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sentenza 16 dicembre 1988; Pres. Perucci, Est. Ramini; imp. BeyerSource: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp.229/230-241/242Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182723 .
Accessed: 24/06/2014 20:19
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GIURISPRUDENZA PENALE
di cui il medesimo appare meritevole, tenuto conto del suo com
plessivo comportamento processuale e del suo stato di incensura
tezza, alla pena che si stima adeguata di lire 800.000 di ammenda
(p.b.: lire 1.200.00 di ammenda, diminuita di un terzo ex art.
62 bis c.p.), oltre al conseguenziale pagamento delle spese pro cessuali.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II penale; sentenza 23 gen naio 1987; Pres. Romeo, Est. Cianci, P.M. (conci, conf.); ric.
Cimara. Conferma Trib. Avezzano, ord. 9 maggio 1986.
Impugnazioni penali in genere — Effetto estensivo — Efficacia
sospensiva nei confronti dei coimputati non impugnanti — Esclu
sione (Cod. proc. pen., art. 203).
L'effetto estensivo dell'impugnazione previsto, dall'art. 203 c.p.p. non impedisce il passaggio in giudicato, e quindi l'esecuzione, della sentenza nei confronti degli imputati non impugnanti, salvo, in caso di accoglimento di motivi estensibili, la possibilità di una riforma o di un annullamento a titolo di rimedio straor
dinario. (1)
Il Tribunale di Avezzano, con l'ordinanza indicata in epigrafe,
rigettava l'incidente relativo all'esecuzione dell'ordine di carcera
zione conseguente alla sentenza 24 gennaio 1983, proposto da
Cimara Roberto.
Avverso la predetta ordinanza il Cimara ha proposto ricorso
per cassazione, censurando, con i motivi redatti dal suo difenso
re, la decisione per avere negato che l'effetto estensivo dell'impu
gnazione ha anche efficacia sospensiva della esecuzione della
sentenza a causa del motivo non personale dedotto dal coimputa to impugnante.
La censura è infondata. Invero, è ius receptum che l'effetto
estensivo dell'impugnazione, previsto dall'art. 203 c.p.p., va qua lificato come un rimedio straordinario che non impedisce il pas
saggio in giudicato della sentenza nei confronti degli imputati non
impugnanti e, di conseguenza, non impedisce la sua esecuzione.
Tale effetto, infatti, opera ex post, presupponendo la decisione
sui motivi che si assumono estensibili e il loro accoglimento. Il ricorso, pertanto, va rigettato con le conseguenze di legge.
(1) Giurisprudenza costante: Cass. 13 ottobre 1986, Lai, Foro it., Rep. 1987, voce Impugnazioni penali, n. 148; 14 novembre 1985, Papa, ibid., n. 149; 24 novembre 1983, Di Giorgi, id., Rep. 1985, voce cit-, n. 156; 19 febbraio 1982, Scano, id., Rep. 1983, voce cit., n. 125; 10 luglio 1978, Di Silvestro, id., Rep. 1979, voce cit., n. 102; con la conseguenza che
l'effetto estensivo può anche farsi valere in sede esecutiva (Cass. 18 gen naio 1984, Gandus, id., Rep. 1985, voce cit., n. 158; 28 gennaio 1982,
Bonati, id., Rep. 1983, voce cit., n. 126). La prevalente dottrina ritiene, invece, che l'impugnazione del coimpu
tato impedisce il passaggio in giudicato della sentenza (Cordero, Proce
dura penale, IX ed., Milano, 1987, 577; Giostra, in Commentario breve
al codice di procedura penale, a cura di Conso e Grevi, Padova, 1987, sub art. 203, Vili e sub art. 576, V; C. Massa, L'effetto estensivo del
l'impugnazione nel processo penale, Napoli, 1955 , 241), almeno sino al
momento in cui sono presenti i presupposti per l'esplicazione dell'effetto
estensivo (Conso, La sanatoria delle nullità assolute nell'odierno proces so penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1956, 559).
V., pure, Cass. 18 giugno 1983, Carbonello, Foro it., Rep. 1984, voce
cit., n. 178, e, per esteso, in Cass. pen., 1984, 488, secondo la quale «la possibilità dell'effetto estensivo dell'impugnazione proposta da un coim
putato non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza nei confron
ti del coimputato non impugnante se i motivi sono esclusivamente personali
dell'impugnante», mentre se i motivi non sono esclusivamente personali il giudicato non si forma e «il giudizio in corso per uno è ugualmente in corso per l'altro responsabile dello stesso reato».
Il Foro Italiano — 1989.
TRIBUNALE PER I MINORENNI DI ANCONA; sentenza 16
dicembre 1988; Pres. Perucci, Est. Ramini; imp. Beyer.
TRIBUNALE PER I MINORENNI DI ANCONA;
Imputabilità — Capacità di intendere e di volere — Minore età — Infradiciottenne — Accertamento della capacità in relazione
al reato commesso — Fattispecie di concorso in omicidio e ra
pina (Cod. pen., art. 98, 110, 575, 628). *
Premesso che la valutazione del grado di maturità del minore
infradiciottenne deve essere operata in rapporto alla natura della
violazione commessa — per cui nel caso dei delitti contro la
persona può risultare sufficiente un minimo di sviluppo menta
le ovvero la mancanza di tare psichiche — va riconosciuta la
capacità di intendere e di volere di una ragazza diciassettenne
la quale, rinunciando a un modo autonomo di comportamento
pur di perpetuare una relazione amorosa totalizzante e incondi
zionata, contribuisce a realizzare il progetto ideato dal compa
gno maggiorenne, di uccidere la skipper del catamarano sul
quale si erano imbarcati, onde impossessarsene per realizzare
una fuga d'amore in paesi lontani. (1)
(1) La sentenza, relativa al «giallo del catamarano» del quale hanno
ampiamente e a lungo informato i mass-media, si segnala nella parte con cernente la difficile verifica della capacità di intendere e di volere della diciassettenne Diana Beyer, la ragazza olandese resasi corresponsabile di un assurdo omicidio a causa della forte influenza psicologica esercitata su di lei dal compagno maggiorenne.
Le argomentazioni del tribunale, sfociami nella conclusione che la im maturità psicologica della giovane sarebbe da ricondurre «a quel dato di naturale e imprescindibile immaturità insito in ogni minore» e che la
sua soggezione psicologica all'amante non ne avrebbe compromesso —
contrariamente a quanto sostenuto nel parere peritale — la capacità di
intendere il significato delle proprie azioni e la capacità di autodetermi
narsi in modo sufficientemente autonomo, assumono a coordinate di ri
ferimento i principi elaborati da una giurisprudenza in gran parte consolidata: lo sforzo di Trib. Ancona è perciò consistito nel concretizza
re tali principi applicandoli al complesso caso di specie. Per la tesi che assegna al concetto di imputabilità un carattere relativo,
in quanto la maturità del minore va concretamente accertata in relazione
alla natura della violazione commessa, cfr. Cass. 4 novembre 1985, Prin
cipe, Foro it., Rep. 1987, voce Imputabilità, n. 32; 19 novembre 1984,
A.A., id., Rep. 1986, voce cit., n. 37; 20 gennaio 1984, Valenti, id.,
Rep. 1985, voce cit., n. 46; 5 maggio 1983, Tiscione, id., Rep. 1984, voce cit., n. 26.
La ritenuta necessità di evitare un facile clemenzialismo, contrastante
con esigenze di prevenzione generale e di responsabilità dei minori, spiega altresì l'orientamento secondo cui la capacità di intendere e di volere sa
rebbe compatibile con un limitato o minimo sviluppo mentale ed etico
del soggetto infradiciottenne: cfr. Cass. 19 novembre 1984, cit.; App. min. Roma 20 agosto 1984, Giur. merito, 1986, 1185, con nota di Mane
ra e Foro it.. Rep. 1987, voce cit., n. 34; Trib. min. Catania 25 novem
bre 1983, Giur. it., 1984, II, 254, con nota di Nappi e Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 28.
Per la tesi accentuatamente generalpreventiva secondo cui, nel caso di
imputato prossimo alla maggiore età e di reati (come quelli contro la
persona) dal carattere illecito facilmente percepibile, ai fini della imputa bilità è sufficiente la mancanza di elementi relativi a tare suscettibili di
influire sui processi volitivi ed intellettivi, cfr. Cass. 19 aprile 1985, Tor
nabene, id., Rep. 1986, voce cit., n. 41.
Quanto poi al problema della tecnica di accertamento, la giurispruden za non sembra univoca. In molte pronunce viene riproposto un indirizzo
che concede al giudice la più ampia libertà di apprezzamento, nel senso
appunto che la verifica della maturità del minore non sarebbe vincolata
a specifiche indagini tecniche, ma potrebbe essere compiuta in qualsiasi modo, valorizzando ogni elemento del libero convincimento: v. Cass. 19
aprile 1985, cit.; 18 ottobre 1985, Di Grazia, id., Rep. 1987, voce cit., n. 31; 8 aprile 1986, Chiantaretto, ibid., n. 35. Ma, in proposito, si sono
anche pronunciate le sezioni unite, affermando il diverso principio secon
do cui in sede di accertamento della capacità del minore il giudice non
potrebbe prescindere dalle speciali indagini prescritte dalla legge istitutiva
del tribunale dei minorenni: sent. 26 gennaio 1985, Tommaro, id., Rep.
1985, voce cit., n. 42, e in Cass. pen., 1985, 1333. Senonché le stesse
sezioni unite hanno temperato la portata del principio predetto sostenen
do che, qualora non sussista una totale carenza di motivazione sul punto, la omissione delle speciali indagini non produce alcuna nullità della sen
tenza emessa e, in casi particolarmente evidenti, le suddette indagini ben
possono essere sostituite dalla specifica preparazione del giudice di meri
to, il quale vi supplisce con la diretta osservazione della personalità del
l'imputato. In senso critico, cfr. La Greca, in Cass. pen., 1983, 293 ss.
In dottrina, sul problema specifico dell'imputabilità dei minori di di
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PARTE SECONDA
Fatto. — (Omissis). Il dolo e l'imputabilità. — Quanto è stato
esposto in merito al movente e alla esecuzione dei reati di cui
la minore dovrà rispondere nonché quanto sarà osservato in ordi
ne alla premeditazione fanno si che non possa essere nutrito al
cun dubbio circa la sussistenza di una sua volontà diretta alla
loro consumazione.
L'impossessamento del catamarano e l'uccisione della Curina
come strumento per la sua attuazione furono, infatti, obiettivi
programmati, perseguiti e raggiunti in quanto intesi, secondo il
progetto delittuoso comune alla Beyer e al De Cristofaro, come
la via più diretta, pur se in una ottica assurda e allucinante, per
conseguire il fine che si erano prefisso. Non deve darsi rilievo a quelle che appaiono come le iniziali
perplessità espresse dalla minore dinanzi alla cruenta proposta del De Cristofaro («Io avevo dei dubbi se ciò si potesse fare,
ero perplessa . . . secondo me quando ci saremmo trovati al mo
mento di farlo, non avremmo avuto la forza di porre fine ad
una vita umana») poiché la sua adesione totale alla soppressione dell'Annarita si profila senza riserve allorché si preciseranno de
finitivamente i ruoli e i compiti («l'accordo finale dopo varie di
scussioni fu che io avrei messo le medicine nel caffè e poi Filippo avrebbe fatto quello che voleva lui . . . Io ero d'accordo che poi
Filippo avrebbe provveduto ad ucciderla») adesione che non può essere messa in dubbio dal fatto che non fosse ancora ad .ella
ben chiaro il modo in cui la soppressione sarebbe dovuta avveni
re (Diana era convinta o quanto meno sperava che Filippo non
avrebbe usato il «machete» e che avrebbe fatto ricorso ad altro
metodo quale l'annegamento: «lei dormirà e non sentirà niente
quando noi la butteremo nell'acqua e lei affogherà nel sonno»): una cosa era fuori discussione e cioè che la Curina fosse comun
que uccisa.
Dinanzi a questa adesione e superamento d'ogni perplessità, non può desumersi una diversa volontà dalla iniziale preventiva zione di mezzi inidonei (somministrazione delle «medicine per dor
mire») o di dubbia efficacia (il veleno per i topi). Per il vero, trattandosi di concorso di persone nel reato, in
cui ogni azione e omissione va vista e giudicata nella sua efficacia
in relazione alle azioni e alle omissioni degli altri concorrenti, nemmeno dall'esame dei mezzi effettivamente impiegati e consi
derati in se stessi sarebbe lecito desumere o escludere la volontà
omicida dell'imputata (cosi sarebbe inutile nell'episodio dell'ac
coltellamento ricercare se per l'arma usata, l'intensità del colpo, la regione corporea attinta esso fosse indice o meno di tale pro
posito) dovendosi la ricerca necessariamente indirizzarsi nel senso
di una convergenza di volontà dei concorrenti verso l'evento.
Diverso, e ben più delicato problema è quello della riferibilità
di tale volontà alla minore e, in altri termini, quello della capaci tà di intendere e volere della stessa, capacità prevista dall'art.
98 c.p. come condizione affinché la condotta possa essere impu tata al minorenne colpevole.
È appena il caso di osservare come la norma citata non ponga a proposito della fascia di minori ricompresi tra il 14° e 18° anno
di età (a differenza di quanto stabilito per i minori infraquattor
dicenni) nessuna presunzione, né di capacità né di incapacità, do
vendo il giudice anche d'ufficio accertarne caso per caso la
imputabilità o la inimputabilità. Recita, infatti, l'art. 98 che «è
imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva
compiuto quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva
capacità di intendere e di volere».
Per determinarsi l'imputabilità in questa ipotesi è stato elabo
rato dalla giurisprudenza e dalla medicina legale il concetto di
maturità facendosi discendere dal suo opposto simmetrico, l'im
maturità, l'incapacità di intendere e volere.
È evidente come un parametro siffatto, non sussistendo coinci
denza tra il limite della maggiore età fissato dal legislatore e le
acquisizioni delle scienze psicologiche che vogliono il processo evo
ciotto anni, cfr. Manera, in Giur. merito, 1986, 1185; Grasso e Rober ti, in Cass, pen., 1986, 1679; De Leo, in Esperienze, 1985, fase. 1, 115; Ponti e Gallina Fiorentini, in Riv. it. medicina legale, 1983, 873.
Più in generale in tema di imputabilità, cfr., da ultimo, Balbi, in Foro it., 1989, II, 28, e ivi ampi riferimenti di giurisprudenza e dottrina; Fio ravanti, Le infermità psichiche nella giurisprudenza penale, Padova, 1988.
Il Foro Italiano — 1989.
lutivo protrarsi oltre il 18° anno di età fino a toccare talora il
25° anno a seconda della costituzione, della razza, delle regioni,
presenti difficoltà di giudizio non indifferenti non potendosi qua
si mai, nel caso di minori, dirsi raggiunta una completa matu
razione.
Per ragioni attinenti a scelte di politica criminale e in particola re per le preoccupazioni di ovviare all'allarme sociale che potreb
be essere suscitato dai delitti, specie se di particolare gravità,
commessi da minori dotati già di una rilevante evoluzione psico
fisica, il legislatore ha ritenuto di non tener conto, nella fascia
d'età sopra indicata, di quel margine di immaturità che inevita
bilmente dovrebbe connotare la loro personalità secondo un'otti
ca meramente scientifica.
Tale indirizzo trova del resto, sempre in tema di riferibilità
dell'azione al colpevole, piena e palese conferma a proposito del
la punibilità del soggetto seminfermo di mente o parzialmente
incapace per sordomutismo cui, a rigore, dovrebbe essere ricono
sciuta, oltre un certo grado di menomazione, la non punibilità
(essendo inconcepibile una parziale libertà di elezione: la facoltà
di scelta o esiste o non esiste) laddove, con un trattamento specu lare rispetto a quello riservato al minore, applica loro solo una
diminuzione di pena se la facoltà di intendere e volere al momen
to del fatto era grandemente scemata.
Consapevole di questa discrepanza tra dato scientifico e nor
ma, tra aspetto formale e realtà effettuale, la giurisprudenza ha
sempre ritenuto che la valutazione del grado di maturazione del
minore dovesse avere una portata relativa in quanto da operarsi in rapporto alla natura della violazione commessa dal minore.
Cosi nel caso di delitti contro la persona sarebbe sufficiente un
grado di maturità meno spiccato rispetto a quello richiesto da
altre condotte penalmente sanzionate la cui contrarietà alle esi
genze della vita di relazione non è immediatamente evidente (v. tra le altre Cass., sez. II, 5 maggio 1983, Tissone, (Rep. 1984, voce Imputabilità, n. 26).
Cosi è stato specificato in ordine a certi fatti estremamente
gravi (omicidio, rapina, per percepire la immoralità dei quali è
sufficiente uno sviluppo individuale ed etico non molto progredi
to), che «il diminuito potere di inibizione» che il minore può avere in ordine a codesti fatti non escluda la capacità di intendere
e volere (Cass., sez. I, 3 aprile 1971) o che, sempre in relazione
a detti fatti la maturità « è possibile con un minimo di sviluppo mentale» (App. Roma 20 agosto 1984, id., Rep. 1987, voce cit., n. 34).
Particolarmente severa la sentenza della Cassazione sez. V del
19 aprile 1985, Tornabene, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 41) secondo cui «se l'imputato è prossimo al raggiungimento della
maggiore età ed ha commesso reati, come quelli contro la perso
na, il cui carattere illecito è facilmente percepibile, è sufficiente
la mancanza di elementi relativi a tare succettibili di influire sui
processi volitivi ed intellettivi per affermare la responsabilità». Il che vuol dire che la maturità può essere desunta anche solo
dal dato obiettivo della mancanza di tare psichiche a prescindere da quegli elementi che di regola costituiscono oggetto di una in
dagine psicologica disposta per accertare la capacità di intendere
e volere del minore, indagine che «non può prescindere dalle spe ciali ricerche dei precedenti personali e familiari dell'imputato sotto
l'aspetto fisico, psichico, morale e ambientale» (Cass., sez. un., 26 febbraio 1985).
In sintonia con la tendenza più restrittiva della giurisprudenza,
parte della dottrina negli ultimi tempi non ha mancato di stigma tizzare come l'immaturità abbia finito per diventare sempre più di frequente strumento di clemenzialismo e di deresponsabilizza zione del minore, con preoccupanti inconvenienti sul piano psico
pedagogico e sociale.
Entro i confini come sopra delimitati si tratta ora di dare una
risposta al quesito che veniva posto all'inizio del presente para
grafo e cioè se al momento dei fatti ed in relazione agli stessi
la Beyer fosse per maturità e grado di sviluppo capace di intende
re e volere, quesito che costituisce la parte centrale della materia
deferita all'esame dei periti nell'incarico loro conferito nell'istrut
toria e che indubbiamente rappresenta l'aspetto nodale del proce dimento. Si tratta, in altri termini, di verificare fino a che punto fosse giunto il grado di maturazione della Beyer considerando
lo sviluppo delle sue facoltà e (come risvolto della medaglia e
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GIURISPRUDENZA PENALE
lato negativo dello stesso) le connotazioni di immaturità insite
nella sua personalità, per accertare se la stessa, con riferimento
al suddetto grado di maturazione, fosse capace di elaborare ed
esprimere una adeguata consapevolezza degli atti che andava a
compiere e del loro disvalore nonché una propria volontà quale risultato di scelte operate con consapevolezza entro una sfera di
sufficiente autonomia decisionale.
A taì fine il collegio dispone di una abbondante messe di infor
mazioni scaturenti dall'osservazione diretta della minore effettua
ta in udienza, della nota di servizio sociale internazionale - sezione
italiana in data 24 agosto 1988 e del rapporto redatto dalla sezio
ne socio-psichiatrica dell'associazione olandese degli istituti per il lavoro di osservazione e prova di Rotterdam (l'una e l'altro
concernenti il quadro familiare della Beyer), della relazione del
l'U.D.S.S.M. di Roma in data 8. agosto 1988, di alcune relazioni
di sintesi dello I.O.M. di Roma e, naturalmente, in primo luogo,
dell'ampio materiale costituito dalle indagini peritali le quali at
traverso l'anamnesi familiare e socio-ambientale, l'anamnesi per
sonale, il profilo e la sintesi psicologica hanno cercato di ricostruire
la partecipazione psicologica della minore ai fatti, non trascuran
do (anche perché oggetto di uno specifico quesito posto dal magi
strato) le possibili influenze della vita di coppia Beyer-De Cristofaro
sullo sviluppo adolescenziale della minore.
Tutto questo materiale e tutte le osservazioni, elaborazioni e
deduzioni in esso contenute, comprese le risposte del collegio pe
ritale, devono passare al vaglio di un esame critico da parte di
questo tribunale, essendo questo il suo compito istituzionale se
condo un principio ripetutamente ribadito anche dalla giurispru
denza: «Per l'accertamento — della capacità di intendere e volere — non si possono stabilire schemi astratti né il giudice è vincola
to a speciali indagini, peritali o meno, occorrendo valutare il com
portamento del minore in relazione alla natura dei singoli reati,
desumendolo da ogni elemento di convincimento (Cass., sez. II,
del 12 giugno 1984, Sasso, id., Rep. 1985, voce cit., n. 27).
Correttamente, i periti hanno riservato il dovuto spazio ai pre
cedenti familiari della minore dovendosi ravvisare nei rapporti
parentali un momento fondamentale per la formazione della per
sona, per l'acquisizione del patrimonio morale, per la struttura
zione del carattere.
Anche adottando il più rigoroso dei metri di giudizio non resta
agevole formulare a carico dei genitori della minore censure di
una qualche rilevanza in ordine al loro comportamento e alle lo
ro capacità educative.
Fatta giustizia delle iniziali mendaci dichiarazioni della Beyer,
rilasciate per compiacere il De Cristofaro e per giustificare il suo
allontanamento da casa, si deve dare atto di un ambiente, di un
clima e di un modo di vivere improntati a reciproco rispetto,
affetto e considerazione tali da autorizzare un giudizio più che
positivo nei confronti dell'intero nucleo, fondato sul riconosci
mento e la pratica dei fondamentali principi che regolano la vita
di una famiglia media: «i figli hanno avuto la possibilità di svi
luppare le loro doti intellettuali e artistiche» «la loro parte (dei
genitori) consisteva nella creazione delle possibilità economiche
e nella stimolazione», «i genitori si trattano l'un l'altro con amo
re e rispetto», «la madre è una donna dolce e sensibile», «il pa
dre è un uomo con alcuni principi base», «essi godevano il loro
bell'arredamento, le ferie (andare a sciare, andare all'estero, inte
ressarsi di cultura, archeologia)», «il loro desiderio era di soste
nere e stimolare i figli, di non porre dei limiti», «si può affermare
che la famiglia Beyer appare come una famiglia unita dove può
essere distinta una chiara struttura (relazione del servizio sociale
olandese)». «Anzitutto appare chiaro come i signori Beyer siano
realmente interessati al benessere della figlia . . . i figli hanno for
nito l'immagine di una famiglia normale impostata sul dialogo,
la confidenza con i genitori ... nel complesso la famiglia Beyer
è apparsa come un nucleo abbastanza unito, affiatato, con dei
rapporti rientranti nella norma».
Taluni limiti e talune inadeguatezze dei genitori («mancava un
coinvolgimento con i problemi sociali più ampi . . . non esisteva
una partecipazione o riflessione su problemi basali . . . i genitori
si trattano con amore e rispetto, ma non sono capaci di converti
re questo processo in un reale stare insieme, accettare e crescere»)
non appaiono rilevanti, mentre taluni atteggiamenti («i genitori
facevano di tutto per evitare il confronto dei figli con la realtà
Il Foro Italiano — 1989.
e le preoccupazioni della vita») possono definirsi tuttal'più iper
protettivi e tal'altri («la comprensione vera e propria per i figli è rimasta superficiale . . . essi non vedevano che Diana era infeli
ce e possedeva poca fiducia in se stessa») possono ricondursi al
l'inevitabile conflitto generazionale o, al più, spiegare le fughe e l'attrazione di Diana nella sfera del De Cristofaro, ma esplicare relativa efficacia e influenza sullo sviluppo psicologico della
minore.
Si può pertanto affermare che i genitori della minore hanno
fatto tutto il possibile per assicurare alla stessa tutto ciò che era
nelle loro facoltà e che l'ambiente familiare non si discosta da
quello che può essere ritenuto proprio di una famiglia media:
da esso e dalle persone che lo costituivano (genitori, nonni, fra
telli) la minore ha ottenuto ciò che possono avere la maggioranza dei suoi coetanei e forse anche più.
Molto ampia, precisa, dettagliata è l'anamnesi personale della
minore effettuata dai periti. È stato messo in luce, innanzi tutto, un suo atteggiamento in
fantile (emozioni ancora non molto adulte, labilità emozionale,
riduzione del mondo a danza e animali, ecc.) nonché una certa
ingenuità e modo di pensare magico e irrealistico (sogno di vivere
senza soldi, disappunto nel riscontrare le «isole felici» dei suoi
viaggi difformi dall'immagine che ne aveva tratto dai films, sor
presa circa l'uso effettivo del «machete» da parte del Filippo da
to che ella non credeva che «l'avrebbe fatto realmente»).
Ciò non toglie tuttavia ai periti l'occasione per affermare che
«lo sviluppo psicologico di Diana è avvenuto in un quadro di
relativa normalità», e di concludere che la minore debba ritenersi
al momento dei fatti capace di intendere e, in particolare, perce
pire la gravità e l'antigiuridicità dei fatti, affermazione che trova
questo tribunale pienamente consenziente in quanto basata su pre
cisi riscontri che non possono essere superati dagli atteggiamenti
e modi di essere sopra menzionati dovendosi questi ultimi ritene
re più come scorie e qualità residuali della fase preadolescenziale, che come barriera al passaggio alle fasi ulteriori.
Viene, infatti, la Beyer definita nell'ambiente parentale «bam
bina attiva, precoce, di grande spirito di iniziativa (sic), senso
dell'umorismo, amata da tutti».
Le sue prestazioni e la sua socializzazione sono del tutto soddi
sfacenti: «ottimi risultati alla scuola elementare, intelligenza so
pra la media, sviluppo sportivo e artistico eccellente, approccio
sociale buono, tanti amici, amata dai maestri».
L'aspetto del «disturbo dislessico» riferito alla minore risulta
aver rivestito scarsissima importanza, sia perché «insegnanti e ge
nitori hanno dato poco importanza al fenomeno», sia perché ha
consentito «ottimi risultati» nella scuola elementare, ove la didat
tica si basa sull'acquisizione delle tecniche della scrittura, del cal
colo e, appunto, della lettura.
Altrove si legge: «l'intelligenza, sia nella qualità del grado, ri
sulta adeguata», e ancora «lo sviluppo psicologico di Diana è
avvenuto in un quadro di relativa normalità . . . senza veri e pro
pri intoppi evolutivi».
Complessivamente Diana risulta quindi essere una minore per
fettamente all'altezza di affrontare quel periodo esistenziale vera
mente problematico che è l'adolescenza, apparendo fin dai
quattordici anni dotata di ogni presupposto psichico, affettivo
e sociale per affrontare le problematiche del processo di matura
zione, presupposti che inducono questo tribunale a riconoscere
nella minore anche la capacità di volere, contrariamente a quelle
che sono le conclusioni del collegio peritale che la esclude in virtù
di talune «dinamiche immaturative» che non avrebbero consenti
to alla Beyer di «orientare e guidare il proprio comportamento»
e ciò con riferimento e come conseguenza della vita di coppia.
Si afferma che «l'immaturità emotivo-psicologica di Diana ha
trovato nella relazione (con il De Cristofaro) solo rinforzi e non
stimoli evolutivi che hanno messo ulteriormente in luce la sua
incapacità critica in quanto il «sé», fragile già al momento dell'i
nizio della relazione, si è andato organizzando in senso difensivo
come un «sé» adesivo e compiacente», concetto ripetuto anche
in altri passi: «Lo sviluppo della prima adolescenza di Diana si
intreccia con la pesante interferenza espressa dalla relazione con
l'adulto»; «quella che in Diana era una immaturità sospesa è emer
sa in tutta la sua portata di fronte alle carenze e agli aspetti nega
tivi della relazione con l'uomo ... è innegabile l'apporto del
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PARTE SECONDA
De Cristofaro nel mantenere Diana a quel livello di immaturità»; «si può dire che Diana abbia iniziato la relazione con De Cristo faro sulla base di una serie di elementi immaturativi adolescen
ziali che hanno trovato nello strutturarsi della coppia una
compensazione complementare di tipo per cosi' dire collusivo».
Tali affermazioni si ricollegano a taluni dati emersi ed eviden
ziati nell'anamnesi personale già citata nella parte relativa allo
sviluppo di Diana negli ultimi tre anni in relazione con Filippo De Cristofaro e cioè: 1) la forte attrazione esercitata da Filippo;
2) totale subordinazione e passività nei confronti di costui non
ché la facile influenzabilità; 3) ridefinizione da parte del Filippo della realtà con riferimento a persone, emozioni ed affetti; 4) ottundimento della coscienza e della moralità; 5) graduale distru
zione della capacità di Diana di agire criticamente; 6) incapacità di mantenere la propria personalità e desideri.
È il caso di rilevare che questi due ultimi punti e quello sub
3) sono ripresi e fatti oggetto di approfondimento nel citato para
grafo della perizia relativo alla influenza della vita di coppia sullo
sviluppo adolescenziale della minore e in quello relativo alla par
tecipazione psicologica ai fatti.
Si tratta ora di considerare e valutare criticamente i suddetti
dati per verificare se essi siano in realtà indice di un blocco o
addirittura di una involuzione del processo maturativo della mi
nore, o non piuttosto fatti suscettibili di diversa interpretazione. Per quello che concerne la forte attrazione esercitata dal De
Cristofaro (l'insegnante di ballo ideale, il «latin lover», l'uomo
con tante ambizioni ed esperienze, l'uomo avventuroso, colui che
sapeva comprenderla e rivalutarla) basterà osservare che si versa
in tema di quel fenomeno, più che frequente nelle adolescenti, che può sintetizzarsi nei concetti di suggestione, infatuazione, ir
resistibile passionalità, innamoramento totale e incondizionato, concetti che non possono essere addotti come indicazione di una
sintomatologia di pregressa rilevante e particolare immaturità, ri
conducendo il discorso piuttosto a quel complesso di inesperien
ze, fatuità, superficialità, cariche passionali ed emotive che
contraddistinguono l'età evolutiva e che devono essere pertanto ricondotte a quel dato di naturale imprescindibile immaturità in
sito in ogni minore di cui si parlava all'inizio in tema di scelte
legislative. Naturalmente se la personalità del De Cristofaro fosse stata
portatrice di altri valori, se non si fosse trattato di un soggetto di pochi scrupoli, se egli si fosse inserito nella vita della minore
come valido termine di riferimento e non come eroe negativo,
polo distruttivo, genio del male, gli sviluppi della vicenda sareb
bero stati ben diversi e non avrebbero condotto ad un epilogo cosi tragico, rimanendo nei limiti di una love story a tinte rosee.
Si afferma che Diana teneva dinanzi al De Cristofaro un com
portamento tale da implicare una totale soggezione (chiedeva per messo per tutto; guardava sempre Filippo per capire la sua
opinione; non parlava senza il benestare di questi; non stava mai
da sola con altri; si sottoponeva ad un carico fisico pesante svol
gendo tutti i lavori manuali a bordo delle imbarcazioni usate nei
loro viaggi). Non si può contestare tale dato, ma si può ritenere
che la risposta e la spiegazione più esaurienti di siffatto compor tamento siano fornite dalla minore stessa allorché dinanzi al col
legio peritale cosi si esprime: «Filippo mi voleva perché ero dolce; lui me lo diceva sempre. A lui non gli piacevano le ragazze indi
pendenti e che avevano una propria volontà, io avevo paura di
perdere il suo amore e allora facevo tutto quello che mi chiedeva
purché lui non si inquietasse con me ... A me non importava che lui mi limitava. Per me lui era importante; a lui davo tutto, cambiavo il mio modo di vestire, non mi truccavo, non avevo
contatti con altra gente». Dinanzi a queste parole non si può fare a meno di rilevare
come ci si trovi di fronte a una cosciente e finalizzata rinuncia
da parte della minore alla propria volontà e a un modo autono mo di comportamento, rinuncia accettata preordinata e posta in
essere per uno scopo bel preciso e per un risultato (il non perdere la persona e le attenzioni del Filippo) in cui ella riponeva tutto
10 scopo della propria vita.
Il problema posto dalla loro interpretazione è problema che
investe la persona umana intesa nella sua totalità; è questione che concerne non solo i processi formativi della volontà, ma at
11 Foro Italiano — 1989.
tinge anche ai risvolti filosofici e morali insiti in detti procedi menti, che pur non potendo rivestire un significato giuridico so
no nondimeno indicativi della scaturigine di certi fenomeni.
Il rinunciare ad imporre il proprio volere è esso stesso un mo
do di manifestare la propria volontà, allorché la rinuncia non
è fine a se stessa o effetto di una mera debolezza del soggetto
e di uno stato di deficienza psichica, l'abdicazione all'esercizio delle proprie facoltà e delle proprie ragioni è mero annientamen
to e negazione della propria persona se tale comportamento non
mira ad alcun risultato: è scelta e determinazione di sé qualora nella negazione e nella rinuncia del raggiungimento immediato
si abbia di mira un effetto che trascenderà l'atto e ricompenserà di quei sacrifici.
Desumere ipso facto uno stato di immaturità da siffatti proce dimenti psichici sarebbe di per sé arbitrario e riduttivo laddove
apparirebbe più corretto domandarsi se la ragione ad essi sotto
stante sia da ravvisarsi in un blocco o in una involuzione del
processo maturativo o non piuttosto in scelte, miraggi e motiva
zioni che da questo completamente prescindono. Non sarà inopportuno ricordare che dietro l'acquiescenza a con
dizioni che prese in sé sarebbero state inaccettbili si collocava
per la minore non solo l'aspetto affettivo e passionale della vi
cenda, bensì anche la conservazione e il procastinarsi di un siste
ma di vita (indipendenza della famiglia, viaggi, avventure, disimpegno dallo studio o da una occupazione monotona e ripeti
tiva) che la gratificava e la faceva sentire diversa dalle sue coetanee.
Se la sottomissione, la mortificazione e l'umiliazione apparte nessero a persona che non conoscesse altre sensazioni ed altre
esperienze, dovrebbe seriamente pensarsi ad una minorazione della
psiche; ma se esse si collocano gl'interno di un giuoco che pre senti delle contropartite e deHe spiegazioni, la stessa illazione sa
rebbe gratuita. Né si può sostenere che la minore con la seconda e più duratu
ra fuga da casa avesse dinanzi a sé la prospettiva di un vicolo
cieco e di una strada senza possibilità di ritorno al punto di rav
visare nel protrarsi del menage con il De Cristofaro l'unica forma
di sopravvivenza e di sostegno: l'esperienza le aveva già insegna to come alle sue spalle si ponesse una famiglia comprensiva e
propensa al perdono sulla quale poteva far sempre affidamento
e nel cui seno ritrovare un porto più sicuro e affidabile di quelli toccati nel corso delle avventurose e spericolate navigazioni.
Non molte osservazioni occorre formulare per disattendere quan to affermato in tema di un progressivo ottundimento del senso
morale di Diana sotto l'influsso della personalità e dei principi del De Cristofaro nel senso che «nella vicinanza di costui Diana
sviluppava in maniera sempre più avanzata il tacere della sua co
scienza e moralità».
Lo stesso elaborato peritale non può fare a meno di sottolinea re in altro passo come Diana dica «di aver percepito quasi fisica
mente l'orrore e la gravità» della proposta omicida del De
Cristofaro. Sempre la stessa minore afferma: «non avremmo avuto
la forza di porre fine ad una vita umana». Non è il caso di ram
mentare tutto il conflitto interiore in cui la Beyer si è dibattuta
prima di ferire la Curina sotto le pressioni morali del De Cristo
faro da un lato e le remore frapposte dalla sua coscienza dall'al
tro, essendo stato questo momento dell'azione integralmente trascritto nella ricostruzione del fatto. Sarà piuttosto opportuno ricordare come la minore sia rimasta profondamente sconvolta
dall'atroce delitto al punto che alla sera, all'arrivo al porto di
Ancona, non riusciva a riconnettere e scambiava le cose tra di
loro (una bottiglia di birra con una di olio). Sarà bene altresì' sottolineare come Diana non sopportasse le
ingiuste accuse che il Filippo muoveva ai suoi genitori: «Se il Filippo parlava male dei miei genitori ed io lo contraddicevo lui mi rispondeva perché difendi sempre i tuoi genitori?».
Non può, pertanto, affermarsi che la capacità di volere della
minore rimanesse negativamente influenzata da una atrofizzazio
ne del senso morale che non le consentisse più di percepire il
disvalore di talune azioni e in particolare di quella avente come
conseguenza l'uccisione di una persona. Si rilevava poco avanti come notevole rilievo sia stato accorda
to alla capacità del De Cristofaro di ridefinire persone, cose, va
lori, capacità; divenendo cosi egli «l'unica fonte di valutazioni
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GIURISPRUDENZA PENALE
sia positive che negative, quindi l'unica fonte di conferme e scon
ferme» rendendo con ciò più rigida la dipendenza e la carenza
di autonomia della minore.
In particolare il De Cristofaro, privilegiandola della sua scelta, avrebbe sistematicamente ridefinito alla Beyer tutte le percezioni
negative di sé aiutandola a recuperare fiducia e stima nelle pro
prie possibilità e a superare la crisi della propria immagine (scar sa intelligenza, scarso profitto). Ne sarebbe derivato che «Diana
aveva accettato profondamente — con l'intensità dei suoi bisogni immaturi — queste ridefinizioni, ma per garantirsele e conservar
sele doveva, per cosi dire, tenere buona e favorevole a sé la po tente autorità che l'aveva acutamente capita e che l'amava, ma
che poteva cambiare opinione su di lei e poteva toglierle l'amore».
Il fenomeno sarebbe stato aggravato dall'isolamento sociale della
coppia e dall'isolamento psicologico di Diana all'interno della cop
pia quali si desumerebbero da numerosi elementi (rapporti con
altre persone solo occasionali, sistema psicologicamente rigido e
chiuso verso l'esterno) isolamento in cui il «filtro» delle informa
zioni provenienti dall'esterno «era costituito dal De Cristofaro
che definiva e ridefiniva i significati, i rapporti, le occasioni, gli eventi, i progetti».
Premesso che v'è motivo di avanzare alcune riserve circa le
dimensioni e l'effettiva entità del menzionato «isolamento di cop
pia» (la Beyer e il De Cristofaro contavano diversi amici; la loro
vita era estremamente dinamica, non si svolgeva nel chiuso di
un appartamento o in un luogo segregato, ma si arricchiva di
continui viaggi) occorre dire che non viene indicato attraverso
quali meccanismi le ridefinizioni operate dal De Cristofaro ab
biano potuto incidere sul processo maturativo di Diana, né quan tificato tale incidenza.
Si deve osservare che gli stessi periti affermano che il fattore
preso in considerazione, cosi come gli altri, consentono solo di
ipotizzare che possa avere influenzato la evoluzione della minore
e cioè «le modalità, la direzione e gli effetti comportamentali del
lo sviluppo adolescenziale della minore dai 14 anni al momento
dei fatti». Si afferma che le ridefinizioni hanno reso più rigida la dipen
denza e la carenza di autonomia della minore, ma tali effetti pos
sono verificarsi in qualsivoglia soggetto, in presenza di quei
condizionamenti, a prescindere dal grado di maturazione.
Essi possono essere indotti, come causa più diretta, dall'obiet
tivo che il soggetto tende a conseguire e che pertanto viene a
porsi come il condizionamento più efficace della condotta.
Ritorna qui attuale il discorso che si faceva a proposito della
soggezione di Diana rispetto al Filippo: anche qui si ripropone il problema delle scelte che si pongono alla volontà; anche in
questo caso la minore operava una scelta tra il non perdere la
persona e le attenzioni di Filippo «la potente autorità» e certe
rinunce, tra il mantenere la gratificazione delle «ridefinizioni» e
certe iniziative.
Passando ora ad esaminare la capacità di Diana di agire criti
camente, si legge in perizia come essa sia stata gradualmente di
strutta dal contatto con Filippo De Cristofaro. E più oltre:
«L'isolamento psicologico e sociale della minore non ha consen
tito di valutare criticamente il progetto perché anche le valutazio
ni critiche avvenivano attraverso i criteri di coppia». Poiché anche da questo elemento i periti desumono la incapa
cità di volere della Beyer, occorre subito rilevare che la sistemati
ca da loro adottata in ordine ad esso non appare condivisibile.
Secondo il significato corrente, infatti, il termine critica sta a
significare un esame attento e ragionato con cui si analizzano
fatti, circostanze, notizie, idee per farsi un'opinione personale del
loro significato, della loro validità o verità. Si tratta indubbia
mente di una facoltà che attiene alle capacità intellettuali del sog
getto e perciò alla sua capacità di intendere piuttosto che a quella
di volere.
Essendo tuttavia anche la capacità d'intendere presupposto della
imputabilità, non sarà inutile osservare come il piano delittuoso
proposto dal De Cristofaro, pur se aberrante, non contenesse ele
menti di irrazionalità, incongruenza, incoerenza e impraticabilità,
con riferimento sia ai mezzi che alle finalità, si da far apparire
chi lo abbracciasse come persona sprovveduta.
Se la sorte non avesse voluto che una rete da pesca dragasse
tempestivamente il fondo marino nel punto in cui era stato af
fondato il cadavere, molto probabilmente, per il ritardo dell'av
II Foro Italiano — 1989.
vio delle indagini, il delitto non sarebbe stato mai scoperto e
comunque i responsabili avrebbero potuto far perdere definitiva
mente le proprie tracce.
Ora, da ultimo, resta da esaminare l'atteggiamento tenuto dal
la Beyer dinanzi a taluni comportamenti del De Cristofaro che
sembravano cancellare la sua personalità e i suoi desideri (non c'era posto per l'amore per i genitori; tutti i lavori pesanti e sgra devoli spettavano ad ella; era costretta a rinunciare ad animali
e gente amata) o che chiaramente erano improntati a crudeltà
e violenza (le percosse cui la minore ha fatto riferimento in udienza
allorché si provava a contraddire il De Cristofaro). I connotati di questa relazione, che «ormai sembrava aver pre
so la piega della relazione sado-masochista» secondo quanto af
fermano i periti, sembrerebbero effettivamente attestare una
incapacità di reazione e quindi di volontà della minore di fronte
ad eccessi del partner tale da completare quel quadro di immatu
rità che man mano si è cercato di delineare.
Ma un più attento esame manifesta, come ci si trovi dinanzi
a comportamenti e atteggiamenti di non inequivoco significato e interpretabili secondo letture non sempre unidirezionali.
A parte il fatto che il rapporto sado-masochista non può di
certo di per sé essere indice di diminuita capacità di volere o
di non completa maturazione, ponendosi piuttosto come forma
di perversione, occorre notare che il sottostare a un sistema di
maltrattamenti può talora rispondere alle finalità più diverse e
ubbidire ai più aggrovigliati intrighi psicologici. Nella stessa ottica, l'episodio del tentativo di suicidio è ben
lontano dal dimostrare una volontà «coartata» o indotta: nella
dinamica, infatti, del rapporto con il De Cristofaro, può assume
re esso i più svariati significati (ricatto affettivo, richiesta di at
tenzione, ecc.) anche considerando il mezzo inadeguato con cui
fu messo in atto.
Esaurito con ciò l'esame delle varie connotazioni di immaturità
prospettate circa la persona della minore e ricondotto il loro si
gnificato entro quelli che, a giudizio di questo tribunale, sono
i limiti che devono attribuirsi ad esse connotazioni (non sempre indicative di una incapacità di scelte e comunque di non sempre
univoco significato), occorre ora, (per quel duplice lato della me
daglia cui si accennava) indagare in che occasioni e in che misura
la minore abbia manifestato la capacità di essere in grado di ela
borare autonomamente i propri processi volitivi.
Questa ricerca deve essere effettuata in due direzioni diverse:
nei suoi rapporti, in generale, con il De Cristofaro e, più specifi
camente, con riferimento al corso dell'azione delittuosa, non po tendosi disattendere quanto costantemente ribadito dalla
giurisprudenza e cioè doversi la capacità di intendere e volere
del minore commisurarsi, in concreto, con il fatto addebitato.
Sotto il primo profilo, non sarà inopportuno, prima di prende
re in considerazione l'evolversi del rapporto, spendere alcune os
servazioni per sottolineare come la Beyer non si presentasse affatto
con le caratteristiche di un soggetto inibito, inesperto, imprepara
to e inabilitato alla vita di relazione. Ella dimorava in una grande
città, in un paese e in una società contraddistinti da una spiccata liberalizzazione dei comportamenti; annovera e frequenta amici
zie; dà spettacoli; non è intimidita dal pubblico, ma ne apprezza
e ne cerca il consenso e l'applauso. La sua vita non può definirsi
grigia e priva di interessi, il suo mondo affettivo vuoto e predi
sposto ad essere colmato da chiunque e comunque. II suo modo d'agire non appare privo di spirito di iniziativa:
frequenta discoteche; studia il modo di tenere accuratamente ce
lata ai propri genitori la relazione con il maestro di ballo; va
da medici e assume contraccettivi, parlandone anche con le ami
che; sceglie tra la vita domestica e quella con il De Cristofaro;
prende la decisione, comunque impegnativa e di grande momento
per una minore, di fuggire da casa e di intraprendere viaggi disa
gevoli e rischiosi; dimostra determinazione e coraggio nel mo
mento di pericolo (doveva provvedere alle vele durante la
tempesta). Pur se resta indiscutibile che l'incontro con il De Cristofaro
ha sicuramente influenzato negativamente (come già si è visto
e come si vedrà anche successivamente in tema di riconoscibilità
dell'attenuante prevista dall'art. 114 c.p.) la successiva evoluzio
ne psico-affettiva della minore (giova ripetere già peraltro nor
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PARTE SECONDA
modotata sotto ogni aspetto), non può non riconoscersi come
la stessa abbia in talune occasioni dimostrato la capacità di un
proprio volere.
Dalla perizia risulta come tutti i tentativi della madre di ottene
re la confidenza di Diana in merito ai rapporti con il De Cristo
faro, pur essendo detti tentativi basati su un piano di affetto e
di fiducia, siano stati puntualmente frustrati. Ciò sta a significare che la minore era fermamente e irrevocabilmente determinata a
salvaguardare e perpetuare la relazione.
Anche se «mediata dai suoi bisogni immaturi di vivere protetta in un immaginario isolamento» non manca la perizia di ricono
scere che «la fuga è stata voluta ed agita da entrambi», venendo
con ciò ad attribuire alla minore una decisione di grande momen
to e di innumerevoli implicazioni e conseguenze sia sul piano pra tico che su quello affettivo per tutto ciò che essa veniva per ella
a significare, a cominciare dalla rinuncia al proprio mondo e al
calore della propria famiglia. Si potrebbe obiettare che proprio il fatto che Diana non sia
stata trattenuta da queste considerazioni sta a dimostrare che non
è stata messa in grado di farle in quanto fuorviata e condizionata
dall'influsso e dalle coartazioni del De Cristofaro.
A parte il fatto che l'illazione non può essere provata e, per
tanto, è destinata a restare una ipotesi, occorre osservare che, in occasione di entrambe le fughe, non poteva certo dirsi che
Diana vivesse in quell'«isolamento sociale e psicologico» su cui
tanto si è insistito nei lavori peritali e che avrebbe determinato
la sua condotta, essendo in quel tempo in condizione di dividere
il suo tempo tra famiglia, amici e il De Cristofaro e pertanto di valutare i consigli, le esortazioni e le informazioni di cui, spe cie tra una fuga e l'altra, i suoi genitori erano stati prodighi.
Che la minore non si sia poi rivelata di fatto capace di acco
glierli, che abbia preferito le ragioni del cuore e della passione a quelle della saggezza e della prudenza, che abbia lasciato libero
adito alle suggestioni del Filippo, non stanno, di per sé, a signifi care una incapacità di scelte, ma, ancora una volta, a comprova re quella influenza su di lei esercitata da parte del predetto che, come si è notato, avrà rilevanza, a proposito dei reati, ai fini
dell'attenuante della induzione.
Fuori dell'influenza esercitata dal De Cristofaro, Diana era ca
pace di affermare e di imporre anche energicamente la propria volontà. Si veda il suo ostinato rifiuto di riprendere contatto con
gli amici del De Cristofaro (per esempio la Tineke «che telefona
va spesso, ma Diana non la voleva vedere perché parlava sempre di Filippo») sui quali riversava il suo disappunto per il tradimen
to subito dal De Cristofaro che le aveva celato la sua situazione
familiare.
Ma anche sotto la diretta e prepotente influenza dell'uomo, anche nel momento più tragico per lei, quando verrà sospinta ad accoltellare la Curina, Diana cercherà di difendere tenacemen
te la propria volontà (non importa se senza successo) la quale era nel senso di un rifiuto assoluto di un mezzo cruento. Non
è qui il caso di descrivere le tergiversazioni, le schermaglie, le
resistenze da ella frapposte, poiché sono state ampiamente riferi
te mediante la trascrizione integrale delle dichiarazioni della minore.
Occorre altresì' ridimensionare notevolmente il concetto di
campo-dipendenza, illustrato in dibattimento in sede di chiari
menti peritali per sintetizzare l'inclinazione di Diana a modellare
la propria condotta sotto l'influenza contingente di questa o di
quella persona.
Dopo la prima fuga Diana rientra in seno alla famiglia, lonta
na quindi da ogni contatto con il De Cristofaro. Nonostante fos
se stata resa consapevole della situazione personale e familiare
di quest'ultimo (sposato, padre, di dimostrata inaffidabilità in
ogni senso) Diana «portava ancora la fede di Filippo ed una cate
nina con il suo nome», segno inequivocabile del suo orientamen
to a conservare un legame affettivo con l'uomo che si era reso
responsabile dell'inganno, sebbene la «dipendenza» in quel mo
mento dalla famiglia, decisamente contraria a tutto ciò che potes se rinsaldare il legame, fosse fuori discussione.
Ma soprattutto bisogna ricordare tutte quelle occasioni in cui
Diana ha finito, in ultima analisi, per fare delle proprie scelte, anche là dove sembrava totalmente alla mercé del De Cristofaro, occasioni di cui si è ampiamente parlato allorché sono stati illu
strati e valutati i fattori di immaturità della minore, e che qui non è il caso di ripetere.
Il Foro Italiano — 1989.
Resta ora da analizzare le modalità, gli atteggiamenti, le circo
stanze attraverso i quali si è manifestata e concretizzata la volon
tà della minore diretta a concorrere nella consumazione del delitto,
per verificare in che misura essa possa dirsi essere il risultato del
la circonvenzione operata dal maggiorenne ed entro quali limiti
essa, al contrario, sia l'effetto di un'autonoma elaborazione e
formazione della volontà.
Tale analisi appare indispensabile allorché il reato non si è esau
rito in una improvvisa determinazione cui ha fatto subito seguito
una immediata esecuzione, ma si è sviluppato, come nel caso di
reato premeditato, in un arco di tempo, più o meno ampio, in
cui la volontà si è articolata in forme diverse di estrinsecazione
e in cui il soggetto ha avuto modo di porsi dinanzi alla risoluzio
ne criminosa in differenziati atteggiamenti psicologici. Cosi in un reato in cui, come quello di omicidio ascritto all'im
putata, la progettazione è passata attraverso diverse ipotesi e l'e
secuzione ha comportato più di un'azione, non deve stupire se
tra una iniziale perplessità («Io avevo dei dubbi se ciò si potesse
fare . . . secondo me quando ci saremmo trovati al momento di
farlo, non avremmo avuto la forza») e la riluttanza di fronte
ad una certa realizzazione (il ferimento) vi siano stati momenti
intermedi di assoluta determinazione, cosi come in taluni di essi
abbia giuocato una maggiore rilevanza la suggestione dell'altro
ed in altri una volontà del tutto autonoma e indipendente.
Ripercorrento la ricostruzione che si è operata, in un preceden te paragrafo, della condotta della Beyer, non può mettersi in dub
bio che esiste tutta una lunga fase, che va dall'adesione piena della predetta al piano delittuoso alla somministrazione del Va
lium, in cui la minore non solo non ha avuto ripensamenti, ma
ha partecipato in maniera fattiva al piano delittuoso con una pro
pria inventiva e con un contributo personale ed originale al suo
perfezionamento, al di fuori d'ogni condizionamento, suggestio ne e sollecitazione da parte del maggiorenne.
Si fa qui particolare riferimento a tutte quelle circostanze in
cui risulta evidente che la Beyer non si è limitata a seguire passi vamente i passi del De Cristofaro, ma ha fatto pesare le proprie decisioni nella messa a punto del piano, prendendo iniziative («era una sostanza solida a pezzetti, io l'ho triturata finemente, l'ho
messa in una bottiglietta»), facendo rilevare gli inconvenienti («l'i dea l'abbandonai perché avevo provato a scioglierla nell'acqua bollente ma la polvere non si scioglieva»), facendo contropropo ste («È meglio che le dai una pugnalata nella panca» «ho pensato alle medicine per dormire e Filippo ha detto: questa è un'ottima
idea»), partecipando al perfezionamento dell'intesa («l'accordo finale dopo varie discussioni fu che io avrei messo le medicine
nel caffè e poi Filippo avrebbe fatto quello che voleva lui»), cosi
come a tutte quelle circostanze in cui ella ha agito con scrupolo e tempestività senza ordini diretti del De Cristofaro (la prepara zione del caffè e l'addizione del Valium subito dopo il primo
pasto consumato a bordo) o con suoi propri criteri (versando tutto il quantitativo del farmaco nella tazzina di Anna Rita per ché producesse un effetto più sicuro e rapido).
Non può mettersi in dubbio che in tutti questi casi la minore
«aggiungeva» una volontà tutta sua a quella comune, «esprime va» una volontà che era suo esclusivo e genuino prodotto non
inquinato dalla interferenza del De Cristofaro.
Resta ora da trattare un ultimo argomento cui in perizia è stata
riservata particolare rilevanza quale parametro per definire la par
tecipazione psicologica della minore ai fatti. Si tratta del senti
mento del «dover fare», della percezione del «debito assoluto»
derivante dal legame d'amore e da tutto ciò che «Filippo aveva
fatto per lei» che avrebbe indotto la Beyer ad accettare il proget to criminoso.
A parte il fatto che tale risvolto psicologico sembra a questo tribunale essere più attinente al concetto di «determinazione» pro
prio della attenuante più volte menzionata che a quello di capaci
tà, è il caso subito di osservare che l'incidenza effettiva che siffatto
stato d'animo abbia esercitato sulla dinamica delittuosa non può
avere, in virtù di quanto è stato messo in luce in sede di ricostru
zione dei fatti, determinante importanza. Si è visto, infatti, come il concorso della Beyer nell'omicidio
possa dirsi già perfezionato con la somministrazione del Valium
nel caffè destinato alla Curina, in quanto presupposto per la sua
eliminazione fisica. Il colpo di coltello poteva esserci come non
esserci. Il suo verificarsi non ha impresso un particolare svolgi
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GIURISPRUDENZA PENALE
mento alle azioni successive. Molto probabilmente, come è stato
ipotizzato, aveva il solo scopo di coinvolgere più intensamente
la minore nel delitto.
Poiché il succitato sentimento di «debito» è stato nella Beyer inculcato dal De Cristofaro negli istanti immediatamente prece denti al ferimento della Curina (vedere il preciso racconto della
minore al riguardo) mentre tutte le precedenti operazioni (prepa razione del caffè, prelievo del medicinale, suo travaso nella be
vanda) si sono verificate con iniziative perfettamente autonome
della Beyer senza che il Filippo nulla le ricordasse e le prospettas
se, non può che concludersi che per la sua irrilevanza.
Alla luce, pertanto, di tutte le osservazioni che in questo para
grafo si sono venute svolgendo, nonché alla stregua dei principi
giurisprudenziali che sommariamente sono stati illustrati e in cui
puntualmente sembra che possano essere calati i risultati delle
predette osservazioni, ritiene questo tribunale che, accanto alla
capacità di intendere il significato delle proprie azioni, debba alla
Beyer riconoscersi anche una capacità di volere sufficientemente
autonoma e strutturata sia con riferimento al suo sviluppo psico
fisico, sia in relazione ai fatti e alle circostanze in cui si è trovata
coinvolta, tali da consentirle di poter valutare le conseguenze e
le motivazioni delle proprie azioni e di effettuare delle scelte tra
i beni da sacrificare o da valorizzare: da un lato un sistema di
vita avventuroso e irregolare da cui si sentiva ormai calamitata,
dall'altro una esistenza, quale quella della Curina, da rispettare,
da un lato il proprio amore e una passionalità contorta da perpe
tuare e comunque e a ogni costo da preservare, dall'altro una
giovane vita da far scomparire per sempre, in un meriggio estivo
in una tomba di acqua, con il complice silenzio dell'Adriatico.
(Omissis)
TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 6 ottobre 1988; Pres. Mar
torelli, Est. D'Isa; imp. Bolzoni, Longanesi.
TRIBUNALE DI MILANO;
Favoreggiamento — Favoreggiamento personale — Reato — Fat
tispecie di commissione a mezzo stampa (Cod. pen., art. 378).
Integra il reato di favoreggiamento aggravato ex art. 378, 2° com
ma, c.p. la pubblicazione di un articolo contenente la notizia
che, a seguito delle rivelazioni di un boss, la magistratura sta
sviluppando un'inchiesta coinvolgente personaggi molto noti e
insospettabili, con imminente emissione di provvedimenti di cat
tura, se il giornalista si rappresenta anche il rischio che la di
vulgazione possa effettivamente aiutare qualcuno degli inquisiti,
accettandolo proprio per fornire quella notizia prima di altri
(fattispecie relativa alla pubblicazione dell'articolo dal titolo «Le
rivelazioni del boss Epaminonda sulla mafia. Inchiesta contro
giudici, poliziotti, imprenditori» su «Il Giornale» dell'II feb braio 1985). (1)
(1) Per un precedente edito in tema di favoreggiamento personale con
testato a un giornalista, v. Cass. 20 gennaio 1982, Maffei, Cass, pen.,
1984, 1944, con nota di Maooini e massimata in Foro it., Rep. 1983,
voce Favoreggiamento, n. 10: nell'annullare la sentenza di condanna emessa
dai giudici di secondo grado, per ritenuto difetto di motivazione in punto
di elemento soggettivo, la Cassazione in questa occasione affermava il
principio secondo cui il dolo del favoreggiamento ricomprende la precisa
volontà di fornire al ricercato quell'aiuto che l'attività posta in essere
è idonea a produrre, poiché tale aiuto è ciò che integra la lesione del
bene giuridico protetto, risolvendosi nell'evento (giuridico) del reato.
A ben vedere, la sentenza in epigrafe si discosta dalla predetta conce
zione del dolo di favoreggiamento più in apparenza che nella sostanza.
Anche a prescindere dalle differenze intercorrenti tra le rispettive fattispe
cie concrete delle due pronunce (differenze con ogni probabilità meno
decisive di quanto non ritenga Trib. Milano nella motivazione), una at
tenta lettura della pronuncia della Cassazione evidenzia che l'organo di
legittimità si è sostanzialmente limitato a ricostruire alla stregua dei prin
cipi generali, forse in materia un po' più pregnante di quanto risulti da
altre pronunce (cfr., tra le più recenti, Cass. 12 febbraio 1985, Zuppelli,
. Il Foro Italiano — 1989.
(Omissis). Il tribunale, al fine di procedere all'esame dell'im
putazione di favoreggiamento personale a carico di Longanesi, ritiene opportuno premettere alcune considerazioni di diritto che,
per il loro carattere consolidato, possono costituire un sicuro qua dro di riferimento.
L'art. 378 c.p. punisce «chiunque, dopo che fu commesso un
delitto per il quale la legge stabilisce l'ergastolo o la reclusione,
e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere
le investigazioni dell'autorità, o a sottrarsi alle ricerche di que
sta». Si tratta, in ogni sua ipotesi, di reato di natura formale,
di pericolo e solo eventualmente di danno, e cioè per la sussisten
za del reato basta la semplice messa in pericolo o lesione poten
ziale del bene giuridico assunto a oggetto di tutela penale.
Si ritiene che «il delitto di favoreggiamento personale può ma
nifestarsi in qualsiasi modo, positivo o negativo, purché idoneo
a raggiungere lo scopo, e cioè abbia la potenzialità di deviare
in maniera apprezzabile le indagini, si da metterle su una falsa
direzione oppure da costringere ad impiegare un maggior impe
gno nel loro svolgimento; né si richiede, per la sua configurazio
ne, che la giustizia sia effettivamente fuorviata né che l'intento
di far eludere le indagini sia effettivamente realizzato» (Cass.,
sez. I, 28 novembre 1986). D'altra parte «il favoreggiamento ri
corre anche quando l'azione del colpevole sia indirizzata verso
persona sconosciuta; invero, dato che l'aiuto può essere prestato
anche all'insaputa del favoreggiato ed altresì' mediatamente, non
occorre che l'aiutato sia personalmente conosciuto dal favoreg
id., Rep. 1986, voce cit., n. 16; 7 maggio 1984, Sfelizia, id., Rep. 1985, voce cit., n. 5; 21 febbraio 1984, Raiola, ibid., n. 4), l'autentico contenu
to del dolo del delitto di cui all'art. 378 c.p.: sul punto, v. più diffusa
mente Maggini, cit., 1951.
Lungi dal contraddire il principio secondo cui il dolo abbraccia l'offesa
al bene protetto sotto forma di consapevolezza che l'aiuto può arrecare
nocumento alle indagini, Trib. Milano affronta l'ulteriore problema —
non affrontato dalla Cassazione nella pronuncia ricordata — della puni bilità del favoreggiamento a titolo di dolo eventuale: problema risolto
positivamente, in base a una diretta applicazione del criterio dell'accetta
zione del rischio (cfr. su tale criterio la giurisprudenza citata nella nota
di richiami a Trib. Firenze 6 novembre 1985, id., 1988, II, 400; in dottri
na, in tema di dolo eventuale, cfr., da ultimo, De Francesco, in Riv.
it. dir. e proc. pen., 1988, 113) elaborato in generale con riferimento
a qualsivoglia reato.
In senso critico circa la tendenza di una parte della dottrina (specie di lingua tedesca) ad arricchire il dolo di favoreggiamento circoscrivendo
lo al solo dolo «diretto», onde controbilanciare attraverso la ricerca di
rimedi in chiave soggettiva le incertezze che non di rado emergono in
sede di delimitazione della fattispecie oggettiva (emblematico il caso del
l'attività difensiva dell'avvocato), cfr. Pulitanò, Il favoreggiamento per sonale fra diritto e processo penale, Milano, 1984, 143 ss. Sull'oggetto del dolo in rapporto all'art. 378 c.p., v., altresì, Maggini, cit.
Quanto alle caratteristiche della condotta tipica, Trib. Milano si uni
forma agli orientamenti giurisprudenziali consolidati, a cominciare dalla
configurazione del favoreggiamento quale reato di pericolo: Cass. 16 aprile
1985, Costantini, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 7; 7 dicembre 1983,
Lo Cicero, id., Rep. 1985, voce cit., n. 14. In dottrina, v. Flandaca
Musco, Diritto penale, parte speciale, Bologna, 1988, I, 298; Pulitanò,
cit., 92 ss., il quale peraltro tende a ricostruire l'art. 378 secondo il mo
dello del reato di pericolo «concreto».
Circa la struttura a «forma libera» del reato, nel senso che il favoreg
giamento è realizzabile in qualsiasi modo, purché idoneo a raggiungere lo scopo, v. Cass. 27 maggio 1986, Sartori, Foro it., Rep. 1986, voce
cit., n. 12; 21 gennaio 1986, Mercurio, id., Rep. 1987, voce cit., n. 4;
18 dicembre 1984, Troise, id., Rep. 1985, voce cit., n. 6. Nella prassi
applicativa è andato sempre più consolidandosi l'orientamento favorevole
alla configurabilità di un favoreggiamento anche in forma omissiva, con
cretantesi cioè nel silenzio o rifiuto di fornire notizie per la ricostruzione
del fatto o l'identificazione del colpevole: cfr., tra le tante, Cass. 29 set
tembre 1986, Tremamunno, id., Rep. 1987, voce cit., n. 9; 8 aprile 1986,
Amato, ibid., n. 8; 24 marzo 1986, Di Pierro, ibid., n. 7. In senso criti
co, cfr., tuttavia, nell'ambito della dottrina più recente, Pulitanò, cit.,
165: «il cittadino comune, come non è tenuto a impedire reati, a maggior
ragione non è tenuto a 'garantire' da possibili turbamenti il contesto delle
investigazioni e ricerche». Analogamente, cfr. Flandaca-Musco, cit., 297;
Calzolari, in Giur. it., 1983, II, 132.
Per l'ulteriore assunto secondo cui, ai fini della configurabilità del rea
to, l'aiuto può essere fornito anche verso persona sconosciuta e all'insa
puta di quest'ultima, cfr. Cass. 19 giugno 1982, Valpreda, Foro it., Rep.
1983, voce cit., n. 8.
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