sentenza 16 febbraio 1988; Giud. Devoto; imp. Santinolli e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp.205/206-217/218Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182719 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
Nell'area del danno ambientale rientra in primo luogo la spesa necessaria al ripristino: ciò appare evidente, considerato che tale voce è espressamente indicata dal 6° comma dell'art. 18 tra i criteri cui il giudice deve attenersi in sede di liquidazione (non solo, ma l'8° comma prevede che il giudice disponga, ove possi bile, il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsàbile). L'avvocatura ha comunque chiesto una condanna soltanto gene rica, ragion per cui — ai sensi dell'art. 489, 2° comma, c.p.p. — si rimette la liquidazione del danno ambientale ad un separato giudizio, nel quale, ove il medesimo non risulterà precisamente quantificabile, verrà liquidato in via equitativa tenuto conto dei
criteri al riguardo posti dal 6° comma dell'art. 18 (gravità della
colpa individuale, costo necessario per il ripristino, profitto con
seguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali).
Soltanto all'esito di tale giudizio risulterà possibile stabilire quan ta parte del danno ambientale dovrà rimanere a carico dei singoli
imputati secondo il disposto del successivo 7° comma («Nei casi
di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei
limiti della propria responsabilità individuale): tale comma, no
nostante di ciò si sia dubitato in dottrina, contiene ad avviso del
pretore una disposizione di legge speciale successiva rispetto alla
norma di cui all'art. 187 c.p. riguardante l'indivisibilità e la soli
darietà nelle obbligazioni ex delieto.
Appare infatti evidente che i limiti della responsabilità indivi
duale in ordine al cagionato danno ambientale sono quelli deri
vanti dalla valutazione eseguita sulla scorta dei criteri di cui al
precedente 6° comma, valutazione che per l'appunto si è già de
mandata al giudice del quantum. È vero che il congegno posto in essere dai due commi in esame
ha fatto dubitare taluno della possibilità per il giudice del danno
ambientale di riservare la liquidazione dello stesso ad un separato
giudizio, ma non sembra possano sussistere valide ragioni per sostenere la deroga. Nel caso in esame al generale principio di
cui al 2° comma dell'art. 489 c.p.p. Gli imputati vanno comunque condannati in via tra loro soli
dale alla rifusione delle spese di costituzione in giudizio dello Sta
to, liquidate come in dispositivo. Per quanto concerne il comune, la legittimazione all'esercizio dell'azione di risarcimento del dan
no ambientale, allo stesso riconosciuto dal 3° comma dell'art.
8, ha comportato l'esplicazione di un intervento adesivo dipen dente a fianco dello Stato (in tal modo infatti, e non v'è ragione
per contestarne l'esattezza, l'istituto è stato ricostruito dalla dot
trina che per prima se n'è occupata).
Inoltre, il comune, ai sensi dell'art. 185 c.p., ha esercitato una
normale azione di risarcimento del danno cagionato dal reato,
ovviamente diverso e distinto dal danno ambientale.
È da ritenere sotto tale profilo che il danno morale, costituito
dallo stato di disagio e di sofferenza psicologica della popolazio ne in generale (e riferibile al comune in quanto ente esponenzia
le), ed in particolare dalla circostanza del divieto di attingere dai
pozzi artesiani (v. ordinanza sindacale in atti), si sia indubbia
mente verificato nella fattispecie, ragion per cui lo stesso — da
liquidarsi in separato giudizio — deve essere posto a carico di
entrambi gli imputati (stavolta in via solidale). Lo stesso dicasi per quanto riguarda i maggiori oneri sopporta
ti dal comune in relazione al pagamento delle ore straordinarie
effettuate dai vigili urbani nei giorni dell'emergenza scaturita dai
fatti di causa.
Anche tale danno dovrà comunque essere liquidato in separato
giudizio ai sensi del 2° comma dell'art. 489 c.p.p. Le spese di costituzione e di rappresentanza in giudizio liquida
te come in dispositivo, dovranno essere rifuse in solido da en
trambi gli imputati.
1
PRETURA DI GENOVA; sentenza 16 febbraio 1988; Giud. De
voto; imp. Santinolli e altri.
PRETURA DI GENOVA
Incolumità pubblica (reati e sanzioni amministrative contro la) — Commercio o somministrazione di medicinali imperfetti —
Prodotti dietetici — Reato — Fattispecie (Cod. pen., art. 443;
r.d. 3 marzo 1927 n. 478, regolamento contenente norme per
la produzione e il commercio delle specialità medicinali, art. 9).
Il Foro Italiano — 1989.
Poiché ai fini della legge penale il farmaco irrazionale deve rite
nersi imperfetto, rispondono del delitto di cui all'art. 443 c.p. il medico e il farmacista che, nella terapia dell'obesità, sommi
nistrino e mettano in commercio sostanze medicinali preparate in base a prescrizioni farmaceutiche e dietetiche non razionali — data la anomala associazione tra loro di farmaci di provata
efficacia nella terapia dell'obesità con altri farmaci che appaio no inutili o addirittura controproducenti — e non personalizza te alle necessità del singolo paziente del quale non venga tenuto
in debito conto lo stato fisiologico e le eventuali affezioni pato
logiche. (1)
II
PRETURA DI CAVALESE; sentenza 27 febbraio 1987; imp. Franzellin.
Sanità pubblica — Specialità medicinali — Revoca della registra zione — Cessione — Reato — Depenalizzazione — Esclusione
(R.d. 27 luglio 1934 n. 1265, testo unico delle leggi sanitarie, art. 169; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema pe
nale, art. 32).
(1) Sul delitto di cui all'art. 443 c.p., v. Cass. 24 febbraio 1971, Sti
gliano, Foro it., Rep. 1972, voce Incolumità pubblica (reati contro la), n. 22; 10 maggio 1973, Viali, id., Rep. 1978, voce cit., n. 29; 14 dicembre
1978, Baglione, id., Rep. 1979, voce cit., n. 25; 9 febbraio 1979, Alecce, id., 1979, II, 561; 27 marzo 1980, Rocchelli, id., Rep. 1981, voce cit., n. 15; 25 febbraio 1983, Graziani, id., Rep. 1984, voce cit., n. 39; 3
aprile 1986, Barone, id., Rep. 1986, voce cit., n. 25; 26 aprile 1985, Ca
sertano, ibid., n. 27; 18 ottobre 1984, Di Gioia, ibid., n. 28; 9 luglio 1986, Guerra, id., Rep. 1987, voce cit., n. 24. Tra le decisioni di merito, v. Pret. Roma 27 maggio 1975, id., 1975, II, 248; Trib. Milano 20 dicem bre 1980, id., Rep. 1982, voce cit., n. 28; Pret. Roma 15 aprile 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 26.
In dottrina, sul delitto di cui all'art. 443 c.p., v., in generale, Manzini, Trattato di diritto penale, 5a ed., Torino, 1983, 451 ss. (secondo il quale «sono imperfetti i medicinali non preparati secondo le prescrizioni scien
tifiche, o nei quali non si sono verificate tutte le reazioni o condizioni necessarie per evitare, nei limiti del possibile, ogni pericolo nel loro uso e per renderli idonei allo scopo, o quando, pur non essendo guasti, sono
difettosi per qualsiasi altra causa»); Battaglini-Bruno, Incolumità pub blica (delitti contro la), voce del Novissimo digesto, 1962, VII, 565 ss.; Marini, Incolumità pubblica (delitti contro la), voce del Novissimo dige sto, appendice, 1983, IV; Jannitti Piromallo, Adulterazione, contraffa zione e commercio di cose in danno della pubblica salute, voce
dell' Enciclopedia dei diritto, 1958, I, 603 ss.; Sammarco, Incolumità pub blica (reati contro la), voce dell' Enciclopedia del diritto, 1971, XXI, 33
ss.; Piccinino, I delitti contro la salute pubblica, Milano, 1969; Mazza, L'accertamento e la prova dei dolo nel delitto di comune pericolo di com
mercio e somministrazione di medicinali guasti, in Arch, pen., 1977, II, 149 ss.; Assumma, Avvelenamento, adulterazione o contraffazione in danno
della pubblica salute, voce del Digesto pen., 1987, I, 39 ss. Per problemi particolari legati alla produzione e al commercio dei me
dicinali, v. Ambrogio, I medicinali nella vigente legislazione, in Rass.
amm. sanità, 1965, 137 ss.; Angelici, Organi amministrativi preposti al
controllo della produzione e vendita delle specialità medicinali, in Riv. trim, sanità, 1962, 965; Astolfi, Cosmetici e specialità medicinali (sulla
inapplicabilità dell'art. 9, n. 2, del r.d. 3 marzo 1927 n. 478), in Rass.
dir. farmaceutico, 1971, 7; Cappiello, Le specialità medicinali, in Giusi,
pen., 1971, II, 659; Cassina, La vendita dei medicinali, in Riv. pen., 1954, I, 198; Chicco, Sulla vendita di specialità medicinali revocate, in
Rass. dir. farmaceutico, 1971, 32; Colacci, A proposito di medicinali
contraffatti, adulterati o imperfetti, in Scuola positiva, 1967, 479; Ma
linconico, Obbligo di registrazione delle specialità medicinali, in Nuovo
dir., 1970, 636; Pieri, Disposizioni disciplinanti la fabbricazione e il com
mercio di medicinali, in Dir. economia, 1958, 761 ss.; Marchetti-Nicoloso, La detenzione e/o la vendita in farmacia di medicinali guasti o imperfet
ti, in Rass. dir. farmaceutico, 1987, 62.
Sulla preparazione dei medicinali, v. Cass. 1° febbraio 1966, Cecche
relli, Foro it., Rep. 1966, voce Sanità pubblica, n. 30, secondo cui l'art.
9 r.d. 3 marzo 1927 n. 478, che stabilisce le caratteristiche delle specialità medicinali differenziandole dai comuni preparati o prodotti medicinali, è tuttora operante e nessuna incompatibilità sussiste tra le disposizioni in esso contenute e gli art. 162 ss. t.u. leggi sanitarie; 23 aprile 1969,
Zaini, id., Rep. 1970, voce cit., n. 99 (sulla nozione di medicinali galenici ed officinali); 6 novembre 1970, Vai, id., Rep. 1971, voce cit., n. 117
(l'art. 9 r.d. 478/27 considera specialità medicinali anche i prodotti per la cosmetica); 16 novembre 1976, Modiano, id., Rep. 1977, voce cit., n. 116 (per l'attribuzione di effetti terapeutici si deve intendere l'attribu
zione dì proprietà tali da determinare reazioni organiche volte a vincere
e curare stati o affezioni patologiche).
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PARTE SECONDA
Non è depenalizzata la contravvenzione prevista dall'art. 169 t.u.
1265/34, che punisce il farmacista che ponga in vendita specia lità medicinali di cui sia stata revocata la registrazione. (2)
I
Motivi della decisione. — 1. - Con rapporto in data 14 dicem
bre 1984 il Nas di Genova denunciava alla locale procura della
repubblica Carla Garré, i medici Giorgio Santinolli, Antonio Co
stiglielo, Massimo Meardi, Giancarlo Barbano, Paolo Rasmini,
per violazione dell'art. 193 t.u. leggi sanitarie, e riferiva in merito
alle indagini espletate sul conto dei farmacisti Maurizio Mantero
e Adriana Del Grande Carlevaro.
In data 1° marzo 1984 il ministero della sanità segnalava alla
regione Liguria che le farmacie Ligure e S. Sebastiano avevano
acquistato rilevanti quantitativi della sostanza «amfepramone», iscritta nella tabella IV della legge 1975 n. 685, e richiedeva indi
cazioni sulla sua utilizzazione. Il 27 marzo 1984 l'assessore regio nale alla sanità richiedeva all'Usi n. 15 di predisporre immediati
accertamenti e controlli, avvalendosi della collaborazione del Nas.
Il Nas effettuava una prima visita ispettiva. Il 5 aprile 1984
presso la farmacia Ligure: alla presenza del titolare, veniva effet
tuata una campionatura, prelevata da un quantitativo di gr. 3864
di composto già preparato per l'incapsulamento. Nel retro della
farmacia era stato ricavato il laboratorio di preparazione e confe
zionamento; le due farmaciste coadiutrici addette dichiaravano
che le preparazioni venivano effettuate di volta in volta, a seguito di presentazione di ricette mediche, rilasciate per la quasi totalità
dai dott. Santinolli, Costigliolo, Meardi, Barbano, Rasmini.
Il 6 aprile presso la farmacia S. Sebastiano: alla presenza della
titolare, veniva prelevato analogo campione da un quantitativo di gr. 313,2 di composto, pronto per il riempimento di n. 900
capsule. Le preparazioni venivano effettuate nel laboratorio rica
vato nel retro della farmacia, prevalentemente da due farmaciste
coudiutrici, a seguito di presentazione di ricette mediche, rilascia
te per la quasi totalità dei medici predetti. I composti campionati presso le due farmacie avevano entram
(2) Sulla questione, v. Cass. 17 dicembre 1981, Capocasale (citata in
motivazione), Foro it., Rep. 1983, voce Contravvenzione, depenalizzazio ne e sanzioni amministrative, n. 42, che ha ritenuto la depenalizzazione della contravvenzione di cui all'art. 169 t.u. 1265/34, sia pure in virtù delle disposizioni previste dalla 1. 24 dicembre 1975 n. 706. Sempre sotto il vigore della legge da ultimo citata, anteriore alla vigente legge di depe nalizzazione 24 novembre 1981 n. 689, la Cassazione si era pronunciata in senso contrario con la decisione del 10 luglio 1978, Ghedini, inedita. Posteriormente alla 1. 689/81, v. Cass. 15 ottobre 1982, Neve Sada, id., Rep. 1984, voce Sanità pubblica, n. 144, citata in motivazione. In senso conforme alla sentenza in epigrafe, v. Pret. Verona 12 luglio 1988, giud. Grieco, imp. Capri, inedita.
Per altra ipotesi di reato contravvenzionale contenuto nel t.u. 1265/34, per cui è stata ritenuta l'avvenuta depenalizzazione, v. Cass. 12 maggio 1981, Neve Sada, id., Rep. 1982, voce Contravvenzione, depenalizzazio ne e sanzioni amministrative, n. 17 (relativa alla fattispecie di cui all'art. 125 che punisce la vendita di specialità medicinali a prezzo diverso da
quello previsto nella tariffa); 1° luglio 1987, Palloni, Giust. pen., 1988, II, 487 (in senso conforme alla precedente decisione). Da ultimo, in tema di depenalizzazione di reati alimentari, v. Cass. 2 dicembre 1985, Di Mar tino, Foro it., 1988, II, 456 (relativa alla depenalizzazione della contrav venzione ex art. 40 del regolamento sanitario sulle carni emanato con r.d. 20 dicembre 1928 n. 3298).
In generale, v. Cass. 1° febbraio 1966, Ceccherelli, cit. (le norme del r.d. n. 478 del 1927 integrano il precetto penale di cui all'art. 169 t.u. 1265/34 e quindi l'ignoranza o l'errore su di esse non può essere invocato a propria scusa); 13 ottobre 1970, Cammareri, id., Rep. 1971, voce Sani tà pubblica, n. 116; 15 luglio 1982, Trettel, id., Rep. 1983, voce cit., n. 163 (secondo cui la messa in commercio di specialità medicinali non
registrate è sanzionata solo quando avvenga ad opera del produttore, del commerciante e del farmacista e non anche quando la vendita sia effet tuata da un dettagliante: in proposito v. pure Cass. 16 novembre 1976, Modiano, cit., che ha ritenuto punibile anche il rappresentante di com
mercio); 18 novembre 1981, Fabbro, id., Rep. 1982, voce cit., n. 126
(che ha ribadito l'obbligo per i commercianti di esercitare il dovuto con trollo preventivo sulla merce avuta dal grossista o dal produttore al fine di evitare che ai prodotti destinati alla vendita siano attribuite virtù tera
peutiche delle quali siano invece privi); 3 luglio 1981, Fabietti, ibid., n. 125 (secondo cui si realizza il reato di cui all'art. 168 t.u. citato quando venga posto in circolazione un prodotto non registrato che sia offerto in vendita come specialità medicinale sia per le proprietà ad esso attribui te sia per il confezionamento e la etichettatura riportante impieghi del
prodotto tipici delle specialità medicinali).
Il Foro Italiano — 1989.
bi identica composizione dichiarata: amfepramone gr. 0,015, teo
bromina gr 0,03, pancreatina gr 0,1, acido deidrocolico gr. 0,2,
clorazepato gr 0,003. Il 9 aprile nei locali dell'istituto «Nuova Antropos», presso il
quale operavano i medici indicati. Esso risultava costituito da
più locali, variamente attrezzati per esercizi ginnici ed applicazio ni terapeutiche diverse. Facevano parte della struttura muraria
anche una sala di attesa e tre studi medici: uno utilizzato dal
dott. Santinolli, mentre nei rimanenti due si alternavano gli altri
medici, che la Garré — moglie del Santinolli — dichiarava essere
retribuiti direttamente da quest'ultimo, per le prestazioni rese di
volta in volta.
La soc. Antropos era stata autorizzata con decreti del presi dente della giunta regionale, in data 7 agosto 1981 e 14 febbraio
1983, ad aprire e gestire un istituto di fisiochinesiterapia e ginna stica medica. I locali utilizzati come ambulatori medici non risul
tavano indicati nella richiesta di autorizzazione, in violazione
dell'art. 194 t.u. leggi sanitarie. L'autorizzazione regionale non
comprendeva, comunque, lo svolgimento dell'attività di «centro
dietetico - fisioterapico», secondo la dizione espressamente appo sta sui foglietti illustrativi, rinvenuti nell'istituto, utilizzati per la
terapia dimagrante del dott. Santinolli.
Il dott. Costigliolo risultava sia effettuare visite nell'ambulato
rio, sia essere direttore sanitario dell'istituto; per la gestione bu
rocratica degli ambulatori (segreteria, comunicazioni telefoniche,
prenotazioni, pagamenti, ecc.) venivano utilizzati locali, persona le ed attrezzature proprie dell'istituto.
In data 21 luglio 1984 il ministero della sanità comunicava i
certificati relativi alle analisi compiute sui campioni prelevati dal
Nas. Il laboratorio di farmacologia dell'istituto superiore di sani
tà esprimeva parere favorevole per quanto concerneva i compo nenti analizzati; ed un giudizio critico circa la validità terapeutica della loro associazione: «La miscela preparata nella farmacia Li
gure risulta a base di uno stimolante anoressico (a dose piena), un tranquillante, due farmaci ad azione sul tubo gastroenterico e sulle ghiandole annesse (pancreatina ed ac. deidrocolico), e un
vaso-bronco-dilatatore (teobromina). L'associazione deve pertan to considerarsi anomala ed il sanitario che ha preparato la ricetta
deve giustificare il suo razionale».
Il 26 luglio 1984, il Nas contestava al personale di entrambe
le farmacie che le associazioni in esse preparate erano state giudi cate anomale del ministero.
In data 26 luglio 1984 il ministero trasmetteva alla Usi 18 ed
alla regione Liguria le seguenti osservazioni in merito a:
«Preparazioni galeniche magistrali per cura dimagrante a base
di prodotti farmacologici del gruppo delle amfetamine.
Le registrazioni delle specialità medicinali anoressizzanti a base
di derivati amfetaminici associati ad altri principi attivi sono sta
te revocate già da diversi anni, avendo gli organi consultivi di
questo ministero espresso un giudizio non favorevole su questi
prodotti, la cui formulazione era suscettibile di favorire possibili tà di uso improprio.
Restano tuttora registrate presso questo ministero, con indica
zioni di anoressizzanti, specialità medicinali a base di solo dietil
propione. Alla luce di quanto sopra, non si possono non esprimere, sul
piano tecnico, perplessità sui preparati delle farmacie . . ., i quali
contengono, secondo quanto dichiarato in etichetta, dietilpropio ne associato con vari principi attivi, fra cui un tranquillante.
È noto, peraltro, che in base alle norme vigenti, non può dirsi
preclusa la possibilità che il medico curante prescriva, per un de
terminato paziente, anche una formulazione di cui il ministero
della sanità non ritenga più opportuno consentire il commercio
come prodotto industriale.
Nella fattispecie, lascia fortemente perplessi il fatto che entrambi
i preparati oggetto di campionamento riportino una etichetta a
stampa, recante la composizione qualitativa, che il farmacista com
pleta a penna con la specificazione della quantità di ciascun com
ponente. La standardizzazione delle formule induce, infatti, a
sospettare che si tratti di preparati oggetto di un altissimo nume
ro di prescrizioni da parte dei medici che, evidentemente, fanno ricorso al dietilpropione in associazione non in casi sporadici, motivati dalle condizioni particolari di singoli pazienti, ma in modo
generalizzato e sistematico». (Omissis) 3. - Questi i quesiti proposti ai periti.
«1) Quale sia l'attività svolta dall'istituto Antropos, anche in relazione alle autorizzazioni amministrative necessarie.
2) Se le prescrizioni farmaceutiche e dietetiche dei medici, di cui al procedimento, poggino su basi razionali.
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GIURISPRUDENZA PENALE
3) Se le prescrizioni siano state personalizzate tenendo conto dello stato fisiologico e patologico del singolo paziente.
4) Le modalità di spedizione delle ricette e l'organizzazione al lo scopo istituita nelle farmacie».
Premessa un'ampia illustrazione delle risultanze processuali e
degli accertamenti compiuti dal Nas, i periti svolgevano una ser rata analisi del materiale acquisito, pervenendo a conclusioni ri
gorose ed estremamente dettagliate. Veniva allegata documentazione trasmessa dal ministero della sanità, da cui risul tava la revisione delle specialità contenenti amfepramone e la re
voca di quelle in associazione; il consumo di amfepramone tramite
farmacia, nell'arco di un anno, era risultato pari a circa tre volte
quello fornito alle industrie per l'impiego in specialità medicinali.
In merito al primo quesito, l'attività dell'istituto Antropos ap
pare essere duplice. Da un lato esistono locali, personale ed attrezzature per tratta
menti di tipo «fisiochinesiterapico». Dall'altro presso l'istituto viene
contemporaneamente svolta un'attività medica di tipo ambulato
riale, indirizzata al trattamento farmacologico e dietetico di pa zienti obesi. A tale attività partecipavano più medici, tra i quali il dott. Costigliolo direttore sanitario, alle dipendenze del dott.
Santinolli, operando in locali dell'istituto o comunque con essi
comunicanti.
Ciò risulta dai rilievi effettuati dal Nas, dal rinvenimento di
foglietti per la richiesta di esami chimico-clinici, che riportano l'indicazione «Nuova Antropos - Centro dietetico fisioterapico», dall'amministrazione in comune delle due attività.
L'istituto non disponeva delle autorizzazioni amministrative ne
cessarie per svolgere nei suoi locali attività medico-ambulatoriali, incluse quelle finalizzate al trattamento farmacologico di pazienti obesi.
In merito al secondo quesito, per razionalità di una prescrizio ne farmaceutica deve intendersi: A) l'intrinseca capacità dei sin
goli farmaci contenuti nella prescrizione di produrre o coadiuvare
l'effetto terapeutico desiderato (nel caso specifico un calo ponde rale del paziente obeso), e/o di limitare effetti collaterali indesi
derabili del trattamento stesso; B) l'idoneità delle dosi prescritte, in relazione all'obiettivo di ottenere la massima efficacia terapeu tica con la minima tossicità.
I periti precisavano il profilo dei farmaci, che fanno parte delle
prescrizioni in oggetto, e analizzavano un campione rappresenta
tivo, costituito da 952 ricette, spedite dalle due farmacie nei gior ni 25 febbraio, 12 aprile, 10 ottobre, 1° dicembre 1983; 10
febbraio, 14 maggio, 16 novembre 1984; 2 gennaio, 21 marzo, 9 maggio 1985, riportando i dati relativi in ampie tabelle riassun
tive. (Omissis) Le prescrizioni in esame non poggiano su basi razionali, in quan
to associano al dietilpropione, farmaco di provata efficacia nella
terapia dell'obesità, altri farmaci che per le loro proprietà farma
codinamiche intrinseche e/o per la misura delle dosi indicate ap
paiono, fatta parziale eccezione per il clorazepato, inutili o
addirittura controproducenti, senza contare che la presenza nella
stessa capsula di pancreatina e clorazepato costituisce un errore,
per le ragioni già evidenziate.
Certamente non si può escludere, almeno in certi pazienti, un
effetto psicologico utile derivante dalla soddisfazione di vedersi
curati con una prescrizione contenente numerosi farmaci ed im
plicante l'assunzione giornaliera di due diverse forme farmaceuti
che, capsule e gocce di tintura vegetale. Ma è «ferma opinione dei periti» che sia più corretto produrre nel paziente tale effetto
psicologico con un'accurata illustrazione della genesi dell'obesità
e delle reali necessità dietetiche e terapeutiche, piuttosto che at
traverso la ricettazione di farmaci in parte inutili.
Le prescrizioni sono ancora meno razionali sotto il profilo eco
nomico, in quanto l'acquisto di una eguale quantità di dietilpro
pione, sotto forma di specialità medicinale comunemente in
commercio, comporterebbe una spesa pari a circa la metà del
costo delle capsule ricettate. Il dietilpropione, associato in certi
pazienti ad una benzodiazepina, soddisfa completamente le ne
cessità terapeutiche dell'obeso.
Infine, appare poco prudente da parte del medico effettuare
prescrizioni di centinaia di capsule contenenti dietilpropione. Co
munemente venivano ricettate da 200 a 400 capsule (in un caso
1200); per la tolleranza e la dipendenza fisica e psichica, che si
può instaurare verso questo anoressante, e per il desiderio di di
magrire più in fretta, il paziente può essere spinto ad assumere
un numero giornaliero di capsule superiore a quello prescritto dal medico, fino a raggiungere dosaggi pericolosi.
Viene poi affrontato il profilo clinico delle prescrizioni, esami
II Foro Italiano — 1989 — Parte 11-1.
nando cosa sia l'obesità, le sue cause, quali siano gli obiettivi che il medico si propone di raggiungere con il trattamento di que sta malattia, quali i mezzi terapeutici a disposizione, riportando un ampio corredo bibliografico.
Fondamentalmente, gli obiettivi da raggiungere sono la norma lizzazione del peso corporeo e, soprattutto, il mantenimento di
questo in futuro. Ciò comporta un approfondito studio delle cause
che hanno provocato l'aumento ponderale del singolo paziente, allo scopo di modificarle, per quanto possibile.
«Non è sufficiente, quindi, far dimagrire una persona: essa,
infatti, riprenderà rapidamente il peso perduto con la dieta o con i farmaci, se non verranno eliminate le cause che hanno indotto
l'ingrassamento e, in particolare, se non verrà impartita una cor
retta educazione alimentare».
Viene cosi illustrata la dieta ipocalorica, con un controllo me dico almeno mensile del paziente, per evitare squilibri. L'uso dei
diuretici è da bandire nel trattamento dell'obesità.
Viene poi riportata una bibliografia contraria all'uso di «place bo» e di farmaci anoressigeni. «Somministrare questi farmaci nella
fase precoce della terapia dimagrante come stimolo alla motiva
zione non è soltanto inutile, ma anche pericoloso; se all'inizio
della terapia gli si prescrive un medicamento, il paziente lo consi
dererà entro breve tempo un fattore centrale del suo trattamento
e avrà difficoltà a rinunciarvi dopo un breve periodo». Non esiste una terapia dell'obesità, bensì' una terapia del pa
ziente obeso, che potrà variare, anche di molto, da caso a caso in relazione alle condizioni cliniche.
Dal punto di vista clinico, assume fondamentale importanza la dieta, che deve rispondere a precisi requisiti. La terapia farma
cologica, per gli effetti collaterali che può avere, deve essere im
piegata solo in un secondo periodo di tempo, quando tutti gli altri presidi terapeutici abbiano fallito, e solo dopo aver attenta
mente vagliato il rapporto danno potenziale/benefici.
L'approccio terapeutico del dott. Santinolli avviene invece in
modo completamente opposto. La visita medica non dura in me
dia più di quindici minuti, e non c'è quindi il tempo per appro fondire le cause dell'obesità nel singolo paziente, e tanto meno
per tentare una minima educazione alimentare. Una volta stabili
ta l'esistenza di un sovrappeso, a tutti i pazienti viene prescritta la stessa terapia farmacologica, come primo approccio terapeuti
co, indipendentemente dal sesso, dall'età, dall'esistenza di even
tuali patologie associate e dai farmaci per esse assunti.
Tra i farmaci anoressigeni viene scelto quello che più frequen temente può dar luogo ad effetti collaterali spiacevoli, ad assue
fazione e a dipendenza. Il trattamento dimagrante si basa
esclusivamente sull'uso del dietilpropione, usato in dose progres sivamente crescenti dal 1982 in poi, a causa della tolleranza cui
notoriamente danno luogo i derivati delle amfetamine.
Che l'amfepramone sia la base del trattamento dimagrante è
dimostrato dall'assurdità della dieta, identica per tutti i pazienti, che in pratica è una «non dieta». Scopo di questo trattamento
è l'abolizione del senso di fame, per cui il paziente rifiuta il cibo
per tutto il periodo in cui il farmaco è attivo, senza abituarsi
ad una alimentazione corretta, tale da consentirgli di mantenere
il peso raggiunto. Ne consegue che alla sospensione del farmaco, o quando verso di esso si è instaurata tolleranza, si ha ripresa del senso di fame e l'individuo ricomincia a mangiare come pri
ma, riguadagnando rapidamente il peso iniziale. A questo punto si impone un progressivo aumento delle dosi, con il pericolo di
maggiori effetti collaterali spiacevoli. In seguito a questa progressione «fame-aumento delle dosi di
dietilpropione - assuefazione - nuovo aumento delle dosi», si crea
uno stato di dipendenza del tutto analoga a quella che si viene
a creare per le amfetamine. Dall'esame delle cartelle cliniche rac
colte nel computer si ricava la constatazione che diversi pazienti,
dimagriti in seguito al trattamento, sono reingrassati nel giro di
6 mesi - 1 anno, ed hanno dovuto ripetere la terapia a dosi mag
giorate. La dieta Santinolli viene definita estremamente irrazionale,
un'accoglienza di cibi, che non sono pragonabili tra loro né dal
punto di vista calorifero, né da quello del contenuto in proteine,
lipidi, glucidi; una dieta dissociata, in quanto non contiene nelle
quantità e proporzioni dovute i vari nutrienti; una dieta ipocalo
rica, ipoglucidica, iperprotidica e iperlipidica, quindi squilibrata e potenzialmente dannosa.
L'elenco dei cibi riportati nel foglio illustrativo del dott. Santi
nolli non è basato su nessun criterio scientifico, né dal punto di vista quantitativo, né da quello qualitativo. Esso è solo un
paravento per mascherare il reale provvedimento dimagrante, co
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PARTE SECONDA
stituito dall'amfepramone. A sua volta, il trattamento farmaco
logico viene fatto credere terapia «a base di erbe», sfruttando
l'attuale orientamento verso la fitoterapia. In conclusione, sulla base dei dati e delle considerazioni espo
ste, ed anche tenendo conto del larghissimo numero di pazienti
coinvolti, i periti ritengono che le prescrizioni farmaceutiche e
dietetiche in causa non poggino su basi razionali. (Omissis) Per valutare compiutamente i profili penali dei fatti fin qui
esaminati, è di fondamentale importanza tenere ben presente la
dimensione complessiva del fenomeno.
Oggetto del procedimento non è l'esame di una ricetta, l'im
perfezione di alcune capsule, le responsabilità connesse alla reda
zione e spedizione di singole prescrizioni farmaceutiche.
Oggetto del procedimento è la responsabilità di un medico, che
dal 1983 al 1987 ha creato e gestito una struttura ambulatoriale, in cui si sono avvicendati altri diciannove sanitari — numero più volte sottolineato dalla difesa — trasformando un istituto di fi
sioterapia in una fabbrica di ricette, una «catena di montaggio», attraverso cui sono passate decine di migliaia di pazienti. La re
sponsabilità di due farmacisti, che tra il 1983 ed il giugno 1985
hanno trasformato i propri laboratori in una «vera e propria of
ficina farmaceutica», operando come «una piccola industria far
maceutica»; spedito 58.592 ricette, consumato kg 365 di
amfepramone, prodotto ciascuno una media di 14.565 capsule al giorno, cioè alcuni milioni di capsule all'anno, mantenendo
poi tale sistema produttivo fino al divieto imposto dal ministero
in data 10 marzo 1987.
La dimensione eccezionale del fenomeno è il primo dato di
partenza, oggettivamente accertato, e quindi processualmente certo, che costituisce il criterio fondamentale per affrontare il problema della classificazione del farmaco prodotto nelle due farmacie. È
la fattispecie in esame ad essere del tutto atipica, non riconduci
bile alle categorie classificatorie ed operative ordinariamente
accolte.
La disciplina normativa della materia è notoriamente insuffi
ciente, connotata da una terminologia eterogenea, e da una ca
rente definizione dei concetti. L'art. 144 t.u. leggi sanitarie non
definisce il concetto di galenico, e tale definizione non si rinviene
neppure nelle diverse disposizioni normative, che pure accennano ai preparati galenici.
L'interprete non può che ricorrere al comune significato delle
parole usate dal legislatore, ai sensi dell'art. 12 preleggi, tenendo
presente la particolare connotazione scientifica della relativa ter
minologia (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 ottobre 1986, n. 688, Foro it., 1987, III, 133).
È comune, in dottrina e giurisprudenza, il richiamo alle defini
zioni date dall' Enciclopedia medica italiana (Firenze, 1952, IV,
740): «Medicamenti galenici venivano detti un tempo quelli deri vanti da diverse manipolazioni delle droghe (o semplici) di natura
vegetale o animale; farmaci, perciò, complessi e di composizione non ben definita o costante, in contrapposizione ai medicamenti
chimici, che hanno caratteristiche ben definite, costanti e control labili. Le preparazioni galeniche si distinguevano a loro volta in
magistrali e officinali: le prime preparate estemporaneamente dal farmacista su ricetta del medico (magister), le seconde tenute pronte nell'officina farmaceutica, perché di formula fissa stabilita dalla
farmacopea. Successivamente si è estesa la denominazione di galenico a tut
te le preparazioni farmaceutiche, ed attualmente si indicano co me galenici tutti quei medicamenti che non sono specialità medicinali. Tale definizione negativa si è imposta, soprattutto per ché accettata dalle autorità sanitarie e mantenuta nei testi di legge e decreti. In tal modo prodotti galenici sarebbero tutti i medica
menti, che il farmacista spedisce sotto suo controllo e responsabi lità, diversamente dalle specialità medicinali, di cui è responsabile unicamente il preparatore».
Il galenico, dunque, nasce connotato scientificamente in senso
positivo: esso è il farmaco (inteso nel senso di medicinale già in forma e dose di medicamento) derivante dall'impiego di dro
ghe medicinali, cioè di prodotti naturali, del regno vegetale ed
animale, usati singolarmente o tra loro combinati. Da questa definizione in positivo si è passati poi nella pratica,
anche amministrativa, alla definizione del galenico «in negativo», cioè come quel medicamento che non è specialità medicinale (Cons. Stato 28 ottobre 1986, cit.).
Conformemente alle definizioni comunemente accolte nella let teratura giuridica e nei manuali di legislazione farmaceutica, co stituisce «galenico» — termine derivato dal nome di Galeno di
Il Foro Italiano — 1989.
Pergamo (129-200 d.C), autore di molte formule di medicamenti, il cui uso si è poi esteso fino all'inizio dell'era moderna — ogni
prodotto terapeutico, semplice o composto, a dose e forma di
medicamento, preparato dal farmacista nella propria farmacia,
per la vendita diretta al pubblico nella farmacia stessa.
Si distingue poi tra galenico «officinale», il prodotto, semplice o composto, preparato secondo una formula fissa, prescritta dal
la farmacopea ufficiale. E galenico «magistrale», preparato estem
poraneamente dal farmacista, di volta in volta, sotto suo controllo
e responsabilità, secondo la ricetta, con cui il medico formula
la composizione del medicamento per la realizzazione in farmacia
(cfr. Cass. 23 aprile 1969, Zanni, id., Rep. 1970, voce Sanità
pubblica, n. 99). È invece normativa la definizione della specialità medicinale:
«Qualsiasi prodotto terapeutico, semplice o composto, preparato a dose o forma di medicamento, secondo una formula prestabili
ta, contenuto in recipienti od involucri determinati pronti per la
vendita e chiusi in modo che non sia possibile apportare al pro dotto qualsiasi modificazione» (art. 9 r.d. 3 marzo 1927 n. 478).
La disciplina dei galenici è tracciata dalla farmacopea ufficiale, vero e proprio codice farmaceutico, costituito da un corpo di
norme giuridiche — emanate con decreto ministeriale — dal con
tenuto tecnico ma con immediato valore precettivo, nel quale ven
gono elencati i medicinali generalmente accettati per il loro uso
terapeutico. Né costituisce parte integrante il formulario naziona
le, costituito dalla raccolta delle monografie di volta in volta pub blicate sulla Gazzetta ufficiale, in cui vengono indicati gli standards
di efficacia, sicurezza e qualità delle sostanze impiegate in medi
cina, nella preparazione dei medicinali e dei galenici. Il farmacista non ha bisogno di autorizzazione a produrre far
maci, giacché questa è insita nell'autorizzazione ad aprire e a ge stire la farmacia. Ma tale produzione può essere effettuata solo
entro gli schemi prima delineati, come stabilito dall'art. 35, 2°
comma, r.d. 30 settembre 1938 n. 1706 («I medicamenti compo sti debbono corrispondere alla formula prescritta dalla farmaco
pea ed essere preparati con le norme in essa descritte»). Il farmacista può quindi produrre farmaci approntati secondo
una formula fissa, soltanto se tale formula è prescitta nella far
macopea o in altri formulari equipollenti. Può produrre farmaci di formulazione diversa, la cui composi
zione non è codificata nella farmacopea — cioè «originali» —
soltanto estemporaneamente, su formula ricettata da un medico
di volta in volta. Tale facoltà non è prevista espressamente dalla
legge, ma solo in forma implicita («Qualsiasi medicinale non de
scritto nella farmacopea deve essere somministrato dal farmacista allo stato di purezza, genuinità ed ottima conservazione», art.
35, 3° comma, con gli obblighi di cui all'art. 37), poiché ricom
presa nei principi generali, cioè deriva dalla storia stessa della
medicina e del rapporto medico-farmacista («I farmacisti non pos sono rifiutarsi di vendere le specialità medicinali di cui siano prov visti e di spedire ricette firmate da un medico per medicinali esistenti nella farmacia»; «Hanno l'obbligo di spedire le ricette nel tempo strettamente necessario per eseguire magistralmente le
preparazioni»: art. 38). Soltanto la specialità medicinale può avere una formula presta
bilita non prevista nella farmacopea, proprio perché tale formula è stata anch'essa preventivamente autorizzata dal ministero della sanità con la registrazione, previo accertamento della qualità, ef ficacia e sicurezza del prodotto, mediante esame dei protocolli sperimentali dal produttore (art. 162 t.u. leggi sanitarie).
La presenza di una formula prestabilita costituisce il carattere
fondamentale — di garanzia per la salute dell'utente, contro ogni improvvisazione terapeutica — che accomuna il galenico offici nale e la specialità medicinale, e distingue concettualmente i pro dotti farmaceutici preparati secondo un'esperienza consolidata dai rimedi estemporanei, richiesti di volta in volta dal medico al far macista per il singolo paziente. Scopo evidente dal sistema è deli mitare il campo delle responsabilità: demandando al farmacista
quella della qualità della preparazione, e sottraendogli invece quella dell'efficacia e sicurezza del medicamento.
I problemi interpretativi affrontati in giurisprudenza sembrano limitati alla distinzione tra specialità medicinale e galenico offici
nale, per l'evidente carattere comune della predisposizione della
formula, variando in sostanza il tipo di produzione, industriale o artigianale.
Non è stato invece affrontato, almeno per quanto ci risulta, il problema relativo alla differenziazione tra specialità e galenico magistrale: principalmente, sembra, per la rarefazione di tale ipo
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GIURISPRUDENZA PENALE
tesi, pressoché scomparsa in tutta Italia, prima dell'avvento delle
nuove terapie dimagranti. Ritiene il decidente che il carattere di distinzione consista nelle
tipicità dell'uno e dell'altro preparato: non in criteri meramente
estrinseci o di confezione, bensì' intrinseci e oggettivi, cioè di ef
fettivo significato terapeutico e farmacologico. Per la specialità, nella preparazione a carattere generale, secondo una formula pre
stabilita; per il magistrale, nella estemporaneità della preparazio
ne, secondo una specifica ricetta medica, valida per l'uso
individuale. La ricorrenza di una formula prestabilita è il dato costante sot
tolineato in perizia, ove si rileva come l'impostazione di tutta
la «catena di montaggio» ideata dal Santinolli informi entrambi
i versanti dell'attività terapeutica: per i medici, per consentire un
elevato numero giornaliero di visite e quindi di relative prescri
zioni; per i farmacisti, per facilitare la spedizione delle ricette.
La prescrizione costante, qualitativamente invariabile, di cin
que farmaci associati, con limitate variazioni quantitative del do
saggio per capsula di due soli componenti, consentiva la
preparazione di grandi quantità di miscele a dosi prefissate, già
predisposte per la spedizione di gruppi di ricette. «Si configura in pratica, per l'invarianza qualitativa ed in parte quantitativa delle prescrizioni e per il loro numero elevatissimo, una situazio
ne analoga a quella della preparazione di una specialità medicina
le, che sul piano pratico sostanzialmente aggira i vari dispositivi di legge, che regolano la messa in commercio dei preparati di
questo tipo». Il farmaco in esame non è certamente un galenico officinale;
la sua formulazione non corrisponde ad alcuna formula contenu
ta nella farmacopea, o in altre raccolte di analogo valore ufficia
le: anzi in nessuna raccolta di alcun genere. Ciò risulta
espressamente dalla relazione peritale, dalle osservazioni dell'isti
tuto superiore di sanità, e comunque non costituisce oggetto di
contestazione da parte dei consulenti. È proprio del Santinolli
avere ideato un farmaco originale, non corrispondente ad alcuna
formulazione precedente. Ma esso neppure costituisce un galenico magistrale.
«Estemporaneo» è voce dotta, che deriva dal tardo latino ex
temporaneum, dall'espressione ex tempore, cioè sul momento; si
gnifica pertanto «che non pone tempo in mezzo, che è immediato
e improvviso». Riportando, come esempio proprio, di significato
preciso: «detto di scrittore, soprattutto di poeta, che compone
improvvisando» (Dizionario etimologico della lingua italiana, Za
nichelli, 1984). Tutto si può dire delle preparazioni dei due farmacisti, tranne
che esse fossero preparate sul momento. Non perché il farmacista
debba «improvvisare», e non debba invece possedere un'attrezza
tura ed un congrua dotazione di materie prime predisposte al
l'uopo; ma perché ogni singola preparazione deve avvenire appunto
sul momento, in quanto non deve corrispondere ad una formula
prestabilita. Le farmacie si erano «organizzate in modo da razionalizzare
la preparazione delle capsule, nel senso di non preparare volta
per volta quelle di una singola ricetta». Ogni giorno veniva ap
prestata la miscela base, in previsione di un costante afflusso di
clienti, provvisti di ricette contenenti prescrizioni uniformi.
Già nella prima ispezione effettuata dal Nas il 5 e 6 aprile 1984
— eseguita quando l'attività delle farmacie ancora non aveva su
scitato particolari sospetti — venivano reperite ingenti quantità
di prodotto già miscelato, pronto per l'introduzione nelle capsu
le, eccedenti le quantità necessarie per la spedizione di singole
ricette: gr. 3864 presso la farmacia Ligure; gr. 313,2, pronto per
il confezionamento di n. 900 capsule, presso la farmacia di S.
Sebastiano.
Le due miscele avevano identica composizione, qualitativa e
quantitativa, cioè erano composte dai cinque noti farmaci in eguale
dosi predeterminate, come risulta dai verbali del Nas, sottoscritti
dagli odierni imputati. Fatto questo estremamente significativo,
perché dimostra come le due farmacie lavorassero in parallelo,
nell'identico presupposto di una ricettazione costante da parte dei
medici, sulla base di una formula prestabilita.
Si spiega così lo stupore manifestato dal dott. Meardi, quando
si meravigliava che le farmacie potessero prevedere le quantità
e qualità delle sue prescrizioni. Miscele di questo tipo sono state ancora rinvenute dal Nas,
nel corso delle ispezioni eseguite nel 1985 e nel 1986.
Le farmacie erano provviste di un'ampia dotazione di vasetti
di plastica, dotati di coperchio, a buona tenuta, recanti etichette
Il Foro Italiano — 1989.
prestampate, campionate dal Nas, che ritroviamo allegate alle due
perizie. Nelle etichette della farmacia S. Sebastiano erano già predispo
sti a macchina in ordine verticale, tutti i componenti del medici
nale: «Dietilproprione hcl gr.; Teobromina, Pancreatina; Acido
deidrololico; Clorazepato», con apposta la dicitura a stampa: «Sog
getto disciplina legge 685/75 tab. IV». Le etichette indicanti la
dose di somministrazione — obbligatorie ai sensi dell'art. 37 r.d.
1938 n. 1706 — riportavano addirittura la posologia a stampa: «1 cp. prima di colazione 1 cp. prima di pranzo 1 cp. pomeriggio 1 cp prima di cena».
Nelle etichette della farmacia Ligure troviamo già predisposti,
questa volta a penna, non solo tutti i componenti, ma anche le
dosi di alcuni di essi: dosi comunque fisse, variando sostanzial
mente soltanto la dose di amfepromone da confezione a con
fezione.
Fatti questi che sembrano di estrema gravità e quanto mai pro banti della formula prestabilita.
Come precedentemente ricordato, già in data 26 luglio 1984
il ministero della sanità manifestava forti perplessità sui preparati che «riportino una etichetta a stampa, recante la composizione
qualitativa, che il farmacista completa a penna con la specifica
zione della quantità di ciascun componente», in quanto ciò pre
supponeva una «standardizzazione delle formule».
Il farmaco in esame non presenta dunque il requisito fonda
mentale del galenico magistrale, cioè la estemporaneità della pre
parazione per l'uso individuale del singolo paziente. (Omissis) 7. - Le prescrizioni farmaceutiche e dietetiche dei medici non
sono fondate su basi farmacologiche razionali, e non sono perso nalizzate alle necessità del singolo paziente, tenendo conto del
suo stato fisiologico e di eventuali affezioni patologiche. La cura Santinolli è irrazionale nel suo complesso. Essa è basa
ta su un equivoco di fondo, in cui il medico induceva i propri
clienti; non esiste una terapia dell'obesità, ma una terapia del
paziente obeso che, individuate le cause fisiologiche o patologi
che del sovrappeso, tende a modificarle con interventi differen
ziati, personalizzati alle sue necessità.
L'approccio terapeutico del dott. Santinolli avveniva invece in
modo diametralmente opposto, prescrivendo a tutti i pazienti la
stessa terapia farmacologica, indipendentemente dalle condizioni
individuali di ognuno. Tutte le 952 ricette esaminate contengono un'associazione di
farmaci invariabile sotto il profilo qualitativo. Il dietilproprione
non è sicuramente, in tutti i casi, il più indicato degli anoressiz
zanti disponibili, in quanto induce, rispetto agli altri, effetti col
laterali più rilevanti; ed è stato prescritto in un certo numero
di pazienti a dosaggi giornalieri anche largamente superiori a quelli
abituali. Gli altri farmaci in associazione sono uno non appropriato e
gli altri tre inutili; due di essi risultano antagonisti nelle modalità
di assorbimento. Irrilevante o addirittura controproducente la pre
scrizione delle tinture vegetali. La dieta prescritta è squilibrata e potenzialmente dannosa; as
surda, perché identica per tutti i pazienti, ed estremamente irra
zionale, perché l'elenco di cibi ivi contenuto non è fondato su
alcun criterio scientifico, né dal punto di vista qualitativo, né
da quello quantitativo. Tinture vegetali e dieta costituiscono sol
tanto un paravento al vero trattamento dimagrante: l'amfe
pramone. La prescizione di questo farmaco veniva effettuata in modo
da cagionare grave pericolo al paziente, in quanto i medici omet
tevano un serio esame preliminare delle sue condizioni generali,
e della tolleranza del farmaco.
La sua costante prescrizione «non trova alcuna giustificazione
razionale e costituisce una prova inoppugnabile della più assoluta
mancanza di una personalizzazione della ricetta», per selezionare
i casi da trattare con anoressizzanti, e per scegliere il tipo di ano
ressizzante più idoneo.
Non risultano personalizzate le dosi di clorazepato, superfluo
nei soggetti non ansiosi, e comunque scelta farmacologica non
appropriata. È da escludere qualsiasi personalizzazione qualitati
va o quantitativa per quanto concerne teobromina, pancreatina
e acido deidrocolico, sempre presenti in tutte le prescrizioni esa
minate, per gli ultimi due nell'identico dosaggio per capsula.
(Omissis) In sostanza, l'errore fondamentale è di avere generalizzato una
terapia che, se può essere convenientemente utilizzata in casi sin
goli, selezionati nella loro specificità, non è assolutamente idonea
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PARTE SECONDA
per una utilizzazione di massa, sempre e comunque identica per tutti. Prescrivere amfepramone ha senso quando un particolare
paziente abbisogni di un rapido calo ponderale, per motivi con
tingenti e personali; è assurda invece la generalizzazione sistema
tica per decine di migliaia di pazienti di una terapia selettiva, trasformata da riduzione veloce del peso a vera e propria cura
dell'obesità.
Questo aspetto del problema è stato efficacemente sottolineato
dal ministero della sanità, con un giudizio riassuntivo dell'intera
problematica: «Non può dirsi preclusa la possibilità che il medico
curante prescriva, per un determinato paziente, anche una for
mulazione di cui il ministero non ritenga più opportuno consenti
re il commercio come prodotto industriale». Ma lascia fortemente
perplessi «che si tratti di preparati oggetto di un altissimo nume
ro di prescrizioni da parte di medici che, evidentemente, fanno
ricorso al dietilproprione in associazione non in casi sporadici, motivati dalle condizioni particolari di singoli pazienti, ma in modo
generalizzato e sistematico» (osservazioni in data 26 luglio 1984,
precedentemente citate). È consigliabile, invece, «che il trattamento
farmacologico dell'obesità sia limitato a casi selezionati e parti
colari, tenuti in attenta considerazione il rapporto rischio-beneficio
e la pericolosità di effetti secondari» (cosi la parte motiva del
d.m. 26 maggio 1987, precedentemente riportato per esteso). Possiamo quindi ritenere pacificamente acquisita l'irrazionalità
della terapia ideata dal dott. Santinolli. (Omissis) 8. - Ai fini della legge penale, il farmaco irrazionale deve rite
nersi imperfetto. La dizione «imperfetto» è tratta dall'art. 58 del t.u. leggi sani
tarie del 1907, ed è «comprensiva di ogni possibile vizio del medi
cinale» (cosi la relazione ministeriale sul progetto del codice penale,
II, 231). Ai sensi dell'art. 443 c.p., il farmaco è imperfetto quando non
abbia una giusta dosatura dei vari componenti medicamentosi, cosi da risultare inefficace; o non risulti preparato secondo le
rigorose prescrizioni scientifiche (Cass. 26 maggio 1985, Caserta
no, id., Rep. 1986, Incolumità pubblica (reati contro la), n. 27). Difetti dei necessari elementi o della giusta dosatura o, comun
que, data l'amplissima accezione dell'aggettivo «imperfetto», sia
affetto da qualsiasi vizio, originario o sopravvenuto, che lo renda
inidoneo allo scopo o addirittura pericoloso (Cass. 27 marzo 1980,
Rocchelli, id., Rep. 1982, voce cit., n. 27). È imperfetto il medicinale che, pur non essendo guasto, sia
difettoso per qualsiasi altra causa. L'imperfezione, infatti, è stata
intesa dal legislatore come non conformità con i principi della
tecnica farmaceutica, cosi da comprendere ogni possibile vizio, non dipendente da contraffazione o da adulterazione (Cass. 9
febbraio 1979, Alecce, id., 1979, II, 561). Trattasi di delitto di mero pericolo, o di «pericolo remoto e
presunto», giacché non si esige che il pericolo per la salute pub blica sia sorto, e neppure che la pericolosità del medicinale im
perfetto sia dimostrata in concreto, essendo tale pericolo presunto in via assoluta dalla legge nel medicinale imperfetto (Cass. 3 apri le 1986, Baroni, id., Rep. 1986, voce cit., n. 25).
L'impostazione giurisprudenziale è stata contestata in dottrina, lamentando una confusione concettuale tra dannosità del prodot to e pericolosità della condotta. Ma questo aspetto della norma
appare comunque accessorio alla fattispecie, poiché il farmaco
Santinolli viene espressamente definito pericoloso in concreto. Come risulta dalla lettera della norma, il delitto può commet
tersi non solo ponendo in commercio il medicinale imperfetto, ma anche con la sua somministrazione. Tale momento non pre
suppone necessariamente la detenzione per il commercio, trattan
dosi di concetto da essa distinto, analogo a quello espresso nell'art. 442 c.p., con la frase «distribuisce per il consumo».
Che il concetto di somministrare sia distinto dal concetto di
vendere è dimostrato dall'art. 730 c.p., il quale contempla alter
nativamente l'ipotesi di chi «vende o somministra»; per cui il
reato può essere commesso anche da chi non esercita il commer
cio di sostanze medicinali.
Somministrare è termine tratto dalla legislazione sanitaria, e non significa soltanto porgere per il consumo immediato, ma al tresì «dare altrui ciò che gli fa bisogno». A livello etimologico, somministrare deriva dal latino «ministrare», che non vuol dire
vendere, ma: dare, distribuire, servire, porgere. Il concetto di somministrazione, dunque, comprende tutte le
condotte di consegna del prodotto, a qualsiasi titolo, purché in
rapporto con il pubblico. Della somministrazione e messa in commercio delle sostanze
medicinali imperfette rispondono in concorso sia i medici che i
Il Foro Italiano — 1989.
farmacisti, in quanto i primi ponevano in essere la condizione
necessaria ed indispensabile per l'attività produttiva e commer
ciale dei secondi. Il medico dava al paziente quella ricetta, in
base alla quale il farmacista consegnava il medicinale prescritto.
(Omissis)
II
Fatto e diritto. — Con rapporto 17 agosto 1985 la locale squa dra di polizia giudiziaria segnalava che a seguito di indagini era
emerso che Franzellin Giancarlo, titolare della farmacia «Alla Ma
donna» di Cavalese aveva ceduto a tale Rosalia Chiocchetti la
specialità medicinale «Pantopon Roche» Cpr. da gr. 0,01; detta
specialità era peraltro da tempo stata revocata.
Svolti ulteriori accertamenti, sono stati emessi due distinti man
dati di comparizione per i reati di cui in epigrafe.
L'imputato si è difeso affermando che il medicinale in questio ne non deve essere considerato «specialità» bensì' «sostanza» che
egli aveva regolarmente registrato sul registro degli stupefacenti. Ha affermato inoltre che comunque la norma di cui all'art.
169 deve ritenersi depenalizzata. Deve essere immediatamente rilevato che i reati di cui alla ru
brica sono ricompresi tra quelli di cui all'art. 1 d.p.r. 16 dicem
bre 1986 n. 865; non ricorrono né condizioni ostative oggettive né soggettive né v'è stata rinuncia ex art. 5 del suddetto decreto.
Si impone allora di valutare se sussistono gli estremi di cui al
l'art. 152, cpv., c.p.p. in relazione in particolare a quanto dedot
to dall'imputato. Com'è noto si definisce medicamento ogni sostanza o compo
sizione presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie, da somministrare allo scopo di ripristinare, cor
reggere, modificare le funzioni organiche dell'uomo.
Dal punto di vista giuridico-amministrativo il medicamento può essere classificato in specialità medicinale e galenico estempora neo o industriale.
Per la specialità medicinale ed i galenici officinali (industriali) è il ministero della sanità che attraverso la registrazione nel pri mo caso, o l'inclusione negli elenchi allegati dalla farmacopea ufficiale nel secondo caso, ne garantisce la qualità e l'efficienza.
Per la preparazione magistrale è il medico che, formulando
il medicamento, valuta l'efficacia e la sicurezza terapeutica, spet tando al farmacista la garanzia della genuinità delle materie pri me impiegate e la tecnica di preparazione sulla base delle
disposizioni contenute nella farmacopea ufficiale.
La definizione di specialità medicinale è data dall'art. 9 r.d.
3 marzo 1927 n. 478 che recita: «qualsiasi prodotto terapeutico
semplice o composto, preparato a dose o forma di medicamento
secondo la formula prestabilita, contenuto in recipienti od invo
lucri determinati pronti per la vendita e chiusi in modo che non
sia possibile apportare al prodotto qualsiasi modificazione».
Del galenico, sia esso estemporaneo che industriale, non esista
invece una espressa definizione normativa al di fuori del riferi
mento del tutto generico ai medicamenti composti di cui all'art.
35, 1° comma, r.d. 1706/38.
Può pertanto ricavarsi una definizione soltanto in negativo del
galenico: ogni medicamento non costituente specialità medicinale.
Fatte queste premesse è del tutto evidente che la sostanza in
questione deve essere ritenuta una vera e propria specialità medi
cinale avendone tutte le caratteristiche (nome di fantasia, confe
zionamento particolare, predeterminato e sigillato, indicazioni ed
effetti terapeutici). Del resto è lo stesso imputato che nella me
moria 27 luglio 1984 inviata dall'ordine dei farmacisti ne eviden
zia le caratteristiche individuandone la ditta produttrice ed il tipo di confezionamento.
I seguenti accertamenti esperiti hanno consentito di appurare che il «Pantopon Roche» già in commercio nel nostro paese non
è più in produzione dal 1967. Né certo può ritenersi lecita, in
virtù, della defizione data dal r.d. 478/27, alla specialità medici
nale, l'utilizzazione da parte del farmacista del contenuto della
specialità per la preparazione estemporanea di un galenico magi strale, addirittura prescindendo dalla prescrizione medica.
Occorre allora esaminare la questione se l'art. 169 cit. conservi
tuttora carattere penale o sia stato degradato dall'apposita nor
mativa ad illecito amministrativo.
Com'è noto il 2° comma dell'art. 32 1. 689/81 ha escluso la
depenalizzazione di quei reati, pur sanzionati con la pena pecu niaria, che «nelle ipotesi aggravate siano punibili con la pena de
tentiva, anche se alternativa a quella pecuniaria». Tale esclusione di carattere generale non era espressamente pre
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GIURISPRUDENZA PENALE
vista nella 1. 706/75 sicché si erano determinate incertezze nella
pratica sul se, in tali casi, operasse o meno la depenalizzazione per la forma semplice (nella relazione al d.d.l. 1799, il quale suc
cessivamente ha dato vita alla 1. 689/81, si afferma che tale prin
cipio «forse potrebbe ritenersi già implicitamente contenuto nell'art. I 1. 706/75»),
Questa scelta normativa aveva dato luogo al sorgere di perples sità di carattere costituzionale evidenziandosi come la rilevanza
della condotta dell'agente nell'una o nell'altra branca dell'ordi
namento (penale o amministrativo) era demandata non alla legge ma alla valutazione discrezionale del giudice, chiamato ad accer
tare la maggiore o minore gravità del fatto, e di conseguenza a determinare la natura e la rilevanza giuridica del comportamento.
Di fatto la prevalente giurisprudenza di merito affrontando il
problema ha ritenuto la fattispecie oggi assunta dall'imputato co
me depenalizzata, configurata tuttora come reato (Pret. Lecco
24 giugno 1977, Foro it., Rep. 1978, voce Sanità pubblica, n.
154; Pret. Assisi 3 maggio 1977, ibid., n. 155; Trib. Milano 2
dicembre 1977, ibid., n. 152; Pret. Narni 25 novembre 1976, ibid., n. 153; contra, per il formale rilievo che l'art. 169 non è ricom
preso tra i casi di esclusione contemplati dall'art. 14 1. 706/75, Pret. Monza 1° giugno 1977, ibid., n. 157).
Tale fattispecie, in effetti, dà luogo ad un'entità unica doven
dosi prendere in considerazione il comportamento astratto come
tale considerato illecito.
Il fatto che tale comportamento sia punito per la prima volta
con la sola ammenda e quando vi sia recidiva anche con l'arre
sto, può solo significare che, nel caso della prima violazione, vi
è una considerazione di minore gravità mentre l'ulteriore atteg
giamento illecito fa caducare tale presunzione. Ma nell'unicità
dell'entità giuridica non v'è dubbio che la violazione è punita sia con l'ammenda che con l'arresto.
Valido conforto è dato dalla considerazione che, se fosse di
chiarata depenalizzata la violazione commessa per la prima volta
(violazione non diversa dalle ulteriori) non potrebbe verificarsi
l'ipotesi della recidiva cosiché si toglierebbe di fatto valore di
illecito penale a quel comportamento per cui è comminata la pe na dell'arresto.
La 1. 689/81, come detto, propone una esplicita disposizione in materia.
Pure nell'ambito di un tentativo di interpretazione restrittiva
che favorisca il mantenimento tra le ipotesi di depenalizzazione della maggior parte delle ipotesi semplici, deve ritenersi che l'art.
32, 2° comma, cit. si applichi pure ai casi, come quello in esame, in cui la condotta in tutti i suoi elementi materiali resta immutata
e l'aggravamento dipende esclusivamente da una condizione sog
gettiva dell'agente.
Questa interpretazione corrisponde al dato letterale riferendosi
l'art. 32 non alle aggravanti in senso tecnico bensì più generica mente alle «ipotesi aggravate».
Allorquando l'aggravamento non è ricollegabile ad un elemen
to materiale della condotta espressamente previsto (com'è nell'art.
169 cit.), la fattispecie prevista anche con pena detentiva non è
diversa da quella sanzionata con pena pecuniaria e dunque essa
deve essere configurata come entità unica esclusa dalla depenaliz
zazione; negli altri casi la violazione semplice sarà da considerarsi
depenalizzata e quella aggravata manterrà il suo carattere di ille
cito criminale.
La Suprema corte si è pronunciata due volte sulla questione: la prima, non ancora vigente la 1. 689/81, ritenendo depenalizza ta la ipotesi di reato meno grave (Cass. 17 dicembre 1981, Capo
casale, id., Rep. 1983, voce Contravvenzione, n. 42); con la
seconda pronuncia la Cassazione, pur non specificamente soffer
mandosi ad esaminare la problematica de qua, pare aderire a quel
l'orientamento che non ricomprende tra le ipotesi aggravate di
cui all'art. 32 quelle che sono tali esclusivamente per la presenza
della recidiva e conseguentemente ritenere depenalizzata la relati
va ipotesi semplice (Cass. 15 ottobre 1982, Spinelli, id., Rep. 1984, voce Sanità pubblica, n. 144).
A tale proposito può osservarsi che allorquando la fattispecie
legale riconnette alla recidiva l'applicabilità della pena detentiva
deve aversi riguardo soprattutto ai casi di reiterazione della me
desima violazione, ed inoltre che la recidiva è evidentemente inte
sa nella sua accezione penalistica, e cioè con riferimento unicamente
alla commissione di fatti-reato.
Fatte queste premesse, va osservato che il ritenere depenalizza
ta la fattispecie semplice dovrebbe portare, come effetto indotto,
II Foro Italiano — 1989 — Parte II-8.
all'applicabilità della sanzione penale anche per l'ipotesi di reite razione della stessa violazione che il legislatore pure assoggetta a pena detentiva, dovendosi certo dubitarsi della legittimità di una interpretazione che estendesse in forza delle successive leggi depenalizzatrici lo status di recidivo anche a colui che, già sotto
posto a sanzione pecuniaria per una determinata infrazione ora
amministrativa, commette un'altra identica infrazione, quest'ulti ma costituente reato. Aderendo alla opinione espressa dalla Su
prema corte, solo accogliendo una interpretazione di questo tipo, sarebbe possibile pervenire all'applicazione della sanzione penale
per l'ipotesi di reiterazione della medesima violazione, poiché, diversamente opinando, non vi sarebbe «recidiva».
Ma vi è un ulteriore motivo di carattere sostanziale: appare del tutto ingiustificato sia sotto il profilo logico che sotto quello teorico e sistematico, che a fatti identici e dunque con una mede
sima potenzialità lesiva del bene tutelato, venga prestata una tu
tela differenziata (amministrativa o penale) sulla base della sola
recidiva, come se tra violazione amministrativa e reato non vi
siano differenze antologiche. Le argomentazioni finora esposte inducono il giudicante a con
siderare non fondata la tesi dell'avvenuta «depenalizzazione» del
la norma in esame (in tal senso si esprime pure la circolare del
ministero della sanità 7 marzo 1983 dir. gen. serv.
800.7. AG.306/99). Per completezza espositiva può rilevarsi che anche la Suprema
corte in passato ha espresso un diverso orientamento rispetto a
quello attuale, affermando con sentenza 29 settembre 1978, Ghe
dini, la esclusione dalla depenalizzazione dell'art. 169 cit. a causa
della sussistenza della pena accessoria della sospensione dall'eser
cizio della professione. (Omissis)
PRETURA DI GELA; sentenza 11 febbraio 1988; Giud. Di Pao
la; imp. Rinzivillo. PRETURA DI GELA; !
Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Cattivo stato di con
servazione — Nozione — Fattispecie (L. 30 aprile 1962 n. 283,
disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostan
ze alimentari e delle bevande, art. 5; d.p.r. 26 marzo 1980 n.
327, regolamento di esecuzione della 1. 30 aprile 1962 n. 283
e successive modificazioni, art. 28).
Attraverso la previsione del cattivo stato di conservazione — art.
5, lett. b), /. 283 del 1962 — il legislatore si è voluto assicurare, in un'ottica di tutela anticipata della salute pubblica, che non
vengano poste in essere anomale condizioni di conservazione
dell'alimento che possano portare ad alterazioni del prodotto di maggiore gravità, che trovano la loro previsione nelle ulte
riori lettere dello stesso art. 5 (nella specie, un rivenditore espo neva in vendita pane riposto in contenitori non idonei dal punto di vista igienico perchè non consentivano una pulizia «facile,
rapida e completa»). (1)
(1) In tema, v. Cass. 11 luglio 1985, De Martino, Foro it., 1987, II, 321, con nota di richiami.
Con riferimento alla sentenza della Cassazione ora citata, Cappelli, In tema di responsabilità del commerciante per difettosa conservazione delle sostanze alimentari deperibili che siano detenute per la vendita, in
Giust. pen., 1988, II, 283, prende posizione in senso contrario, rilevando da un lato che «solo per alcuni determinati prodotti alimentari sono pre scritte nel regolamento alla 1. 283/62 . . . particolari modalità di conser
vazione al fine di preservarne la commestibilità e la salubrità» e osservando
dall'altro lato che «col distinguere i due 'stati' — cattivo stato di conser
vazione e stato di alterazione — il legislatore ha inteso dare rilievo pena le .. . anche a quelle modificazioni che, senza dar luogo ad alterazioni
biochimiche, compromettono le proprietà organolettiche del prodotto ri
levandone il 'cattivo stato di conservazione'. Condizione questa che . . . va
riscontrata nell'oggetto materiale del reato e non nelle modalità di con
servazione, anche per le conseguenze eccessivamente penalizzanti che de
riverebbero dalla lettura della norma nel senso indicato dalla sentenza
annotata». Aderisce invece alla opinione del Supremo collegio, Correrà, Tutela igienico-sanitaria degli alimenti e bevande, 2a ed., Milano, 1986,
71, il quale rileva che con la previsione 'cattivo stato di conservazione'
il legislatore ha inteso fare riferimento alle modalità di conservazione del
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