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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 20 marzo 1981; Giud. Castelli; imp. De Tomaso e...

Date post: 30-Jan-2017
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sentenza 20 marzo 1981; Giud. Castelli; imp. De Tomaso e altri Source: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1982), pp. 219/220-223/224 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23174582 . Accessed: 25/06/2014 00:12 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.192 on Wed, 25 Jun 2014 00:12:22 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 20 marzo 1981; Giud. Castelli; imp. De Tomaso e altri

sentenza 20 marzo 1981; Giud. Castelli; imp. De Tomaso e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1982), pp.219/220-223/224Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174582 .

Accessed: 25/06/2014 00:12

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PARTE SECONDA

bile dalla natura tipicamente cautelare del sequestro rispetto alla natura ablativa delle misure di sicurezza applicate al caso di

specie. Né può ritenersi che la confisca delle somme ricavate dalla

vendita dei lotti abusivamente frazionati si ponga in contrasto con le sanzioni amministrative previste dalla legge Bucalossi o dalle normative regionali, poiché tale contrasto sarebbe tutt'al

più ipotizzabile tra la confisca dei suoli e dei manufatti che vi insistono ed i poteri ablativi riservati alla competenza dei co

muni; ma certamente non riguarda la confisca dei proventi del

l'illecito urbanistico perpetrato. Infatti nessuna sanzione ammi

nistrativa statale o regionale prevede l'acquisizione all'autorità

comunale dei corrispettivi lucrati dal lottizzatore abusivo.

La disposta confisca comporta l'appartenenza all'erario dello

Stato delle intere somme ricavate dai Mazzotta attraverso la ven

dita dei lotti abusivamente frazionati e lo Stato, quale succes

sore a titolo particolare, è legittimato ad ottenerne il recupero. Il prezzo è l'equivalente economico dell'utilità conseguita com

mettendo il reato, quindi un bene consumabile e fungibile. Per

tanto l'attuazione della misura di sicurezza patrimoniale si rea

lizzerà mediante l'ottenimento di una somma di denaro per equi valente: in dipendenza del provvedimento di confisca, infatti,

sorge a carico del reo un'obbligazione ex delieto di dare a nor

ma degli art. 1173 c. c., 189, n. 1, e 191, n. 6, c. p., il cui adem

pimento consisterà, come per le obbligazioni pecuniarie in genere, nel pagamento di una somma di denaro, pari a quella entrata

nel patrimonio del reo a seguito e in dipendenza dell'illecito

commesso e che coinvolgerà a norma dell'art. 2740 c. c. il pa trimonio del debitore con tutti i suoi beni presenti e futuri. La

concreta determinazione delle somme dovute da Mazzotta Car

mela e Mazzotta Antonio a titolo di confisca potrà essere fa

cilmente compiuta in sede di esecuzione, tenendo conto delle

somme indicate come prezzo negli atti pubblici acquisiti al pre sente procedimento.

PRETURA DI MILANO; PRETURA DI MILANO; sentenza 20 marzo 1981; Giud. Ca

stelli; imp. De Tomaso e altri.

Lavoro (rapporto) — Guardie giurate — Presenza ingiustificata nei reparti di produzione — Responsabilità penale dei diri

genti — Fattispecie (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla

tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sin

dacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme

sul collocamento, art. 2, 38). Danni in materia penale — Violazione dell'art. 2 1. n. 300/1970

— Associazioni sindacali — Danno — Sussistenza — Risar cibilità — Pubblicazione della sentenza di condanna — Am missibilità (Cod. pen., art. 186; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art.

2, 38).

Integra la fattispecie di cui al combinato disposto degli art. 2 e 38 I. n. 300/1970 il comportamento dei dirigenti di un'azienda che,

impiegando le guardie particolari giurate per scopi diversi dalla tutela del patrimonio aziendale, consentano o comunque non

impediscano il loro abituale ingresso nei reparti di produzione durante lo svolgimento dell'attività lavorativa ed in occasione di assemblee o scioperi. (1)

Il fatto del datore di lavoro che adibisca illegittimamente le guar die particolari giurate a compiti di vigilanza sull'attività sinda cale in fabbrica integra un danno diretto ed immediato alle as sociazioni sindacali, costituitesi parte civile nel giudizio per vio lazione dell'art. 2 l. n. 300/1970, e come tale risarcibile anche nella forma della pubblicazione della sentenza di condanna ai sensi dell'art. 186 c. p. (2)

(1) Nel senso che viola l'art. 2 1. 300/1970 il datore di lavoro che tollera il comportamento illegittimo di due guardie giurate che si aggirano ripetutamente nei locali dove viene svolta l'attività la vorativa, cfr. Pret. Milano 6 novembre 1979, Foro it., 1980, II, 195, con nota di richiami.

In dottrina, oltre ai riferimenti contenuti in nota a Pret. Milano (cui adde Stortini, Appunti per uno studio sulla tutela e sulla ri levanza penale dello statuto dei lavoratori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1974, 1436 s.), cfr. Riva Sanseverino, Elementi di diritto sindacale e del lavoro, Padova, 1980, 121, ove si sottolinea come la violazione dell'art. 2 dia luogo anche a provvedimenti discipli nari a carico della guardia giurata (sospensione dal servizio, revo ca della licenza); Pera, Diritto del lavoro, Padova. 1980, 551; Smu raglia, Diritto penale del lavoro, Padova, 1980, 125 e 126; Castelli, Di Lecce, Guardie giurate e tutela del patrimonio aziendale, in La voro 80, 1981, 843.

(2) Non risultano precedenti in termini. Per riferimenti, sulla costituzione di parte civile del sindacato nei

procedimenti penali per reati commessi in danno di singoli lavora tori, cfr. Cass. 27 giugno 1979, Ghisotti (Foro it., 1980, II, 485, con nota di richiami), che ne dichiara l'inammissibilità, ad eccezione del l'ipotesi di reato di cui all'art. 28, 4° comma, 1. n. 300/1970; in

Svolgimento del processo e motivi della decisione. — Con rap

porto 12 dicembre 1979 ai sensi dell'art. 3 c. p. p. il Pretore del

lavoro di Milano denunciava che nel corso del giudizio introdotto

dalla Federazione lavoratori metalmeccanici con ricorso ex art.

28 1. 20 maggio 1970 n. 300 contro la Nuova Innocenti s.p.a. era emerso che le guardie giurate in talune occasioni entravano

nei reparti di produzione. Veniva quindi imputato del reato di

cui all'art. 2 dello statuto dei lavoratori e rinviato a giudizio

Alejandro De Tomaso, amministratore delegato della società.

Durante il dibattimento, articolatosi in quattro udienze, veniva estesa l'imputazione sulla base delle dichiarazioni rese dall'im

putato e da Bottagisio Sergio, responsabile del personale, a

quest'ultimo e a Pirondini Tullio, direttore generale della stessa azienda. Interrogati gli imputati, sentite le parti civili costitui tesi ed i testi, al termine del dibattimento parti civili, p. m. e difesa concludevano come da separato verbale.

Va innanzitutto qui richiamata l'ordinanza 20 marzo 1981 con cui il pretore a scioglimento di precedenti riserve ha rigettato l'opposizione alla costituzione di parte civile del consiglio di fabbrica della Nuova Innocenti e della Federazione lavoratori metalmeccanici provinciale di Milano e un'eccezione di nullità assoluta dell'estensione dell'imputazione proposte dalla difesa. Ta le ordinanza deve intendersi integralmente riportata, non sem brando necessaria alcuna ulteriore specificazione.

L'istruttoria dibattimentale ha confermato quanto già emerso avanti al pretore del lavoro e cioè la presenza di guardie giu rate all'interno dei reparti di lavorazione durante lo svolgimento dell'attività produttiva e in taluni casi durante assemblee sinda cali e scioperi. In particolare dal coordinamento delle testimo nianze assunte sono stati evidenziati i seguenti episodi.

Ogni mattina ad orario non fisso, ma che sembra aggirarsi attorno alle h. 9,00, una guardia entrava nei capannoni ove nor malmente si svolge l'attività lavorativa, li attraversava passando tra i posti di lavoro e toglieva all'orologio di controllo che ser viva per verificare l'effettivo svolgimento delle ispezioni notturne il disco punzonato sostituendolo. Ciò avveniva secondo il teste

Bossi, sovraintendente ai servizi sociali ed ausiliari (tra cui rien

trava la vigilanza) in circa tre o quattro reparti, secondo il teste

Miccoli, capo dell'ufficio vigilanza, in ogni capannone per un to tale di cinque. Sicuramente ciò è avvenuto nei reparti della zo na Lambrate (teste Tarsia), nel capannone ove sono situati i re

parti lastratura, manutenzione e vestizione (teste Mariani), nel

capannone ove si effettua il montaggio vicino al settore verni ciatura (teste Pierno), nel capannone auto a fianco della linea ab

bigliamento (teste Simonetti). In due occasioni il giro sopra descritto è avvenuto durante as

semblee (teste Mariani) ed in un caso una guardia giurata si è fermata ad assistere ad un'assemblea (teste Pierno).

Durante lo sicopero dell'I 1 maggio 1979 una guardia giurata è intervenuta nella discussione circa l'adesione allo sciopero stes

so nella palazzina uffici tra un delegato sindacale e altri lavora tori (testi Tarsia, Bossi e Miccoli).

Il 25 maggio 1979 durante uno sciopero alcune guardie hanno

seguito un corteo interno nello stabilimento (teste Pierno) e ciò

è accaduto in qualche altra occasione non meglio individuata

(teste Tarsia). In caso di scioperi articolati che coinvolgono nello stesso ca

pannone uno solo dei più reparti esistenti secondo il teste Pier no le guardie entrano per controllare.

Sulle ultime due circostanze i testi Bossi e Miccoli hanno chia rito che il personale di vigilanza durante gli scioperi entrava nei reparti per controllare se ci fossero stati danni o fossero ri masti macchinari in funzione.

Miccoli ha anche precisato che tali controlli non venivano fatti in caso di scioperi articolati ed entrambi hanno escluso la pos sibilità che guardie abbiano seguito cortei interni nello stabili mento. Gli imputati De Tommaso e Bottagisio hanno confer mato l'esistenza dei giri di controllo, l'ultimo dei quali in orario lavorativo da parte del personale di vigilanza per fini, come ha

precisato il capo del personale, sia assicurativi che di tutela del

patrimonio aziendale. Gli stessi hanno anche dichiarato che du rante gli scioperi le guardie giurate entrano nei reparti per veri ficare i dispositivi di sicurezza e togliere la corrente. Secondo

Bottagisio ciò comunque non avviene in caso di scioperi arti colati.

senso conforme, da ultimo, v. Pret. Domodossola, ord. 29 maggio 1980 e 5 giugno 1980, Riv. giur. lav., 1980, IV, 489.

In dottrina, sul punto, v. Scarponi, Ancora sulla legittimazione del sindacato a costituirsi parte civile, ibid., 197; Vidiri, La costi tuzione del sindacato come parte civile nel processo penale, in Giur. merito, 1981, 482; più in generale, sulla costituzione di parte civile degli enti collettivi, anche con riferimento ai sindacati, v. la nota di A. Iacoboni a Cass. 16 maggio 1980, Di Gregorio, in questo fascicolo, II, 184.

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GIURISPRUDENZA PENALE

Ma, anche indipendentemente da queste circostanze su cui

potrebbe sussistere un margine di dubbio, quanto emerso dal

l'istruttoria è una vera e propria prassi di diffusa presenza delle

guardie giurate nei reparti durante l'attività lavorativa. Estrema

mente indicativo è l'ordine di servizio 10 settembre 1970 tuttora

vigente, che secondo il teste Miccoli è l'aggiornamento del re

golamento che disciplina l'attività del servizio vigilanza dopo l'approvazione dello statuto dei lavoratori. Nell'allegato n. 3 « Compiti dei capi turno e delle guardie » tra l'altro viene detto:

« Il servizio di sorveglianza nelle varie località degli stabili menti viene svolto dai guardiani e graduati mediante visite sal tuarie ed itinerario prefissato e controllato. La sorveglianza deve essere estesa a tutti i locali degli stabilimenti e degli uffici della società. I capi turno e le guardie sono tenuti a compiere i ser

vizi fissi e le ispezioni diurne e notturne secondo le norme e

gli orari stabiliti, punzonando agli orologi di controllo installati

lungo l'itinerario fissato ».

E segue un elenco di attività che « i capi turno e le guardie sono tenuti a seguire in cui al servizio vigilanza è demandato

di tutto come risulta da un attento esame dei 19 punti ivi indi

cati, dal controllo dei lavoratori (punti 2-3-4-6-7-8) a regolare la

circolazione (punto 15), dal centralinista (punto 17) all'inferme

ria (punto 18). Come ben si vede buona parte di queste attività

poco o nulla hanno a che fare con quel compito di tutela del

patrimonio aziendale che istituzionalmente competerebbe al ser

vizio.

Questo regolamento non è che la conferma di una prassi di

utilizzazione delle guardie giurate. Prassi che secondo il teste

Bossi risale addirittura al 1954 e che secondo gli imputati Pi

rondini e Bottagisio risaliva agli anni '70 (cioè alla precedente

gestione dell'azienda) ed era stata confermata non essendovi nul

la da eccepire. Pertanto il pretore non ritiene opportuno soffermarsi sui sin

goli fatti emersi ed esposti, tra l'altro in generale del tutto pa

cifici, quanto sottolineare le dimensioni complessive che l'accesso

delle guardie giurate aveva assunto nella Nuova Innocenti ai

fini di valutarne la legittimità.

Secondo gli imputati e la difesa tale presenza di guardie giu rate all'interno dei reparti e durante gli scioperi non configu rerebbe comunque il reato contestato mancando l'antigiuridicità del comportamento dato e cioè il fine di controllare i lavora

tori. È indubbio che scopo dell'art. 2 1. 20 maggio 1970 n. 300

nell'intenzione del legislatore fosse di inibire il controllo sulla

normale attività lavorativa, ivi compresa l'attività sindacale, da

parte di quel personale che per la sua stessa essenza (la divisa,

l'eventuale arma, la qualifica, il verbale di servizio che fa fede

in giudizio fino a prova contraria) poteva ingenerare un parti colare clima di timore e preoccupazione. Ciò risulta sia dagli atti

parlamentari, sia dal disposto dell'articolo stesso. In proposito la

relazione del disegno di legge dice che scopo dello stesso è « con

tribuire in primo luogo a creare un clima di rispetto della dignità e della libertà umana nei luoghi di lavoro, riconducendo l'aser

cizio dei poteri direttivo e disciplinare dell'imprenditore nel loro

giusto alveo e cioè in una stretta finalizzazione allo svolgimento delle attività produttive ». Ed esaminando l'art. 2 nel quadro più

generale delle previsioni dello statuto ed in particolare raffron

tandolo con l'art. 3 si evidenzia come lo scopo del legislatore fosse quello di reintrodurre nelle aziende un clima non avvele

nato ed esasperato in cui fossero ben chiare ab initio le regole del gioco dei conflitti sociali che inevitabilmente si sarebbero

svolti e del ruolo che all'interno dell'azienda ad ogni compo nente produttiva spetta. Cosi l'imprenditore deve essere tale e

non può arrogarsi poteri che vadano oltre i riconosciuti diritti

alla proprietà e all'iniziativa economica ed i lavoratori sono te

nuti a fornire la loro prestazione lavorativa sottoposti a vigilanza solo per quanto inerisce tale prestazione. In questo generale qua

dro l'art. 3 sancisce un principio di pubblicità del personale ad

detto a sorvegliare il regolare svolgimento dell'attività, raffor

zando e completando con tale disposizione l'assoluto divieto per

le guardie giurate di provvedere a ciò. Difatti il compito delle

guardie è un altro: quello di cui all'art. 133 t. u. 1. p. s. cui lo

stesso art. 2 fa richiamo. La norma è tassativa in questa attribu

zione di compiti ed è indicativo che il legislatore abbia prov

veduto a sanzionarla penalmente. Quanto la legge vuole evi

tare è il crearsi o il ricrearsi di un clima di sospetto in cui il

lavoratore possa, anche a torto, sentirsi controllato da una sorta

di polizia privata. Anche la sola presenza di guardie giurate può

quindi determinare il reato di specie, non essendo necessaria

la prova che tale presenza sia finalizzata ad un controllo dei

lavoratori. Ciò per la stessa configurazione dell'art. 2 come reato

di pericolo e confermato dal fatto che qualora si avesse tale

finalità di controllo si potrebbe ricadere con estrema facilità

nelle violazioni dell'art. 8 (divieto di indagini) o dell'art. 28

(comportamento antisindacale) dello stesso statuto.

Altra questione è se sia sufficiente per configurare il reato la

semplice presenza delle guardie o sia necessario che questa sia

tale da far sorgere un clima di sospetto facendo sentire i lavo

ratori controllati. La stessa ratio della norma impone un legame tra la causa che vieta (l'accesso delle guardie) e l'effetto che vuo

le evitare (il deterioramento del clima aziendale), ma ciò senza

rendere necessario un accertamento circa l'effettivo manifestarsi

di questo deterioramento, ma solo valutando se la quantità e

la qualità della presenza delle guardie fosse potenzialmente suf

ficiente a produrre l'effetto che la legge vuole evitare. In altri

termini è necessario affrontare la frequenza ed il modo dell'en

trata delle guardie, potendo ben non verificarsi il reato nel caso

di occasioni involontarie, casuali e non particolarmente rile

vanti. La difesa ha fatto notare i pericoli che potrebbero de

rivare da un abuso dell'applicazione dell'art. 2 e della 1. 20

maggio 1970 n. 300 in generale. Ma non sembra né che di tale

articolo sia mai stato abusato, essendo rimasto nella pratica pres soché inapplicato, né che l'interpretazione fornita possa pre starsi ad eccessi applicativi.

Inoltre nel caso concreto è ben difficile sostenere che le vio

lazioni della norma siano state puramente occasionali, data la

reiterata presenza delle guardie nei reparti ed il particolare si

gnificato che tale accesso ha avuto in taluni casi e cioè durante

assemblee e scioperi. Oltre tutto ed indipendentemente da que ste considerazioni alla Nuova Innocenti si è, anche per questi fatti, determinato un clima di esasperazione e sospetto. Ne é

una riprova la dichiarazione resa durante l'interrogatorio da De

Tomaso « alla Nuova Innocenti è stato instaurato un clima di

violenza da parte del sindacato », lo stesso ricorso ex art. 28 1.

20 maggio 1970 n. 300 promosso dalla F.L.M., le dichiarazioni

rese dalle parti civili (vedi in particolare Leombruno, De Luca,

Pasquini, Lucchini, Galvan, Casazza).

Appare irrilevante l'ulteriore problema posto dalla difesa se

l'art. 2 sia applicabile durante la sospensione delle lavorazioni

e cioè durante assemblee e scioperi. Difatti il 3° comma di tale

articolo dice che le guardie « non possono accedere nei locali

dove si svolge tale attività (lavorativa), durante lo svolgimento della stessa », mentre il 1° comma autorizza l'impiego del perso nale di vigilanza « soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale ». Per cui se è vero che al di fuori dei locali dove si

svolge l'attività produttiva viene a cadere quella sorta di prae

sumptio iuris contenuta nel 3° comma citato, non di meno vi è un identico divieto di utilizzare le guardie per scopi diversi da quelli direttamente finalizzati alla salvaguardia della proprietà dell'azienda. Inoltre nei vari episodi avvenuti alla Nuova Inno

centi ciò rileva solo in due casi e cioè per l'intervento di una

guardia che si è fermata ad assistere ad un'assemblea, non certo

con fini di tutela dei beni aziendali, e per la presenza (conte stata da due testi) di personale di vigilanza dietro cortei nello

stabilimento.

Gli imputati De Tommaso e Bottagisio, quest'ultimo anche con un'importante produzione documentale, hanno teso a giusti ficare l'accesso delle guardie giurate nei reparti con il verificarsi all'interno dell'azienda di atti di terrorismo e violenza. Si sa rebbero ossia verificate quelle « specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di cui al 1° comma » (cioè alla tutela del

patrimonio aziendale). Tale affermazione appare comunque stru mentale e tesa a giustificare a posteriori il comportamento del personale di vigilanza, piuttosto che essere frutto di un accer tamento ex ante come chiaramente la norma impone. Difatti gli ulteriori controlli di cui ha parlato De Tomaso consistevano in un'accresciuta sorveglianza verso l'esterno dello stabilimento e

gran parte della documentazione prodotta si riferisce a fatti suc cessivi alla contestazione o provenienti dall'esterno dell'azienda (tranne le fotografie relative alle violenze avvenute nella Nuova Innocenti il 24 gennaio 1978 ed il 31 maggio 1978). Il manife starsi di una conflittualità accesa che degenera in violenze non

potrebbe comunque giustificare una deroga della normativa esi

stente, reintroducendo nell'azienda un clima di esasperato e in tollerabile controllo, dovendo sempre limitarsi l'attività delle guar die alla tutela patrimoniale. Va anzi riaffermato come contenuto in alcuni contratti collettivi (vedi in particolare il c. c. n. 1. metal

meccanici 1° maggio 1976, art. 18) e come dichiarato dai testi Bossi e Miccoli, preposti entrambi a diversi livelli al servizio vi

gilanza, che la conservazione dei macchinari e degli strumenti di

lavoro è principalmente affidata ai lavoratori. Argomento riso

lutivo contro le giustificazioni avanzate dagli imputati è tra l'al

tro che l'attività delle guardie giurate in generale non ha avuto alcuna modifica almeno dagli anni '70 come già visto preceden temente e cioè da un periodo ben antecedente al manifestarsi

del fenomeno terrorismo e degli episodi di violenza citati. I tre imputati si trovavano ad avere una diversa responsabilità

nella Nuova Innocenti. Erano infatti amministratore delegato De

Tomaso, direttore generale Pirondini e direttore del personale

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PARTE SECONDA

Bottagisio. Nell'organigramma dell'azienda, come risulta dalla do cumentazione agli atti e dalle dichiarazioni degli stessi imputati, i rapporti tra i tre erano in linea gerarchica verticale. Quindi da Bottagisio, tramite il servizio attività sociali diretto da Bossi, si arrivava al servizio vigilanza di cui era a capo Miccoli.

Il problema dell'individuazione della responsabilità personale va affrontato applicando i criteri che la giurisprudenza ha ela borato per attuare anche in ambiti societari l'art. 27, 1° com

ma, Cost.

Non c'è dubbio che De Tommaso abbia delegato persone ap posite ad occuparsi del ramo (Bottagisio ed i suoi sottoposti) e abbia dato direttive in merito al direttore generale. Ma queste direttive hanno avuto un'applicazione in parte illecita e lo stes so imputato era venuto a conoscenza di comportamenti vietati, cioè del giro mattutino delle guardie nei reparti, senza aver fatto nulla per rimuoverli.

Pirondini ha in sostanza affermato di non conoscere in modo

preciso l'utilizzazione delle guardie. De Tommaso ha invece so

stenuto di avergli dato direttive e lo stesso Pirondini ha dichia

rato di essersi consultato con il dott. Bottagisio sulla prassi se

guita dagli anni 60-70 dal servizio vigilanza e di non aver tro

vato nulla da eccepire. Il fatto che l'imputato non fosse al cor

rente del giro mattutino delle guardie in alcuni reparti è scar

samente credibile e in contraddizione con i colloqui che Piron

dini avrebbe avuto sia con De Tomaso che con Bottagisio. A

suo carico sarebbe comunque riscontrabile una grave negligenza, avendo trascurato il controllo a lui spettante (come dallo stesso

ammesso) sul corretto svolgimento del servizio vigilanza. A Bottagisio come responsabile del personale venivano date

direttive di massima, avendo egli per il resto piena autonomia.

I comportamenti delle guardie giurate visti sono stati da lui, se non impostati e diretti, accettati.

Dagli interrogatori degli imputati Bottagisio e Pirondini e dalle

deposizioni dei testi Bossi e Miccoli appare chiaro che l'attività

del servizio vigilanza è rimasta identica per prassi sin dalle pre cedenti gestioni aziendali modificandosi ben poco anche in se

guito all'entrata in vigore della 1. 20 maggio 1970 n. 300. Lo

stesso ordine di servizio 10 settembre 1970 risale ad altra ge stione e ad altro capo del personale. Proprio tale sostanziale

accettazione e la mancata attivazione da parte di Bottagisio per modificare i comportamenti vietati configurano la colpa consi

stita in negligenza ed imperizia. Va quindi affermata la penale responsabilità di tutti gli im

putati. Manca qualsiasi prova che tale comportamento sia stato

doloso, dovendosi piuttosto attribuire a diversi profili di colpa. II fatto che sia stato unanimemente dichiarato dai testimoni che

il consiglio di fabbrica o singoli lavoratori non si fossero mai la

mentati per l'attività delle guardie giurate con la direzione con

ferma questa assenza di dolo. Tale elemento e l'assenza di pre cedenti penali per tutti gli imputati fanno ritenere al giudicante di comminare la pena pecuniaria commisurata in lire 400.000

di ammenda per ciascun imputato oltre alle spese processuali. Non va accolta la richiesta del p.m. di concedere le attenuanti

generiche non essendovi alcuna ulteriore circostanza soggettiva od oggettiva che possa giustificare una diminuzione della pena.

La domanda di risarcimento danni avanzata dalle parti civili

va accolta. Il danno non patrimoniale può ben essere anche su

bito da un soggetto collettivo e rientra nella generale previsione dell'art. 2043 c. c. Il tradizionale danno morale ancorato al do

lore ed alla sofferenza fisica trasposto negli enti collettivi incide

sulla stessa esistenza e scopo per cui il soggetto è stato costituito

da un lato, e sugli interessi collettivi di cui l'ente è portatore dall'altro. Sotto entrambi i profili c. di f. e F.l.m. hanno senz'al

tro subito un danno rilevante che inerisce lo scopo stesso per cui queste organizzazioni sono state costituite ed agiscono. La

violazione della norma da parte degli imputati ha colpito c. di f.

e F.l.m. nella stessa attività sindacale in occasione di assemblee

e scioperi e ha danneggiato i singoli lavoratori che si sono po tuti sentire sottoposti ad un illegittimo controllo, lavoratori di

cui entrambe le associazioni rappresentano gli interessi. Il tutto

con un danno diretto ed immediato per le due parti civili in ter

mini di perdita di reputazione e credibilità.

Va anche accolta la particolare forma con cui le parti civili

hanno chiesto venga effettuato il risarcimento della lesione su

bita. La richiesta di pubblicazione della sentenza ai sensi del

l'art. 186 c. p. non va confusa con la pubblicazione della sen

tenza di condanna prevista dall'art. 38 1. 20 maggio 1970 n. 300.

Mentre la prima difatti è una sanzione civile per la riparazione del danno non patrimoniale, la seconda è una pena accessoria

per la violazione di particolare gravità (comunque nel caso non

contestato). Da un esame del combinato disposto degli art. 185

e 186 c. p. può nascere il dubbio se il risarcimento possa consi

stere solo nella pubblicazione o debba necessariamente concre

tizzarsi in una quantificazione economica cui va aggiunta la pub

blicazione. Infatti mentre nell'art. 185 c. p. viene detto che «ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patri moniale obbliga al risarcimento ... », l'art. 186 c. p. recita « ol

tre a quanto prescritto dall'articolo precedente ... ogni reato ob

bliga il colpevole alla pubblicazione ... ». Tale dubbio viene raf

forzato dalla lettera dell'art. 120 c.p.c. che disciplina civilmente

la pubblicazione della sentenza come forma di risarcimento del

danno in cui si parla della pubblicità della decisione come con tributo alla riparazione della lesione subita. Ma scopo sia del

l'art. 186 c. p. sia dell'art. 120 c.p.c. è unicamente introdurre

la possibilità anche di un risarcimento in forma specifica tramite

la pubblicazione e non di sancire una necessaria cumulabilità

tra la liquidazione economica e la pubblicazione. A ben vedere

difatti l'art. 185 c. p. si limita nel 2° comma a parlare di risarci

mento, nulla dicendo circa le forme che tale risarcimento può avere. Invece l'art. 186 c. p. stabilisce «oltre a quanto pre scritto nell'articolo precedente » e cioè al principio dell'obbli

gatorietà del risarcimento, una forma specifica in cui la ripa razione può essere effettuata. Dal combinato disposto dei due ar

ticoli non può quindi farsi derivare alcun necessario cumulo

della liquidazione economica della lesione con la pubblicazione, ma piuttosto tre assunti: l'obbligatorietà delle restituzioni e del

risarcimento del danno; la possibilità del risarcimento di un

danno anche solo non patrimoniale; la facoltà di ottenere tale

riparazione anche con la pubblicazione della sentenza.

Del resto è facile osservare che essendo il risarcimento legato alla domanda di parte, in cui deve essere specificata anche la

forma e/o l'ammontare, la sola pubblicazione è un minus, e

come tale vantaggiosa per lo stesso imputato, rispetto al plus

rappresentato dal cumulo della liquidazione economica oltre la

pubblicazione. Altrimenti si arriverebbe a non concedere alcun

risarcimento del danno solo perché la parte si è limitata a chie

dere la pubblicazione. E si giungerebbe all'assurdo di ammettere

un risarcimento del danno non patrimoniale imponendo però una

liquidazione economica di esso anche quando, come dice l'art.

186 c. p., « la pubblicazione costituisca un mezzo per riparare il

danno non patrimoniale cagionato dal reato ». La facoltà di ot

tenere il risarcimento del danno pure solo nella forma della

pubblicazione rispecchia anche i generali principi che i nostri

codici sanciscono in tema di risarcimento del danno e di ese

cuzione civile, che tendono a garantire la riparazione della le

sione nella forma più efficace ai fini dell'eliminazione del danno

subito. In casi come quello di cui al presente processo in cui

soggetto danneggiato è un ente collettivo e il bene offeso è uni

camente non patrimoniale la pubblicazione è indubbiamente la

sola forma specifica possibile esistente per riparare alla lesione

subita.

Le condizioni necessarie per ordinare la pubblicazione della

sentenza come sanzione civile sono l'esistenza di un danno mo

rale e l'idoneità della forma della pubblicazione per risarcire tale

danno.

Entrambi questi requisiti sono nel caso soddisfatti. (Omissis)

PRETURA DI CIVITA CASTELLANA; PRETURA DI CIVITA CASTELLANA; sentenza 27 gennaio

1981; Giud. Bursese; imp. Marziani.

Acque pubbliche e private — Tutela dall'inquinamento — Su

peramento dei limiti di accettabilità — Fattispecie criminosa

autonoma — Regime autorizzatorio dello scarico — Irrilevanza — Reato — Sussistenza (L. 10 maggio 1976 n. 319, norme per la tutela delle acque dall'inquinamento, art. 21; 1. 24 dicembre 1979 n. 650, integrazioni e modifiche delle 1. 16 aprile 1973

n. 171 e 10 maggio 1976 n. 319, art. 19).

Acque pubbliche e private — Tutela dall'inquinamento — Inse

diamenti produttivi esistenti — Scarichi in pubblica fognatura — Reato di aumento anche temporaneo dell'inquinamento —

Limiti temporali di applicazione (L. 10 maggio 1976 n. 319, art. 13, 25; 1. 24 dicembre 1979 n. 650, art. 1, 2).

L'art. 21, 3° comma, l. n. 319/1976, nel testo modificato dall'art. 19

l. n. 650/1979, prevede un'ipotesi criminosa autonoma caratte rizzata dallo specifico evento di inquinamento delle acque in relazione al superamento dei coefficienti tabellari, senza alcun

riferimento al regime autorizzatorio del relativo scarico; pertan to, il titolare dell'insediamento produttivo risponde di tale con travvenzione anche in assenza di revoca o diniego dell'autoriz zazione allo scarico. (1)

(1) Nella vigenza del testo originario dell'art. 21, 3° comma, legge « Merli » (secondo cui, nelle ipotesi di reato previste dai due comma precedenti — apertura, effettuazione o mantenimento di scarichi privi della prescritta autorizzazione perché mai richiesta ovvero negata o revocata, inottemperanza delle disposizioni dell'art. 25 — il giudice doveva obbligatoriamente applicare la pena dell'arresto qualora lo sca

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