vocamente offensivo, l'intento ingiurioso dell'agente debba ritenersi

implicito in essi cfr. Trib. sup. mil. 13 dicembre 1969, ibid., n. 35. In senso contrario v. Trib. sup. mil. 17 ottobre 1972, id., Rep. 1973, voce cit., n. 13, secondo il quale va apprezzato caso per caso se

un'espressione irrispettosa rivolta dal militare al superiore si traduca in un'offesa all'onore, alla reputazione o al prestigio del superiore stesso; Trib. sup. mil. 13 ottobre 1972, ibid., n. 16, secondo il quale non ogni azione lesiva della personalità morale di un superiore co stituisce insubordinazione con ingiuria: per la configurazione di tale reato occorre che l'agente abbia la volontà di investire la persona dèi

superiore con un atto lesivo del suo prestigio o del suo onore o della sua reputazione.

Nel senso che nel reato di insubordinazione con ingiuria sia richiesto il dolo generico e non specifico, pur essendo necessario che esso copra come rappresentazione e volontà anche l'aspetto dell'elemento mate riale relativo alla direzione della condotta verso la persona del supe riore cfr. Trib. sup. mil. 3 dicembre 1971, id., Rep. 1972, voce cit., n. 28.

Trib. sup. mil. 25 giugno 1976 (id., Rep. 1978, voce cit., n. 13) ha ritenuto che il dolo nel reato di insubordinazione con ingiuria non viene meno per il fatto che l'agente sia stato invitato ad esprimersi con piena libertà, giacché chi, con il pretesto di parlar franco usa in

giuria, non può pretendere di non rendersi conto della portata uni vocamente offensiva delle sue parole.

non intendendo avvalersi della facoltà concessagli dall'art. 277

bis cod. proc. penale.

Interrogato, in stato di detenzione, affermava che quella sera, avendo bevuto un po' di vino, nonostante fosse astemio, si sen

tiva euforico. Tornando in caserma si erano ordinati in più grup

pi sotto il comando del Ragazzi. Ad un certo momento un s.ten, che era con una donna, li fermò e gli chiese il documento di ri

conoscimento. Gli rispondeva di non essere un militare e di non

sapere il perché l'avesse fermato. Poi prese un fiore chiedendo se

10 voleva, intendendo cosi' fare un gesto gentile per sdrammatiz

zare la cosa. Affermava che non conosceva il Ragazzi di nome,

anche se dormiva con altri duecento militari nella propria came

rata, cosa da lui accertata solo dopo il fatto.

Il s. ten. Serrone dichiarava che si trovava in macchina

con la moglie allorché vide i militari inquadrati e comandati da

uno di loro percorrere corso Vittorio Emanuele. Precisava che

esisteva il divieto di consegnare il tesserino ad « altri », ma non

di darlo ad un superiore perché lo possa leggere. Dichiarava che

al Bracciorosso aveva detto che perché era un civile avrebbe

chiamato i carabinieri, di essersi recato in una vicina trattoria per

telefonare, ma di aver desistito perché si era reso conto di non

poter trattenere il giovane sino all'arrivo dei carabinieri. Che i

militari non gli sembravano allievi. Confermava di non aver detto

intervenendo di essere ufficiale di vigilanza, ma dopo che i fatti

erano avvenuti.

Il Ragazzi dava una diversa versione dei fatti. Affermava che

la sera del 15 febbraio 1979 si era recato con una quindicina di militari a cenare in una trattoria detta « Bistrò ». Quella sera

era un po' alticcio per aver bevuto,. ma perfettamente cosciente.

Al ritorno, per scherzo, si erano messi in fila inquadrati ed un

soldato del quale non conosceva il nome dava i comandi. Ad

un certo punto da un'auto scese un s. ten. con una signora e due

persone in borghese. L'ufficiale gli si avvicinò e gli chiese il tes

serino e le proprie generalità. Affermava di avergli detto nome

e cognome, però dicendo di appartenere alla 3" compagnia e non

alla 5*. Di avergli mostrato il tesserino senza darglielo perché in

reparto gli era stato detto di non darlo in mano a nessuno. Ne

gava di aver impedito la lettura del documento arretrando ogni

qualvolta l'ufficiale si avvicinava per leggere. Ad un certo punto 11 s. ten. si allontanò avvicinandosi al Bracciorosso e prendendolo

per un braccio per fermarlo. Senti l'ufficiale chiedere le generalità ed il Bracciorosso avvicinargli un fiore dicendogli « lo vuole un

fiore ». Bracciorosso aveva bevuto. Si avvicinò al commilitone

per aiutarlo a venir via, ma in quel mentre l'ufficiale si allon

tanò ed entrò in un bar vicino. Tutti i militari andarono via.

Affermava di non aver sentito l'ufficiale dire di essere di vigilanza. In data 10 marzo 1979 il difensore del Bracciorosso avanzava

istanza di libertà provvisoria che veniva concessa al suo difeso.

Venivano, quindi, i due imputati inviati a giudizio con l'impu tazone di cui alla superiore rubrica.

Il Ragazzi confermava quanto da lui dichiarato nella somma

ria istruzione, mentre il Bracciorosso affermava di aver assistito

e sentito quanto accadeva tra il s. ten. Serrone e il Ragazzi e

di aver udito quest'ultimo dichiarare le proprie generalità al

l'ufficiale.

Il s. ten. Serrone confermava quanto dichiarato in istruttoria.

Precisava che fra i compiti dell'ufficiale di vigilanza non vi erano

disposizioni circa i militari che indossavano abiti civili. Asseriva

di aver individuato nel gruppo che si trattava di militari in forza della propria esperienza. Infatti i militari in addestramento della caserma Nacci al termine del corso che dura due mesi sono soliti dar luogo a manifestazioni di esultanza in città. Per questo si era recato alla caserma Nacci per identificarli. Dichiarava di non aver sentito il Ragazzi declinare le proprie generalità ma di non

poter escludere che lo avesse fatto.

Tutto ciò premesso, osserva il collegio che preliminare all'esa

me della condotta dei due imputati per accertarne le responsa bilità è una attenta interpretazione della legge 11 luglio 1978

n. 382 «Norme di principio sulla disciplina militare». È questo un testo legislativo di particolare importanza nell'ambito dell'or

dinamento militare avendo provveduto ad un ampio adeguamen to di questo ai principi fondamentali della Costituzione. E cosi

si afferma che « l'ordinamento (delle forze armate) e la loro atti

vità si informano ai principi costituzionali » (art. 1); « ai militari

spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce

ai cittadini » (art. 3); « gli ordini devono attenere alla disciplina,

riguardare il servizio e non eccedere i compiti di istituto » (art.

4); « il regolamento di disciplina deve prevedere la sua appli cazione nei confronti dei militari che si trovino in una delle se

guenti condizioni: a) svolgono attività di servizio; b) sono in luo

ghi militari o comunque destinati al servizio; c) indossano l'uni

forme; d) si qualificano, in relazione a compiti di servizio, come

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PARTE SECONDA

militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualifi cano come tali. Quando non ricorrono le suddette condizioni, i

militari devono essere comunque tenuti all'osservanza delle di

sposizioni del regolamento di disciplina militare che concernono

i doveri attinenti al giuramento prestato, al grado, alla tutela del

segreto e al dovuto riserbo sulle questioni militari » (art. 5); « l'uso dell'abito civile è consentito fuori dei luoghi militari, du

rante le licenze e i permessi. Nelle ore di libera uscita è con

sentito, salvo limitazioni derivanti dalle esigenze delle accade

mie militari durante il primo anno di corso, delle scuole allievi

sottufficiali durante i primi quattro mesi di corso formativo e dei

collegi militari (sempre durante i primi quattro mesi), da esigenze dei servizi di sicurezza di particolari impianti ed installazioni, da

esigenze operative e di addestramento fuori sede » (art. 5).

Compito dell'esercito, della marina e dell'aeronautica è assi

curare ... la difesa della patria e concorrere alla salvaguardia delle libere istituzioni e al bene della collettività nazionale nei

casi di pubbliche calamità (art. 1). Viene a delinearsi una struttura dell'istituzione militare con

forme al dettato costituzionale. Le competenze delle forze armate

sono rigidamente fissate dalla legge. L'applicazione del regola mento di disciplina militare viene in linea generale limitato al

l'interno dei luoghi militari o a tassative fattispecie.

Emerge dalle maglie della nuova disciplina normativa un sol

dato che è cittadino anche in caserma, anzi proprio perché come

militare sopporta il peso (non indifferente) di una prestazione reale obbligatoria il legislatore è particolarmente attento a che i

suoi diritti inderogabili riconosciuti dalla Costituzione gli siano

garantiti. Limitazioni e doveri particolari vanno previsti per leg

ge, e solo per garantire l'assolvimento dei compiti propri delle forze armate (art. 3).

Il potere disciplinare del superiore deve riguardare il servizio e non eccedere i compiti di istituto.

Il fatto che abbiano la possibilità di indossare l'abito civile

pone in essere una delle condizioni per cui non si applica nei

loro confronti il regolamento di disciplina militare (art. 5, 3° com

ma, lett. c). In questo nuovo clima creato dalla legge sui principi della

disciplina militare si verifica l'episodio sottoposto alla attenzione

del collegio. Un gruppo di civili (quindici o venti giovani) percorre il corso

Vittorio Emanuele di Lecce in direzione della porta Rudiae. Sono

inquadrati e schiamazzano urlando ordini di addestramento for

male. Passa un ufficiale. Si tratta dell'ufficiale comandato per il

servizio di vigilanza in città. Non risultano in atti acquisite le

disposizioni che gli erano state impartite dal comando di presidio per verificarne la loro assonanza alla citata legge sui principi della disciplina militare.

È certo, per averlo, il s. ten. Serrone, dichiarato all'odierno di

battimento, che non ne aveva per quanto concerneva i militari che indossavano abiti civili. Ma non sappiamo nulla anche circa le modalità con cui il predetto ufficiale doveva prestare il ser vizio. Sembra al tribunale perlomeno insolito, per non usare termini più drastici, che l'ufficiale di vigilanza svolgesse il suo servizio sulla sua auto privata; che fosse autorizzato a svolgerlo in compagnia della moglie; che, inoltre, dovesse condurre con sé due amici.

Ma, tralasciando questi rilievi, che senz'altro non sfuggiranno ai superiori dell'ufficiale per gli eventuali provvedimenti discipli nari ove non si ravvisasse qualche ipotesi di reato militare (vio lata consegna!), l'intervento dell'ufficiale appare giustificato — se condo quanto lui dice — dal fatto che ci siano molti civili che schiamazzano.

Ma cosa c'entrano le forze armate con una situazione di que sto genere alla luce della legge sui principi della disciplina mili tare? E cosa significa per dei militari in borghese un ufficiale, sia pure in uniforme, accompagnato da una donna e da due civili? Viviamo un particolare periodo di tensioni in Italia e molto

spesso l'uniforme viene usata per gli scopi più impensabili da criminali e terroristi. Le stesse autorità militari hanno avvertito i giovani soldati di non lasciare a chicchessia in mano i loro

documenti, proprio per l'interesse dimostrato da una certa cri minalità.

Per la verità, non ritenuta sussistere da parte del collegio l'ipo tesi contravvenzionale di cui all'art. 659 cod. pen. (ma è compito delle forze armate rilevare le contravvenzioni?), non sembra che

ci sia nulla che giustifichi l'intervento dell'ufficiale. La legge pre vede che gli ordini devono attenere alla disciplina, riguardare il servizio e non eccedere i compiti di istituto (art. 4). Ma l'in

tervento per reprimere degli schiamazzi (ma erano veramente cosi

molesti quel gruppo di quindici civili che marciava inquadrato e secondo l'ufficiale composto da persone perfettamente sobrie

e che non puzzavano d'alcol?) sembra più proprio di vigili urbani

visto che si trattava di gente in borghese. È da escludere che tra i compiti di istituto delle forze armate ci sia quello di fermare dei civili per strada nel dubbio che possano essere dei militari.

Ed ancora a dei soldati in borghese il regolamento di disci

plina si applica solo se svolgono attività di servizio (ed i militari fermati dal s. ten. non lo svolgevano); se sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio (e non lo era il corso Vittorio

Emanuele di Lecce); se in relazione ai compiti di servizio a) t>i

qualificano come militari; b) si rivolgono ad altri militari in di

visa; c) che si qualificano tali (e venendo meno la relazione ai

compiti di servizio cadono le tre ipotesi conseguenziali). Infine

devono osservare le disposizioni del regolamento di disciplina militare per le disposizioni concernenti il giuramento prestato (e non è il caso); le disposizioni concernenti i doveri attinenti

al grado (e neppure questa ipotesi, v. pag. 13 delle « Norme di

principio sulla disciplina militare » con note illustrative, a cura

dello stato maggiore dell'esercito, ed. 1978), alla tutela del se

greto e al dovuto riserbo sulle questioni militari.

Quindi in conclusione non si applica al caso in esame il rego lamento di disciplina militare e l'ordine di fornire le proprie

generalità e di esibire il documento di riconoscimento non era

né attinente al servizio, né alla disciplina. I due imputati vanno,

pertanto, assolti dal reato di disobbedienza con la formula di

rito.

Per quanto concerne l'insubordinazione con ingiuria nei con

fronti di superiore ufficiale aggravata, pur con tutti i dubbi che

il solo vestire l'uniforme, in tempi come quelli che viviamo, possa costituire in obbligo di rispetto un inferiore che non veste l'uni

forme. Se così fosse si arriverebbe per formalismo ad imporre ai militari il rispetto di un terrorista in uniforme, mentre, forse, Il militare appartenente alle forze armate in un caso del genere dovrebbe anche usare violenza a quel simulacro di superiore. È certo che l'ufficiale non mostrò i propri documenti di ricono scimento e l'essersi qualificato, a parole, come ufficiale di sorve

glianza avvenne solo dopo che gli episodi all'esame di questo tribunale erano avvenuti.

L'apparizione dell'ufficiale da una macchina civile, con gio vane donna e altri due civili, non doveva certamente contribuire a rafforzare il convincimento del Bracciorosso. Questi vista tutta la situazione nel suo svolgersi non prende la cosa sul serio, ma cerca di strumentalizzarla.

È questo il significato colto dal tribunale del gesto del fiore. Nessuna coscienza e volontà ebbe l'imputato di offendere il su

periore ufficiale. Se è vero che per questo reato il dolo è in re ipsa o nel signi

ficato ingiurioso intrinseco delle parole pronunziate che di per sé è offensivo del prestigio, del decoro o dell'onore del supe riore, è anche vero che quando questa palese offensività manca l'accertamento va fatto aliunde.

Ed il tribunale dall'esame di tutto il contesto dell'azione esclu de che il Bracciorosso abbia realizzato con il suo comportamento una offesa del prestigio dell'ufficiale.

È questa, peraltro, una certezza che il collegio afferma senza trascurare nessuna delle modalità con cui si è realizzato l'episo dio delittuoso.

Il Bracciorosso deve, pertanto, essere mandato assolto del reato ascrittogli al capo b) della superiore rubrica con la formula di rito.

Per questi motivi, ecc.

PRETURA DI ROMA; ordinanza 18 ottobre 1979; Giud. Al

bamonte; imp. Torlonia e altri.

PRETURA DI ROMA;

Prescrizione penale — Sospensione in pendenza del procedimen to di ricusazione — Esclusione — Questioni non manifesta mente infondate di costituzionalità (Cost., art. 3, 25, 1° comma, 112; cod. pen., art. 159; cod. proc. pen., art. 69).

Non sono manifestamente infondate (e se ne rimette quindi l'esa me alla Corte costituzionale) le questioni di costituzionalità

degli art. 159 cod. pen. e 69 cod. proc. pen. nelle parti in cui non dispongono la sospensione del corso della prescri zione dei reati durante la pendenza del procedimento di

ricusazione, in riferimento agli art. 3, 25, 1° comma, e 112 Cost. (1)

(1) Pret. La Spezia 21 marzo 1977, Foro it., Rep. 1978, voce Astensione, n. 40, ha ritenuto che dal momento in cui il giudice riceve notizia dell'avvenuta presentazione di una dichiarazione di ricusazione a suo carico, è sospeso il termine di prescrizione per tutti i reati ai quali si riferisce il procedimento penale in corso.

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