sentenza 13 marzo 1989; Giud. Giorgio; imp. Laruccia e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp.679/680-685/686Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182803 .
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PARTE SECONDA
me interpretato, non creerebbe che problemi di compatibilità tra
variazione essenziale e difformità totale; la cui soluzione non può essere certo prospettata, se non a fronte di inaccettabili forzature
stante la carenza di qualsiasi riferimento testuale, con l'interpre tare il combinato disposto degli art. 7 e 8 nel senso che il primo si riferisca alla costruzione nella sua interezza, mentre il secondo
attenga alle singole unità immobiliari.
Cosi come non trova alcun riscontro normativo la tesi, avanza
ta dalla dottrina al fine di conciliare linee legislative di non facile
interpretazione, secondo cui gli art. 7 e 8 postulano che la diffor
mità o la variazione sia stata eseguita in corso d'opera, mentre
l'art. 25 riguarda il mutamento di destinazione ad opera ultimata.
Non si rinviene alcun sostegno di carattere teoretico a tale pro
spettata difformità di trattamento normativo, comunque produ cendo il mutamento di destinazione comportante modifica di stan
dards, in ogni tempo esso avvenga, trasformazione urbanistica
del territorio.
A parere del giudicante l'iter interpretativo deve fondarsi non
sull'art. 25, assolutamente marginale, bensì sugli art. 7 e 8.
Considerato che gli abusi qualificati come difformità totali so
no necessariamente più gravi di quelli configurabili come varia
zione essenziale, detta distinzione implica che, mentre l'ipotesi
prevista dall'art. 7 si identifica nel mutamento delle caratteristi
che tecniche della costruzione determinanti per la sua effettiva
utilizzazione, il mutamento di destinazione d'uso di cui all'art.
8 prescinde dalla realizzazione di opere. Mentre l'art. 7, 1° comma, con il richiamo alle «caratteristiche
di utilizzazione» si riferisce espressamente, come detto, agli ele
menti materiali che caratterizzano strutturalmente l'opera, l'art.
8, lett. a), omette qualsiasi riferimento a dati materiali.
Dunque, l'orientamento espresso, in via interpretativa, dalla
giurisprudenza delle sezioni unite prima citata non solo è compa tibile con la 1. 47/85 ma trova esplicita conferma in sede legis lativa nell'art. 8, lett. a).
In questa ottica l'art. 25 assume un rilievo più adeguato alla
sua marginale collocazione nell'impianto normativo. È norma aven
te un valore sussidiario, tesa com'è a disciplinare ciò che non
è stato ancora regolato: il mutamento di destinazione non com
portante modificazione di standards.
Ed all'uopo introduce una disciplina più restrittiva. Nel siste
ma previgente tale mutamento non era soggetto ad alcun control
lo: non potevano applicarsi sanzioni amministrative.
Ora l'art. 25 consente alla legge regionale di subordinare il mu
tamento di destinazione d'uso senza lavori a preventiva autoriz
zazione sindacale ed al pagamento del contributo concessorio se
dovuto.
Trattasi di autorizzazione atipica, essendo essa, appunto, one
rosa. La norma, per definire la natura del contributo, utilizza
il termine «concessorio» che esplicitamente inerisce alla conces
sione edilizia. Ove l'autorizzazione non sia ottenuta, il richiamo all'art. 10
consente l'adozione di sanzioni amministrative. Letteralmente l'ul timo comma dell'art. 25 recita: «la mancanza di tale autorizza zione comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 10».
In effetti, l'art. 10 stabilisce sia le sanzioni amministrative per le opere eseguite in assenza di autorizzazione, sia l'esclusione di tali abusi dall'ambito delle fattispecie criminose di cui all'art. 20.
Ma l'art. 25, come detto, richiama esclusivamente la parte san zionatoria dell'art. 10 e non anche l'esecuzione da responsabilità penale. Altrimenti il legislatore avrebbe fatto riferimento non so lamente alle sanzioni di cui all'art. 10, bensì al completo regime sanzionatorio ivi previsto.
È una conferma questa che la norma non prospetta una disci
plina complessiva della materia, né ha portata liberalizzante, ma
si limita alla considerazione di un ambito particolare, prima esen te da disciplina, integrando cosi il più complessivo quadro di rife rimento normativo. Sulla base delle considerazioni finora esposte il mutamento di destinazione d'uso in assenza di opere ma com
portante violazione di standards risulta penalmente sanzionabile dall'art. 20, lett. a), non contenendo le prescrizioni della conces sione edilizia e le previsioni degli strumenti urbanistici soltanto
regole di condotta indirizzate a disciplinare l'esecuzione di lavori, ma anche regole che disciplinano l'uso, la funzione, il modo di essere dei vari elementi della città e del territorio.
Cass., sez. Ili, 10 novembre 1987, n. 1143 (ud. 17 luglio 1987, Panella, id., Rep. 1988, voce cit., n. 555) di cui è dato conoscere soltanto il dispositivo, sembra avviata ad un ripensamento in tal
Il Foro Italiano — 1989.
senso: «Il mutamento di destinazione, con o senza realizzazione
di opere effettuate senza autorizzazione (autorizzazione atipica, che comporta variazioni del carico urbanistico, cioè variazioni
implicanti il mutamento degli standards a norma dell'art. 8 1.
28 febbraio 1985 n. 47, se è considerato dalla legge regionale variazione essenziale [ma non può che essere cosi avendo deter
minato l'art. 8, lett. a, un presupposto minimo, necessario e suf
ficiente, inderogabile] è soggetto, oltre che alle sanzioni ammini
strative di cui agli art. 7, 9, 10, 12, anche alla pena stabilita dal
l'art. 20, lett. a), di predetta legge. Con le medesime sanzioni, amministrative e penali, è colpito il mutamento di destinazione
effettuato unitamente alla realizzazione di opere edilizie per le
quali sia necessaria la concessione o l'autorizzazione, se esso non
comporta aggravi del carico urbanistico. Inoltre il mutamento di
destinazione, effettuato senza realizzazione di opere, mancante
dell'autorizzazione comunale, nel caso in cui questa per le leggi
regionali e la natura degli strumenti urbanistici sia necessaria,
comporta, ai sensi dell'art. 25, ultimo comma, 1. 28 febbraio 1985
n. 47, l'applicazione delle sole sanzioni amministrative dell'art.
10, oltre al conguaglio del contributo di concessione se il muta
mento determina il passaggio ad una categoria di immobile con
aliquota di contributo più elevata».
Nella fattispecie, considerato che v'è stato mutamento di stan
dards, visto il provvedimento di sanatoria, non resta allora che
applicare gli art. 13 e 22 1. 47.
I
PRETURA DI PUTIGNANO; sentenza 13 marzo 1989; Giud.
Giorgio; imp. Laruccia e altri.
PRETURA DI PUTIGNANO;
Esercizio abusivo di una professione — Professione di chimico
analista — Medici — Ignoranza inevitabile della legge penale
— Reato — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 5, 348).
L'ignoranza inevitabile — nel caso di specie quale impossibilità di conoscere il precetto penale a causa di contrasti giuris
prudenziali e di comportamenti mutevoli di organi amministra
tivi sanitari pubblici — esclude la punibilità della condotta del
medico che, travalicando i limiti della propria specifica compe tenza professionale e interferendo con attività di competenza esclusiva di chimici e di biologi, abbia eseguito analisi di labo
ratorio facendo incolpevole affidamento circa la legittimità del
proprio operato. (1)
II
PRETURA DI PISTOIA; sentenza 1° giugno 1988; Giud. Civi
nini; imp. Petrucci e altro.
Legge penale — Errore o ignoranza scusabile — Fattispecie (Cod.
pen., art. 5; 1. 28 gennaio 1977 n. 10, norme per la edificabilità dei suoli, art. 17).
L'erroneo convincimento circa la liceità del proprio agire — cau sato da un ragionevole affidamento nel comportamento tenuto
dalla pubblica amministrazione consistito, nel caso di specie, nell 'aver soltanto verbalmente autorizzato interventi urbanistici di trasformazione del territorio comunale — esclude la perso nale responsabilità penale di colui il quale, per condizione so
ciale, tecnica o culturale, sia privo degli strumenti necessari per un 'autonoma ed approfondita conoscenza della legge penale. (2)
(1-2) Le due sentenze — seppure in ordine a reati di diversa natura — affrontano la questione della responsabilità degli imputati alla luce della «storica» sentenza della Corte costituzionale del 24 marzo 1988, n. 364, Foro it., 1988, I, 1385, con nota di Fiandaca, sui limiti dell'ine scusabilità dell'ignoranza della legge penale.
In entrambe le decisioni infatti — nel solco della citata sentenza costi
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GIURISPRUDENZA PENALE
I
Fatto e diritto. — A seguito di esposto-denuncia prsentato dal
presidente dell'ordine nazionale dei biologici, veniva avviato pro cedimento penale nei confronti dei prevenuti specificati in rubri ca ex art. 348 c.p. Venivano quindi sentiti tutti gli indiziati, che
producevano varia documentazione a conforto delle loro tesi di
fensive.
All'esito dell'istruttoria; tutti gli imputati devono essere pro sciolti con formula piena per difetto dell'elemento psicologico del
delitto contestato. Di questo, comunque — alla luce della vigente normativa — sussisteva nella fattispecie in esame l'elemento
obiettivo.
Invero, per quanto attiene alla professione del chimico, l'art.
tuzionale che ha dichiarato illegittimo l'art. 5 c.p. nella parte in cui non ammetteva la rilevanza scusante dell'ignoranza o errore di diritto inevita bili — si è proceduto nel senso di rapportare condizioni e attitudini sog gettive degli imputati a circostanze oggettive del caso concreto, onde ac certare se e fino a che punto le prestazioni richieste dall'ordinamento fossero effettivamente esigibili dai soggetti in questione.
Nella sentenza sub 1), in particolare, la prospettiva della ignorantia legis inevitabile viene riferita ad una tipica ipotesi di esercizio abusivo di una professione: è il caso del medico che esegue analisi di laboratorio di esclusiva competenza di chimici e biologi, la condotta del quale inte
grerebbe gli estremi obiettivi del reato di cui all'art. 348 c.p. Invero, la sentenza si uniforma in proposito all'orientamento giurisprudenziale se condo il quale è da ritenere, ancorché sulla base di una frammentaria e lacunosa normativa, riservata in via esclusiva ai chimici ed ai biologi, abilitati ed iscritti nei relativi albi, la competenza ad eseguire analisi di laboratorio (in questo senso, cfr. Cass. 23 ottobre 1985, Dell'Erba, id., 1985, II, 529, con osservazioni di Ingroia, la quale ha confermato Pret. Taranto 21 dicembre 1984, ibid., 415, con nota di Inoroia; contra, tutta
via, Pret. Brunico 10 agosto 1987, id., 1988, II, 413, con osservazioni di Ingroia; Cons. Stato, sez. Ili, 21 maggio 1985, n. 545 id., Rep. 1985, voce Professioni intellettuali, n. 58 e, per esteso, in Giust. civ., 1985, I, 2923).
Tuttavia l'organo giudicante, prendendo atto della carenza di un orga nico ordinamento professionale dei medici, del carattere disorganico della normativa che regolamenta le attività di analista e di biologo, e soprattut to dei contrasti giurisprudenziali nonché dei comportamenti della pubbli ca amministrazione in materia, ha ritenuto che gli imputati, quantunque muniti di un livello di istruzione superiore a quello medio, versassero in una condizione di ignoranza inevitabile e perciò scusabile.
La sentenza sub 2) affronta la questione della rilevanza della buona
fede nei reati contravvenzionali, e in particolare l'ipotesi in cui il soggetto agente sia erroneamente convinto della liceità del proprio agire a causa di un ragionevole affidamento in una fonte c.d. qualificata di informa zione: trattasi nel caso di specie di lavori edilizi, quali interventi urbani stici di trasformazione del territorio comunale, concordati verbalmente con la stessa amministrazione, ma eseguiti in carenza della necessaria con cessione amministrativa. La predetta fattispecie, pur integrando gli estre
mi obiettivi del reato di cui all'art. 17, lett. b), 1. 10/77, manca tuttavia — ad avviso dell'organo giudicante — del corrispondente elemento sog gettivo, giacché la condotta tenuta dall'amministrazione comunale, ed in
particolare dal sindaco (l'indicazione da parte del sindaco stesso della
sussistenza di un obbligo di compiere i lavori; l'assenza di provvedimenti autoritativi, previsti dalla legge, atti ad impedire la condotta; l'esecuzione dei lavori anche in presenza delle massime autorità locali), avrebbe ragio nevolmente ingenerato, negli imputati, l'erroneo convincimento che l'ese cuzione dei lavori loro commissionati non necessitasse di alcuna apposita autorizzazione amministrativa; né, d'altra parte, gli organi della pubblica amministrazione avrebbero contribuito in alcun modo al superamento dello stato di ignoranza incolpevole in cui versavano gli imputati medesimi.
Trattasi, pertanto, di una tipica ipotesi di ignoranza scusabile relativa a reati di pura creazione legislativa — privi di un margine di disvalore
apprezzabile a prescindere dalla valutazione normativa — e, secondo il
pretore, nessuno degli imputati sarebbe appunto fornito, per condizione
sociale, tecnica o culturale, degli strumenti necessari per pervenire ad un'au
tonoma, esatta ed approfondita conoscenza di norme penali che, come
quelle in esame, configurano reati c.d. artificiali. Di recente, con riferimento ad errore ingenerato da un comportamento
della pubblica amministrazione, v. Pret. Milano 29 marzo 1988, Foro
it., 1989, II, 291 con nota di richiami; Trib. Rovigo 22 ottobre 1987,
id., 1988, II, 463 con osservazioni di Fornasari; favorevole all'efficacia
scusante della buona fede nei reati contravvenzionali, anche antecedente
mente alla dichiarazione di parziale incostituzionalità dell'art. 5 c.p., cfr.
Trib. Milano 12 febbraio 1986, con nota di Fornasari, in Riv. it. dir.
e proc. pen., 1987, 449 e massimata in Foro it., Rep. 1987, voce Reato
in genere, n. 35. In tema di ignoranza scusabile, cfr. altresì' Pret. Pescia 21 novembre
1988, id., 1989, II, 248, ed ivi ulteriori riferimenti giurisprudenziali.
Il Foro Italiano — 1989.
1 r.d. 1° marzo 1928 n. 842 (regolamento della professione di
chimico) statuisce che «il titolo di chimico spetta a coloro i quali abbiano superato l'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di chimico; inoltre l'art. 1 1. 25 aprile 1938 n.
897, poi, stabilisce che «gli ingegneri, gli architetti, i chimici, gli agronomi, i ragionieri i periti agrari e i periti industriali non pos sono esercitare la professione se non iscritti negli albi professio nali delle rispettive categorie . . .»; l'art. 16 1. 19 luglio 1957 n.
679 (tariffa nazionale delle prestazioni professionali dei chimici,
infine, recita letteralmente che «gli onorari si riferiscono alle ope razioni relative alle analisi chimiche di ogni specie ed esclusiva
mente ad esse».
Per quel che concerne la professione del biologo, la 1. 24 mag
gio 1967 n. 396 (legge sull'ordinamento professionale) — dopo aver precisato che il titolo di biologo spetta a chi abbia consegui to la relativa abilitazione (art. 1) e che per l'esercizio della detta
professione è obbligatoria l'iscrizione all'albo (art. 2) — espres samente attribuisce alla competenza del biologo, tra l'altro, «le
analisi biologiche (urine, essudati, escrementi, sangue, sierologi che, immunologiche, istologiche, di gravidanza, metaboliche) . . .»
(art. 3) Orbene, alla stregua della suddetta normativa, deve concluder
si che l'attività di analisi di laboratorio rientra nell'esclusiva com
petenza dei chimici e dei biologi, purché regolarmente abilitati
ed iscritti nei relativi albi.
Per quel che concerne la'professione medica, invece (per la
quale non è mai stata emanata una legge sull'ordinamento pro
fessionale), manca un qualsiasi riferimento legislativo, dal quale sia desumibile che il medico possa eseguire analisi di laboratorio.
Invero, le uniche norme di fonte legislativa che disciplinano la
detta professione (t.u. leggi sanitarie e r.d. 3 febbraio 1901) nulla
dicono al riguardo; peraltro, alla luce delle normative innanzi
citate, che attribuiscono invece espressamente alle sfere di com
petenza del chimico e del biologico lo svolgimento delle menzio
nate attività, deve concludersi che il medico non sia abilitato ad
eseguire analisi di laboratorio (sempre che, come giustamente è
stato fatto rilevare in giurisprudenza, «l'attività di analista costi
tuisca l'oggetto finale ed esauriente dell'attività professionale». . . e
non concorra «unitamente ad altri elementi sintomatici al fine
di formulare la diagnosi . . .» (Pret. Taranto 21 dicembre 1984, Foro it., 1985, II, 415). Del resto, mentre il r.d. 4 giugno 1938
n. 1269 prevedeva tra le prove previste per l'esame di Stato l'ef
fettuazione di ricerche di laboratorio, tale prova è stata eliminata
con il d.m. 9 novembre 1957 n. 274, che regola ora gli esami
di abilitazione all'esercizio della professione medica. Se ciò è ac
caduto, è evidentemente conseguenza del fatto che l'attività di
analisi deve ritenersi preclusa ai laureati in medicina.
Va precisato, peraltro, che nessun valore abilitativo può essere
attribuito all'eventuale specializzazione della quale sia munito il
laureato in medicina, considerato che le scuole di specializzazione hanno lo scopo esclusivo di fornire agli allievi un'approfondita conoscenza della materia, intendendosi per allievi coloro che, lau
reati in medicina, abbiano superato l'esame di abilitazione (Cass., sez. VI, 23 ottobre 1985, Dell'Erba ed altri, ibid., 529).
Deve osservarsi, inoltre, che, sotto il profilo in esame, non può tenersi conto di alcuni atti di livello amministrativo (normazione
secondaria) che, per decenni hanno avallato la prassi dei c.d. me
dici laboratoristi, che da sempre effettuano e continuano ad ef
fettuare le analisi nei laboratori. Ci si riferisce in particolare al
d.p.r. 28 dicembre 1965 n. 1763 (tariffario nazionale della pro fessione di medico-chirurgo) che riporta la voce «esami di labora
torio»; al d.p.r. 27 marzo 1969 n. 128 che prevede l'affidamento
della direzione dei laboratori di analisi ad un primario per talune
categorie di ospedali e al d.p.c.m. 12 ottobre 1984 che ha previ
sto, all'art. 8, l'affidamento dei laboratori di analisi privati aper
ti al pubblico al personale medico.
I suddetti provvedimenti, invero, «non possono legittimamente
disciplinare la competenza delle singole professioni ... né modi
ficare e abrogare precedenti disposizioni di legge, quali quelle at
tributive di competenza professionale ai chimici. In sostanza, so
lo la legge cosiddetta 'formale' — secondo il linguaggio dei costi
tuzionalisti — in quanto dotata di superiorità normativa rispetto
a tutti gli altri atti contenenti norme giuridiche, può intervenire
a regolare la materia, che sia già regolata da norme di diversa
specie e togliere cosi valore agli atti che la contengono. Vicever
sa, nessun atto di diverso genere — ad esempio, regolamento am
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PARTE SECONDA
ministrativo — può contravvenire ad una legge formale» (cosi
giustamente, Pret. Taranto, cit.). D'altra parte, va sottolineato che per ben due volte, con i d.l.
15 novembre 1985 n. 627 e 28 marzo 1986 n. 77 (non convertiti
tempestivamente) si è tentato di attribuire anche ai medici la com
petenza ad esercitare l'attività de qua.
Orbene, tale tentativo governativo non può che giustificarsi se
non ritenendo che allo stato, alla stregua della legislazione vigen
te, sia inibito al medico l'esercizio di un'attività d'analisi (come innanzi specificata) essendo la stessa d'esclusiva competenza dei
chimici e dei biologi; altrimenti, nessun motivo avrebbe avuto
il legislatore a (cercare) di introdurre una normativa diretta ad
attribuire — expressis verbis — anche ai medici una siffatta com
petenza. Del resto — come già evidenziato in giurisprudenza (Cass. 23 ottobre 1985, Dell'Erba, cit.) — l'art. 48 1. 24 maggio 1967
n. 396 prevedeva — in relazione al periodo di prima applicazione della normativa — la possibilità per i medici di chiedere l'iscrizio ne all'albo professionale dei biologi, a condizione che avessero
dimostrato di aver esercitato per cinque anni, come attività esclu
siva o prevalente, l'effettuazione di analisi biologiche (art. 3). Sulla base di tale norma (di tipo transitorio), deve ritenersi che
il legislatore abbia voluto riconoscere — in via ordinaria — al
biologo l'esclusiva competenza in materia di analisi biologiche, in conseguenza dello specifico curriculum di studi e dell'esame
di abilitazione, appositamente predisposti — in attuazione del
l'art. 33 Cost. — a garanzia «del serio ed oggettivo accertamento
dei requisiti attitudinali e tecnici di chi aspira all'esercizio di una professione» (cosi, in motivazione, Corte cost. n. 83/74, id., 1974,
I, 1290). Per tutte le considerazioni innanzi esposte, deve concludersi che,
nel caso di specie, risulta sussistente, sotto il profilo oggettivo, il delitto di cui all'art. 348 c.p.
Dev'essere invece esclusa la sussistenza dell'elemento psicologi co del delitto de quo, essendo incorsi tutti i prevenuti in un'igno ranza inevitabile della legge penale (tenuto conto dei principi af
fermati nella recente sentenza n. 364/88 della Corte costituziona
le, id., 1988, I, 1385). Invero, non può essere dimenticato che tutti gli imputati svol
gono la loro attività lavorativa, dopo aver partecipato a pubblici
concorsi, in relazione ai quali non hanno certamente occultato
i rispettivi titoli di studio, senza che poi alcun organo pubblico abbia loro mosso contestazioni di sorta.
D'altronde, non può essere dimenticato che sulla questione qui affrontata le opinioni giurisprudenziali sono molto discordi ed
idonee ad ingenerare incertezze anche in cittadini muniti di un
livello d'istruzione superiore a quello medio (come gli imputati).
Infatti, non va dimenticato che non solo giudici di merito (cfr., da ultimo, Pret. Brunico 10 agosto 1987, id., 1988, II, 413, oltre
alle altre numerose pronunce inedite — prodotte dai difensori
degli imputati) ma anche autorevolmente il Consiglio di Stato — per ben due volte — ha recepito la tesi antitetica a quella
qui sostenuta (Cons. Stato, sez. III, 21 maggio 1985, n. 545, id.,
Rep. 1985, voce Professioni intellettuali, n. 58; sez. IV 10 luglio
1979, n. 593, id., Rep. 1979, voce cit., nn. 23, 51). In tale contesto di fatto anche a voler valutare con particolare
rigore la posizione dei prevenuti, alla stregua dei doveri «stru
mentali» di informaizone loro incombenti ex art. 2 Cost. (Corte cost. 24 marzo 1988, n. 364, cit., spec. 1406) non può non tenersi
conto della ragionevole scusabilità della loro condotta, alla luce
degli evidenziati contrasti giurisprudenziali e dei comportamenti dei competenti organi amministrativi sanitari pubblici, che hanno
ingenerato nei prevenuti il convincimento della liceità dello svol
gimento — da parte loro — delle attività di analisi.
Copia della presente sentenza va inviata per opportuna cono
scenza e per i provvedimenti di rispettiva competenza al sig. pre sidente del comitato di gestione della Usi Ba - 18 ed al sig. asses
sore regionale alla sanità, in considerazione delle situazioni obiet
tivamente illegittime esistenti presso i nosocomi ove lavorano gli
imputati.
II
Fatto e diritto. — A seguito di trasmissione degli atti disposta con provvedimento del giudice istruttore presso il Tribunale di
Pistoia in data 31 dicembre 1985 — con il quale era stata conte
II Foro Italiano — 1989.
stualmente disposta l'archiviazione del procedimento instaurato
a seguito di rapporto dei carabinieri di Abetone in data 20 no
vembre 1985 non ravvisandosi estremi di reati di competenza di
tale organo — i prevenuti erano tratti a giudizio per rispondere del reato loro ascritto in epigrafe. All'odierno dibattimento si
faceva luogo all'interrogatorio dei prevenuti ed alla escussione
dei testi Bellezza Paolo e Bernardi Gian Telesforo; quindi, di
chiarati utilizzabili tutti gli atti ed ascoltate le conclusioni del pub blico ministero e del difensore, il pretore pronunciava sentenza.
Risulta accertato sulla base dell'istruttoria svolta che, dovendo
l'amministrazione comunale di Abetone procedere a lavori di si
stemazione ed ampliamento del piazzale adibito a parcheggio sito
in prossimità dell'impianto di sciovia denominato «Campo ten
nis» gestito dalla società Spir, la medesima concordò con la so
cietà lo spostamento dell'impianto; di ciò non risultano atti for
mali ma soltanto una lettera datata 13 maggio 1985 indirizzata
alla Spir in cui «... si ricorda, come concordato verbalmente
con l'amministrazione scrivente e con l'Utc, l'obbligo di provve
dere, per la prossima stagione invernale allo spostamento dello
stesso, in relazione ai lavori di costruzione della rampa di accesso
al costruendo piazzale coperto». La Spir aderì' a tale cogente invi
to traslando a valle con lieve modifica del tracciato l'impianto di risalita, che con l'occasione veniva rinnovato nella parte mec
canica, rimuovendo una vecchia condotta alloggiata in zona e
deteriorata che veniva sostituita e prolungata, sistemando mediante
livellazione, scavi e rinterri tutta l'area del campo scuola servita
dall'impianto di sciovia. Bellezza Paolo, all'epoca ingegnere capo dell'ufficio tecnico comunale, con rapporto in data 18 settembre
1985 informò il sindaco che la Spir stava procedendo all'esecu
zione dei suddetti lavori in carenza di autorizzazione amministra
tiva segnalando la necessità della stessa e ciò nonostante il sinda
co non assunse alcuno degli atti previsti dalla legge (ordine di
sospensione prima, di demolizione poi a opera conclusa), né, es
sendo la concessione e non l'autorizzazione l'atto presupposto dalle opere, denunciò l'illecito all'autorità amministrativa (fatti
per i quali al sindaco Fontana Marcello sono stati contestati i
reati di cui agli art. 328 e 361 c.p. dai quali è stato prosciolto
per amnistia con sentenza di questo pretore in data 23 luglio 1987). In data 27 ottobre il gruppo consiliare di minoranza Ada - Alle
nanza democratica abetonese presentò un'interrogazione consilia
re in ordine agli esposti fatti e solo a seguito del dibattito sorto
all'interno comunale, ad opere interamente eseguite, venne chie
sta e rilasciata concessione edilizia senza peraltro procedere a sa
natoria secondo quanto previsto dall'art. 13 I. 47/85.
Entrambi gli imputati hanno protestato la loro buona fede, riferendo di aver inteso ottemperare ad un ordine espressamente
rivoltogli dal comune; in particolare il Petrucci ha dichiarato che
la lettera datata 13 maggio 1985 inviatagli dal comune lo convin
se che da tale parte non fossero necessari atti ulteriori per cui
si preoccupò soltanto di richiedere ed ottenere il nulla osta per il vincolo idrogeologico.
L'illustrata fattispecie integra gli estremi obiettivi del reato con
testato in quanto è certo che le opere di spostamento e variazione
del tracciato di un impianto di risalita e le opere di ricostruzione
e prolungamento di una canalizzazione costituiscono interventi
urbanistici di trasformazione del territorio comunale come tali
da assoggettarsi a regime concessorio né può parlarsi nella specie di semplice ristrutturazione o rifacimento dell'esistente dato il dif
ferente posizionamento e tracciato dell'impianto da un lato ed
il prolungamento della canalizzazione dell'altro. Per quanto con
cerne invece la sussistenza dell'elemento soggettivo merita parti colare attenzione il comportamento tenuto dall'amministrazione
comunale ed in particolare dal sindaco. Quest'ultimo, infatti, ha
più volte affermato, in consiglio comunale, davanti ai carabinieri
e all'autorità giudiziaria, la convinzione che per l'edificazione di impianti di risalita non fosse necessario alcun previo atto ammi
nistrativo, ha definito «obbligo» l'esecuzione dei menzionati la
vori nella lettera da lui inviata alla Spir, non ha assunto alcuno
degli atti del suo ufficio, ma ha assistito, benevolo, a quanto si stava elaborando. Come ha dichiarato l'imputato Crovetti: «Ab
biamo obbedito ad un ordine, inoltre eravamo a fare i lavori
nel paese e tutti, forestale, sindaco, ecc. venivano a vedere e ci
premevano, ma non dicevano che mancava qualche concessione
o altro». L'unica preoccupazione sindacale era che il «polverone sollevato» creasse «il rischio di sospendere l'attività dei campi
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GIURISPRUDENZA PENALE
scuola in questione proprio alla vigilia del periodo di maggiore movimento turistico».
Ritiene il giudicante che ci si trovi di fronte a quell'inevitabili tà dell'errore sul divieto» con conseguente esclusione della colpe volezza che è stata oggetto della pronuncia della Corte costituzio
nale in data 23-24 marzo 1988, n. 364 (Foro it., 1988, I, 1385) con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del
l'art. 5 c.p. nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità del
l'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile. Con tale
sentenza la corte ha indicato come via per stabilire l'inevitabilità
dell'errore quella dell'utilizzazione di parametri o criteri oggettivi
puri e misti oggettivo-soggettivi. Nel caso di specie deve farsi ri
corso a questi ultimi e può osservarsi come la deliberazione cri
minosa si è formata in costanza di circostanze di fatto (l'indica zione da parte del sindaco della sussistenza di un obbligo di com
piere i lavori; la mancanza di provvedimenti autoritativi atti ad
impedire la condotta pur previsti per legge; l'esecuzione dei lavo
ri alla luce del sole in pratica nella piazza del paese, con la massi
ma autorità civile locale ché anziché fermarli li sprona a fare
presto affinché l'innevamento non colga incomplete le strutture
turistiche) tali da rendere inevitabile l'errore sul divieto per la
generalità dei cittadini. A ciò si aggiunga che nessuno dei due
imputati ha per condizione sociale, tecnica o culturale gli stru
menti per un'autonoma esatta e approfondita conoscenza della
legge penale; il Crovetti è un imprenditore edile il cui titolo di
studio è la licenza di scuola media inferiore, il Petrucci, gestore
di un negozio di generi alimentari ha dichiarato di lasciare la
gestione delle questioni amministrative ad un dipendente della Spir
non avendone alcuna conoscenza.
Consegue da quanto fin qui esposto che deve escludersi la sus
sistenza dell'elemento soggettivo negli imputati per errore inevita
bile sulla legge penale. Gli stessi devono, pertanto, assolversi con
la formula conseguente.
PRETURA DI PUTIGNANO; sentenza 1° marzo 1989; Giud.
Giorgio; imp. Taglia vanti.
Truffa — Reato — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 640).
Non integra gli estremi della truffa, per mancanza del requisito
dell'ingiustizia del profitto, la mancata consegna, da parte del
venditore, di merci delle quali l'acquirente, indotto a confidare
in buona fede nell'esecuzione del contratto, abbia già pagato
il prezzo d'acquisto, ove l'inadempimento del venditore trovi
causa nell'intento di compensare sia pur parzialmente un credi
to liquido ed esigibile precedentemente vantato nei confronti
dello stesso compratore. (1)
Fatto e diritto. — A seguito della querela presentata in data
22 luglio 1988 da Sannicandro Giuseppe, Tagliavanti Matteo ve
niva tratto a giudizio dinanzi a questa pretura per rispondere del
reato di cui in epigrafe. All'udienza dibattimentale, interrogato l'imputato, che si pro
testava innocente, e udita la parte lesa, che confermava integral
mente la querela, parte civile, pubblico ministero e difesa conclu
devano come da verbale.
Il pretore osserva che i fatti esposti dal querelante risultano
effettivamente provati.
(1) La sentenza si inscrive nell'orientamento giurisprudenziale che esclude
la configurabilità della truffa, nei casi in cui gli artifici o raggiri siano
posti in essere per conseguire un profitto oggettivamente legittimo, come
ad es. nel caso in cui si miri appunto ad ottenere il pagamento di un
debito insoluto: cfr. Cass. 15 novembre 1969, Braida, Foro it., Rep. 1970,
voce Truffa, n. 24; App. Milano 27 giugno 1979, Temi, 1978 , 411 e mas
simata in Foro it., Rep. 1979, voce cit., n. 26.
Nel medesimo senso, in dottrina, De Marsico, Delitti contro il patri
monio, Milano, 1951, 146 s.; Marini, Truffa, voce del Novissimo dige
sto, Torino, 1973, XIX, 886.
Il Foro Italiano — 1989.
Invero, alla luce delle stesse dichiarazioni rese dall'imputato
(«. . . quindi il Sannicandro chiese di acquistare delle scatole per un importo di lire 1.600.000 come ho detto, versandomi la som
ma di lire 200.000 in contanti . . .») nonché della copia della ri
cevuta rilasciata dal Tagliavanti in data 4 giugno 1987 (e da que st'ultimo non disconosciuta) comprovante l'avvenuto versamento
della detta somma di lire 200.000 «in acconto fornitura», non
può dubitarsi che il Sannicandro corrispose, in via anticipata, al prevenuto il complessivo importo di lire 1.665.000 (di cui lire
1.465.000 con successivo assegno circolare) confidando nella con
segna della merce pattuita, cosi come il Tagliavanti gli aveva la
sciato credere, omettendo volontariamente di esternare l'intenzio
ne di imputare la detta somma a pagamento di precedenti crediti
o sottoscrivendo, altresì', la citata ricevuta del 4 giugno 1987, con
la quale espressamente si fa riferimento ad un acconto sulla futu
ra fornitura. Ne consegue che, avendo poi, il Tagliavanti attuato
il suo originario e reale proposito trattenendo il citato importo
di lire 1.665.000 senza più effettuare la prestazione cui si era ob
bligato, deve ritenersi integrata la fattispecie del reato in esame
per quel che concerne il raggiro (posto in essere dal Tagliavanti tramite la manifestazione della volontà, in realtà mai avuta, di
consegnare la merce pattuita), l'induzione in errore (del Sanni
candro, pur sicuro di poter confidare nell'esecuzione del contrat
to), il profitto (conseguito dal Tagliavanti e consistente nella ri
cossione dell'importo di lire 1.665.000) e il corrispondente danno
(patito da Sannicandro e riveniente dalla corresponsione, del det
to importo senza aver ricevuto la controprestazione).
Senonché, nel caso di specie, manca l'ingiustizia del profitto
conseguito dal prevenuto; sicché quest'ultimo non può essere di
chiarato penalmente responsabile del reato ascrittogli.
Invero, la difesa ha esibito quattro cambiali, per un importo
complessivo di lire 2.466.640, emesso dal Sannicandro in favore
della soc. Mataf (di cui è titolare il prevenuto) e mai pagate,
come, peraltro, ammesso dallo stesso querelante («effettivamente
non ho pagato le quattro cambiali che mi vengono mostrate. An
zi riconosco che vi era un debito residuo, ma non sono in grado
di quantificarlo»). Orbene, se è vero che, con la condotta innanzi evidenziata,
il Tagliavanti ha posto in essere un comportamento fraudolento
al fine di ottenere il (parziale) pagamento di un suo precedente
credito vantato nei confronti del Sannicandro, è altrettanto vero,
però, che il profitto conseguito non può essere qualificato ingiu
sto, proprio perché la somma percepita (carpendo, come detto,
la buona fede del querelante che confidava nella esecuzione del
contratto) era a lui comunque dovuta.
A tal riguardo si osserva che in dottrina si opina che ingiusto
è soltanto il profitto che non è in alcun modo — e cioè né diret
tamente né indirettamente — tutelato dall'ordinamento giuridico
e che non commette truffa chi, ad es., con artifizi o raggiri si
fa consegnare dal suo debitore una somma che corrisponde ad
un suo credito liquido ed esigibile. In giurisprudenza, peraltro, è stato affermato che «allorquan
do il titolare di un diritto, per raggiungere un fine lecito, come
ad esempio l'osservanza da parte di terzi di obblighi a cui questi
sono tenuti e, quindi, nell'esercizio di un proprio diritto, ricorre
al sotterfugio, non commette illecito penalmente punibile perché
la legittimità del fine che intende perseguire, legittima, in tal ca
so, anche il mezzo a cui è ricorso per conseguirlo, purché da
solo detto mezzo non sia illecito» (App. Milano 27 gennaio 1979,
Foro it., Rep. 1979, voce Truffa, n. 26; Cass. 15 novembre 1969,
Braida, id., Rep. 1970, voce cit., n. 24).
Orbene, è innegabile che nel caso di specie l'imputato, titolare
di un credito liquido ed esigibile (in virtù delle dette cambiali,
già da tempo scadute) nei confronti del Sannicandro, è riuscito
ad ottenere la soddisfazione (parziale) del proprio diritto ricor
rendo all'inganno. Ciononostante, la legittimità del fine persegui
to e cioè il conseguimento di una somma che gli era dovuta fa
si che il profitto realizzato non possa essere qualificato ingiusto;
conseguentemente, la condotta tenuta dal prevenuto non è penal
mente sanzionabile.
Per le ragioni innanzi esposte Tagliavanti Matteo va assolto
dal delitto ascrittogli perché il fatto non costituisce reato.
All'assoluzione dell'imputato consegue la condanna del quere
lante, ex art. 382 e 482 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
Vanno, infine, compensate integralmente tra le parti le spese
processuali sostenute dalla difesa dell'imputato, con conseguente
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