sentenza 20 marzo 1981; Giud. Castelli; imp. De Tomaso e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1982), pp.219/220-223/224Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174582 .
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PARTE SECONDA
bile dalla natura tipicamente cautelare del sequestro rispetto alla natura ablativa delle misure di sicurezza applicate al caso di
specie. Né può ritenersi che la confisca delle somme ricavate dalla
vendita dei lotti abusivamente frazionati si ponga in contrasto con le sanzioni amministrative previste dalla legge Bucalossi o dalle normative regionali, poiché tale contrasto sarebbe tutt'al
più ipotizzabile tra la confisca dei suoli e dei manufatti che vi insistono ed i poteri ablativi riservati alla competenza dei co
muni; ma certamente non riguarda la confisca dei proventi del
l'illecito urbanistico perpetrato. Infatti nessuna sanzione ammi
nistrativa statale o regionale prevede l'acquisizione all'autorità
comunale dei corrispettivi lucrati dal lottizzatore abusivo.
La disposta confisca comporta l'appartenenza all'erario dello
Stato delle intere somme ricavate dai Mazzotta attraverso la ven
dita dei lotti abusivamente frazionati e lo Stato, quale succes
sore a titolo particolare, è legittimato ad ottenerne il recupero. Il prezzo è l'equivalente economico dell'utilità conseguita com
mettendo il reato, quindi un bene consumabile e fungibile. Per
tanto l'attuazione della misura di sicurezza patrimoniale si rea
lizzerà mediante l'ottenimento di una somma di denaro per equi valente: in dipendenza del provvedimento di confisca, infatti,
sorge a carico del reo un'obbligazione ex delieto di dare a nor
ma degli art. 1173 c. c., 189, n. 1, e 191, n. 6, c. p., il cui adem
pimento consisterà, come per le obbligazioni pecuniarie in genere, nel pagamento di una somma di denaro, pari a quella entrata
nel patrimonio del reo a seguito e in dipendenza dell'illecito
commesso e che coinvolgerà a norma dell'art. 2740 c. c. il pa trimonio del debitore con tutti i suoi beni presenti e futuri. La
concreta determinazione delle somme dovute da Mazzotta Car
mela e Mazzotta Antonio a titolo di confisca potrà essere fa
cilmente compiuta in sede di esecuzione, tenendo conto delle
somme indicate come prezzo negli atti pubblici acquisiti al pre sente procedimento.
PRETURA DI MILANO; PRETURA DI MILANO; sentenza 20 marzo 1981; Giud. Ca
stelli; imp. De Tomaso e altri.
Lavoro (rapporto) — Guardie giurate — Presenza ingiustificata nei reparti di produzione — Responsabilità penale dei diri
genti — Fattispecie (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla
tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sin
dacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme
sul collocamento, art. 2, 38). Danni in materia penale — Violazione dell'art. 2 1. n. 300/1970
— Associazioni sindacali — Danno — Sussistenza — Risar cibilità — Pubblicazione della sentenza di condanna — Am missibilità (Cod. pen., art. 186; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art.
2, 38).
Integra la fattispecie di cui al combinato disposto degli art. 2 e 38 I. n. 300/1970 il comportamento dei dirigenti di un'azienda che,
impiegando le guardie particolari giurate per scopi diversi dalla tutela del patrimonio aziendale, consentano o comunque non
impediscano il loro abituale ingresso nei reparti di produzione durante lo svolgimento dell'attività lavorativa ed in occasione di assemblee o scioperi. (1)
Il fatto del datore di lavoro che adibisca illegittimamente le guar die particolari giurate a compiti di vigilanza sull'attività sinda cale in fabbrica integra un danno diretto ed immediato alle as sociazioni sindacali, costituitesi parte civile nel giudizio per vio lazione dell'art. 2 l. n. 300/1970, e come tale risarcibile anche nella forma della pubblicazione della sentenza di condanna ai sensi dell'art. 186 c. p. (2)
(1) Nel senso che viola l'art. 2 1. 300/1970 il datore di lavoro che tollera il comportamento illegittimo di due guardie giurate che si aggirano ripetutamente nei locali dove viene svolta l'attività la vorativa, cfr. Pret. Milano 6 novembre 1979, Foro it., 1980, II, 195, con nota di richiami.
In dottrina, oltre ai riferimenti contenuti in nota a Pret. Milano (cui adde Stortini, Appunti per uno studio sulla tutela e sulla ri levanza penale dello statuto dei lavoratori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1974, 1436 s.), cfr. Riva Sanseverino, Elementi di diritto sindacale e del lavoro, Padova, 1980, 121, ove si sottolinea come la violazione dell'art. 2 dia luogo anche a provvedimenti discipli nari a carico della guardia giurata (sospensione dal servizio, revo ca della licenza); Pera, Diritto del lavoro, Padova. 1980, 551; Smu raglia, Diritto penale del lavoro, Padova, 1980, 125 e 126; Castelli, Di Lecce, Guardie giurate e tutela del patrimonio aziendale, in La voro 80, 1981, 843.
(2) Non risultano precedenti in termini. Per riferimenti, sulla costituzione di parte civile del sindacato nei
procedimenti penali per reati commessi in danno di singoli lavora tori, cfr. Cass. 27 giugno 1979, Ghisotti (Foro it., 1980, II, 485, con nota di richiami), che ne dichiara l'inammissibilità, ad eccezione del l'ipotesi di reato di cui all'art. 28, 4° comma, 1. n. 300/1970; in
Svolgimento del processo e motivi della decisione. — Con rap
porto 12 dicembre 1979 ai sensi dell'art. 3 c. p. p. il Pretore del
lavoro di Milano denunciava che nel corso del giudizio introdotto
dalla Federazione lavoratori metalmeccanici con ricorso ex art.
28 1. 20 maggio 1970 n. 300 contro la Nuova Innocenti s.p.a. era emerso che le guardie giurate in talune occasioni entravano
nei reparti di produzione. Veniva quindi imputato del reato di
cui all'art. 2 dello statuto dei lavoratori e rinviato a giudizio
Alejandro De Tomaso, amministratore delegato della società.
Durante il dibattimento, articolatosi in quattro udienze, veniva estesa l'imputazione sulla base delle dichiarazioni rese dall'im
putato e da Bottagisio Sergio, responsabile del personale, a
quest'ultimo e a Pirondini Tullio, direttore generale della stessa azienda. Interrogati gli imputati, sentite le parti civili costitui tesi ed i testi, al termine del dibattimento parti civili, p. m. e difesa concludevano come da separato verbale.
Va innanzitutto qui richiamata l'ordinanza 20 marzo 1981 con cui il pretore a scioglimento di precedenti riserve ha rigettato l'opposizione alla costituzione di parte civile del consiglio di fabbrica della Nuova Innocenti e della Federazione lavoratori metalmeccanici provinciale di Milano e un'eccezione di nullità assoluta dell'estensione dell'imputazione proposte dalla difesa. Ta le ordinanza deve intendersi integralmente riportata, non sem brando necessaria alcuna ulteriore specificazione.
L'istruttoria dibattimentale ha confermato quanto già emerso avanti al pretore del lavoro e cioè la presenza di guardie giu rate all'interno dei reparti di lavorazione durante lo svolgimento dell'attività produttiva e in taluni casi durante assemblee sinda cali e scioperi. In particolare dal coordinamento delle testimo nianze assunte sono stati evidenziati i seguenti episodi.
Ogni mattina ad orario non fisso, ma che sembra aggirarsi attorno alle h. 9,00, una guardia entrava nei capannoni ove nor malmente si svolge l'attività lavorativa, li attraversava passando tra i posti di lavoro e toglieva all'orologio di controllo che ser viva per verificare l'effettivo svolgimento delle ispezioni notturne il disco punzonato sostituendolo. Ciò avveniva secondo il teste
Bossi, sovraintendente ai servizi sociali ed ausiliari (tra cui rien
trava la vigilanza) in circa tre o quattro reparti, secondo il teste
Miccoli, capo dell'ufficio vigilanza, in ogni capannone per un to tale di cinque. Sicuramente ciò è avvenuto nei reparti della zo na Lambrate (teste Tarsia), nel capannone ove sono situati i re
parti lastratura, manutenzione e vestizione (teste Mariani), nel
capannone ove si effettua il montaggio vicino al settore verni ciatura (teste Pierno), nel capannone auto a fianco della linea ab
bigliamento (teste Simonetti). In due occasioni il giro sopra descritto è avvenuto durante as
semblee (teste Mariani) ed in un caso una guardia giurata si è fermata ad assistere ad un'assemblea (teste Pierno).
Durante lo sicopero dell'I 1 maggio 1979 una guardia giurata è intervenuta nella discussione circa l'adesione allo sciopero stes
so nella palazzina uffici tra un delegato sindacale e altri lavora tori (testi Tarsia, Bossi e Miccoli).
Il 25 maggio 1979 durante uno sciopero alcune guardie hanno
seguito un corteo interno nello stabilimento (teste Pierno) e ciò
è accaduto in qualche altra occasione non meglio individuata
(teste Tarsia). In caso di scioperi articolati che coinvolgono nello stesso ca
pannone uno solo dei più reparti esistenti secondo il teste Pier no le guardie entrano per controllare.
Sulle ultime due circostanze i testi Bossi e Miccoli hanno chia rito che il personale di vigilanza durante gli scioperi entrava nei reparti per controllare se ci fossero stati danni o fossero ri masti macchinari in funzione.
Miccoli ha anche precisato che tali controlli non venivano fatti in caso di scioperi articolati ed entrambi hanno escluso la pos sibilità che guardie abbiano seguito cortei interni nello stabili mento. Gli imputati De Tommaso e Bottagisio hanno confer mato l'esistenza dei giri di controllo, l'ultimo dei quali in orario lavorativo da parte del personale di vigilanza per fini, come ha
precisato il capo del personale, sia assicurativi che di tutela del
patrimonio aziendale. Gli stessi hanno anche dichiarato che du rante gli scioperi le guardie giurate entrano nei reparti per veri ficare i dispositivi di sicurezza e togliere la corrente. Secondo
Bottagisio ciò comunque non avviene in caso di scioperi arti colati.
senso conforme, da ultimo, v. Pret. Domodossola, ord. 29 maggio 1980 e 5 giugno 1980, Riv. giur. lav., 1980, IV, 489.
In dottrina, sul punto, v. Scarponi, Ancora sulla legittimazione del sindacato a costituirsi parte civile, ibid., 197; Vidiri, La costi tuzione del sindacato come parte civile nel processo penale, in Giur. merito, 1981, 482; più in generale, sulla costituzione di parte civile degli enti collettivi, anche con riferimento ai sindacati, v. la nota di A. Iacoboni a Cass. 16 maggio 1980, Di Gregorio, in questo fascicolo, II, 184.
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GIURISPRUDENZA PENALE
Ma, anche indipendentemente da queste circostanze su cui
potrebbe sussistere un margine di dubbio, quanto emerso dal
l'istruttoria è una vera e propria prassi di diffusa presenza delle
guardie giurate nei reparti durante l'attività lavorativa. Estrema
mente indicativo è l'ordine di servizio 10 settembre 1970 tuttora
vigente, che secondo il teste Miccoli è l'aggiornamento del re
golamento che disciplina l'attività del servizio vigilanza dopo l'approvazione dello statuto dei lavoratori. Nell'allegato n. 3 « Compiti dei capi turno e delle guardie » tra l'altro viene detto:
« Il servizio di sorveglianza nelle varie località degli stabili menti viene svolto dai guardiani e graduati mediante visite sal tuarie ed itinerario prefissato e controllato. La sorveglianza deve essere estesa a tutti i locali degli stabilimenti e degli uffici della società. I capi turno e le guardie sono tenuti a compiere i ser
vizi fissi e le ispezioni diurne e notturne secondo le norme e
gli orari stabiliti, punzonando agli orologi di controllo installati
lungo l'itinerario fissato ».
E segue un elenco di attività che « i capi turno e le guardie sono tenuti a seguire in cui al servizio vigilanza è demandato
di tutto come risulta da un attento esame dei 19 punti ivi indi
cati, dal controllo dei lavoratori (punti 2-3-4-6-7-8) a regolare la
circolazione (punto 15), dal centralinista (punto 17) all'inferme
ria (punto 18). Come ben si vede buona parte di queste attività
poco o nulla hanno a che fare con quel compito di tutela del
patrimonio aziendale che istituzionalmente competerebbe al ser
vizio.
Questo regolamento non è che la conferma di una prassi di
utilizzazione delle guardie giurate. Prassi che secondo il teste
Bossi risale addirittura al 1954 e che secondo gli imputati Pi
rondini e Bottagisio risaliva agli anni '70 (cioè alla precedente
gestione dell'azienda) ed era stata confermata non essendovi nul
la da eccepire. Pertanto il pretore non ritiene opportuno soffermarsi sui sin
goli fatti emersi ed esposti, tra l'altro in generale del tutto pa
cifici, quanto sottolineare le dimensioni complessive che l'accesso
delle guardie giurate aveva assunto nella Nuova Innocenti ai
fini di valutarne la legittimità.
Secondo gli imputati e la difesa tale presenza di guardie giu rate all'interno dei reparti e durante gli scioperi non configu rerebbe comunque il reato contestato mancando l'antigiuridicità del comportamento dato e cioè il fine di controllare i lavora
tori. È indubbio che scopo dell'art. 2 1. 20 maggio 1970 n. 300
nell'intenzione del legislatore fosse di inibire il controllo sulla
normale attività lavorativa, ivi compresa l'attività sindacale, da
parte di quel personale che per la sua stessa essenza (la divisa,
l'eventuale arma, la qualifica, il verbale di servizio che fa fede
in giudizio fino a prova contraria) poteva ingenerare un parti colare clima di timore e preoccupazione. Ciò risulta sia dagli atti
parlamentari, sia dal disposto dell'articolo stesso. In proposito la
relazione del disegno di legge dice che scopo dello stesso è « con
tribuire in primo luogo a creare un clima di rispetto della dignità e della libertà umana nei luoghi di lavoro, riconducendo l'aser
cizio dei poteri direttivo e disciplinare dell'imprenditore nel loro
giusto alveo e cioè in una stretta finalizzazione allo svolgimento delle attività produttive ». Ed esaminando l'art. 2 nel quadro più
generale delle previsioni dello statuto ed in particolare raffron
tandolo con l'art. 3 si evidenzia come lo scopo del legislatore fosse quello di reintrodurre nelle aziende un clima non avvele
nato ed esasperato in cui fossero ben chiare ab initio le regole del gioco dei conflitti sociali che inevitabilmente si sarebbero
svolti e del ruolo che all'interno dell'azienda ad ogni compo nente produttiva spetta. Cosi l'imprenditore deve essere tale e
non può arrogarsi poteri che vadano oltre i riconosciuti diritti
alla proprietà e all'iniziativa economica ed i lavoratori sono te
nuti a fornire la loro prestazione lavorativa sottoposti a vigilanza solo per quanto inerisce tale prestazione. In questo generale qua
dro l'art. 3 sancisce un principio di pubblicità del personale ad
detto a sorvegliare il regolare svolgimento dell'attività, raffor
zando e completando con tale disposizione l'assoluto divieto per
le guardie giurate di provvedere a ciò. Difatti il compito delle
guardie è un altro: quello di cui all'art. 133 t. u. 1. p. s. cui lo
stesso art. 2 fa richiamo. La norma è tassativa in questa attribu
zione di compiti ed è indicativo che il legislatore abbia prov
veduto a sanzionarla penalmente. Quanto la legge vuole evi
tare è il crearsi o il ricrearsi di un clima di sospetto in cui il
lavoratore possa, anche a torto, sentirsi controllato da una sorta
di polizia privata. Anche la sola presenza di guardie giurate può
quindi determinare il reato di specie, non essendo necessaria
la prova che tale presenza sia finalizzata ad un controllo dei
lavoratori. Ciò per la stessa configurazione dell'art. 2 come reato
di pericolo e confermato dal fatto che qualora si avesse tale
finalità di controllo si potrebbe ricadere con estrema facilità
nelle violazioni dell'art. 8 (divieto di indagini) o dell'art. 28
(comportamento antisindacale) dello stesso statuto.
Altra questione è se sia sufficiente per configurare il reato la
semplice presenza delle guardie o sia necessario che questa sia
tale da far sorgere un clima di sospetto facendo sentire i lavo
ratori controllati. La stessa ratio della norma impone un legame tra la causa che vieta (l'accesso delle guardie) e l'effetto che vuo
le evitare (il deterioramento del clima aziendale), ma ciò senza
rendere necessario un accertamento circa l'effettivo manifestarsi
di questo deterioramento, ma solo valutando se la quantità e
la qualità della presenza delle guardie fosse potenzialmente suf
ficiente a produrre l'effetto che la legge vuole evitare. In altri
termini è necessario affrontare la frequenza ed il modo dell'en
trata delle guardie, potendo ben non verificarsi il reato nel caso
di occasioni involontarie, casuali e non particolarmente rile
vanti. La difesa ha fatto notare i pericoli che potrebbero de
rivare da un abuso dell'applicazione dell'art. 2 e della 1. 20
maggio 1970 n. 300 in generale. Ma non sembra né che di tale
articolo sia mai stato abusato, essendo rimasto nella pratica pres soché inapplicato, né che l'interpretazione fornita possa pre starsi ad eccessi applicativi.
Inoltre nel caso concreto è ben difficile sostenere che le vio
lazioni della norma siano state puramente occasionali, data la
reiterata presenza delle guardie nei reparti ed il particolare si
gnificato che tale accesso ha avuto in taluni casi e cioè durante
assemblee e scioperi. Oltre tutto ed indipendentemente da que ste considerazioni alla Nuova Innocenti si è, anche per questi fatti, determinato un clima di esasperazione e sospetto. Ne é
una riprova la dichiarazione resa durante l'interrogatorio da De
Tomaso « alla Nuova Innocenti è stato instaurato un clima di
violenza da parte del sindacato », lo stesso ricorso ex art. 28 1.
20 maggio 1970 n. 300 promosso dalla F.L.M., le dichiarazioni
rese dalle parti civili (vedi in particolare Leombruno, De Luca,
Pasquini, Lucchini, Galvan, Casazza).
Appare irrilevante l'ulteriore problema posto dalla difesa se
l'art. 2 sia applicabile durante la sospensione delle lavorazioni
e cioè durante assemblee e scioperi. Difatti il 3° comma di tale
articolo dice che le guardie « non possono accedere nei locali
dove si svolge tale attività (lavorativa), durante lo svolgimento della stessa », mentre il 1° comma autorizza l'impiego del perso nale di vigilanza « soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale ». Per cui se è vero che al di fuori dei locali dove si
svolge l'attività produttiva viene a cadere quella sorta di prae
sumptio iuris contenuta nel 3° comma citato, non di meno vi è un identico divieto di utilizzare le guardie per scopi diversi da quelli direttamente finalizzati alla salvaguardia della proprietà dell'azienda. Inoltre nei vari episodi avvenuti alla Nuova Inno
centi ciò rileva solo in due casi e cioè per l'intervento di una
guardia che si è fermata ad assistere ad un'assemblea, non certo
con fini di tutela dei beni aziendali, e per la presenza (conte stata da due testi) di personale di vigilanza dietro cortei nello
stabilimento.
Gli imputati De Tommaso e Bottagisio, quest'ultimo anche con un'importante produzione documentale, hanno teso a giusti ficare l'accesso delle guardie giurate nei reparti con il verificarsi all'interno dell'azienda di atti di terrorismo e violenza. Si sa rebbero ossia verificate quelle « specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di cui al 1° comma » (cioè alla tutela del
patrimonio aziendale). Tale affermazione appare comunque stru mentale e tesa a giustificare a posteriori il comportamento del personale di vigilanza, piuttosto che essere frutto di un accer tamento ex ante come chiaramente la norma impone. Difatti gli ulteriori controlli di cui ha parlato De Tomaso consistevano in un'accresciuta sorveglianza verso l'esterno dello stabilimento e
gran parte della documentazione prodotta si riferisce a fatti suc cessivi alla contestazione o provenienti dall'esterno dell'azienda (tranne le fotografie relative alle violenze avvenute nella Nuova Innocenti il 24 gennaio 1978 ed il 31 maggio 1978). Il manife starsi di una conflittualità accesa che degenera in violenze non
potrebbe comunque giustificare una deroga della normativa esi
stente, reintroducendo nell'azienda un clima di esasperato e in tollerabile controllo, dovendo sempre limitarsi l'attività delle guar die alla tutela patrimoniale. Va anzi riaffermato come contenuto in alcuni contratti collettivi (vedi in particolare il c. c. n. 1. metal
meccanici 1° maggio 1976, art. 18) e come dichiarato dai testi Bossi e Miccoli, preposti entrambi a diversi livelli al servizio vi
gilanza, che la conservazione dei macchinari e degli strumenti di
lavoro è principalmente affidata ai lavoratori. Argomento riso
lutivo contro le giustificazioni avanzate dagli imputati è tra l'al
tro che l'attività delle guardie giurate in generale non ha avuto alcuna modifica almeno dagli anni '70 come già visto preceden temente e cioè da un periodo ben antecedente al manifestarsi
del fenomeno terrorismo e degli episodi di violenza citati. I tre imputati si trovavano ad avere una diversa responsabilità
nella Nuova Innocenti. Erano infatti amministratore delegato De
Tomaso, direttore generale Pirondini e direttore del personale
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PARTE SECONDA
Bottagisio. Nell'organigramma dell'azienda, come risulta dalla do cumentazione agli atti e dalle dichiarazioni degli stessi imputati, i rapporti tra i tre erano in linea gerarchica verticale. Quindi da Bottagisio, tramite il servizio attività sociali diretto da Bossi, si arrivava al servizio vigilanza di cui era a capo Miccoli.
Il problema dell'individuazione della responsabilità personale va affrontato applicando i criteri che la giurisprudenza ha ela borato per attuare anche in ambiti societari l'art. 27, 1° com
ma, Cost.
Non c'è dubbio che De Tommaso abbia delegato persone ap posite ad occuparsi del ramo (Bottagisio ed i suoi sottoposti) e abbia dato direttive in merito al direttore generale. Ma queste direttive hanno avuto un'applicazione in parte illecita e lo stes so imputato era venuto a conoscenza di comportamenti vietati, cioè del giro mattutino delle guardie nei reparti, senza aver fatto nulla per rimuoverli.
Pirondini ha in sostanza affermato di non conoscere in modo
preciso l'utilizzazione delle guardie. De Tommaso ha invece so
stenuto di avergli dato direttive e lo stesso Pirondini ha dichia
rato di essersi consultato con il dott. Bottagisio sulla prassi se
guita dagli anni 60-70 dal servizio vigilanza e di non aver tro
vato nulla da eccepire. Il fatto che l'imputato non fosse al cor
rente del giro mattutino delle guardie in alcuni reparti è scar
samente credibile e in contraddizione con i colloqui che Piron
dini avrebbe avuto sia con De Tomaso che con Bottagisio. A
suo carico sarebbe comunque riscontrabile una grave negligenza, avendo trascurato il controllo a lui spettante (come dallo stesso
ammesso) sul corretto svolgimento del servizio vigilanza. A Bottagisio come responsabile del personale venivano date
direttive di massima, avendo egli per il resto piena autonomia.
I comportamenti delle guardie giurate visti sono stati da lui, se non impostati e diretti, accettati.
Dagli interrogatori degli imputati Bottagisio e Pirondini e dalle
deposizioni dei testi Bossi e Miccoli appare chiaro che l'attività
del servizio vigilanza è rimasta identica per prassi sin dalle pre cedenti gestioni aziendali modificandosi ben poco anche in se
guito all'entrata in vigore della 1. 20 maggio 1970 n. 300. Lo
stesso ordine di servizio 10 settembre 1970 risale ad altra ge stione e ad altro capo del personale. Proprio tale sostanziale
accettazione e la mancata attivazione da parte di Bottagisio per modificare i comportamenti vietati configurano la colpa consi
stita in negligenza ed imperizia. Va quindi affermata la penale responsabilità di tutti gli im
putati. Manca qualsiasi prova che tale comportamento sia stato
doloso, dovendosi piuttosto attribuire a diversi profili di colpa. II fatto che sia stato unanimemente dichiarato dai testimoni che
il consiglio di fabbrica o singoli lavoratori non si fossero mai la
mentati per l'attività delle guardie giurate con la direzione con
ferma questa assenza di dolo. Tale elemento e l'assenza di pre cedenti penali per tutti gli imputati fanno ritenere al giudicante di comminare la pena pecuniaria commisurata in lire 400.000
di ammenda per ciascun imputato oltre alle spese processuali. Non va accolta la richiesta del p.m. di concedere le attenuanti
generiche non essendovi alcuna ulteriore circostanza soggettiva od oggettiva che possa giustificare una diminuzione della pena.
La domanda di risarcimento danni avanzata dalle parti civili
va accolta. Il danno non patrimoniale può ben essere anche su
bito da un soggetto collettivo e rientra nella generale previsione dell'art. 2043 c. c. Il tradizionale danno morale ancorato al do
lore ed alla sofferenza fisica trasposto negli enti collettivi incide
sulla stessa esistenza e scopo per cui il soggetto è stato costituito
da un lato, e sugli interessi collettivi di cui l'ente è portatore dall'altro. Sotto entrambi i profili c. di f. e F.l.m. hanno senz'al
tro subito un danno rilevante che inerisce lo scopo stesso per cui queste organizzazioni sono state costituite ed agiscono. La
violazione della norma da parte degli imputati ha colpito c. di f.
e F.l.m. nella stessa attività sindacale in occasione di assemblee
e scioperi e ha danneggiato i singoli lavoratori che si sono po tuti sentire sottoposti ad un illegittimo controllo, lavoratori di
cui entrambe le associazioni rappresentano gli interessi. Il tutto
con un danno diretto ed immediato per le due parti civili in ter
mini di perdita di reputazione e credibilità.
Va anche accolta la particolare forma con cui le parti civili
hanno chiesto venga effettuato il risarcimento della lesione su
bita. La richiesta di pubblicazione della sentenza ai sensi del
l'art. 186 c. p. non va confusa con la pubblicazione della sen
tenza di condanna prevista dall'art. 38 1. 20 maggio 1970 n. 300.
Mentre la prima difatti è una sanzione civile per la riparazione del danno non patrimoniale, la seconda è una pena accessoria
per la violazione di particolare gravità (comunque nel caso non
contestato). Da un esame del combinato disposto degli art. 185
e 186 c. p. può nascere il dubbio se il risarcimento possa consi
stere solo nella pubblicazione o debba necessariamente concre
tizzarsi in una quantificazione economica cui va aggiunta la pub
blicazione. Infatti mentre nell'art. 185 c. p. viene detto che «ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patri moniale obbliga al risarcimento ... », l'art. 186 c. p. recita « ol
tre a quanto prescritto dall'articolo precedente ... ogni reato ob
bliga il colpevole alla pubblicazione ... ». Tale dubbio viene raf
forzato dalla lettera dell'art. 120 c.p.c. che disciplina civilmente
la pubblicazione della sentenza come forma di risarcimento del
danno in cui si parla della pubblicità della decisione come con tributo alla riparazione della lesione subita. Ma scopo sia del
l'art. 186 c. p. sia dell'art. 120 c.p.c. è unicamente introdurre
la possibilità anche di un risarcimento in forma specifica tramite
la pubblicazione e non di sancire una necessaria cumulabilità
tra la liquidazione economica e la pubblicazione. A ben vedere
difatti l'art. 185 c. p. si limita nel 2° comma a parlare di risarci
mento, nulla dicendo circa le forme che tale risarcimento può avere. Invece l'art. 186 c. p. stabilisce «oltre a quanto pre scritto nell'articolo precedente » e cioè al principio dell'obbli
gatorietà del risarcimento, una forma specifica in cui la ripa razione può essere effettuata. Dal combinato disposto dei due ar
ticoli non può quindi farsi derivare alcun necessario cumulo
della liquidazione economica della lesione con la pubblicazione, ma piuttosto tre assunti: l'obbligatorietà delle restituzioni e del
risarcimento del danno; la possibilità del risarcimento di un
danno anche solo non patrimoniale; la facoltà di ottenere tale
riparazione anche con la pubblicazione della sentenza.
Del resto è facile osservare che essendo il risarcimento legato alla domanda di parte, in cui deve essere specificata anche la
forma e/o l'ammontare, la sola pubblicazione è un minus, e
come tale vantaggiosa per lo stesso imputato, rispetto al plus
rappresentato dal cumulo della liquidazione economica oltre la
pubblicazione. Altrimenti si arriverebbe a non concedere alcun
risarcimento del danno solo perché la parte si è limitata a chie
dere la pubblicazione. E si giungerebbe all'assurdo di ammettere
un risarcimento del danno non patrimoniale imponendo però una
liquidazione economica di esso anche quando, come dice l'art.
186 c. p., « la pubblicazione costituisca un mezzo per riparare il
danno non patrimoniale cagionato dal reato ». La facoltà di ot
tenere il risarcimento del danno pure solo nella forma della
pubblicazione rispecchia anche i generali principi che i nostri
codici sanciscono in tema di risarcimento del danno e di ese
cuzione civile, che tendono a garantire la riparazione della le
sione nella forma più efficace ai fini dell'eliminazione del danno
subito. In casi come quello di cui al presente processo in cui
soggetto danneggiato è un ente collettivo e il bene offeso è uni
camente non patrimoniale la pubblicazione è indubbiamente la
sola forma specifica possibile esistente per riparare alla lesione
subita.
Le condizioni necessarie per ordinare la pubblicazione della
sentenza come sanzione civile sono l'esistenza di un danno mo
rale e l'idoneità della forma della pubblicazione per risarcire tale
danno.
Entrambi questi requisiti sono nel caso soddisfatti. (Omissis)
PRETURA DI CIVITA CASTELLANA; PRETURA DI CIVITA CASTELLANA; sentenza 27 gennaio
1981; Giud. Bursese; imp. Marziani.
Acque pubbliche e private — Tutela dall'inquinamento — Su
peramento dei limiti di accettabilità — Fattispecie criminosa
autonoma — Regime autorizzatorio dello scarico — Irrilevanza — Reato — Sussistenza (L. 10 maggio 1976 n. 319, norme per la tutela delle acque dall'inquinamento, art. 21; 1. 24 dicembre 1979 n. 650, integrazioni e modifiche delle 1. 16 aprile 1973
n. 171 e 10 maggio 1976 n. 319, art. 19).
Acque pubbliche e private — Tutela dall'inquinamento — Inse
diamenti produttivi esistenti — Scarichi in pubblica fognatura — Reato di aumento anche temporaneo dell'inquinamento —
Limiti temporali di applicazione (L. 10 maggio 1976 n. 319, art. 13, 25; 1. 24 dicembre 1979 n. 650, art. 1, 2).
L'art. 21, 3° comma, l. n. 319/1976, nel testo modificato dall'art. 19
l. n. 650/1979, prevede un'ipotesi criminosa autonoma caratte rizzata dallo specifico evento di inquinamento delle acque in relazione al superamento dei coefficienti tabellari, senza alcun
riferimento al regime autorizzatorio del relativo scarico; pertan to, il titolare dell'insediamento produttivo risponde di tale con travvenzione anche in assenza di revoca o diniego dell'autoriz zazione allo scarico. (1)
(1) Nella vigenza del testo originario dell'art. 21, 3° comma, legge « Merli » (secondo cui, nelle ipotesi di reato previste dai due comma precedenti — apertura, effettuazione o mantenimento di scarichi privi della prescritta autorizzazione perché mai richiesta ovvero negata o revocata, inottemperanza delle disposizioni dell'art. 25 — il giudice doveva obbligatoriamente applicare la pena dell'arresto qualora lo sca
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