sentenza 17 marzo 1982; Pres. Simonetti, Est. Cristiano; imp. Muscatiello ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1982), pp.433/434-437/438Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174632 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
della reclusione da uno a cinque anni e della multa da lire 100.000
a lire 1.000.000 (ora, della reclusione da uno a otto anni e della
multa da lire 200.000 a lire 1.500.000, ai sensi dell'art. 10 1. n.
497/1974), salvo che il fatto, per la quantità o la qualità delle
cose, debba ritenersi di lieve entità nel qual caso la pena pre detta può, ai sensi del successivo art. 5, essere diminuita ai sensi
dell'art. 6 della stessa 1. n. 895/1967, il delitto di esplosione di
colpi di arma da fuoco o di scoppio di bombe o altri ordigni o
materie esplodenti di qualsiasi natura, al fine di incutere pub blico timore o di suscitare tumulto o pubblico disordine, o di
attentare alla sicurezza pubblica, è punibile con la pena della
reclusione da uno a cinque anni (ora della reclusione da uno a
otto anni, ai sensi dell'art. 13 1. n. 497/1974). Quanto agli esplo sivi e alle materie esplodenti la differenza fra le due ipotesi cri
minose è, dunque, da ravvisare oltre che nella diversa materia
lità della condotta e nella diversa qualificazione ed intensità del
dolo, anche nella sola differente natura, e non già quantità e
qualità, delle cose oggetto delle due diverse fattispecie delittuose.
Ciò spiega e chiarisce razionalmente il sistema sanzionatorio pre
disposto dalla legge per cui alla mera detenzione o raccolta di
esplosivi veri e propri è connessa una pena più grave rispetto all'altra ipotesi delittuosa relativa alle più generiche materie esplo
denti, anche se, invece, proprio tale seconda ipotesi appare ma
terialmente e soggettivamente di maggiore obiettiva gravità sia
per la più pericolosa condotta criminosa di causazione dello scop
pio delle cose, sia per la maggiore intensità del dolo atteso che
il fine dell'agente deve essere quello di incutere pubblico timore
o di suscitare tumulto o pubblico disordine o di attentare alla
sicurezza pubblica. D'altra parte, la dichiarata finalità del legislatore (cfr. la rela
zione del ministro di grazia e giustizia, in Atti camera, IV legisla tura n. 2466) è quella di prevenire i ricorrenti episodi di terrori
smo e di criminalità con l'adeguamento, e non già, dunque, con
l'abolizione, della preesistente legislazione penale all'esigenza di
un maggior rigore nel perseguimento dei reati concernenti la ma
teria delle armi e degli esplosivi, distinguendo fra condotte crimi
nose differenziate per finalità terroristiche, fra armi da guerra e
armi comuni e graduando opportunamente le pene (per cui prima, invece, il detentore, ad esempio, di un quintale di tritolo con
miccia e detonanti non rischiava penalmente più del cittadino che
deteneva abusivamente un fucile da caccia). In definitiva, quindi, l'art. 678 c. p. non è stato affatto abro
gato essendone stato solamente limitato l'ambito di applicazione con l'ulteriore e specifica previsione di cui all'art. 34 1. n. 110/ 1975, della triplicazione della pena e, quanto all'arresto, della sua
determinazione in misura non inferiore a tre mesi.
Quanto al caso di specie, al Rinaldi, come si è già detto, sono stati sequestrati n. 650 razzetti, di cui n. 400 di tipo non spe cificato, n. 200 di tipo clustening e n. 50 di tipo c. d. Fravel.
Tali razzetti non risultano in alcun modo nell'elenco dei pro dotti esplosivi di cui all'allegato A del regolamento del t.u. di
p. s. Come, però, pure risulta dal verbale di sequestro della po lizia, essi erano composti di materiale pirico esplodente sicché
la loro indebita detenzione in deposito da parte del Rinaldi, in
tegra, comunque, il reato di cui all'art. 678 c. p. La pena, avuto riguardo ai criteri di valutazione di cui all'art.
133 c.p. e, in particolare, ai precedenti, anche specifici, dell'impu tato, deve essere, quindi, fissata, in concorso delle attenuanti ge neriche già concesse in primo grado, in mesi tre di arresto e in
lire 100.000 di ammenda (pena base di mesi 4 di arresto e lire
150.000 di ammenda diminuita come sopra, per effetto delle atte
nuanti di cui all'art. 62 bis c. p.).
L'impugnata sentenza va per il resto confermata.
TRIBUNALE DI BARI; TRIBUNALE DI BARI; sentenza 17 marzo 1982; Pres. Simo
netti, Est. Cristiano; imp. Muscatiello ed altri.
Truffa — Laboratorio di analisi cliniche convenzionato — Truf
fa aggravata ai danni della regione — Reato — Sussistenza —
Fattispecie (Cod. pen., art. 640; d. p. r. 20 dicembre 1979 n.
761, stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali,
art. 27; d. p. r. 16 maggio 1980, accordo collettivo nazionale
per la erogazione di prestazioni ambulatoriali in regime di
convenzionamento esterno).
Sussiste il reato di truffa aggravata in danno di ente pubblico
per gli onorari da questo corrisposti ad un laboratorio di ana
lisi cliniche convenzionato, nelle ipotesi in cui: a) il titolare
del laboratorio abbia ottenuto indebitamente la convenzione
con la regione, cui non aveva titolo per la situazione di in
II Foro Italiano — 1982 — Parte II-30.
compatibilità derivante dall'essere già convenzionato per la
medicina generica, dissimulando la propria incompatibilità con
il fare apparire, nella stipulazione della convenzione, altra per sona quale titolare del laboratorio; b) il titolare stesso non
esegua direttamente le analisi richiestegli dall'assistito, ma le
faccia effettuare presso altro laboratorio, pur se convenzionato;
c) le analisi vengano eseguite non dall'analista, cioè da un sa
nitario professionalmente e legalmente abilitato, bensì da per sona non abilitata (nella specie, un tecnico di laboratorio, il
quale compilava i referti firmati in bianco dall'analista). (1)
Motivi della decisione. — (Omissis). Scendendo all'esame dei
singoli elementi della contestazione di truffa, va innanzitutto ri
levato che la società, la quale sin dal primo momento ha gestito il laboratorio di analisi di Ritetto, aveva quali soci reali la dott.
Morelli, Musoatiello Antonio e il dott. Nicola Loprieno. Nell'at
to costitutivo della società il Muscatiello e il dott. Loprieno, a
cagione della loro incompatibilità, fecero fittiziamente figurare
quali soci, rispettivamente, la moglie e il figlio ventunenne Ni
colò, studente in farmacia. Per il Muscatiello — come da lui
stesso fatto presente — l'incompatibilità d'impiego derivava dal fatto di essere egli dipendente ospedaliero (art. 27 d.p.r. 20 di
cembre 1979 n. 761 in relaz. all'art. 60 d.p.r. 10 gennaio 1957
n. 3). Per il dott. Loprieno l'incompatibilità ad essere titolare, e quindi socio, di un laboratorio di analisi convenzionato, che
fa parte della medicina specialistica, derivava dall'essere egli già convenzionato per la medicina generica. Infatti l'art. 48, 3° com
ma, n. 4, della citata e fondamentale 1. n. 833 del 1978 dispone che gli accordi collettivi nazionali, da rendersi esecutivi con
decreto del presidente della repubblica, devono prevedere « la
disciplina delle incompatibilità»; e l'accordo collettivo nazio
nale 22 febbraio 1980, reso esecutivo con d. p. r. 16 maggio 1980 e avente ad oggetto l'erogazione di prestazioni ambulato
riali in regime di convenzionamento esterno, al punto primo
espressamente prevede che le incompatibilità sono quelle di cui
all'accordo del 14 luglio 1973 tra la Federazione nazionale degli ordini dei medici e gli enti, il quale sancisce che è incompati bile con l'iscrizione negli elenchi dei medici specialisti la posi zione del medico che « sia iscritto nell'elenco della generica per
qualsiasi ente » (art. 5, lett. e, art. 6). Il vero socio, come si è datto, era il dott. Loprieno. Lo hanno
ripetutamente e concordemente affermato, nella maniera più convinta, il Muscatiello e la dott. Morelli. Dice il Muscatiello: « il dott. Loprieno era il socio reale della società anche se inte
stata al figlio»; «si stabili espressamente che io e il dott. Lo
prieno non dovevamo risultare soci e dovevano essere nominati
fittiziamente soci mia moglie ed il figlio del Loprieno»; «ogni decisione relativa all'andamento del laboratorio era presa dal
dott. Loprieno, dalla dott. Morelli e da me ». E dice la dott. Mo
relli: « tutte le trattative sono avvenute con il dott. Loprieno e
costui volle intestare la quota di socio al figlio perché incompa tibile ». Del resto lo stesso dott. Loprieno ha ammesso che il
Muscatiello gli propose di costituire la società, che egli prese
parte alle trattative, che si recò dal notaio, ma solo per accom
pagnare il figlio, e che sborsò i due milioni iniziali, ma solo qua le prestito al figlio (che pure — secondo lo stesso dott. Loprie no — godeva di autonomia economica). E ancora, il dott. Lo
prieno, cedendo solo un poco nel suo primo interrogatorio dopo aver alla fine avuto lettura delle dichiarazioni accusatorie rese
poco prima dal Muscatiello, ammise in definitiva di aver avuto
degli utili dalla società.
È dunque evidente, sulla base delle predette risultanze, la pre gnante partecipazione societaria del dott. Loprieno, la cui at
tività di medico massimalista, cosi come aveva previsto il Mu
scatiello, era di fondamentale interesse per la vita del laborato
rio, al quale assicurava il maggior gettito di lavoro (circa 1*80 %).
(1) Non si rinvengono precedenti editi in termini. Sul reato di truffa commesso da parte di personale medico v., da
ultimo, Pret. Barra 1° luglio 1980, Foro it., 1982, II, 166, con nota di richiami, che ha ritenuto ricorrere gli estremi di tale reato nella
ipotesi in cui un medico, a richiesta del lavoratore, rilasci falsi certi ficati di malattia inducendo in errore il datore di lavoro sulle reali condizioni di salute del dipendente e consentendo a costui di conse
guire un trattamento retributivo non dovuto. In ordine alla necessità dell'autorizzazione dell'U.S.L. per ricor
rere ai laboratori privati convenzionati v. Cass. 9 giugno 1982, n.
3474, in questo fascicolo, I, 2474, con nota di richiami, che ha ri tenuto sussistere la giurisdizione amministrativa in ordine al ricorso del titolare di un laboratorio di analisi avverso il provvedimento dell'U.S.L. con cui si dispone che l'autorizzazione al ricorso degli utenti ai professionisti e presidi convenzionati è concessa solo in caso di accertata impossibilità da parte della struttura pubblica di effet tuare la stessa prestazione entro tre giorni dalla richiesta.
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PARTE SECONDA
E questa posizione preminente del dott. Loprieno non può essere
certo sminuita dal ruolo avuto nell'ambito della società del fi
glio, limitata al disbrigo delle pratiche amministrative.
L'interesse diretto del dott. Loprieno per il laboratorio è con
fermato dal fatto che non era per lui previsto alcun compenso
specifico quale « medico prelevatore » ; egli accettò dall'inizio
questo incarico soltanto nominalmente, dal momento che i pre lievi in sostanza non li ha mai fatti lui, bensì il Muscatiello, co
me gli era ben noto. È appena il caso di ricordare che il tec
nico di laboratorio non è assolutamente abilitato ad effettuare
prelievi di sangue introducendo un ago in vena, neanche sotto
la direzione e il controllo di un medico; il tecnico di labora
torio non ha nulla a che vedere con l'infermiere professionale, il
quale è abilitato, su ordine del medico, al prelievo venoso del
sangue (art. 2 d.p. r. 14 marzo 1974 n. 225). Addirittura non è
abilitato ai prelievi di sangue il biologo, come la dott. Morelli,
tanto che per ottenere l'autorizzazione del medico provinciale ad aprire un laboratorio di analisi occorre che addetto ai pre lievi di sangue sia un medico.
Il laboratorio fu costituito con la consapevolezza da parte dei
soci delle irregolarità che sarebbero state commesse. 11 Musca
tiello, promotore dell'iniziativa di aprire il laboratorio a Bitetto,
suo paese di residenza, per prima cosa si premurò di avere come
socio il maggior massimalista mutualistico di quel comune, cioè
il dott. Loprieno con i suoi 4.500 mutuati, nonostante questi fosse
incompatibile; i prelievi li avrebbe fatti il Muscatiello, pur non
avendone titolo, assumendo il dott. Loprieno solo nominalmente
l'incarico di medico prelevatore; i soci, poi, decisero di non ac
quistare tutte le apparecchiature, fra cui quella per gli elettroliti
e quella importante e costosa (diversi milioni) per l'elettroforesi,
stabilendo che tali analisi il Muscatiello le avrebbe effettuate
presso l'ospedale Cotugno. è evidente che le analisi per cui man
cavano le apparecchiature dovevano essere fatte altrove, poiché ben difficilmente si poteva manifestare ai clienti l'impossibilità di
eseguire talune analisi, rivelando cosi una carenza di mezzi che
avrebbe comportato discredito per il laboratorio. Quanto all'ap
parecchiatura per l'elettroforesi, pacificamente mai avuta nel la
boratorio di Bitetto, il Muscatiello ha dichiarato che all'inizio
la prese, usata e in prova, da un rappresentante, cui poco dopo la restituì senza mai utilizzarla perché non andava bene. Qui
il Muscatiello è stato in parte reticente. Infatti egli e la dott.
Morelli hanno affermato che, per mancanza di fondi, tutti de
cisero di acquistare solo alcune apparecchiature. Ebbene è ov
vio che deliberatamente fra le stesse non vi fosse quella per
l'elettroforesi, poiché costava, anche usata, alcuni milioni, e i
tre soci, quotatisi complessivamente per lire 6.000.000 soltanto,
per la loro specifica qualifica e competenza (tecnico di labora
torio di analisi, analista e medico), non potevano non saperlo. Da tutto ciò pare di potere con certezza affermare che quell'ap
parecchiatura fu fatta appositamente trovare nel laboratorio al
medico provinciale che vi si recò ad eseguire l'usuale sopralluo
go per accertarne l'idoneità ai fini del rilascio dell'autorizzazio
ne per l'apertura del laboratorio (art. 193 t. u. leggi sanitarie)
e poi fu restituita a chi l'aveva momentaneamente fornita. Si è
detto dal difensore della dott. Morelli che all'inizio si pensò di
non acquistare il costoso apparecchio per l'elettroforesi in at
tesa che il loro laboratorio stipulasse la convenzione con la re
gione, perché sono le prestazioni in regime di convenzione che
consentono di guadagnare, scarsissimi essendo gli introiti do
vuti ai pochi clienti paganti. Senonché, neanche dopo aver sti
pulato la convenzione, rilasciata ormai da un anno, cioè dal no
vembre 1980, i tre imputati hanno acquistato l'apparecchio per l'elettroforesi. (Omissis)
Taluni dei fatti accertati — venendo alla valutazione giuri dica degli stessi — integrano il contestato reato di truffa, il
quale è realizzato da chi « con artifici e raggiri, inducendo ta
luno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con
altrui danno » (art. 640 c. p.). Il primo di detti fatti è la riscossione degli onorari da parte
di un laboratorio di analisi convenzionato di cui era socio, cioè
contitolare, il dott. Loprieno, incompatibile perché già conven
zionato per la medicina generica. A causa di tale incompatibili tà egli non poteva ottenere dalla regione la convenzione per un suo laboratorio di analisi (e suo, anche se non solo suo, era
il laboratorio in questione), sicché tutte le analisi svolte in quel
laboratorio, anche se realmente e regolarmente eseguite, non
potevano essere rimborsabili. Egli, che non aveva titolo alla
convenzione, dissimulò la propria incompatibile presenza quale contitolare del laboratorio facendo ufficialmente apparire nella
stipulazione della convenzione solo altra persona (la dott. Mo
relli), riuscendo con questo artifizio o raggiro di origine a in
durre in errore l'ente pubblico sulla regolarità soggettiva della
convenzione e cosi a fargli eseguire indebiti, e quindi ingiusti
pagamenti di onorari, in dipendenza di una convenzione che
non poteva esistere, mediante la presentazione mensile della
distinta riepilogativa delle prestazioni eseguite nel mese prece dente, corredata dalle relative autorizzazioni.
Il dott. Loprieno agi' con dolo, poiché era dichiaratamente
consapevole della propria incompatibilità e, come si è visto, a
cagione di questa fece apparire come socio il figlio, sicché era
perfettamente a conoscenza della sua impossibilità a convenzio
narsi e a ricevere emolumenti per la specialistica. La piena con
sapevolezza e partecipazione a tutto ciò del Muscatiello e della
dott. Morelli, e quindi il loro concorso, risulta dalla confessione
dei medesimi.
Vi è altresì truffa per quelle analisi (elettroforesi, lipidogram ma, elettroliti) mai effettuate presso il laboratorio di Bitetto, cui gli assistiti si erano rivolti e quindi ne avevano fatto richie
sta, bensì eseguite altrove, e nella specie presso l'ospedale Co
tugno. Come pure vi è truffa per le analisi, e si tratta dell'intero la
voro del laboratorio dal febbraio circa al 2 dicembre 1981, non
eseguite dall'analista del laboratorio, cioè dalla dott. Morelli, ma
effettuate dal Muscatiello, completamente da solo, il quale poi
compilava i referti firmati in bianco dalla dott. Morelli.
Infatti — con riferimento al primo aspetto — la convenzione fra la regione e il singolo laboratorio implica logicamente e
necessariamente che l'ente erogatore implica logicamente e ne
cessariamente che l'ente erogatore sia tenuto a pagare l'onorario
solo per le prestazioni dallo stesso eseguite, non potendo l'ente
pagare a un laboratorio prestazioni che non siano state dal
medesimo eseguite, poiché il laboratorio, nella previsione sinal
lagmatica delle obbligazioni, ha diritto al pagamento in quanto fornisca la prestazione dedotta nella convenzione, che è costi
tuita dalla propria e diretta opera professionale, e non sempli cemente da un'attività professionale fatta fornire da chicchessia, sicché non possono le analisi essere effettuate da altro labora
torio, pur se convenzionato. Una conferma testuale è nel men
zionato accordo collettivo nazionale 22 febbraio 1980, reso ese
cutivo con d. p. r. 16 maggio 1980, il quale, al punto 3), dispone che « ai fini di tutelare il diritto dei cittadini alla libera scelta, tale autorizzazione (dell'ente erogatore) non deve indicare né
il professionista né il presidio convenzionato esterno destinata
ri». Il fatto che sia riconosciuto dalle parti dell'accordo e ga rantito il diritto del cittadino alla libera scelta del medico, del
laboratorio di analisi, ecc., sta a significare che, per la peculia rità fiduciaria del rapporto paziente-medico o laboratorio di
analisi, il professionista convenzionato si obbliga ad eseguire
personalmente la prestazione richiestagli e il derogarvi costitui
sce violazione e inadempimento della convenzione, che fa venir
meno il diritto alla controprestazione, cioè all'onorario da parte dell'ente erogatore, che subisce un danno ove lo corrisponda. Del resto pare che nessun laboratorio abbia mai pensato di
chiedere all'ente pubblico il pagamento dell'onorario dicendo
che le analisi erano state eseguite da altro laboratorio. Circo
stanza questa che, ai fini del dolo, è chiaro segno della comune
consapevolezza da parte dei professionisti e presidi convenzio
nati che non spetta il compenso se le prestazioni non sono state
direttamente eseguite.
Nel caso di specie va poi rilevato che il Muscatiello comunque effettuò abusivamente le suindicate analisi del proprio labora
torio presso l'ospedale Cotugno, poiché o le fece personalmen te, ed egli quale semplice tecnico non era abilitato, o le fece
eseguire clandestinamente e inconsapevolmente dagli ignari ana
listi dell'ospedale. Che non potesse essere che cosi lo sapevano benissimo anche la dott. Morelli e il dott. Loprieno.
A ciò si aggiunga che la convenzione — cosa ancora più ov
via — postula che le analisi siano effettuate da un sanitario
professionalmente e legalmente abilitato e non hanno alcun va lore legale, di fronte all'ente pubblico gestore del servizio sani
tario, come di fronte a chicchessia, le analisi compiute, sia pure in un laboratorio convenzionato, da persona non abilitata, an che se eventualmente di fatto capace. L'ente erogatore subisce indubbiamente un danno se viene indotto a pagare compensi per analisi effettuate da persona non abilitata e non autorizzata, e che pertanto non può e non deve retribuire. Né, nella specie, può condividersi l'argomentazione difensiva, secondo cui co
munque la regione sarebbe stata tenuta a pagare ad altro labo ratorio le analisi prescritte, e conseguentemente non avrebbe subito in concreto alcun danno, posto che, a parte la validità assorbente dei rilievi innanzi evidenziati a dimostrazione della sussistenza del danno, le analisi abusivamente effettuate dal Mu scatiello presso la struttura pubblica non avrebbero mai potuto
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GIURISPRUDENZA PENALE
comportare per la regione, che forfettariamente sovvenziona l'en
te, una ulteriore spesa. Per parecchi mesi, come si è detto, le analisi furono eseguite
dal solo Muscatiello, perciò abusivamente, d'accordo con la dott. Morelli e con il dott. Loprieno, i quali tutti sapevano be nissimo che le analisi illegalmente venivano compiute dal Mu scatiello e che pertanto l'onorario, non dovuto, costituiva per loro un ingiusto profitto con danno dell'ente erogatore. Quanto alla partecipazione della dott. Morelli è appena il caso di ri cordare che, nonostante la sua lunga assenza, il laboratorio an dò avanti fino all'ultimo momento con i referti da lei firmati in bianco ed ella continuò sempre a riscuotere la sua parte di
utili (l'ultima riscossione avvenne il 18 novembre 1981). In conclusione i tre imputati si procurarono l'ingiusto profit
to del conseguimento degli onorari, con danno dell'ente pubbli co che li pagò, avendolo indotto in errore con l'artifizio o rag giro della presentazione delle prescritte distinte riepilogative del
le prestazioni mensili eseguite, firmate dall'analista convenzio
nata dott. Morelli e corredate delle relative autorizzazioni, con
ciò attestando e facendo credere che le analisi erano state re
golarmente e direttamente eseguite dal sanitario convenzionato
e abilitato (la dott. Morelli), mentre erano state in realtà com
piute da persona assolutamente non abilitata oppure da altro laboratorio.
Al riguardo si è prospettato da taluno dei difensori che non
potrebbe parlarsi di truffa, ma di un semplice inadempimento, in quanto questi fatti furono commessi durante l'esecuzione del
contratto, cioè della convenzione, già stipulata e in corso. Se
nonché tale opinione non è fondata, perché possono assumere
carattere truffaldino condotte operanti anche nell'ambito di un
contratto già perfetto, nessun limite ponendo l'onnicomprensiva formulazione della fattispecie prevista dall'art. 640 c. p., nel cui
schema può rientrare ogni tipo immaginabile di comportamento che sia causa di un errore nel destinatario e lo induca a un
ingiusto atto di disposizione patrimoniale. In ogni caso la pro
spettazione predetta non ha ragion d'essere, poiché nella spe cie si concepì' sin dall'inizio una struttura truffaldina.
Non può poi essere condivisa la tesi della difesa del Musca
tiello secondo cui tali fatti integrerebbero non il reato di truffa,
ma quello di frode nelle pubbliche forniture, previsto dall'art.
356 c. p. Infatti non sembra che nella nozione di contratto di
fornitura, per quanto latamente intesa, possa rientrare la pecu
liare attività libero-professionale di esecuzione di analisi clini
che; inoltre il comportamento delittuoso del reato previsto dal
l'art. 356 deve esplicarsi nell'esercizio di un atto oggettivamente
commerciale, e tale non è l'esecuzione di analisi cliniche da par
te di un libero professionista; ancora, perché si abbia la « fro
de » dell'art. 356 non è necessario che siano usati quegli artifizi
o raggiri atti a sorprendere l'altrui buona fede che costituiscono
elemento essenziale della truffa, laddove nel caso di specie, co
me si è visto, proprio di questo si è trattato, con danno del
soggetto passivo. Il Muscatiello, il dott. Loprieno e la dott. Morelli sono per
tanto colpevoli del reato di truffa continuata sub capo A), ag
gravata per essere stata commessa in danno di un ente pubblico.
(Omissis)
TRIBUNALE DI GENOVA; TRIBUNALE DI GENOVA; ordinanza 16 gennaio 1982; Pres.
Giordano; imp. Teardo e Sinagra.
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Istruzio
ne penale — Pretore — Istanza di ricusazione — Ammissi
bilità (Cod. proc. pen., art. 64, 73).
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Motivi di
ricusazione — Inimicizia grave — Nozione (Cod. proc. pen.,
art. 64).
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Motivi di
ricusazione — Inimicizia grave tra giudice e difensori — Ri
levanza — Esclusione (Cod. proc. pen., art. 64).
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Motivi di
ricusazione — Interesse personale — Nozione — Fattispecie
(Cod. proc. pen., art. 64).
È ammissibile l'istanza di ricusazione, ai sensi dell'art. 64 c.p.p.,
nei confronti di un pretore nella fase istruttoria del processo
penale, pur esercitando questi tutte le funzioni proprie del
pubblico ministero. (1)
(1) Per !a non manifesta infondatezza della questione di costitu
zionalità dell'art. 64 c.p.p., nella parte in cui riconosce la possibilità
L'inimicizia grave, quale motivo di ricusazione del giudice pre visto dall'art. 64, n. 3, c.p.p., devesi riscontrare in rapporti
personali svoltisi precedentemente al sorgere del procedimen to penale e fuori di esso, e non può pertanto riscontrarsi nel
comportamento tenuto dal giudice nel corso del procedimento nell'esercizio della sua attività giurisdizionale. (2)
L'inimicizia grave può valere come motivo di ricusazione solo
quando intercorra fra il giudice o alcuno dei suoi prossimi con
giunti ed una delle parti private del processo, senza che pos sano venire in considerazione i rapporti, eventualmente tesi
o deteriorati, tra il magistrato ed i difensori delle parti. (3) L'interesse in causa, quale motivo di ricusazione ai sensi del
l'art. 64, n. 1, c.p.p., è soltanto quello personale e non riguar da il normale interesse morale, connaturato alla stessa estrin
secazione della funzione giurisdizionale, del quale è portatore
ogni magistrato nel difendere il proprio operato di giudice (nella specie è stata respinta la ricusazione del pretore, il qua le, essendo stata presentata una denuncia nei suoi confronti
per gli atti compiuti in quel procedimento, avrebbe avuto un
interesse, almeno morale, ad una sentenza di condanna tale
da giustificare il suo precedente operato). (4)
di ricusare il pretore per le attività di natura accusatoria da questo svolte ai sensi degli art. 74 e 398 c.p.p., in riferimento all'art. 107, 3° comma, Cost., cfr. Pret. La Spezia, ord. 9 giugno 1976, Foro it., 1977, 11, 150, con nota di richiami. Il Tribunale di Genova con l'ordinan za in epigrafe ha ritenuto ipotizzabile una questione di costituziona lità dell'art. 73 c.p.p., nella parte in cui non prevede, tra gli organi giudiziari non ricusabili, il pretore nella fase dell'istruzione somma ria, in riferimento all'art. 3 Cost., ma non l'ha sollevata considerando la stessa sostanzialmente irrilevante nel giudizio de quo.
(2) In termini cfr., da ultimo, Cass. 4 maggio 1981, Gatto, Foro it., Rep. 1981, voce Astensione, ricusazione e responsabilità del giu dice, n. 48; 7 aprile 1981, Loprete, id., 1981, li, 422, con nota di richiami, cui adde Cass. 2 dicembre 1980, Caltagirone, id., Rep. 1981, voce cit., n. 49 e 31 gennaio 1980, Knapinski, id., Rep. 1980, voce cit., n. 15.
(3) Nello stesso senso, citata nell'ordinanza in epigrafe, v. Cass. 29 maggio 1968, Cordisco, Foro it., 1969, II, 220, in motivazione.
Per il carattere tassativo dei motivi di ricusazione cfr. Cass. 25 ot tobre 1979, Torlonia, id., 1980, II, 422, con nota di richiami; 6 lu glio 1977, Mastrovito, id., Rep. 1978, voce Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice, n. 35; 6 novembre 1974, Freda, id., Rep. 1977, voce cit., n. 5; 27 novembre 1973, Callegaro, id., Rep. 1974, voce cit., n. 10; 17 marzo 1972, Negri, id., Rep. 1973, voce cit., n. 10; 19 febbraio 1971, Marchese, id., Rep. 1971, voce cit., n. 13.
Anche la dottrina prevalente ritiene tassativi i casi di ricusazione del giudice previsti dai codici di rito; in senso contrario, per l'affer mazione che le ipotesi di ricusazione sono espressione di un princi pio generale, consistente nell'indifferenza del giudice rispetto alla lite, cfr. Allorio, In tema di ricusazione dei giudici e di qualificazione degli estremi a ciò richiesti, in Giur. it., 1950, I, 2, 517; Jemolo e Orlando, Sulla ricusazione dei giudici, in Temi, 1950, 259 ss. e 250 ss.; Lemme, Obbligatorietà della presentazione del rapporto da parte del magistrato del p.m. che abbia acquisito conoscenza di fatti di reato nell'esercizio di altra funzione, giurisdizionale od amministra tiva, in Arch, pen., 1968, II, 144-146; Saia, Sentenza di giudice istrut tore e ricusazione, in Giur. it., 1981, I, 2, 749.
>(4) Sulla nozione di interesse personale di cui all'art. 64, n. 1, c.p.p., cfr., da ultimo, Cass. 16 maggio 1981, Vitalone, Foro it., 1982, II, 183, con nota di richiami, la quale ha ritenuto che una
pretesa soggezione nei confronti del capo dell'ufficio, per ragioni di
rispetto, stima, devozione, non possa degenerare fino al punto di integrare gli estremi di un interesse personale a non contrastare le
precedenti decisioni emesse da un organo collegiale presieduto dal medesimo capo dell'ufficio; Cass. 25 ottobre 1979, Torlonia, id., 1980, II, 422, con nota di richiami, secondo cui l'interesse personale può dirsi sussistente quando ricorra una situazione obiettiva in base alla
quale sia dato stabilire che il giudice possa rivolgere a proprio van
taggio l'attività giurisdizionale che è chiamato a svolgere. Le varie interpretazioni fornite in dottrina del concetto di « inte
resse personale nel procedimento» (art. 64, n. 1, c.p.p.) e di «inte resse nella causa» (art. 51, n. 1, c.p.p.) possono schematicamente di
stinguersi in tre gruppi: un primo secondo cui il concetto di interesse avrebbe una estensione talmente ampia da ricomprendere in esso tutti
gli altri motivi di ricusazione (cosi Menestrina, Il nuovo c.p.c., in
Commentario, diretto da D'Amelio, 1943, I, 259; P. D'Onofrio, Com mento al c.p.c_., 1957, I, 109; Allorio, op. cit., 513 ss.; Jemolo, op. cit., 262; Orlando, op. cit., 257; Andrioli, Commento, 1961, 176; Costa, Astensione e ricusazione del giudice (dir. proc. civ.), vo ce del Novissimo digesto, 1968, I2, 1463; Segrè, Astensione, ricu sazione e responsabilità dei giudici, in Commentario al c.p.c., diretto da Allorio, 1973, 626; analogamente Cass. 30 settembre 1968, n.
3024, Foro it., Rep. 1968, voce Ricusa del giudice, n. 18); un secondo
per il quale l'interesse consisterebbe nel fatto che al giudice derivi dalla lite un danno o un vantaggio economico o materiale (cfr. S. Satta, Astensione e ricusazione del giudice (dir. proc. civ.), voce dell'Enciclo pedia del diritto, 1958, III, 948; Cappelletti, Giustizia e società, 1972, 350; M. Finocchiaro, Sull'interesse che impone l'obbligo di
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