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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 2 febbraio 1987; Pres. Pantaleo, Est. Battisti;...

Date post: 31-Jan-2017
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sentenza 2 febbraio 1987; Pres. Pantaleo, Est. Battisti; imp. De Meo e altri Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp. 35/36-39/40 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179628 . Accessed: 24/06/2014 20:50 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.86 on Tue, 24 Jun 2014 20:50:40 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 2 febbraio 1987; Pres. Pantaleo, Est. Battisti; imp. De Meo e altri

sentenza 2 febbraio 1987; Pres. Pantaleo, Est. Battisti; imp. De Meo e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.35/36-39/40Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179628 .

Accessed: 24/06/2014 20:50

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PARTE SECONDA

reato contestato al singolo imputato ed alla documentazione ban

caria facente capo agli imputati stessi; pertanto i decreti di seque stro del giudice istruttore del Tribunale di Savona emessi in data

23 luglio 1986 - 25 agosto 1986 e 14 novembre 1986 vanno con

fermati.

TRIBUNALE DI MONZA; sentenza 2 febbraio 1987; Pres. Pan

taleo, Est. Battisti; imp. De Meo e altri.

TRIBUNALE DI MONZA;

Violenza carnale e atti violenti di libidine — Violenza carnale — Reato — Fattispecie di soggetto attivo pubblico ufficiale

(Cod. pen., art. 61, 519).

Commettono il reato di violenza carnale, aggravata ex art. 61, n. 9, c.p. dall'avere agito con l'abuso dei poteri inerenti a una

pubblica funzione, tre carabinieri che, fermata e condotta pre testuosamente in caserma una cittadina straniera, la costringa no ad avere rapporti sessuali con essi, minacciando, quale ritorsione in caso di rifiuto, l'immediato rimpatrio e il seque stro dell'autovettura. (1)

Osserva il collegio che gli imputati vanno dichiarati colpevoli del reato di violenza carnale commesso con abuso dei poteri ine

renti le loro funzioni di carabinieri in servizio.

È circostanza pacifica, per essere stata ammessa dagli imputa

ti, che la notte fra il 16 e il 17 gennaio 1987, gli stessi ebbero

tutti, all'interno della caserma di Lentate sul Seveso, un rapporto carnale con la cittadina inglese Hilary Farthing.

Tale congiungimento deve considerarsi una ipotesi di violenza

carnale per quanto si passerà ad esaminare.

Giova preliminarmente osservare che la fattispecie astratta del

la congiunzione carnale violenta prevede, alternativamente all'u

fi) Le ipotesi in cui soggetto attivo della violenza carnale sia un pubbli co ufficiale sono nella casistica giurisprudenziale assai rare, ed invero

non si riscontra un precedente in cui, come nella decisione in epigrafe, sia stato applicato l'art. 519 c.p. con l'aggravante prevista dall'art. 61, n. 9, c.p. (commissione del reato con abuso di poteri o violazione di

doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio) piutto sto che l'art. 520 c.p., il quale specificamente sanziona la congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale. Lo stesso

art. 520 c.p. ha avuto, del resto, una incidenza ridottissima nella più recente prassi applicativa: cfr. Cass. 27 ottobre 1981, Di Gaspare, Foro

it., Rep. 1983, voce Violenza carnale, n. 22. Circa la procedibilità ex

officio della violenza carnale commessa dal pubblico ufficiale, anche sen za abuso di poteri o violazione dei doveri, v. Cass. 3 novembre 1983, Mazzini, id., Rep. 1985, voce cit., n. 22, e 1° ottobre 1980, Soliani, id.,

Rep. 1981, voce cit., n. 8. Le cadenze argomentative seguite dalla sentenza in epigrafe per esclu

dere la configurabilità, nel caso di specie, dell'art. 520 c.p. sono tutt'al tro che nuove: l'applicazione della norma, infatti, è circoscritta ai casi in cui la vittima venga piegata ai desideri dell'agente senza il ricorso ad

alcuna violenza, fisica o morale che sia (per tutti, cfr. Pecoraro Albani, Congiunzione carnate, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1961, Vili, 1078). I giudici hanno, invece, ravvisato nella possibilità di un rim

patrio ad horas, ventilata dai tre imputati alla loro vittima, una minaccia

tale da porre la ragazza in una «condizione di evidente e marcata inferio

rità e vulnerabilità», applicando, per conseguenza, l'art. 519 c.p. aggra vato dall'abuso di poteri.

Circa la violenza carnale mediante minaccia, in termini, cfr. Cass. 9

luglio 1984, Manna, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 3, e in Cass. pen., 1986, 295, che individua la condizione sufficiente per la configurabilità della fattispecie nella sussistenza di un «nesso eziologico» fra la prospet tazione di un danno e «il venir meno del dissenso al rapporto sessuale»; si segnala, però, Cass. 27 ottobre 1981, Di Gaspare, cit., che ha ritenuto

applicabile l'art. 520, invece che l'art. 519, nel caso, per molti versi ana

logo a quello in esame, di un poliziotto che si era congiunto carnalmente

con una donna la quale, minacciata genericamente di «denuncia» in caso di rifiuto, era stata costretta a salire sull'auto di servizio a bordo della

quale si era poi consumato il rapporto sessuale; in dottrina, Contieri, La congiunzione carnale violenta, Milano, 1959, 69, ritiene la minaccia

integrata da qualsiasi manifestazione, anche implicita e indiretta, del «pro

posito condizionato» di cagionare un danno o provocare una situazione

di pericolo alla vittima che non acconsenta al rapporto sessuale.

Il Foro Italiano — 1988.

so della violenza fisica, l'uso della violenza morale ed è pertanto

definibile, in questa seconda ipotesi, quale reato complesso di

cui la minaccia è elemento costitutivo.

Per pacifica giurisprudenza e concorde dottrina, il reato di mi

naccia previsto dall'art. 612 c.p., a tutela della libertà morale

della persona, consiste nella prospettazione, a taluno, di un dan

no ingiusto da realizzarsi ad opera dell'agente. Il danno definibile contra ius è, come è noto, quel danno che

non si ha diritto di arrecare e che può consistere in un pregiudi zio effettivo o potenziale di un qualsiasi bene giuridico, sia esso

personale o patrimoniale. La norma dell'art. 519 c.p. non specifica la natura della mi

naccia, in particolare non richiede che la minaccia riguardi la

vita o l'incolumità personale, essendo del tutto indifferente la

natura dell'interesse la cui offesa viene prospettata. Né è richiesto dalla norma un male di particolare gravità, tale

da essere proporzionabile al bene — di estremo rilievo sul piano morale — della libertà sessuale, tutelato dalla fattispecie incrimi

natrice. Occorre invece che la minaccia sia idonea, secondo un

criterio medio ed in relazione alle circostanze di fatto oggettive e soggettive, a causare effetti intimidatori sul soggetto passivo, tanto da coartarne la libera volontà.

L'indagine processuale deve quindi incentrarsi sul problema della

prova dell'efficienza causale della minaccia, ossia della idoneità

della stessa a coartare la volontà della vittima, posto che la liber

tà sessuale è un valore morale, la cui essenza consiste proprio nell'interesse della persona a che non siano compiuti, col suo dis

senso, atti di disposizione del suo corpo. Tanto premesso e passando ad esaminare la fattispecie concre

ta Hilary Farthing ha dichiarato di essere stata minacciata da

parte dei carabinieri dello spossessamento della propria autovet

tura e dell'immediato rimpatrio in Inghilterra, se non si fosse

determinata ad avere con loro rapporti sessuali.

Occorre a questo punto rilevare che tutte le dichiarazioni della

Farthing meritano ampio credito, sia perché costantemente riba

dite nel corso del procedimento e confermate all'udienza odierna,

sotto il vincolo del giuramento, nel corso di una lunga, precisa ed esaustiva deposizione, sia perché logicamente concordanti con

una serie di risultanze preocessuali che si esamineranno di seguito. In particolare, in ordine alla effettiva esternazione delle frasi

intimidatorie di cui al capo di imputazione sub b), non possono sussistere dubbi, in quanto la parte lesa le ha riferite con preci

sione fin dal momento della denuncia e confermate all'udienza

odierna. Gli imputati, d'altro canto, hanno ammesso di aver par lato alla Farthing di spossessamento dell'autovettura e di imme

diato rimpatrio, anche se hanno giustificato il loro operato, come

una semplice prospettazione di sanzioni del tutto eventuali, previ ste dal nostro ordinamento, per un soggetto che non abbia i do

cumenti di circolazione dell'autovettura in regola ed un legittimo

permesso di soggiorno nel nostro paese. Passando ora alla qualificazione giuridica del male prospettato

alla Hilary, non vi è dubbio che esso abbia costituito un danno

ingiusto.

Quanto al danno, si rileva che la minaccia esternata alla parte lesa ha avuto una duplice potenzialità offensiva, in quanto ido

nea a pregiudicare interessi sia patrimoniali, sia personali.

Infatti, la privazione di un bene patrimoniale come un'autovet

tura, già costituisce un danno economico di notevole rilievo; per

giunta, per una cittadina straniera in viaggio, il danno è evidente

mente amplificato dal fatto di trovarsi fuori del proprio ambien

te, senza quella rete di rapporti familiari e sociali, in grado di

fornire agevolmente aiuto.

D'altro canto, il danno prospettato riguardava anche la sfera

personale, poiché l'aver ipotizzato l'immediato rimpatrio, ad ho

ras, senza la possibilità di salutare gli amici, di riprendere le pro

prie cose presso la famiglia ospitante, ha costituito certamente

una lesione alla libertà di movimento e, ancor più, alla libertà

morale della Hilary; in tal modo, infatti, si voleva inibire l'espli cazione di rapporti affettivi e di amicizia, con un intervento di

autorità.

L'illegittimità di tale intervento, e quindi l'ingiustizia del dan no, come sopra prospettato, è provata dalla mancanza, nella spe

cie concreta, dei presupposti di legge per procedere al sequestro dell'autovettura ed al rimpatrio della cittadina straniera, non fos

se altro perché, al momento della loro prospettazione, non era

stato effettuato ancora il benché minimo accertamento di polizia

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GIURISPRUDENZA PENALE

giudiziaria, volto a verificare la sussistenza dei presupposti me

desimi. Passando ad esaminare il problema della idoneità, osserva il

collegio che il male ingiusto minacciato alla Hilary è stato certa

mente idoneo a coartarne la volontà psichica, per tutte le circo

stanze soggettive ed oggettive che si esamineranno di seguito. Giova

innanzitutto sottolineare che la Hilary è una ragazza piuttosto

giovane, di appena 22 anni, e quindi non particolarmente matura

ed esperta nell'affrontare situazioni anomale e pregiudizievoli.

Inoltre, la sua condizione di straniera e la conseguente difficol

tà nel comprendere in pieno la nostra lingua, nonché la scarsa

conoscenza dei suoi diritti di fronte ai poteri di coercizione delle

forze di polizia italiane, la ponevano in una condizione di eviden

te e marcata inferiorità e vulnerabilità.

Si osserva, poi, che l'efficacia intimidatrice delle minacce è sta

ta certamente accresciuta dalla circostanza che le stesse furono

esternate dai carabinieri quando già erano stati posti in essere

tutta una serie di comportamenti, volti ad intimorire la parte lesa

ed a piegarne la resistenza psicologica. Infatti, il De Meo ed il

Monti intimarono alla Hilary di seguirli in caserma, senza conte

starle alcuno specifico addebito o fornirle ragione del loro opera to e nonostante che la stessa avesse mostrato un valido documento

di identificazione internazionale ed avesse dato piena contezza

di sé, riferendo di trovarsi in Italia per apprendere la nostra lin

gua e fornendo il nome e l'indirizzo della famiglia presso la quale era ospite.

Accrescendo tale situazione di apprensione psicologica per l'in

comprensibilità — certo maggiore per una straniera — di quanto stava accadendo, i carabinieri, in modo del tutto arbitrario, im

pedirono alla Hilary di telefonare agli Speroni per avvertirli del

suo accompagnamento in caserma.

La circostanza, riferita dalla ragazza, è confermata dalle di

chiarazioni dei testi Vilella Massimo e Ranzato Maria Noemi, i quali hanno dichiarato di aver visto la loro amica, in evidente

stato di agitazione, consegnare al gestore del bar un bigliettino con sopra scritto un numero di telefono, pregandolo di avvertire

la famiglia Speroni di quanto le stava accadendo, dal momento

che non poteva farlo lei personalmente, obbligata, come era, a

seguire immediatamente i carabinieri.

L'atteggiamento di palese intimidazione della ragazza è poi con

tinuato appena giunti all'interno della caserma.

In proposito giova rilevare che la caserma dei carabinieri di

Lentate sul Seveso si trova fuori del centro abitato, in luogo piut tosto isolato, dove la casa più vicina è sita a circa duecento metri

di distanza e che al momento dell'accompagnamento della ragaz

za, data l'ora molto tarda, all'interno dello stabile non si sentiva

no voci o rumori tali da far presupporre la presenza di qualcuno al quale rivolgersi per chiedere aiuto.

In questa situazione di fatto, l'opera di intimorimento della

ragazza è potuta proseguire in modo certamente molto più age vole ed efficace.

Ed infatti, non appena giunti in caserma, secondo quanto rife

rito dalla Hilary, il De Meo le tolse le chiavi della macchina,

dicendole con espressione il cui contenuto ambiguo non potè non

risultare fortemente intimidatorio, che le stesse non le sarebbero

più servite. Ancora, in modo assolutamente pretestuoso, trascri

vendo i dati anagrafici della Hilary su un foglietto di carta, il

De Meo sollevò continui dubbi sulla loro veridicità, cosi come,

in modo altrettanto pretestuoso, il Grimaudo le fece domande

intorno ad un suo presunto stato di tossicodipendenza, ordinan

dole perfino di scoprirsi le braccia, nonostante la sua risposta

decisamente negativa. La condizione di sudditanza psicologica della Hilary è stata

inoltre certamente accresciuta dalla circostanza di trovarsi nella

totale impossibilità di andare via dalla caserma, sia perché di fat

to le erano state tolte le chiavi dell'automobile, sia perché aveva

l'obbligo giuridico di rimanere nel posto, fino a quando i carabi

nieri non avessero terminato tutti gli accertamenti che le dicevano

di voler compiere. È evidente, pertanto, che le minacce rivoltele, in tali circostan

ze di fatto, da tre uomini armati ed in posizione di schiacciante

superiorità fisica e numerica abbiano avuto un forte effetto di

costrizione psicologica. Cosi che, quando si è passati, a ritmo sempre più incalzante,

dalla prospettazione generica del ritiro dell'automobile e del rim

patrio, alla minaccia di una immediata esecuzione, addirittura ad

horas, di quanto prospettatole, la Hilary non è stata in grado

li Foro Italiano — 1988.

di opporre alcuna resistenza ed ha lasciato che il Grimaudo la

conducesse nella sua stanza, ove, ormai passiva e moralmente

vinta, subì' la prima delle tre violenze sessuali.

La parte lesa ha più volte, nella sua deposizione, evidenziato

di aver mantenuto un atteggiamento totalmente passivo nei con

fronti degli imputati, di avere anzi cercato di mantenere, con gli

stessi e fra gli stessi, un'atmosfera calma, quasi serena, tutta tesa

ad evitare che si trascendesse ad atti arbitrari ed aggressivi di

ben più ampia e pericolosa portata. Giova a questo punto rilevare che la forza intimidatoria di una

minaccia non può misurarsi unicamente dalla capacità di reazio

ne del soggetto passivo, essendo questa solo un indice di valuta

zione fra i tanti e spesso nemmeno il più attendibile.

Nel caso di specie, peraltro, proprio in considerazione di tutte

le evidenziate circostanze di fatto che hanno caratterizzato l'azio

ne intimidatoria degli imputati, questa era tale che qualunque

persona di media capacità intellettiva e volitiva venutasi a trovare

in un paese straniero in quella situazione di sudditanza, avrebbe

ragionevolmente potuto ipotizzare, con un grado di apprezzabile

probabilità, il passaggio dalla violenza morale alla violenza fisica

ed essere perciò portata a tenere un atteggiamento passivamente consenziente.

A riprova del fatto che un soggetto posto in uno stato di restri

zione della propria libertà personale, è senza dubbio maggior

mente aggredibile da un punto di vista psicologico, rispetto ad

un soggetto libero, la norma di cui all'art. 520 c.p. ipotizza una

fattispecie di violenza carnale cosiddetta presunta. Il legislatore

configurando tale fattispecie penale e situandola nel capo dei de

litti contro la libertà sessuale — e non in quello dei reati commes

si dai pubblici ufficiali contro la p.a. — ha tenuto presente proprio

il fatto che un soggetto, nel momento in cui si trova di fronte

ad un pubblico ufficiale, il quale esercita un diritto di restrizione

della sua libertà personale, è maggiormente aggredibile psicologi

camente e moralmente di una persona in stato di libertà.

Se cosi non fosse, non si spiegherebbe la ratio della norma

di cui all'art. 520 c.p. che è sicuramente quella di tutelare un

soggetto passivo in un particolare stato di sudditanza.

Quanto gli imputati fossero pienamente consapevoli di stare

minacciando la ragazza ed approfittando del suo stato di sogge zione psicologica, da loro stessi arbitrariamente posto in essere,

è provato da numerose circostanze.

Si è già evidenziato l'atteggiamento intimidatorio tenuto nei

confronti della Hilary; giova a questo punto soffermarsi sulla

assoluta pretestuosità dell'accompagnamento della stessa in ca

serma. Tale atto, come si dimostrerà, è stato infatti operato dagli

imputati, al fine evidente di approfittare più facimente della don

na, una volta guadagnata una condizione di rilevante superiorità

nei suoi confronti.

In primo luogo i carabinieri si determinarono a controllare l'au

tomobile, vista parcheggiata dinanzi al bar Bamboo di Lazzate,

quando il loro turno di servizio volgeva ormai al termine e senza

che nei confronti della ragazza vi fossero apprezzabili motivi di

sospetto. Sia il De Meo che il Monti hanno infatti dichiarato

di non aver mai visto prima la cittadina inglese. L'unico motivo

addotto, da parte degli imputati, a sostegno del loro gesto, è co

stituito dal fatto che l'auto della Hilary era stata vista circolare

poco tempo prima con a bordo Oscar Mercaldi, sospettato di

essere persona dedita a reati contro il patrimonio.

Quanto però il comportamento dei carabinieri non fosse mosso

da eccesso di zelo in tal senso, è provato dalla circostanza che

gli stessi non compirono alcuna indagine volta a confermare o

smentire i loro iniziali sospetti. Non una sola domanda venne

mai rivolta dai militari alla Hilary, per far luce nei suoi rapporti

con il Mercaldi ed il De Meo, al momento del controllo dell'au

tovettura, neppure avverti il Monti che a bordo della stessa aveva

visto transitare il Mercaldi.

Ad ulteriore conferma della pretestuosità dell'accompagnamento

in caserma della Hilary, occorre rilevare che i carabinieri non

usarono la radio dell'auto di servizio — che per loro stessa am

missione era funzionante — per informarsi, con una semplice ri

chiesta al terminale, se la cittadina'inglese avesse provvedimenti

restrittivi a carico. Una volta arrivati in caserma, il De Meo non

si curò di avvertire il comandante, cosa ovvia e conseguenziale,

posto che, secondo le sue stesse ammissioni, non aveva mai visto

una patente di guida del tipo di quella mostrata dalla Hilary e

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PARTE SECONDA

che proprio per questa ragione aveva disposto l'accompagnamen to della ragazza in caserma.

Ancora, i tanto urgenti ed improrogabili accertamenti nei suoi

confronti sono consistiti — la circostanza è pacifica — nella tras

crizione su un fogliettino di carta delle generalità della Hilary,

ricopiate dalla predetta patente di guida.

Non si intraprese neppure l'attività più ovvia e cioè quella di

telefonare alla famiglia Speroni, per avere conferma del fatto che

la cittadina inglese fosse veramente loro ospite.

Pertanto, è evidente come il fine dell'accompagnamento in ca

serma della Hilary non sia mai stato quello di fare qualunque serio accertamento sulla sua persona, cosi come affermato dagli

imputati.

Inoltre la coscienza e volontà di minacciare la ragazza è resa

evidente dalle modalità con le quali il De Meo, alla presenza de

gli altri due militari, esternò le predette minacce ed in particolare dal passaggio — già evidenziato — da una generica prospettazio ne delle stesse ad una sempre più precisa e stringente. Al riguar

do, la parte lesa ha puntualmente riferito che le frasi intimidatorie

le furono ripetute con insistenza fino a quando il Grimaudo la

condusse, prendendola per mano, all'interno della caserma, fino

alla sua camera, per avere con lei il primo dei tre rapporti sessuali.

È fin troppo evidente come tale crescendo, lucido ed incalzan

te, dell'azione intimidatoria degli imputati, felicemente stigmatiz zato dalla parte lesa con l'espressione di essere stata posta «in

the corner», sia la prova della piena intenzionalità e volontà degli stessi di piegare la ragazza ai loro progetti.

A riprova di quanto ora rilevato, ogni minaccia cessò — secon

do le dichiarazioni della parte lesa — non appena lo scopo venne

raggiunto. Né può, peraltro, accedersi alla tesi difensiva secondo la quale

la Hilary avrebbe familiarizzato con gli imputati e, indipendente mente da ogni minaccia iniziale, si sarebbe in seguito determinata

spontaneamente ad avere rapporti sessuali con ciascuno di loro.

Tale tesi è inconciliabile, infatti, con numerose risultanze pro cessuali.

Dapprima vi è la richiesta mossa dalla Hilary al Grimaudo, subito dopo il loro rapporto sessuale, se quanto da lei fatto po tesse bastare e la risposta dubitativa data dall'imputato.

In secondo luogo vi sono le proteste di stanchezza avanzate,

sempre dalla Hilary, al De Meo, non appena quest'ultimo la pre se per mano per condurla in camera e l'assoluto disinteresse ma

nifestato al riguardo dall'imputato che, sempre continuando a

tenerla per mano, la portò al piano superiore. Ancora, vi è l'at

teggiamento di tensione e nervosismo del Monti che, come fatto

rilevare dalla Hilary, non manifestava alcuna intenzione di avere

rapporti con lei tanto da essere stato spinto ed incitato a farlo

dai coimputati.

Quanto ora evidenziato, già prova sufficientemente che sussi

steva una situazione di totale approfittamento e non di libera

determinazione della donna, ma ancora, le deposizioni di Vilella, Ranzato e Mercaldi, sono ulteriori fonti di prova della mancata

familiarizzazione della parte lesa con gli imputati. Tutti i testimo

ni, indistintamente, hanno infatti descritto la Hilary, incontrata

pochi minuti dopo i fatti in oggetto, come molto scossa ed in

evidente stato di shock; il Milaro ha altresì riferito che la Hilary era a tal punto agitata e scolvolta, da non essere neppure in gra do di esprimersi bene in italiano.

Quanto tale immagine sia assolutamente inconciliabile con quel

la, fornita dagli imputati, della donna che, con fare provocante e lisciandosi i capelli, tirandosi giù la chiusura lampo dell'abito

ed accavallando le gambe riuscì, alla fine, ad adescarli, è del tut

to superfluo commentare.

La realtà processuale è del tutto diversa ed è indubitalmente

quella di una ragazza alla quale è stata imposta dagli imputati, in modo assolutamente arbitrario ed insidioso, l'alternativa ango sciosa tra il congiungersi con loro e il patire il danno ingiusto minacciatole.

I carabinieri, proprio per tutte le circostanze oggettive e sog

gettive sopra evidenziate, non potevano non rappresentarsi che

l'atteggiamento della donna, passivamente consenziente alla loro

azione, fosse solo frutto del suo stato di soggezione e di paura e che in altre condizioni di libertà e serenità uguale comporta mento non sarebbe stato tenuto. (Omissis)

Il Foro Italiano — 1988.

TRIBUNALE DI VERONA; sentenza 26 gennaio 1987; Pres. Re

sta, Est. Condorelli; imp. Andreoli e altri.

TRIBUNALE DI VERONA;

Prova penale in genere — Chiamata in correità — Valore proba torio (Cod. proc. pen., art. 348, 348 bis).

Il valore probatorio della chiamata di correo viene liberamente

apprezzato dal giudice che può, pertanto, anche in assenza di

riscontri oggettivi, ritenerla da sola prova sufficiente, purché sia apparsa attendibile secondo un ragionamento logico critico. (1)

(Omissis). I. 2. - Sulla natura e funzione o «struttura», e quin di sulla utilizzabilità, efficacia probatoria (e suoi limiti) della chia mata di correo, si è registrato (e si registra ancora) un lungo ed acceso contrasto di opinioni, con la produzione di una copiosa

giurisprudenza che, almeno se letta attraverso la lente a volte de

formante e comunque assai schematica delle «massime», non si

è certo contraddistinta per univocità e chiarezza.

È agevole infatti elencare un numero rilevante di decisioni del

Supremo collegio attestate su posizioni assai distanti tra loro, e

in taluni casi, almeno in apparenza, diametralmente opposte. Co

si, se appare costantemente rifiutata l'ipotesi di quella parte della

dottrina che vorrebbe addirittura relegare la chiamata in correità

al rango di mera notitia criminis, inidonea a costituire, di per

sé, anche semplice (e non «vago») «indizio», in molte pronunzie viene affermata la necessità che l'accusa del chiamante sia con

fermata da elementi estrinseci di riscontro, e in molte altre, invece,

(1) La più recente giurisprudenza ha avuto numerose occasioni di pro nunciarsi, peraltro in modo non sempre uniforme, circa l'efficacia proba toria della chiamata in correità, ritenendola ora limitata alla sussistenza di precisi riscontri obiettivi, ora invece rimessa alla libera valutazione del

giudice anche in assenza di qualsiasi verifica estrinseca. Appunto nell'am bito di quest'ultimo orientamento estensivo si iscrive la sentenza in epi grafe: Trib. Verona si preoccupa però di sottolineare che una simile lettura, lungi dall'essere determinata dalle attuali e particolari esigenze di politica criminale, è stata accolta dalla Cassazione in una serie di decisioni emesse in «tempi non sospetti», le quali vengono largamente citate in motivazio ne: sent. 2 maggio 1975, Giaramita, Foro it., Rep. 1976, voce Prova

penale, n. 25; 3 maggio 1972, Valletta, id., Rep. 1973, voce cit., n. 41; 10 marzo 1972, Muller, ibid., n. 46; 26 maggio 1971, Salvioni, id., Rep. 1972, voce cit., n. 35; 5 novembre 1970, Salvatore, id., Rep. 1971, voce

cit., n. 34; 17 novembre 1967, Vicari, id., Rep. 1968, voce cit., n. 11

quinquies; 5 giugno 1962, Aprovitola, id., Rep. 1962, voce cit., n. 27; nel merito, cfr. Trib. Palermo 8 novembre 1985, id., 1986, II, 180, con nota di Albeggiami (si tratta però, in quest'ultimo caso, dell'ordinanza di rinvio a giudizio relativa al c.d. maxiprocesso alla mafia, di un provve dimento, cioè, emanato nel peculiare contesto di una istruttoria con più di quattrocento imputati). Non è, tuttavia, necessario procedere tanto a ritroso nel tempo per rinvenire nella giurisprudenza della Suprema cor te sentenze che attribuiscono pieno valore probatorio alla chiamata di

correo c.d. nuda: di recente, v. infatti sent. 1° agosto 1985, Morelli, id., Rep. 1986, voce cit., n. 43; 22 luglio 1985, Mattioli, ibid., n. 47; 15 aprile 1985, Reitano, ibid., n. 44; 19 dicembre 1984, Faria, ibid., n.

39; 17 dicembre 1984, Held, ibid., n. 53; 15 dicembre 1984, Scovazzo, ibid., n. 52; 22 novembre 1984, Re, id., Rep. 1985, voce cit., n. 28; 19 novembre 1984, Balsamo, id., Rep. 1986, voce cit., n. 45; 4 settembre

1984, Pontieri, id., Rep. 1985, voce cit., n. 29; 12 luglio 1984, Ierinò, id., Rep. 1986, voce cit., n. 42, che ha riconosciuto valore probatorio alla chiamata di correo resa in un interrogatorio nullo; 12 giugno 1984, Spaghi, id., Rep. 1985, voce cit., n. 30; 24 maggio 1984, Venerando, ibid., n. 31; 21 febbraio 1984, Amantini, id., Rep. 1986, voce cit., n.

55; per ulteriori ampi riferimenti dello stesso segno si rinvia ad Albeggia mi in nota a Trib. Palermo 8 novembre 1985, cit.

Benché appaia forse dominante proprio la tendenza ad attribuire un valore probatorio intrinseco alla chiamata in correità, gli ultimi pronun ciamenti della Cassazione adottano in materia una lettura più restrittiva: subordinano la efficienza probatoria della chiamata di correo alla presen za di riscontri oggettivi «certi e univoci», sent. 9 febbraio 1987, Graziani, 12 gennaio 1987, Ferrari, e 24 novembre 1986, Pravatà, id., 1987, II, 409, con nota di Rapisarda; 3 giugno 1986, Greco, id., 1986, II, 529, con nota di Fiandaca, cui si rinvia per ulteriori richiami dello stesso

segno; nel merito, cfr. altresì' Assise Palermo 10 novembre 1986 e Trib. Roma 24 giugno 1986, id., 1987, II, 14. La difformità dell'interpretazio ne giurisprudenziale ha recentemente stimolato in dottrina un dibattito sull'efficacia probatoria delle dichiarazioni dell'imputato-collaboratore: cfr.

Bonetti, in Indice pen., 1986, 57; G. Barone, in Cass, pen., 1986, 1039; Lozzi, in Questione giustizia, 1986, 62; Lamanna, in Quaderni giustizia, fase. 62, 10; Calamandrei, in Giust. pen., 1985, III, 431; Neppi Modo

na, in Questione giustizia, 1985 , 766; Fiandaca, cit.

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