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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 13 marzo 1990; Pres. Gaeta, Est. Sernia; imp. Murra

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sentenza 13 marzo 1990; Pres. Gaeta, Est. Sernia; imp. Murra Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1990), pp. 677/678-683/684 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183675 . Accessed: 28/06/2014 08:18 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 141.101.201.172 on Sat, 28 Jun 2014 08:18:25 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 13 marzo 1990; Pres. Gaeta, Est. Sernia; imp. MurraSource: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1990), pp.677/678-683/684Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183675 .

Accessed: 28/06/2014 08:18

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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GIURISPRUDENZA PENALE

Problema preliminare alla definizione della posizione proces suale dei prevenuti, è quello della qualificazione giuridica del con

tratto stipulato fra i medesimi, in qualità di titolari della Hinter

nordis s.n.c., e le diverse case editrici loro fornitrici della stampa

commercializzata, e ciò al fine di stabilire se l'attività svolta dagli

imputati possa essere sussunta sotto lo schema della «prestazione di servizio», cosi come specificato nel capo di imputazione.

Orbene, ritiene il collegio che dalle acquisizioni documentali

e segnatamente dalle dichiarazioni testimoniali rese da Pulitanò

Crescenzo e Flauto Fulvio, emerge la prova che la natura giuridi ca del rapporto in parola è quella di un contratto traslativo della

proprietà della merce sopra menzionata (stampa periodica).

Risulta, infatti, che le società editrici emettono fatture nei con

fronti della Hinternordis s.n.c. comprensive del margine di gua

dagno della stessa, rappresentato da uno sconto di circa il 25-30%

del prezzo di vendita al pubblico di ciascuna pubblicazione. É

prassi comune che la fatturazione a prezzo pieno del bene vendu

to, se pur scontato, implica il trasferimento della proprietà dello

stesso dal cedente al cessionario, a nulla rilevando la circostanza

che l'emissione della fattura avvenga in epoca successiva a quella dell'entrata del bene nella disponibilità del cessionario: difatti, è solo in quel momento che, determinato l'esatto ammontare del

la merce venduta, è possibile alla società distributrice saldare il

debito assunto nei confornti della casa editrice. In sostanza dal

succitato sistema di contabilizzazione si evince chiaramente che

il margine di guadagno del distributore, sia pure sotto forma di

sconto, viene comunque fatturato a monte dall'editore, salvo poi essere realizzato in concreto dal distributore mercé la vendita a

prezzo pieno del bene. Di conseguenza, il profitto della Hinter

nordis s.n.c., costituito dalla differenza tra il prezzo pagato all'e

ditore e quello corrisposto dal rivenditore, non può essere assimi

lato ad una provvigione intesa in senso tecnico, che presuppone invece la mancata traslazione della proprietà del bene tra il primo e il secondo, bensì il profitto derivante dall'esercizio autonomo

di una attività commerciale da parte del distributore stesso.

Inoltre, la fatturazione dei beni nei confronti del distributore

e non già nei confronti dei rivenditori (edicolanti, ecc.), esclude la sussistenza di un rapporto del tipo «agenzia, mediazione» in

tercorrente tra i primi due soggetti, circostanza questa che con

forta ulteriormente la tesi dell'effetto traslativo della proprietà dei beni in capo al distributore.

Definito riscontro alla prospettata natura giuridica dei rapporti tra casa editrice e società distributrice è costituita indubbiamente

dalla circostanza che il rischio del perimento dei beni è assunto

contrattualmente da quest'ultima sin da quando entra nella mate

riale disponibilità dei beni medesimi nonché dal fatto che il distri butore non ha alcun potere di rappresentanza dell'editore, agen do per nome e conto proprio.

Tributi in genere, n. 1152, fa riferimento al bene-interesse tutelato dalla

norma per giungere alle medesime conclusioni: mirando la norma ad evi

tare il pericolo dell'evasione fiscale, la contravvenzione di cui all'art. 1, ultimo comma, 1. 516/82 non sussiste se la constatata irregolarità risulti

in concreto, per la perfetta tenuta degli altri documenti e scritture conta

bili, «sicuramente e assolutamente inoffensiva». Identica ratio argomen tativa si rinviene in Trib. Torino 12 gennaio 1987, id., Rep. 1987, voce

cit., n. 1154, la quale ritiene non punibile un lieve ritardo nell'annotazio ne delle operazioni giornaliere sul registro Iva dei corrispettivi, trattando si di «fatto innocuo». In relazione ad un'ipotesi di «ravvedimento opero so», ma facendo leva, questa volta, sul principio del favor rei, si pronun cia in maniera analoga lo stesso tribunale, con sentenza 6 marzo 1987,

ibid., voce Valore aggiunto, n. 294; da ultimo, v. Trib. Larino 13 aprile 1988, id., 1989, II, 327, con nota di richiami.

In dottrina, Marcelli, La contravvenzione per irregolare tenuta e man

cata conservazione di scritture contabili obbligatorie (ult. comma, art.

I della legge 516/1982), in Comm. trib. centr., 1987, II, 473 e Debidda,

Appunti sulla contravvenzione di cui all'art. 1, 6° comma, della legge

515/1982, in Fisco, 1985, 4626. Più in generale, Caratozzolo, Scritture

contabili obbligatorie ai fini fiscali. Omessa o irregolare tenuta e conser

vazione. Considerazioni sull'elemento materiale del reato (art. 1, ultimo

comma della legge 516/1982), id., 1984, 1657 e Zoppis, Contravvenzioni e delitti nel nuovo contenzioso tributario penale: l'art. 1 legge 516/1982

pronto per l'uso, in Comm. trib. centr., 1983, II, 473. Tra i contributi

più recenti, v. Della Valle, L'art. 1, 6° comma, legge 516/1982 - l'o

messo «impianto» delle scritture contabili, in Fisco, 1988, 6384.

II Foro Italiano — 1990.

Sulle basi delle considerazioni sopra esposte vengono a manca

re gli elementi oggettivi della fattispecie penale in contestazione

sub a), e, pertanto, gli imputati debbono essere assolti dalla rela

tiva imputazione perché il fatto non sussiste.

Quanto al capo b) della rubrica, osserva il collegio che le irre

golarità nella tenuta delle scritture contabili e cioè la omessa in

terlineatura degli ultimi fogli di alcuni registri contabili — fatto ammesso nella sua materialità dall'imputato Pezzotta Renato nel

corso dell'istruttoria dibattimentale — non sono tali da compro mettere la generale funzione probatoria risconosciuta dalla legge alle scritture medesime; non essendosi, pertanto, realizzato l'e

vento di mero pericolo previsto dall'art. 1, 6° comma, 1. 516/82, entrambi i prevenuti devono essere assolti dalla predetta imputa zione perché il fatto non sussiste.

TRIBUNALE DI LECCE; sentenza 13 marzo 1990; Pres. Gae

ta, Est. Sernia; imp. Murra.

TRIBUNALE DI LECCE;

Tributi in genere — Reato tributario — Frode fiscale — Simula zione o dissimulazione di componenti del reddito — Fattispecie

(L. 10 luglio 1982 n. 429, norme per la repressione della eva

sione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributa

ria, art. 4; 1. 7 agosto 1982 n. 516, conversione in legge, con

modificazioni, del d.l. 10 luglio 1982 n. 429, art. 1).

La condotta di simulazione o di dissimulazione di componenti del reddito, di cui all'art. 4, n. 7, I. 516/82, è integrata con

la semplice esposizione, nella dichiarazione dei redditi, di dati fittizi o non veritieri circa la consistenza dei ricavi conseguiti o delle spese sostenute (in motivazione si afferma in particolare che l'alterazione del risultato della dichiarazione dei redditi rap

presenta l'evento costitutivo del delitto e non una mera condi

zione obiettiva di punibilità, e si esclude che le mendaci dichia razioni del soggetto agente debbano essere caratterizzate da un

particolare connotato di fraudolenza). (1)

(1) La pronuncia denota il permanere di una certa divergenza applica tiva rispetto alla fattispecie di frode fiscale prevista dall'art. 4, n. 7, 1. 516/82. La sentenza muove preliminarmente da una critica delle soluzioni

interpretative accolte dalla Corte costituzionale con sentenza 16 maggio 1989, n. 247 (Foro it., 1989, I, 1685, con nota di ulteriori riferimenti

e commento di G. Insolera e M. Zanottt, L'intervento interpretativo della Corte costituzionale sulle ipotesi di frode fiscale ex art. 4, n. 7, /. n. 516'del 1982), escludendo, in particolare, che l'alterazione in misura rilevante del risultato della dichiarazione dei redditi possa integrare una mera condizione obiettiva di punibilità del delitto de quo. Anche a pre scindere da un ulteriore approfondimento di tale aspetto (più direttamen

te, sul punto, v. la nota di commento innanzi citata), è tuttavia possibile rilevare una parziale contraddittorietà della sentenza in epigrafe: come

si riconosce in motivazione, la rinuncia a seguire siffatta soluzione inter

pretativa riapre inevitabilmente il problema relativo alla legittimità costi

tuzionale, sotto il profilo della tassatività, dell'elemento di fattispecie con

siderato; problema che però, ciò non ostante, il tribunale reputa nella

specie privo della necessaria rilevanza «atteso che le componenti di reddi to di cui all'imputato si contesta la dissimulazione sono tali da integrare sicuramente i requisiti dell'alterazione in misura rilevante del risultato della dichiarazione». L'assunto potrebbe tuttavia rivelarsi inconferente

rispetto alla portata della questione stessa, posto che, in quanto assunto

quale elemento costitutivo della fattispecie, il necessario grado di deter

minatezza del dato relativo alla «rilevanza dell'alterazione» dovrebbe poter essere apprezzato già in astratto, sul piano della stessa formulazione della

norma, e non invece con riferimento alla sola dimensione concreta del fatto

giudicato. Rispetto alla ricostruzione interpretativa operata in sentenza, privo di valore potrebbe del resto apparire lo stesso esplicito richiamo ai criteri

valutativi indicati dalla sentenza della Corte costituzionale: come è noto,

infatti, tali criteri vengono assunti da quest'ultima pronuncia per valutare

della tassatività del requisito della rilevanza dell'alterazione non rispetto al

l'art. 25 Cost, (riferimento necessario per quanto attiene ad eie

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PARTE SECONDA

Motivi della decisione. — Va preliminarmente risolta, in dirit

to, la questione attinente alla condotta sanzionata dalla norma

di cui all'art. 4, punto 7,1. 516/82, la cui violazione è contestata

all'imputato, e che il legislatore indica nella simulazione di com

ponenti negative o dissimulazione di componenti positive del red

dito, in modo da alterare in maniera rilevante il risultato della

dichiarazione. Il contrasto giurisprudenziale e dottrinario è, in particolare, in

centrato appunto sul significato dei termini «simulare» e «dissi

mulare», controvertendosi se — ad integrare le indicate condotte — sia sufficiente la mendace esposizione, nella dichiarazione dei

redditi, di componenti positive o negative, o se per contro non

sia necessario il ricorso a particolari artifici aventi capacità de

cettiva.

In tale ultimo senso si è pronunziata, con sentenza 16 maggio

1989, n. 247 (Foro it., 1989, I, 1685) la Corte costituzionale deci

dendo sul difetto o meno di tassatività della norma di cui all'art.

4, n. 7, 1. 516/82 nella parte in cui richiede che l'alterazione del

risultato della dichiarazione sia stata compiuta «in misura ri

levante».

Ritiene il tribunale di dovere motivatamente disattendere tale

autorevole pronunzia la quale, rientrando tra le decisioni definite

«interpretative di rigetto», non è vincolante per questo giudican

te, come diffusivamente è ritenuto in giurisprudenza e dottrina.

La corte ha ritenuto di poter superare la questione attinente

al difetto di determinatezza del concetto di «misura rilevante»

ritenendo lo stesso non già elemento costitutivo della fattispecie, ma condizione oggettiva di punibilità, atta a selezionare, tra fatti

tutti egualmente illeciti, i più gravi, meritevoli della sanzione

penale. Di conseguenza, l'elemento discretivo tra la fattispecie di cui

all'art. 4, n. 7, e quelle di cui all'art. 1, 2° comma, 1. 516/82

non può fondarsi sull'elemento dell'alterazione in misura rilevan

te — che non è elemento costitutivo della fattispecie, ma condi

zione ad essa esterna — andando invece ricercato nelle modalità

della condotta: genericamente omissive quelle di cui all'art. 1, 2° comma, «attivamente» decettive quelle di cui all'art. 4 — e

perciò maggiormente meritevoli di pena — consistendo le con

dotte si simulazione e dissimulazione in comportamenti «corri

spondenti a quelli già previsti dai n. da 1 a 6 del medesimo art.

4 1. 516/82. Ritiene il tribunale che la corte, nello sforzo di superare le sol

levate eccezioni di incostituzionalità e di procedere alla difficile interpretazione sistematica della 1. 516/82 — la quale indubbia

mente pecca di un'eccessiva casistica sanzionatoria a discapito di

una razionale tipologia di condotte aggressive di determinati beni

interessi — sia incorsa in alcuni errori logico-giuridici che merita

no rispettosa censura.

Preliminarmente, erronea si appalesa la qualificazione dell'al

terazione in «misura rilevante» quale condizione obiettiva di pu nibilità. Per costante giurisprudenza e dottrina, infatti, tale con

dizione si caratterizza quale evento non causalmente né psicologi camente collegato alla condotta dell'agente, mentre — nella

fattispecie di cui all'art. 4, n. 7, 1. 516/82 — l'alterazione in mi

sura rilevante ne è la diretta e necessaria conseguenza, a seguito della compiuta simulazione o dissimulazione.

menti costitutivi della fattispecie), ma solo in ragione di un'applicazione conforme alle esigenze di uguaglianza postulate dall'art. 3 Cost.

Rispetto all'interpretazione dei concetti di simulazione e dissimulazione delle componenti del reddito, v. comunque l'orientamento che ha caratte rizzato la stessa giurisprudenza della Corte suprema: in particolare, v. sent. 11 marzo 1987, Lapiccirella, id., 1987, II, 569, con note di com mento di M. Boschi, In tema di frode fiscale, e di G. Insolera e M.

Zanotti, La prima sentenza della Cassazione in tema di frode fiscale: deluse le aspettative di un chiarimento; 3 luglio 1989, Vangelisti, id., 1990, II, 91, con nota di G. Insolera e M. Zanotti, Dal reato di infedele dichiarazione dei redditi al reato di infedeltà fiscale; 14 dicembre 1989, Gilardi, ibid., 225, con nota di G. Insolera e M. Zanotti, Frode fiscale. Art. 4, n. 7, I. 516/82: una controversia in via di soluzione; in argomen to, da ultimo, App. Milano 11 aprile 1990, che in questo fascicolo, II, 670, nonché Cass., sez. un., 6 luglio 1990, P.m. c. De Candia, che sarà

riportata in uno dei prossimi fascicoli. [A. Melchionda].

Il Foro Italiano — 1990.

Inoltre, come la stessa corte ha avuto occasione di rilevare in

precedenti pronunzie, la condizione obiettiva di punibilità non

può concorrere alla definizione della giuridica offensività del fat

to, realizzandosi altrimenti un regime di responsabilità oggettiva, la cui legittimità costituzionale è stata incidentalmente esclusa,

per violazione dell'art. 27 Cost., dalla stessa corte (vedi sentenze

n. 364/88, id., 1988, I, 1385 e n. 1085/88, id., 1989, I, 1378). Indubbiamente, l'alterazione in misura rilevante attiene alla stes

sa offensività del fatto, se è vero che oggetto giuridico delle fatti

specie di cui all'art. 4 1. 516/82 è l'interesse patrimoniale-fiscale dello Stato (tant'è che tutte le condotte di cui alla citata norma

si caratterizzano per l'intento elusivo dell'imposizione); sicché ap

pare infondato ritenere il reato de quo un reato caratterizzato

dalla semplice modalità della condotta.

Infondato, ancora, si appalesa l'asserto della corte che i fatti

previsti e puniti dall'art. 4, n. 7, 1. 516/82 sarebbero già tutti

illeciti, sicché la misura dell'alterazione atterrebbe non già all'of

fensività, ma all'opportunità di selezionare, tra più fatti offensi

vi, quelli meritevoli di sanzione. Nel nostro ordinamento, infatti,

vige il principio di illegalità penale formale: è reato solo ciò che

la legge definisce tale, mentre non è reato ciò che manca degli elementi costitutivi indicati dalla legge. La dichiarazione dei red diti menzognera non è, di per sé, condotta sanzionata penalmen

te; il mendacio, per contro, acquista rilevanza penale solo quan do sia realmente offensivo: la necessità di una alterazione in mi

sura rilevante è, prima ancora che espressione di un criterio di

opportunità, il precipitato normativo concreto del principio di

offensività la cui operatività, spesso negletta dal legislatore, è on

nipresente nella fattispecie di cui alla 1. 516/82, la cui punibilità è normalmente subordinata al superamento di una determinata

voglia minima. A conferma della ritenuta natura di condizione obiettiva di pu

nibilità dell'alterazione «in misura rilevante», la corte ha addotto

che essa mai potrebbe essere considerata elemento costitutivo del

la fattispecie, essendo impensabile che la stessa possa essere og

getto del particolare dolo intenzionale caratterizzante la fattispe cie di cui all'art. 4 1. 516/82. Neanche tale obiezione appare con

divisibile. Infatti, oggetto del solo specifico è solamente lo scopo individuato nella premessa di cui all'art. 4: «al fine di evadere

le imposte sui redditi o l'imposta sul valore aggiunto, o di conse

guire un indebito rimborso ovvero di consentire un indebito rim

borso o l'evasione a terzi»: sicché, l'alterazione in misura rilevan

te, come tutti gli altri elementi della fattispecie, ben potrà essere

oggetto del normale e sufficiente dolo generico; nessuna difficol

tà, comunque, si scorge anche a voler ritenere che la misura del

l'alterazione sia oggetto di dolo specifico, atteso che l'agente nor

malmente vuole conseguire una determinata evasione, conscio della

sua entità, che non gli può non essere chiara nel momento in

cui presenta la mendace dichiarazione.

Pertanto, nulla opponendosi — a parere di questo tribunale — a ritenere elemento costitutivo del reato la misura dell'altera

zione, ne consegue la non necessarietà di valorizzare — quale elemento caratterizzante della fattispecie — la modalità della con

dotta, e quindi la necessità della sussistenza di peculiari artifici, valida prospettandosi, per contro, la tesi che, ad integrare la con

dotta di simulazione o dissimulazione, siano bastevoli le mendaci

dichiarazioni del soggetto d'imposta di cui all'art. 4, n. 7,1. 516/82.

Non sfugge a questo tribunale che, cosi impostata la soluzione

della controversia, risorgerebbe la questione della legittimità co

stituzionale della norma per indeterminatezza di quello che si è

ritenuto un suo elemento costitutivo. Ancor prima di pronunziar si sulla fondatezza della questione (e potendosi osservare che i

criteri indicati in sentenza dalla Corte costituzionale si appalesa no già di per sé sufficienti a garantire la certezza della norma) il tribunale ritiene la non rilevanza della questione, in concreto, ai fini del presente giudizio, atteso che le componenti di reddito di cui all'imputato si contesta la dissimulazione sono tali da inte

grare sicuramente i requisiti dell'alterazione, in misura rilevante, del risultato della dichiarazione. Comunque, anche ad accedere

all'autorevole opinione della corte circa la natura dell'alterazione

«in misura rilevante», egualmente il tribunale ritiene di doverne

disattendere le conseguenti conclusioni circa l'essenza delle con

dotte integranti i concetti di simulazione e dissimulazione.

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GIURISPRUDENZA PENALE

Tali condotte, a giudizio della corte, non possono essere ridot

te alla mera esposizione di dati non veritieri nella dichiarazione

dei redditi, conseguendone altrimenti un'illogica sovrapposizione tra le condotte di cui all'art. 1, 2° comma, e quelle di cui all'art.

4, n. 7, 1. 516/82, le prime contravvenzionali — e subordinate

al raggiungimento di un elevato tetto massimo — le seconde, in

vece, delittuose, e non subordinate al raggiungimento di alcun

tetto preordinato, ma solo alla rilevanza dell'alterazione del risul

tato della dichiarazione dei redditi. Il tribunale ritiene agevol mente superabile tale ultima obiezione, solo che si proceda ad

un attento esame delle diverse fattispecie di cui, rispettivamente,

agli art. 1 e 4 1. 516/82.

È quindi possibile rilevare immediatamente una prima impor tante distinzione: mentre il reato di cui all'art. 4, n. 7, 1. 516/82

si presenta come reato con dolo specifico di offesa (il fine di

eludere l'imposizione fiscale) e con evento, quanto meno, di peri colo (non potendo dubitarsi che la simulazione di componenti

negative o la dissimulazione di componenti positive costituisca

atto idoneo alla sottrazione di reddito al potere impositivo dello

Stato), i reati puniti ai nn. 1), 2) e 3) dell'art. 1, 2° comma, si presentano quali condotte meramente contravvenzionali, e quindi indifferentemente punibili a titolo di dolo (anche generico od even

tuale) o, addirittura, di colpa, giusto il generale disposto dell'art.

42, ultimo comma, c.p. Tale distinzione trova la propria giustificazione nella diversa

offensività dei fatti sanzionati: l'uno è delitto, in quanto la con

dotta incide sulla dichiarazione dei redditi e, quindi, direttamente

sulla pretesa tributaria dello Stato (evento di pericolo); gli altri

sono contravvenzioni, venendo sanzionate mere omissioni conta

bili che, di per sé, non pongono ancora in concreto pericolo la

pretesa fiscale dello Stato, essendo sempre possibile che il contri

buente esponga il vero nella propria dichiarazione dei redditi: ipo

tesi, quest'ultima, espressamente prevista dall'art. 1, 4° comma, 1. 516/82, che in tal caso prevede la non punibilità delle condotte

di cui al 2° comma medesimo articolo, che non siano già state

accertate.

Tutto ciò conferma che, mentre l'ipotesi delittuosa di cui al

l'art. 4, n. 7, 1. 516/82 è reato di offesa (almeno sotto il profilo della concreta messa in pericolo), le ipotesi di cui all'art. 1 mede

sima legge sono reati di mera condotta, senza evento (nemmeno in senso giuridico), appartenenti chiaramente alla categoria dei

reati-ostacolo, e cioè di quei fatti, di per sé inoffensivi, ma che

tuttavia vengono sanzionati in quanto idonea premessa al compi mento di fatti offensivi (come, nel caso de quo, proprio le men

daci dichiarazioni di cui all'art. 4, n. 7, 1. 516/82); categoria di reati la cui illegittimità costituzionale — per violazione del princi

pio di offensività — è per unanime dottrina esclusa ogni qualvol ta le condotte penalmente sanzionate costituiscano concretamente

idonea premessa alla consumazione di reati di offesa di beni

interessi non adeguatamente tutelabili se non anticipando, appunto, la soglia di tutela degli stessi attraverso la previsione di una san

zione penale per fatti che, al più, potrebbero rientrare — in base

ai principi generali del diritto penale — nella categoria degli atti

preparatori non punibili. Ne consegue, quindi, che esattamente la giurisprudenza di me

rito e di legittimità ha ritenuto che le ipotesi di cui al 2° comma

dell'art. 1 e quella di cui all'art. 4, n. 7, siano in rapporto di

progressione criminosa, con esclusione quindi dell'ipotizzabilità di un concorso tra le fattispecie di cui ai distinti menzionati arti

coli. Ed infatti, come già accennato, le condotte sanzionate dai

nn. 1) e 2) dell'art. 1, 2° comma, 1. 516/82 consistono nella omessa

o mendace annotazione nelle sole scritture contabili obbligatorie ai fini fiscali (imposte sui redditi Iva) — o nella omessa o menda

ce fatturazione — di corrispettivi di cessioni di beni o di presta

zione di servizi: fatti che normalmente si pongono quali atti pre

paratori rispetto all'evasione dell'imposta, che si realizza (art. 4,

n. 7) con il mendacio nella dichiarazione dei redditi (o nelle scrit ture contabili obbligatorie — non ai fini fiscali ma — ai sensi dell'art. 2214 c.c., che forniscono la base del bilancio la cui uni

cità, ai fini civilistici e tributari, si riflette alla fine nella mendaci tà della dichiarazione stessa: tant'è che la norma prevede come

evento proprio l'attuazione della menzionata dichiarazione). L'aver munito di sanzione penale condotte in sé non offensive,

Il Foro Italiano — 1990.

ma considerate premessa idonea — anche se non univoca — del

compimento di atti di evasione dell'imposizione, ha imposto al

legislatore di selezionare, tra le diverse irregolarità fiscali, quelle realmente e concretamente suscettibili di costituire una tappa nel

la consumazione dell'alterazione in misura rilevante del risultato

della dichiarazione dei redditi: ciò spiega perché sia stata fissata

una soglia di puniblità anche per le condotte previste punite nel

2° comma dell'art. 1 I. 516/82, apparendo altrimenti ingiustifica to sanzionare penalmente quelle che — in difetto di una suffi

ciente univocità della condotta — consistono in mere irregolarità

formali, che il contribuente potrebbe sempre sanare prima della

presentazione della dichiarazione dei redditi, la quale quindi po trebbe anche essere resa, alla fine, in maniera veritiera e tras

parente.

Riassumendo, l'art. 4 1. 516/82 ha ad oggetto condotte ben

distinte da quelle di cui ai nn. 1) e 2) dell'art. 1, 2° comma, medesima legge, ed altrettanto distinti sono, pertanto, i reati pre visti e puniti, rispettivamente, dai due articoli menzionati; per

tanto, non appare ipotizzabile alcuna irrisolvibile sovrapposizio ne tra le considerate condotte, le quali anzi, normalmente, non

potranno nemmeno concorrere tra di loro, ponendosi in un rap

porto di progressione criminosa. Viene meno, pertanto, la princi

pale ragione argomentativa portata dalla corte a sostegno della

tesi della necessaria ricorrenza di un quid pluris — rispetto alla

semplice omissione mendace — ad integrare la nozione di simula

zione o dissimulazione; né alcun altro argomento appare sostene

re con sufficiente saldezza tale tesi.

I termini «simulare» e «dissimulare» sicuramente indicano un

comportamento di alterazione o nascondimento del vero, ma si

connotano per una ontologica genericità nella descrizione delle

condotte occultatrici della verità; né a livello sistematico è possi bile rinvenire, nelle varie branche del diritto, una nozione di «si

mulazione» che deponga a sostegno della tesi sposata dalla corte:

va anzi rilevato che la condotta simulatrice per eccellenza è quella

disciplinata negli art. 1414 ss. c.c., e mai si è dubitato della ricor

renza della figura del contratto di simulazione anche in assenza

di specifiche condotte artificiose poste in essere dalle parti; per restare nell'ambito del diritto penale, può infine osservarsi che,

unanimi, dottrina e giurisprudenza, hanno ripetutamente affer

mato che, ad integrare il delitto di truffa — altra figura di simu

lazione (nel senso di alterazione del vero) per eccellenza — «an

che la semplice affermazione menzognera può costituire raggiro idoneo ad integrare l'elemento materiale del delitto in esame, quan do sia presentata in modo tale da assumere l'aspetto della verità

e sorprendere l'altrui buona fede» (Cass. 9 febbraio 1977, Rossi

gnolo, id., Rep. 1978, voce Truffa, n. 14). A tal proposito, va sottolineata l'idoneità decettiva di una di

chiarazione dei redditi compilata in aderenza a scritture contabili

regolarmente tenute, e quindi altamente affidabili, ma mendaci;

come è noto, le stesse norme disciplinanti la materia tributaria

riconoscono tale estrema affidabilità, ponendo gravi limiti ed osta

coli all'esperimento — da parte degli uffici finanziari — di accer

tamenti induttivi sulla consistenza del reddito quando il contri

buente possa esibire scritture contabili perfettamente tenute. Tale

osservazione, unitamente alla considerazione circa l'unicità della

nozione di bilancio ai fini tributari ed ai fini civilistici, consente

di comprendere la scelta dei termini «simulare» e «dissimulare»,

operata dal legislatore nella consapevolezza dell'efficace messa

in scena realizzabile tramite presentazione di una dichiarazione

dei redditi, mendace, ma perfettamente conforme a scritture con

tabili prefettamente tenute.

Per contro, la soluzione adottata dalla corte, e consistente nel

la richiesta del menzionato quid pluris, da ricercarsi in condotte

«corrispondenti» a quelle sanzionate nei n. 1-6 del medesimo art.

4, non appare praticabile e condurrebbe ad effetti vanificatori

della tutela del potere impositivo dello Stato.

Le norme di cui ai nn. 1 ss. dell'art. 4 1. 516/82 appaiono

infatti esaurire completamente la gamma delle condotte artificio

se — diverse dal semplice mendacio — praticabili dal contribuen

te intenzionato ad evadere le imposte o ad ottenere indebiti rim

borsi: infatti, non può ipotizzarsi simulazione o dissimulazione nella dichiarazione dei redditi se non tramite l'utilizzo di docu

menti o pezze d'appoggio falsi materialmente o ideologicamente:

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PARTE SECONDA

condotte tutte, queste, già sanzionate dai nn. 1, 3 e 5 dell'art.

4. Né può ritenersi che la corte possa aver inteso richiedere l'uti

lizzazione di espedienti corrispondenti (questa volta senza virgo

lettatura), e cioè coincidenti, con quelli di cui al medesimo art.

4: in tal caso, infatti, la norma di cui al n. 7 medesimo articolo

cesserebbe di avere qualsiasi autonomia e ragion d'essere, e non

troverebbe verosimilmente mai applicazione, limitandosi a san

zionare, e con la stessa pena, fatti già puniti dalle norme di cui

ai n. 1-6 dell'art. 4, pur avendo ad oggetto fatti maggiormente offensivi (alterazione del risultato della dichiarazione in misura

rilevante). In conclusione, questo tribunale ritiene, pertanto, sufficienti

ad integrare le nozioni di simulazione e dissimulazione — di cui all'art. 4, n. 7,1. 516/82 — la semplice esposizione, nella dichia razione dei redditi, di dati fittizi o non veritieri in relazione ai ricavi conseguiti ed alle spese sostenute. (Omissis)

TRIBUNALE DI MILANO; ordinanza 2 marzo 1990; Pres. Mar

ra, Rei. D'Isa; imp. Z. TRIBUNALE DI MILANO;

Misure cautelari personali — Procedimenti in corso alla data di

entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale — Eva

sione — Nuova decorrenza dei termini di custodia cautelare — Limiti (Cod. proc. pen. del 1988, art. 303; norme att., coord,

e trans, cod. proc. pen. del 1988, art. 251; cod. proc. pen. del 1930, art. 272).

Nel caso di evasione di imputato già sottoposto a custodia caute

lare al momento dell'entrata in vigore del nuovo codice di pro cedura penale i termini della custodia iniziano nuovamente a

decorrere dal momento del suo ripristino ai sensi dell'art. 303,

3° comma, c.p.p. del 1988 ma, per il disposto dell'art. 251

norme att., coord, e trans, del medesimo codice, la durata del

la custodia non può superare i termini previsti dalle norme del

codice abrogato. (1)

(1) Non constano precedenti. La novità, rispetto al codice abrogato, della disposizione che prevede

la decorrenza, ex novo, dei termini della custodia cautelare in caso di

evasione, è sottolineata da Dubolino - Baolione - Bartolini, Il nuovo codice di procedura penale illustrato per articolo, Piacenza, 1990, 566, sub art. 303, nonché da Ascione - De Biase, La libertà nel nuovo proces so penale, Milano, 1990, 300, i quali ne rilevano l'opportunità eviden ziandone l'analogia con quanto similmente previsto dall'art. 307 c.p.p. del 1988 nell'ipotesi di dolosa trasgressione alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare disposta nei confronti di imputato scarcerato per decorrenza dei termini o nel caso in cui, sopravvenuta sentenza di con danna in primo o secondo grado, l'imputato si dia alla fuga o si accerti concreto pericolo di fuga ex art. 274, 1° comma, lett. b).

Sulle disposizioni transitorie del nuovo codice di procedura penale, ve

di, in dottrina, Ciani, Le disposizioni transitorie deI nuovo codice di pro cedura penale, in Documenti giustizia, 1989, fase. 9, 79; Frigo, Linea menti del regime transitorio, in Commentario del nuovo codice di proce dura penale a cura di Amodio-Dominioni, Milano, 1989, I, LI.

• » *

La decisione riportata si presta a radicali obiezioni: i giudici milanesi non hanno minimamente considerato che, per quanto rilevabile dai dati

testuali, l'evasione dell'imputato si verificò quando ancora non era spira to, in relazione alla fase processuale in corso, il termine massimo di cu stodia cautelare stabilito dal codice abrogato e, comunque, in epoca suc cessiva all'entrata in vigore del nuovo codice.

In siffatta situazione, una volta ritenuta applicabile, anche ai procedi menti in corso la citata disposizione di cui all'art. 303, 3° comma, c.p.p. del 1988 e trattandosi di decorrenza ex novo del termine di custodia cau telare in conseguenza di evento verificatosi sotto il vigore della nuova

disciplina, sarebbe parso corretto applicare senz'altro il termine, peraltro, più breve, da quest'ultima previsto in relazione alla fase in corso a far

Il Foro Italiano — 1990.

Rilevato: che l'impugnato provvedimento si basa sulla conside

razione di un nuovo decorso dei termini di custodia a far tempo dal 3 novembre 1989, data in cui allo Z (originariamente detenu

to dal 16 febbraio 1989) sono stati revocati gli arresti domiciliari concessigli con provvedimenti del 5 giugno e 5 luglio 1989;

che non si ritiene di condividere tale considerazione, in quanto l'ambito di applicazione dell'art. 272, 11° comma, c.p.p. abroga to non può essere esteso all'ipotesi di evasione dagli arresti domi

ciliari o comunque violazione degli obblighi connessi agli arresti domiciliari, non essendo consentita alcuna estensione analogica delle norme limitative della libertà personale, sul piano sostanzia

le e su quello processuale, e trovando, inoltre, l'evasione, già una

specifica sanzione nel diritto sostanziale;

che, del resto, l'art. 251 disp. trans, c.p.p., da un lato contiene

il rinvio all'osservanza delle «disposizioni del codice sui termini di durata della custodia» cautelare calcolati a decorrere dall'en

trata in vigore del nuovo codice di procedura penale, da cui può fondatamente desumersi — in via di mera interpretazione della

disciplina dettata dal legislatore per la fase transitoria — l'appli cabilità anche del 3° comma dell'art. 303 c.p.p. (relativo a nuovo

decorso dei termini di custodia cautelare in caso di evasione), in quanto facente parte delle disposizioni sui termini di custodia

contemplati dallo stesso art. 303 c.p.p.; d'altro lato, tuttavia, lo

stesso art. 251 citato, stabilisce che la durata della custodia caute

lare «non può superare i termini previsti dalle norme del codice

abrogato», cosi ponendo una sorta di durata invalicabile nel regi me transitorio;

che, alla data odierna, tenuto conto dell'imputazione ex art.

71 1. 685/75, deve constatarsi il decorso del termine di un anno

previsto dal codice di procedura penale abrogato, onde va dispo sta la scarcerazione dell'imputato;

per questi motivi, ordina l'immediata scarcerazione di Z. G.

se non detenuto per altra causa.

tempo dal ripristino della custodia, non creandosi alcuna interferenza tra le diverse discipline succedutesi nel tempo, salvo il rispetto, se più favore vole all'imputato, del termine massimo complessivo previsto dalla nor mativa precedente, essendo la custodia iniziata sotto il vigore della me desima.

Del tutto fuori luogo sembra, dunque, tanto il riferimento del giudice istruttore al disposto dell'art. 272, 11° comma, c.p.p. del 1930 (che, co me si argomenta nell'ordinanza riportata, non prevedeva la fattispecie in esame né poteva ritenersi suscettibile di applicazione analogica in mo larti partem) quanto l'applicazione, da parte del tribunale, del termine

previsto dalla disciplina pregressa a decorrere dalla data dell'originaria instaurazione della custodia cautelare, laddove la vicenda avrebbe dovuto essere integralmente regolata dalla previsione del nuovo art. 303, 3° com

ma, facendosi decorrere ex novo il termine di custodia cautelare dal ripri stino della stessa in conseguenza dell'intervenuta evasione, con piena ap plicazione della nuova disciplina e, come già precisato, con il solo even tuale limite della durata massima complessiva della custodia stabilita dal

regime processuale abrogato. Alla stregua delle considerazioni che precedono il termine massimo di

custodia cautelare non avrebbe potuto, neila specie, essere considerato ancora decorso, sia pure per ragioni diverse da quelle addotte dal primo giudice. [E. Gironi]

PRETURA DI AVEZZANO; sezione distaccata di Tagliacozzo; sentenza 20 gennaio 1990; Giud. Padalino; imp. Lupiani.

PRETURA DI AVEZZANO;

Bellezze naturali (protezione delle) — Vincolo paesaggistico —

Violazione — Reato — Fattispecie (D.l. 27 giugno 1985 n. 312, disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare inte

resse ambientale, art. 1 sexies; 1. 8 agosto 1985 n. 431, conver

sione in legge, con modificazioni, del d.l. 27 giugno 1985 n. 312, art. 1).

Ogni violazione alle disposizioni della I. 431/85 è punibile ai sensi dell'art. 20, lett. a), /. 47/85, richiamato, quoad poenam, dal

l'art. 1 sexies l. 431/85 (in motivazione, viene evidenziato che,

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