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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 13 marzo 1989; Giud. Giorgio; imp. Laruccia e altri

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sentenza 13 marzo 1989; Giud. Giorgio; imp. Laruccia e altri Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp. 679/680-685/686 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23182803 . Accessed: 28/06/2014 09:32 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.55 on Sat, 28 Jun 2014 09:32:11 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 13 marzo 1989; Giud. Giorgio; imp. Laruccia e altri

sentenza 13 marzo 1989; Giud. Giorgio; imp. Laruccia e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp.679/680-685/686Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182803 .

Accessed: 28/06/2014 09:32

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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PARTE SECONDA

me interpretato, non creerebbe che problemi di compatibilità tra

variazione essenziale e difformità totale; la cui soluzione non può essere certo prospettata, se non a fronte di inaccettabili forzature

stante la carenza di qualsiasi riferimento testuale, con l'interpre tare il combinato disposto degli art. 7 e 8 nel senso che il primo si riferisca alla costruzione nella sua interezza, mentre il secondo

attenga alle singole unità immobiliari.

Cosi come non trova alcun riscontro normativo la tesi, avanza

ta dalla dottrina al fine di conciliare linee legislative di non facile

interpretazione, secondo cui gli art. 7 e 8 postulano che la diffor

mità o la variazione sia stata eseguita in corso d'opera, mentre

l'art. 25 riguarda il mutamento di destinazione ad opera ultimata.

Non si rinviene alcun sostegno di carattere teoretico a tale pro

spettata difformità di trattamento normativo, comunque produ cendo il mutamento di destinazione comportante modifica di stan

dards, in ogni tempo esso avvenga, trasformazione urbanistica

del territorio.

A parere del giudicante l'iter interpretativo deve fondarsi non

sull'art. 25, assolutamente marginale, bensì sugli art. 7 e 8.

Considerato che gli abusi qualificati come difformità totali so

no necessariamente più gravi di quelli configurabili come varia

zione essenziale, detta distinzione implica che, mentre l'ipotesi

prevista dall'art. 7 si identifica nel mutamento delle caratteristi

che tecniche della costruzione determinanti per la sua effettiva

utilizzazione, il mutamento di destinazione d'uso di cui all'art.

8 prescinde dalla realizzazione di opere. Mentre l'art. 7, 1° comma, con il richiamo alle «caratteristiche

di utilizzazione» si riferisce espressamente, come detto, agli ele

menti materiali che caratterizzano strutturalmente l'opera, l'art.

8, lett. a), omette qualsiasi riferimento a dati materiali.

Dunque, l'orientamento espresso, in via interpretativa, dalla

giurisprudenza delle sezioni unite prima citata non solo è compa tibile con la 1. 47/85 ma trova esplicita conferma in sede legis lativa nell'art. 8, lett. a).

In questa ottica l'art. 25 assume un rilievo più adeguato alla

sua marginale collocazione nell'impianto normativo. È norma aven

te un valore sussidiario, tesa com'è a disciplinare ciò che non

è stato ancora regolato: il mutamento di destinazione non com

portante modificazione di standards.

Ed all'uopo introduce una disciplina più restrittiva. Nel siste

ma previgente tale mutamento non era soggetto ad alcun control

lo: non potevano applicarsi sanzioni amministrative.

Ora l'art. 25 consente alla legge regionale di subordinare il mu

tamento di destinazione d'uso senza lavori a preventiva autoriz

zazione sindacale ed al pagamento del contributo concessorio se

dovuto.

Trattasi di autorizzazione atipica, essendo essa, appunto, one

rosa. La norma, per definire la natura del contributo, utilizza

il termine «concessorio» che esplicitamente inerisce alla conces

sione edilizia. Ove l'autorizzazione non sia ottenuta, il richiamo all'art. 10

consente l'adozione di sanzioni amministrative. Letteralmente l'ul timo comma dell'art. 25 recita: «la mancanza di tale autorizza zione comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 10».

In effetti, l'art. 10 stabilisce sia le sanzioni amministrative per le opere eseguite in assenza di autorizzazione, sia l'esclusione di tali abusi dall'ambito delle fattispecie criminose di cui all'art. 20.

Ma l'art. 25, come detto, richiama esclusivamente la parte san zionatoria dell'art. 10 e non anche l'esecuzione da responsabilità penale. Altrimenti il legislatore avrebbe fatto riferimento non so lamente alle sanzioni di cui all'art. 10, bensì al completo regime sanzionatorio ivi previsto.

È una conferma questa che la norma non prospetta una disci

plina complessiva della materia, né ha portata liberalizzante, ma

si limita alla considerazione di un ambito particolare, prima esen te da disciplina, integrando cosi il più complessivo quadro di rife rimento normativo. Sulla base delle considerazioni finora esposte il mutamento di destinazione d'uso in assenza di opere ma com

portante violazione di standards risulta penalmente sanzionabile dall'art. 20, lett. a), non contenendo le prescrizioni della conces sione edilizia e le previsioni degli strumenti urbanistici soltanto

regole di condotta indirizzate a disciplinare l'esecuzione di lavori, ma anche regole che disciplinano l'uso, la funzione, il modo di essere dei vari elementi della città e del territorio.

Cass., sez. Ili, 10 novembre 1987, n. 1143 (ud. 17 luglio 1987, Panella, id., Rep. 1988, voce cit., n. 555) di cui è dato conoscere soltanto il dispositivo, sembra avviata ad un ripensamento in tal

Il Foro Italiano — 1989.

senso: «Il mutamento di destinazione, con o senza realizzazione

di opere effettuate senza autorizzazione (autorizzazione atipica, che comporta variazioni del carico urbanistico, cioè variazioni

implicanti il mutamento degli standards a norma dell'art. 8 1.

28 febbraio 1985 n. 47, se è considerato dalla legge regionale variazione essenziale [ma non può che essere cosi avendo deter

minato l'art. 8, lett. a, un presupposto minimo, necessario e suf

ficiente, inderogabile] è soggetto, oltre che alle sanzioni ammini

strative di cui agli art. 7, 9, 10, 12, anche alla pena stabilita dal

l'art. 20, lett. a), di predetta legge. Con le medesime sanzioni, amministrative e penali, è colpito il mutamento di destinazione

effettuato unitamente alla realizzazione di opere edilizie per le

quali sia necessaria la concessione o l'autorizzazione, se esso non

comporta aggravi del carico urbanistico. Inoltre il mutamento di

destinazione, effettuato senza realizzazione di opere, mancante

dell'autorizzazione comunale, nel caso in cui questa per le leggi

regionali e la natura degli strumenti urbanistici sia necessaria,

comporta, ai sensi dell'art. 25, ultimo comma, 1. 28 febbraio 1985

n. 47, l'applicazione delle sole sanzioni amministrative dell'art.

10, oltre al conguaglio del contributo di concessione se il muta

mento determina il passaggio ad una categoria di immobile con

aliquota di contributo più elevata».

Nella fattispecie, considerato che v'è stato mutamento di stan

dards, visto il provvedimento di sanatoria, non resta allora che

applicare gli art. 13 e 22 1. 47.

I

PRETURA DI PUTIGNANO; sentenza 13 marzo 1989; Giud.

Giorgio; imp. Laruccia e altri.

PRETURA DI PUTIGNANO;

Esercizio abusivo di una professione — Professione di chimico

analista — Medici — Ignoranza inevitabile della legge penale

— Reato — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 5, 348).

L'ignoranza inevitabile — nel caso di specie quale impossibilità di conoscere il precetto penale a causa di contrasti giuris

prudenziali e di comportamenti mutevoli di organi amministra

tivi sanitari pubblici — esclude la punibilità della condotta del

medico che, travalicando i limiti della propria specifica compe tenza professionale e interferendo con attività di competenza esclusiva di chimici e di biologi, abbia eseguito analisi di labo

ratorio facendo incolpevole affidamento circa la legittimità del

proprio operato. (1)

II

PRETURA DI PISTOIA; sentenza 1° giugno 1988; Giud. Civi

nini; imp. Petrucci e altro.

Legge penale — Errore o ignoranza scusabile — Fattispecie (Cod.

pen., art. 5; 1. 28 gennaio 1977 n. 10, norme per la edificabilità dei suoli, art. 17).

L'erroneo convincimento circa la liceità del proprio agire — cau sato da un ragionevole affidamento nel comportamento tenuto

dalla pubblica amministrazione consistito, nel caso di specie, nell 'aver soltanto verbalmente autorizzato interventi urbanistici di trasformazione del territorio comunale — esclude la perso nale responsabilità penale di colui il quale, per condizione so

ciale, tecnica o culturale, sia privo degli strumenti necessari per un 'autonoma ed approfondita conoscenza della legge penale. (2)

(1-2) Le due sentenze — seppure in ordine a reati di diversa natura — affrontano la questione della responsabilità degli imputati alla luce della «storica» sentenza della Corte costituzionale del 24 marzo 1988, n. 364, Foro it., 1988, I, 1385, con nota di Fiandaca, sui limiti dell'ine scusabilità dell'ignoranza della legge penale.

In entrambe le decisioni infatti — nel solco della citata sentenza costi

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GIURISPRUDENZA PENALE

I

Fatto e diritto. — A seguito di esposto-denuncia prsentato dal

presidente dell'ordine nazionale dei biologici, veniva avviato pro cedimento penale nei confronti dei prevenuti specificati in rubri ca ex art. 348 c.p. Venivano quindi sentiti tutti gli indiziati, che

producevano varia documentazione a conforto delle loro tesi di

fensive.

All'esito dell'istruttoria; tutti gli imputati devono essere pro sciolti con formula piena per difetto dell'elemento psicologico del

delitto contestato. Di questo, comunque — alla luce della vigente normativa — sussisteva nella fattispecie in esame l'elemento

obiettivo.

Invero, per quanto attiene alla professione del chimico, l'art.

tuzionale che ha dichiarato illegittimo l'art. 5 c.p. nella parte in cui non ammetteva la rilevanza scusante dell'ignoranza o errore di diritto inevita bili — si è proceduto nel senso di rapportare condizioni e attitudini sog gettive degli imputati a circostanze oggettive del caso concreto, onde ac certare se e fino a che punto le prestazioni richieste dall'ordinamento fossero effettivamente esigibili dai soggetti in questione.

Nella sentenza sub 1), in particolare, la prospettiva della ignorantia legis inevitabile viene riferita ad una tipica ipotesi di esercizio abusivo di una professione: è il caso del medico che esegue analisi di laboratorio di esclusiva competenza di chimici e biologi, la condotta del quale inte

grerebbe gli estremi obiettivi del reato di cui all'art. 348 c.p. Invero, la sentenza si uniforma in proposito all'orientamento giurisprudenziale se condo il quale è da ritenere, ancorché sulla base di una frammentaria e lacunosa normativa, riservata in via esclusiva ai chimici ed ai biologi, abilitati ed iscritti nei relativi albi, la competenza ad eseguire analisi di laboratorio (in questo senso, cfr. Cass. 23 ottobre 1985, Dell'Erba, id., 1985, II, 529, con osservazioni di Ingroia, la quale ha confermato Pret. Taranto 21 dicembre 1984, ibid., 415, con nota di Inoroia; contra, tutta

via, Pret. Brunico 10 agosto 1987, id., 1988, II, 413, con osservazioni di Ingroia; Cons. Stato, sez. Ili, 21 maggio 1985, n. 545 id., Rep. 1985, voce Professioni intellettuali, n. 58 e, per esteso, in Giust. civ., 1985, I, 2923).

Tuttavia l'organo giudicante, prendendo atto della carenza di un orga nico ordinamento professionale dei medici, del carattere disorganico della normativa che regolamenta le attività di analista e di biologo, e soprattut to dei contrasti giurisprudenziali nonché dei comportamenti della pubbli ca amministrazione in materia, ha ritenuto che gli imputati, quantunque muniti di un livello di istruzione superiore a quello medio, versassero in una condizione di ignoranza inevitabile e perciò scusabile.

La sentenza sub 2) affronta la questione della rilevanza della buona

fede nei reati contravvenzionali, e in particolare l'ipotesi in cui il soggetto agente sia erroneamente convinto della liceità del proprio agire a causa di un ragionevole affidamento in una fonte c.d. qualificata di informa zione: trattasi nel caso di specie di lavori edilizi, quali interventi urbani stici di trasformazione del territorio comunale, concordati verbalmente con la stessa amministrazione, ma eseguiti in carenza della necessaria con cessione amministrativa. La predetta fattispecie, pur integrando gli estre

mi obiettivi del reato di cui all'art. 17, lett. b), 1. 10/77, manca tuttavia — ad avviso dell'organo giudicante — del corrispondente elemento sog gettivo, giacché la condotta tenuta dall'amministrazione comunale, ed in

particolare dal sindaco (l'indicazione da parte del sindaco stesso della

sussistenza di un obbligo di compiere i lavori; l'assenza di provvedimenti autoritativi, previsti dalla legge, atti ad impedire la condotta; l'esecuzione dei lavori anche in presenza delle massime autorità locali), avrebbe ragio nevolmente ingenerato, negli imputati, l'erroneo convincimento che l'ese cuzione dei lavori loro commissionati non necessitasse di alcuna apposita autorizzazione amministrativa; né, d'altra parte, gli organi della pubblica amministrazione avrebbero contribuito in alcun modo al superamento dello stato di ignoranza incolpevole in cui versavano gli imputati medesimi.

Trattasi, pertanto, di una tipica ipotesi di ignoranza scusabile relativa a reati di pura creazione legislativa — privi di un margine di disvalore

apprezzabile a prescindere dalla valutazione normativa — e, secondo il

pretore, nessuno degli imputati sarebbe appunto fornito, per condizione

sociale, tecnica o culturale, degli strumenti necessari per pervenire ad un'au

tonoma, esatta ed approfondita conoscenza di norme penali che, come

quelle in esame, configurano reati c.d. artificiali. Di recente, con riferimento ad errore ingenerato da un comportamento

della pubblica amministrazione, v. Pret. Milano 29 marzo 1988, Foro

it., 1989, II, 291 con nota di richiami; Trib. Rovigo 22 ottobre 1987,

id., 1988, II, 463 con osservazioni di Fornasari; favorevole all'efficacia

scusante della buona fede nei reati contravvenzionali, anche antecedente

mente alla dichiarazione di parziale incostituzionalità dell'art. 5 c.p., cfr.

Trib. Milano 12 febbraio 1986, con nota di Fornasari, in Riv. it. dir.

e proc. pen., 1987, 449 e massimata in Foro it., Rep. 1987, voce Reato

in genere, n. 35. In tema di ignoranza scusabile, cfr. altresì' Pret. Pescia 21 novembre

1988, id., 1989, II, 248, ed ivi ulteriori riferimenti giurisprudenziali.

Il Foro Italiano — 1989.

1 r.d. 1° marzo 1928 n. 842 (regolamento della professione di

chimico) statuisce che «il titolo di chimico spetta a coloro i quali abbiano superato l'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di chimico; inoltre l'art. 1 1. 25 aprile 1938 n.

897, poi, stabilisce che «gli ingegneri, gli architetti, i chimici, gli agronomi, i ragionieri i periti agrari e i periti industriali non pos sono esercitare la professione se non iscritti negli albi professio nali delle rispettive categorie . . .»; l'art. 16 1. 19 luglio 1957 n.

679 (tariffa nazionale delle prestazioni professionali dei chimici,

infine, recita letteralmente che «gli onorari si riferiscono alle ope razioni relative alle analisi chimiche di ogni specie ed esclusiva

mente ad esse».

Per quel che concerne la professione del biologo, la 1. 24 mag

gio 1967 n. 396 (legge sull'ordinamento professionale) — dopo aver precisato che il titolo di biologo spetta a chi abbia consegui to la relativa abilitazione (art. 1) e che per l'esercizio della detta

professione è obbligatoria l'iscrizione all'albo (art. 2) — espres samente attribuisce alla competenza del biologo, tra l'altro, «le

analisi biologiche (urine, essudati, escrementi, sangue, sierologi che, immunologiche, istologiche, di gravidanza, metaboliche) . . .»

(art. 3) Orbene, alla stregua della suddetta normativa, deve concluder

si che l'attività di analisi di laboratorio rientra nell'esclusiva com

petenza dei chimici e dei biologi, purché regolarmente abilitati

ed iscritti nei relativi albi.

Per quel che concerne la'professione medica, invece (per la

quale non è mai stata emanata una legge sull'ordinamento pro

fessionale), manca un qualsiasi riferimento legislativo, dal quale sia desumibile che il medico possa eseguire analisi di laboratorio.

Invero, le uniche norme di fonte legislativa che disciplinano la

detta professione (t.u. leggi sanitarie e r.d. 3 febbraio 1901) nulla

dicono al riguardo; peraltro, alla luce delle normative innanzi

citate, che attribuiscono invece espressamente alle sfere di com

petenza del chimico e del biologico lo svolgimento delle menzio

nate attività, deve concludersi che il medico non sia abilitato ad

eseguire analisi di laboratorio (sempre che, come giustamente è

stato fatto rilevare in giurisprudenza, «l'attività di analista costi

tuisca l'oggetto finale ed esauriente dell'attività professionale». . . e

non concorra «unitamente ad altri elementi sintomatici al fine

di formulare la diagnosi . . .» (Pret. Taranto 21 dicembre 1984, Foro it., 1985, II, 415). Del resto, mentre il r.d. 4 giugno 1938

n. 1269 prevedeva tra le prove previste per l'esame di Stato l'ef

fettuazione di ricerche di laboratorio, tale prova è stata eliminata

con il d.m. 9 novembre 1957 n. 274, che regola ora gli esami

di abilitazione all'esercizio della professione medica. Se ciò è ac

caduto, è evidentemente conseguenza del fatto che l'attività di

analisi deve ritenersi preclusa ai laureati in medicina.

Va precisato, peraltro, che nessun valore abilitativo può essere

attribuito all'eventuale specializzazione della quale sia munito il

laureato in medicina, considerato che le scuole di specializzazione hanno lo scopo esclusivo di fornire agli allievi un'approfondita conoscenza della materia, intendendosi per allievi coloro che, lau

reati in medicina, abbiano superato l'esame di abilitazione (Cass., sez. VI, 23 ottobre 1985, Dell'Erba ed altri, ibid., 529).

Deve osservarsi, inoltre, che, sotto il profilo in esame, non può tenersi conto di alcuni atti di livello amministrativo (normazione

secondaria) che, per decenni hanno avallato la prassi dei c.d. me

dici laboratoristi, che da sempre effettuano e continuano ad ef

fettuare le analisi nei laboratori. Ci si riferisce in particolare al

d.p.r. 28 dicembre 1965 n. 1763 (tariffario nazionale della pro fessione di medico-chirurgo) che riporta la voce «esami di labora

torio»; al d.p.r. 27 marzo 1969 n. 128 che prevede l'affidamento

della direzione dei laboratori di analisi ad un primario per talune

categorie di ospedali e al d.p.c.m. 12 ottobre 1984 che ha previ

sto, all'art. 8, l'affidamento dei laboratori di analisi privati aper

ti al pubblico al personale medico.

I suddetti provvedimenti, invero, «non possono legittimamente

disciplinare la competenza delle singole professioni ... né modi

ficare e abrogare precedenti disposizioni di legge, quali quelle at

tributive di competenza professionale ai chimici. In sostanza, so

lo la legge cosiddetta 'formale' — secondo il linguaggio dei costi

tuzionalisti — in quanto dotata di superiorità normativa rispetto

a tutti gli altri atti contenenti norme giuridiche, può intervenire

a regolare la materia, che sia già regolata da norme di diversa

specie e togliere cosi valore agli atti che la contengono. Vicever

sa, nessun atto di diverso genere — ad esempio, regolamento am

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PARTE SECONDA

ministrativo — può contravvenire ad una legge formale» (cosi

giustamente, Pret. Taranto, cit.). D'altra parte, va sottolineato che per ben due volte, con i d.l.

15 novembre 1985 n. 627 e 28 marzo 1986 n. 77 (non convertiti

tempestivamente) si è tentato di attribuire anche ai medici la com

petenza ad esercitare l'attività de qua.

Orbene, tale tentativo governativo non può che giustificarsi se

non ritenendo che allo stato, alla stregua della legislazione vigen

te, sia inibito al medico l'esercizio di un'attività d'analisi (come innanzi specificata) essendo la stessa d'esclusiva competenza dei

chimici e dei biologi; altrimenti, nessun motivo avrebbe avuto

il legislatore a (cercare) di introdurre una normativa diretta ad

attribuire — expressis verbis — anche ai medici una siffatta com

petenza. Del resto — come già evidenziato in giurisprudenza (Cass. 23 ottobre 1985, Dell'Erba, cit.) — l'art. 48 1. 24 maggio 1967

n. 396 prevedeva — in relazione al periodo di prima applicazione della normativa — la possibilità per i medici di chiedere l'iscrizio ne all'albo professionale dei biologi, a condizione che avessero

dimostrato di aver esercitato per cinque anni, come attività esclu

siva o prevalente, l'effettuazione di analisi biologiche (art. 3). Sulla base di tale norma (di tipo transitorio), deve ritenersi che

il legislatore abbia voluto riconoscere — in via ordinaria — al

biologo l'esclusiva competenza in materia di analisi biologiche, in conseguenza dello specifico curriculum di studi e dell'esame

di abilitazione, appositamente predisposti — in attuazione del

l'art. 33 Cost. — a garanzia «del serio ed oggettivo accertamento

dei requisiti attitudinali e tecnici di chi aspira all'esercizio di una professione» (cosi, in motivazione, Corte cost. n. 83/74, id., 1974,

I, 1290). Per tutte le considerazioni innanzi esposte, deve concludersi che,

nel caso di specie, risulta sussistente, sotto il profilo oggettivo, il delitto di cui all'art. 348 c.p.

Dev'essere invece esclusa la sussistenza dell'elemento psicologi co del delitto de quo, essendo incorsi tutti i prevenuti in un'igno ranza inevitabile della legge penale (tenuto conto dei principi af

fermati nella recente sentenza n. 364/88 della Corte costituziona

le, id., 1988, I, 1385). Invero, non può essere dimenticato che tutti gli imputati svol

gono la loro attività lavorativa, dopo aver partecipato a pubblici

concorsi, in relazione ai quali non hanno certamente occultato

i rispettivi titoli di studio, senza che poi alcun organo pubblico abbia loro mosso contestazioni di sorta.

D'altronde, non può essere dimenticato che sulla questione qui affrontata le opinioni giurisprudenziali sono molto discordi ed

idonee ad ingenerare incertezze anche in cittadini muniti di un

livello d'istruzione superiore a quello medio (come gli imputati).

Infatti, non va dimenticato che non solo giudici di merito (cfr., da ultimo, Pret. Brunico 10 agosto 1987, id., 1988, II, 413, oltre

alle altre numerose pronunce inedite — prodotte dai difensori

degli imputati) ma anche autorevolmente il Consiglio di Stato — per ben due volte — ha recepito la tesi antitetica a quella

qui sostenuta (Cons. Stato, sez. III, 21 maggio 1985, n. 545, id.,

Rep. 1985, voce Professioni intellettuali, n. 58; sez. IV 10 luglio

1979, n. 593, id., Rep. 1979, voce cit., nn. 23, 51). In tale contesto di fatto anche a voler valutare con particolare

rigore la posizione dei prevenuti, alla stregua dei doveri «stru

mentali» di informaizone loro incombenti ex art. 2 Cost. (Corte cost. 24 marzo 1988, n. 364, cit., spec. 1406) non può non tenersi

conto della ragionevole scusabilità della loro condotta, alla luce

degli evidenziati contrasti giurisprudenziali e dei comportamenti dei competenti organi amministrativi sanitari pubblici, che hanno

ingenerato nei prevenuti il convincimento della liceità dello svol

gimento — da parte loro — delle attività di analisi.

Copia della presente sentenza va inviata per opportuna cono

scenza e per i provvedimenti di rispettiva competenza al sig. pre sidente del comitato di gestione della Usi Ba - 18 ed al sig. asses

sore regionale alla sanità, in considerazione delle situazioni obiet

tivamente illegittime esistenti presso i nosocomi ove lavorano gli

imputati.

II

Fatto e diritto. — A seguito di trasmissione degli atti disposta con provvedimento del giudice istruttore presso il Tribunale di

Pistoia in data 31 dicembre 1985 — con il quale era stata conte

II Foro Italiano — 1989.

stualmente disposta l'archiviazione del procedimento instaurato

a seguito di rapporto dei carabinieri di Abetone in data 20 no

vembre 1985 non ravvisandosi estremi di reati di competenza di

tale organo — i prevenuti erano tratti a giudizio per rispondere del reato loro ascritto in epigrafe. All'odierno dibattimento si

faceva luogo all'interrogatorio dei prevenuti ed alla escussione

dei testi Bellezza Paolo e Bernardi Gian Telesforo; quindi, di

chiarati utilizzabili tutti gli atti ed ascoltate le conclusioni del pub blico ministero e del difensore, il pretore pronunciava sentenza.

Risulta accertato sulla base dell'istruttoria svolta che, dovendo

l'amministrazione comunale di Abetone procedere a lavori di si

stemazione ed ampliamento del piazzale adibito a parcheggio sito

in prossimità dell'impianto di sciovia denominato «Campo ten

nis» gestito dalla società Spir, la medesima concordò con la so

cietà lo spostamento dell'impianto; di ciò non risultano atti for

mali ma soltanto una lettera datata 13 maggio 1985 indirizzata

alla Spir in cui «... si ricorda, come concordato verbalmente

con l'amministrazione scrivente e con l'Utc, l'obbligo di provve

dere, per la prossima stagione invernale allo spostamento dello

stesso, in relazione ai lavori di costruzione della rampa di accesso

al costruendo piazzale coperto». La Spir aderì' a tale cogente invi

to traslando a valle con lieve modifica del tracciato l'impianto di risalita, che con l'occasione veniva rinnovato nella parte mec

canica, rimuovendo una vecchia condotta alloggiata in zona e

deteriorata che veniva sostituita e prolungata, sistemando mediante

livellazione, scavi e rinterri tutta l'area del campo scuola servita

dall'impianto di sciovia. Bellezza Paolo, all'epoca ingegnere capo dell'ufficio tecnico comunale, con rapporto in data 18 settembre

1985 informò il sindaco che la Spir stava procedendo all'esecu

zione dei suddetti lavori in carenza di autorizzazione amministra

tiva segnalando la necessità della stessa e ciò nonostante il sinda

co non assunse alcuno degli atti previsti dalla legge (ordine di

sospensione prima, di demolizione poi a opera conclusa), né, es

sendo la concessione e non l'autorizzazione l'atto presupposto dalle opere, denunciò l'illecito all'autorità amministrativa (fatti

per i quali al sindaco Fontana Marcello sono stati contestati i

reati di cui agli art. 328 e 361 c.p. dai quali è stato prosciolto

per amnistia con sentenza di questo pretore in data 23 luglio 1987). In data 27 ottobre il gruppo consiliare di minoranza Ada - Alle

nanza democratica abetonese presentò un'interrogazione consilia

re in ordine agli esposti fatti e solo a seguito del dibattito sorto

all'interno comunale, ad opere interamente eseguite, venne chie

sta e rilasciata concessione edilizia senza peraltro procedere a sa

natoria secondo quanto previsto dall'art. 13 I. 47/85.

Entrambi gli imputati hanno protestato la loro buona fede, riferendo di aver inteso ottemperare ad un ordine espressamente

rivoltogli dal comune; in particolare il Petrucci ha dichiarato che

la lettera datata 13 maggio 1985 inviatagli dal comune lo convin

se che da tale parte non fossero necessari atti ulteriori per cui

si preoccupò soltanto di richiedere ed ottenere il nulla osta per il vincolo idrogeologico.

L'illustrata fattispecie integra gli estremi obiettivi del reato con

testato in quanto è certo che le opere di spostamento e variazione

del tracciato di un impianto di risalita e le opere di ricostruzione

e prolungamento di una canalizzazione costituiscono interventi

urbanistici di trasformazione del territorio comunale come tali

da assoggettarsi a regime concessorio né può parlarsi nella specie di semplice ristrutturazione o rifacimento dell'esistente dato il dif

ferente posizionamento e tracciato dell'impianto da un lato ed

il prolungamento della canalizzazione dell'altro. Per quanto con

cerne invece la sussistenza dell'elemento soggettivo merita parti colare attenzione il comportamento tenuto dall'amministrazione

comunale ed in particolare dal sindaco. Quest'ultimo, infatti, ha

più volte affermato, in consiglio comunale, davanti ai carabinieri

e all'autorità giudiziaria, la convinzione che per l'edificazione di impianti di risalita non fosse necessario alcun previo atto ammi

nistrativo, ha definito «obbligo» l'esecuzione dei menzionati la

vori nella lettera da lui inviata alla Spir, non ha assunto alcuno

degli atti del suo ufficio, ma ha assistito, benevolo, a quanto si stava elaborando. Come ha dichiarato l'imputato Crovetti: «Ab

biamo obbedito ad un ordine, inoltre eravamo a fare i lavori

nel paese e tutti, forestale, sindaco, ecc. venivano a vedere e ci

premevano, ma non dicevano che mancava qualche concessione

o altro». L'unica preoccupazione sindacale era che il «polverone sollevato» creasse «il rischio di sospendere l'attività dei campi

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Page 5: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 13 marzo 1989; Giud. Giorgio; imp. Laruccia e altri

GIURISPRUDENZA PENALE

scuola in questione proprio alla vigilia del periodo di maggiore movimento turistico».

Ritiene il giudicante che ci si trovi di fronte a quell'inevitabili tà dell'errore sul divieto» con conseguente esclusione della colpe volezza che è stata oggetto della pronuncia della Corte costituzio

nale in data 23-24 marzo 1988, n. 364 (Foro it., 1988, I, 1385) con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del

l'art. 5 c.p. nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità del

l'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile. Con tale

sentenza la corte ha indicato come via per stabilire l'inevitabilità

dell'errore quella dell'utilizzazione di parametri o criteri oggettivi

puri e misti oggettivo-soggettivi. Nel caso di specie deve farsi ri

corso a questi ultimi e può osservarsi come la deliberazione cri

minosa si è formata in costanza di circostanze di fatto (l'indica zione da parte del sindaco della sussistenza di un obbligo di com

piere i lavori; la mancanza di provvedimenti autoritativi atti ad

impedire la condotta pur previsti per legge; l'esecuzione dei lavo

ri alla luce del sole in pratica nella piazza del paese, con la massi

ma autorità civile locale ché anziché fermarli li sprona a fare

presto affinché l'innevamento non colga incomplete le strutture

turistiche) tali da rendere inevitabile l'errore sul divieto per la

generalità dei cittadini. A ciò si aggiunga che nessuno dei due

imputati ha per condizione sociale, tecnica o culturale gli stru

menti per un'autonoma esatta e approfondita conoscenza della

legge penale; il Crovetti è un imprenditore edile il cui titolo di

studio è la licenza di scuola media inferiore, il Petrucci, gestore

di un negozio di generi alimentari ha dichiarato di lasciare la

gestione delle questioni amministrative ad un dipendente della Spir

non avendone alcuna conoscenza.

Consegue da quanto fin qui esposto che deve escludersi la sus

sistenza dell'elemento soggettivo negli imputati per errore inevita

bile sulla legge penale. Gli stessi devono, pertanto, assolversi con

la formula conseguente.

PRETURA DI PUTIGNANO; sentenza 1° marzo 1989; Giud.

Giorgio; imp. Taglia vanti.

Truffa — Reato — Esclusione — Fattispecie (Cod. pen., art. 640).

Non integra gli estremi della truffa, per mancanza del requisito

dell'ingiustizia del profitto, la mancata consegna, da parte del

venditore, di merci delle quali l'acquirente, indotto a confidare

in buona fede nell'esecuzione del contratto, abbia già pagato

il prezzo d'acquisto, ove l'inadempimento del venditore trovi

causa nell'intento di compensare sia pur parzialmente un credi

to liquido ed esigibile precedentemente vantato nei confronti

dello stesso compratore. (1)

Fatto e diritto. — A seguito della querela presentata in data

22 luglio 1988 da Sannicandro Giuseppe, Tagliavanti Matteo ve

niva tratto a giudizio dinanzi a questa pretura per rispondere del

reato di cui in epigrafe. All'udienza dibattimentale, interrogato l'imputato, che si pro

testava innocente, e udita la parte lesa, che confermava integral

mente la querela, parte civile, pubblico ministero e difesa conclu

devano come da verbale.

Il pretore osserva che i fatti esposti dal querelante risultano

effettivamente provati.

(1) La sentenza si inscrive nell'orientamento giurisprudenziale che esclude

la configurabilità della truffa, nei casi in cui gli artifici o raggiri siano

posti in essere per conseguire un profitto oggettivamente legittimo, come

ad es. nel caso in cui si miri appunto ad ottenere il pagamento di un

debito insoluto: cfr. Cass. 15 novembre 1969, Braida, Foro it., Rep. 1970,

voce Truffa, n. 24; App. Milano 27 giugno 1979, Temi, 1978 , 411 e mas

simata in Foro it., Rep. 1979, voce cit., n. 26.

Nel medesimo senso, in dottrina, De Marsico, Delitti contro il patri

monio, Milano, 1951, 146 s.; Marini, Truffa, voce del Novissimo dige

sto, Torino, 1973, XIX, 886.

Il Foro Italiano — 1989.

Invero, alla luce delle stesse dichiarazioni rese dall'imputato

(«. . . quindi il Sannicandro chiese di acquistare delle scatole per un importo di lire 1.600.000 come ho detto, versandomi la som

ma di lire 200.000 in contanti . . .») nonché della copia della ri

cevuta rilasciata dal Tagliavanti in data 4 giugno 1987 (e da que st'ultimo non disconosciuta) comprovante l'avvenuto versamento

della detta somma di lire 200.000 «in acconto fornitura», non

può dubitarsi che il Sannicandro corrispose, in via anticipata, al prevenuto il complessivo importo di lire 1.665.000 (di cui lire

1.465.000 con successivo assegno circolare) confidando nella con

segna della merce pattuita, cosi come il Tagliavanti gli aveva la

sciato credere, omettendo volontariamente di esternare l'intenzio

ne di imputare la detta somma a pagamento di precedenti crediti

o sottoscrivendo, altresì', la citata ricevuta del 4 giugno 1987, con

la quale espressamente si fa riferimento ad un acconto sulla futu

ra fornitura. Ne consegue che, avendo poi, il Tagliavanti attuato

il suo originario e reale proposito trattenendo il citato importo

di lire 1.665.000 senza più effettuare la prestazione cui si era ob

bligato, deve ritenersi integrata la fattispecie del reato in esame

per quel che concerne il raggiro (posto in essere dal Tagliavanti tramite la manifestazione della volontà, in realtà mai avuta, di

consegnare la merce pattuita), l'induzione in errore (del Sanni

candro, pur sicuro di poter confidare nell'esecuzione del contrat

to), il profitto (conseguito dal Tagliavanti e consistente nella ri

cossione dell'importo di lire 1.665.000) e il corrispondente danno

(patito da Sannicandro e riveniente dalla corresponsione, del det

to importo senza aver ricevuto la controprestazione).

Senonché, nel caso di specie, manca l'ingiustizia del profitto

conseguito dal prevenuto; sicché quest'ultimo non può essere di

chiarato penalmente responsabile del reato ascrittogli.

Invero, la difesa ha esibito quattro cambiali, per un importo

complessivo di lire 2.466.640, emesso dal Sannicandro in favore

della soc. Mataf (di cui è titolare il prevenuto) e mai pagate,

come, peraltro, ammesso dallo stesso querelante («effettivamente

non ho pagato le quattro cambiali che mi vengono mostrate. An

zi riconosco che vi era un debito residuo, ma non sono in grado

di quantificarlo»). Orbene, se è vero che, con la condotta innanzi evidenziata,

il Tagliavanti ha posto in essere un comportamento fraudolento

al fine di ottenere il (parziale) pagamento di un suo precedente

credito vantato nei confronti del Sannicandro, è altrettanto vero,

però, che il profitto conseguito non può essere qualificato ingiu

sto, proprio perché la somma percepita (carpendo, come detto,

la buona fede del querelante che confidava nella esecuzione del

contratto) era a lui comunque dovuta.

A tal riguardo si osserva che in dottrina si opina che ingiusto

è soltanto il profitto che non è in alcun modo — e cioè né diret

tamente né indirettamente — tutelato dall'ordinamento giuridico

e che non commette truffa chi, ad es., con artifizi o raggiri si

fa consegnare dal suo debitore una somma che corrisponde ad

un suo credito liquido ed esigibile. In giurisprudenza, peraltro, è stato affermato che «allorquan

do il titolare di un diritto, per raggiungere un fine lecito, come

ad esempio l'osservanza da parte di terzi di obblighi a cui questi

sono tenuti e, quindi, nell'esercizio di un proprio diritto, ricorre

al sotterfugio, non commette illecito penalmente punibile perché

la legittimità del fine che intende perseguire, legittima, in tal ca

so, anche il mezzo a cui è ricorso per conseguirlo, purché da

solo detto mezzo non sia illecito» (App. Milano 27 gennaio 1979,

Foro it., Rep. 1979, voce Truffa, n. 26; Cass. 15 novembre 1969,

Braida, id., Rep. 1970, voce cit., n. 24).

Orbene, è innegabile che nel caso di specie l'imputato, titolare

di un credito liquido ed esigibile (in virtù delle dette cambiali,

già da tempo scadute) nei confronti del Sannicandro, è riuscito

ad ottenere la soddisfazione (parziale) del proprio diritto ricor

rendo all'inganno. Ciononostante, la legittimità del fine persegui

to e cioè il conseguimento di una somma che gli era dovuta fa

si che il profitto realizzato non possa essere qualificato ingiusto;

conseguentemente, la condotta tenuta dal prevenuto non è penal

mente sanzionabile.

Per le ragioni innanzi esposte Tagliavanti Matteo va assolto

dal delitto ascrittogli perché il fatto non costituisce reato.

All'assoluzione dell'imputato consegue la condanna del quere

lante, ex art. 382 e 482 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

Vanno, infine, compensate integralmente tra le parti le spese

processuali sostenute dalla difesa dell'imputato, con conseguente

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