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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 febbraio 1994; Pres. Di Stefano, Est. Eramo;...

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sentenza 23 febbraio 1994; Pres. Di Stefano, Est. Eramo; imp. D. ed altri Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp. 535/536-541/542 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188518 . Accessed: 25/06/2014 07:40 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 07:40:42 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 febbraio 1994; Pres. Di Stefano, Est. Eramo; imp. D. ed altri

sentenza 23 febbraio 1994; Pres. Di Stefano, Est. Eramo; imp. D. ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp.535/536-541/542Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188518 .

Accessed: 25/06/2014 07:40

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PARTE SECONDA

mento di terreno appartenente all'impresa; tant'è che essi vi fe

cero eseguire dei lavori di ampliamento e di scavo a mezzo di

ruspe. Tali lavori durarono una decina di giorni e furono poi inter

rotti per mancanza di fondi (si vedano le numerose testimo

nianze sul punto); essi furono, comunque, effettuati nel 1980.

La dedotta circostanza relativa alla ripetuta richiesta di proro

ghe mostra, in effetti, come persistesse il proposito aziendale

di conservarsi la discarica. Ma le richieste avevano ad oggetto

operazioni di intervento sull'assetto urbanistico del suolo che,

appunto, richiedevano la concessione per la loro esecuzione; e,

come si è più volte accennato, comunque i conferimenti di ri

fiuti erano cessati prima del 1982. Dalle dette richieste di proro

ga può ricavarsi la prova del fatto che l'Acna non aveva di

smesso al suo destino l'area interessata dalla discarica, area che,

anzi, le apparteneva e che essa custodiva mediante recinzione

e vigilanza. Ma siffatta mancata dismissione, a parere della cor

te, non costituisce elemento che consenta di affermare sussi

stente tuttora la «gestione» della discarica. Per gestione di di

scarica illecita, infatti, deve intendersi esclusivamente l'attività

alla quale la discarica è strettamente finalizzata; il conferimento

di rifiuti. Addebito di omessa adozione delle misure necessarie ad evi

tare un aumento dell'inquinamento. — Il giudice a quo ha rite

nuto di non poter affermare la penale responsabilità degli im

putati in ordine all'addebito di violazione dell'art. 32 d.p.r.

915/82, in quanto tale norma, di natura transitoria, aveva per destinatari coloro che all'entrata in vigore del decreto effettua

vano attività di smaltimento di rifiuti. Poiché, a parere del pre

tore, i giudicabili non effettuavano tale attività, mancava in atti

il presupposto di fatto per applicare nei loro confronti la dispo sizione punitiva in questione.

L'argomentazione non può che trovare conferma evidente in

sede di appello. Ad essa potrebbe altresì aggiungersi questa os

servazione: difetta totalmente alle carte processuali la dimostra

zione di un avvenuto peggioramento tra la situazione antece

dente rispetto all'entrata in vigore del citato d.p.r. e quella suc

cessiva. Peggioramento, ovviamente, che una condotta attenta

e diligente degli odierni appellanti avrebbe potuto impedire e

prevenire.

I

TRIBUNALE PER I MINORENNI DE L'AQUILA; sentenza

23 febbraio 1994; Pres. Di Stefano, Est. Eramo; imp. D.

ed altri.

TRIBUNALE PER I MINORENNI DE L'AQUILA;

Dibattimento penale — Ammissione di nuove prove — Verbale

dell'udienza di convalida dell'arresto (Cod. proc. pen., art.

507).

È acquisibile, a norma dell'art. 507 c.p.p., il verbale dell'udien

za di convalida dell'arresto, nel corso della quale l'interessato

abbia reso dichiarazioni la cui utilizzazione si rivela necessa

ria ai fini della decisione. (1)

(1-3) È noto l'ampio dibattito concernente i poteri integrativi del giu dice dibattimentale ex art. 507 c.p.p., specie a seguito di Cass., sez. un., 6 novembre 1992, Martin (Foro it., 1993, II, 65, con nota di ulte riori richiami): mentre la dottrina si è, pressoché unanimemente, fatta

Il Foro Italiano — 1994.

II

TRIBUNALE PER I MINORENNI DE L'AQUILA; sentenza 23 febbraio 1994; Pres. Di Stefano, Est. Eramo; imp. B.

Dibattimento penale — Ammissione di nuovo prove — Denun

cia di reato (Cod. proc. pen., art. 507).

È acquisibile, a norma dell'art. 507 c.p.p., la denuncia della

persona offesa dal reato, ove essa contenga elementi la cui

utilizzazione si rivela necessaria ai fini della decisione. (2)

III

PRETURA DI VARESE, sezione distaccata di Gavirate; sen

tenza 1° febbraio 1994; Giud. Battarino; imp. Vidoli.

Dibattimento penale — Ammissione di nuove prove — Limiti — Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 507).

Non è ammissibile che una parte possa rinviare una richiesta

fondamentale di prova alla fine del dibattimento, valutando,

sulla base di quanto accaduto durante lo stesso, insufficienti

quelle tempestivamente indicate e richieste, e in quanto tali

rese note all'altra parte che ha potuto e dovuto su quella base

articolare la propria strategia processuale; ne consegue che

deve ritenersi esclusa la possibilità di acquisire solo in dibatti

mento elementi fondamentali che devono costituire il presup

posto per l'esercizio dell'azione penale, cioè quegli elementi

idonei a sostenere l'accusa in giudizio in difetto dei quali il

pubblico ministero deve, secondo la previsione dell'art. 125

disp. att. c.p.p., presentare richiesta di archiviazione. (3)

carico di segnalare come la linea ermeneutica percorsa dalla corte di

legittimità nel suo più ampio consesso (peraltro confermata da Corte

cost. 26 marzo 1993, n. Ill, ibid., I, 1356) collida con le linee ispiratri ci del 'processo di parti' (cfr., tra i numerosi commentatori della pro nuncia, Aprile, L'art. 507 c.p.p. tra principio dispositivo delle parti, terzietà del giudice del dibattimento e poteri officiosi di iniziativa istrut

toria, dopo la sentenza del 6 novembre 1992 delle sezioni unite penali della Cassazione, in Nuovo dir., 1993, 100 ss.; Bassi, Principio disposi tivo e principio di ricerca della verità materiale: due realtà di fondo del nuovo processo penale, in Cass, pen., 1993, 1370 ss.; Iacoviello, Processo di parti e poteri probatori del giudice, ibid., 3132 ss.; Lom

bardo, Principio dispositivo e poteri officiosi del giudice penale: osser

vazioni sull'art. 507 c.p.p., in Riv. dir. proc., 1993, 1268 ss.; Marafio

ti, L'art. 507 c.p.p. al vaglio delle sezioni unite: un addio al processo accusatorio e all'imparzialità del giudice dibattimentale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1993, 829 ss.; Moretti, Il potere probatorio integrativo del giudice: da eccezione a regola, in Critica del diritto, 1992, fase.

6, 25 ss.; cui adde, tra gli altri, Spangher, L'art. 507 c.p.p. davanti alla Corte costituzionale: ulteriore momento nella definizione del «siste ma accusatorio» compatibile con la Costituzione, in Giur. costit., 1993, 919 ss.), la giurisprudenza si è, talora, impegnata in un'opera di rigoro sa messa a punto degli argini all'esercizio del potere integrativo (cfr., tra le più recenti, in vario senso, Cass. 17 marzo 1993, Farina, Foro

it., Rep. 1993, voce Dibattimento penale, n. 113; 3 febbraio 1993, Gat

to, ibid., n. 115; 11 novembre 1992, Tagliaferri, ibid., n. 114). La terza sentenza in epigrafe — che interpreta in senso assai rigoroso

il ruolo dell'art. 507 c.p.p. nel contesto del sistema — si caratterizza

per il richiamo ad una sorta di deontologico principio di completezza della discovery predibattimentale del pubblico ministero, che non man

ca di riverberarsi in veri e propri apparati sanzionatori atti a garantire l'osservanza delle fisiologiche regole del processo; è contrario allo spiri to del fair trial che il rappresentante dell'accusa rinvìi alla fase termina le ilei dibattimento, 'confidando' nel meccanismo eccezionale previsto dall'art. 507 c.p.p., la richiesta di assunzione di una prova pur deduci bile entro i termini fissati dall'art. 468 c.p.p. e, peraltro, ex ante valuta bile come necessaria ai fini della 'rappresentazione' dibattimentale del fatto (per tale nota terminologia, concernente i rapporti tra 'ricostru zione' e 'rappresentazione' del fatto, cfr. Siracusano, Diritto di difesa e formazione della prova in fase dibattimentale, in Cass, pen., 1989, 1591 ss.). Da tale lettura discende, ad avviso del decidente, l'inattivabi lità dei poteri integrativi d'ufficio fissati dall'art. 507 e, pertanto, nel caso di specie, l'assoluzione dell'imputato dagli addebiti mossigli per insufficienza dell'apparato probatorio a carico.

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GIURISPRUDENZA PENALE

I

(Omissis). Circa il reato di furto perpetrato ai danni di O. M., le testimonianze rilasciate da G. F. e dallo stesso O. sono risul

tate univoche e concordanti: in particolare dalla deposizione di

quest'ultimo è possibile affermare la sussitenza del fatto, men

tre da quella del G. si giunge ad attribuire quest'ultimo proprio ai tre imputati.

La testimonianza del G. è risultata inequivoca: egli ha infatti

dichiarato di avere visto i tre giovani dall'aspetto zigano calarsi

dal muro di cinta dell'abitazione dell'O. e di avere perfettamen te riconosciuto i tre, a lui già .noti.

Le circostanze riferite convergono tutte sul fatto che il com

portamento dei tre giovani non poteva essere stato dovuto a

semplice curiosità; né è possibile affermare che la loro presen

za, anche di uno solo di essi giovani sia stata occasionale, dal

momento che tutti hanno avuto il medesimo atteggiamento. Al riguardo, la giustificazione fornita da M. in dibattimento

è risultata poco credibile: egli ha infatti dichiarato di essersi

trovato per caso e di essere stato coinvolto nella vicenda; tutta

via tali affermazioni contrastano con il comportamento tenuto,

soprattutto con la fuga; in sostanza, se egli fosse stato convinto

della bontà delle sue azioni avrebbe tenuto un atteggiamento

più spontaneo. Le testimonianze, riportate, inoltre, hanno trovato riscontro

in altri elementi del procedimento: fra essi vi sono il verbale

di arresto in flagranza di D. e il verbale di udienza di convali

da, durante la quale egli ha chiamato in correità M. e M.

Le dichiarazioni del D. sono state acquisite al dibattimento

ai sensi dell'art. 507 c.p.p. e pertanto possono essere poste a

fondamento, anche da sole, di un giudizio di responsabilità. La difesa, nel corso della discussione, ha sostenuto che esse

dovevano essere considerate «prova illegittimamente acquisita» ai sensi dell'art. 191 c.p.p., in quanto all'acquisizione ostava

il precetto dell'art. 431 c.p.p., che elenca in modo tassativo i

documenti che possono entrare a far parte del fascicolo per il

dibattimento, escludendo di conseguenza le dichiarazioni del cor

reo, nel caso di reato perseguibile di ufficio.

In realtà fra le due norme il collegamento non sussiste in

quanto esse si riferiscono a due diverse fasi del procedimento: la sedes materiae dell'art. 191 c.p.p. è quella dell'udienza preli

minare, mentre quella dell'art. 507 è l'istruzione dibattimentale.

In effetti l'art. 191 c.p.p. stabilisce un principio generale, vale

Di segno diametralmente opposto appaiono le due pronunce del Tri

bunale per i minorenni de L'Aquila (in larga misura omologhe: la moti vazione della pronuncia da cui si è tratta la seconda massima viene

riportata solo nelle parti differenziali rispetto alla decisione pubblicata per prima, omettendosi le parti comuni), il cui fulcro è rinvenibile nella

statuizione per la quale l'ambito applicativo dell'art. 507 c.p.p. sarebbe

«in sostanza illimitato» atteso che «nessun limite può essere posto alla

ricerca della verità se non per la tutela di interessi costituzionalmente

preminenti». Muovendo da tale totalizzante premessa (per talune cospi cue osservazioni sulle finalità del processo, cfr. Fiandaca, Modelli di

processo e scopi della giustizia penale, in Foro it., 1992, I, 2023 ss.) il tribunale, nel disattendere le eccezioni di inutilizzabilità sollevate dal

la difesa (sulla portata della categoria dell'inutilizzabilità, cfr., per tut

ti, Galatini, L'inutilizzabilità della prova nel processo penale, Padova,

1992, e Nobili, Divieti probatori e sanzioni, in Giust. pen., 1991, III, 641 ss.), ha ammesso, avvalendosi dei poteri integrativi di cui all'art. 507 c.p.p., il verbale dell'udienza di convalida (prima massima), nella

specie contenente una chiamata in correità pur di indiscutibile rilievo

ai fini della decisione, e finanche la denuncia della persona offesa dal

reato (seconda massima), che non aveva reso testimonianza in sede di

battimentale «anche» a causa della «sua età avanzata»: in tale ultima

fattispecie, dunque, un atto di impulso nel quale si era estrinsecata la

notitia criminis (non rientrante, per communis opinio, nel novero degli «atti del procedimento» in senso proprio: cfr., per una sintesi del dibat

tito, Galati, Gli atti, in Siracusano - Gala ti - Tranchina - Zappalà, Diritto processuale penale, Milano, 1994, I, 262 ss.), acquisito ex offi cio a norma dell'art. 507, è stato ritenuto idoneo a surrogare, ad ogni

effetto, la dichiarazione rappresentativa, per proprio statuto sottoposta alle regole di elaborazione probatoria proprie del contraddittorio dibat

timentale. [G. Dì Chiara]

Il Foro Italiano — 1994.

vole in ogni stato e grado del procedimento, ma la sua estrema

genericità impone all'interprete di individuare di volta in volta

il divieto stabilito dalla legge all'acquisizione delle prove: essen

do essa norma di divieto e che costituisce eccezione ad una re

gola di ordine generale, è necessario che il citato divieto sia

espresso. Di conseguenza, non possono essere acquisite le testimonian

ze aventi ad oggetto le dichiarazioni rese dall'imputato o dalla

persona sottoposta ad indagini nel corso del procedimento, ai

sensi dell'art. 62 c.p.p.; o nel caso del successivo articolo per

quanto riguarda l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da per sona sottoposta ad indagini, dichiarazioni dalle quali emergono indizi a suo carico; o, ancora, sono inutilizzabili dei risultati

delle ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di comu

nicazioni o conservazioni eseguiti a carico dei difensori delle

parti e in violazione delle disposizioni previste dall'art. 103 c.p.p. Altri divieti espressi sono, ad esempio, stabiliti nell'art. 195

c.p.p., che stabilisce l'inutilizzabilità della testimonianza indi

retta, se non in presenza di determinate condizioni; o negli art.

197, 203, 234, ultimo comma, 240, 254, ultimo comma, 270

e 271 del codice di rito. Il divieto può essere espresso anche

a contrario, come nel caso dell'art. 192, 3° comma, c.p.p. In esso si stabilisce che le dichiarazioni rese dal coimputato

del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 c.p.p. sono valutate unitamente

agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità:

pertanto, mancando questi ultimi, le dichiarazioni non possono essere poste a fondamento da un giudizio di colpevolezza; non

si è in presenza nel caso appena citato di una prova insufficien

te ma di una vera e propria inutilizzabilità, perché delle citate

dichiarazioni, singolarmente considerate, non può essere fatto

alcun altro uso processuale. Nel caso di specie le dichiarazioni hanno trovato riscontro

nel verbale di arresto e nella testimonianza del Giorgio, elemen

ti che già da soli sono sufficienti, a fondare un giudizio di re

sponsabilità. L'ambito applicativo dell'art. 507 c.p.p. è in sostanza illimi

tato, specie dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 241

del 1992 (Foro it., 1992, I, 2014), con la quale è stato afferma

to, in sostanza, il principio per cui nessun limite può essere

posto alla ricerca della verità se non per la tutela di interessi

costituzionalmente preminenti. Lo scopo del processo penale è

proprio quello appena citato ad ogni limitazione alla ricerca

e, soprattutto, all'acquisizione delle prove allontana la verità

formale (o processuale) da quella sostanziale. Le uniche preclu sioni che l'art. 507 incontra sono quelle di ordine generale, so

prariportate, fra le quali non rientra il verbale dell'udienza pre liminare: l'acquisizione del verbale citato, da parte di questo

tribunale, si è resa necessaria proprio per giungere all'accerta

mento della realtà sostanziale.

Non sono state rinvenute preclusioni di sorta e fra di esse

non può essere annoverata la non irrepetibilità dell'atto de quo, né può essere invocato il riferimento all'art. 431 c.p.p.

Si è detto innanzi che quest'ultimo articolo disciplina una fa

se completamente diversa del procedimento, ovvero quella del

l'udienza preliminare; inoltre l'art. 507 c.p.p. prevede l'acquisi zione di «nuovi» mezzi di prova e quindi, ovviamente, diversi

da quelli già presenti nel fascicolo.

Infine, sempre per quanto riguarda l'irripetibilità, dall'art.

238 c.p.p. come nuovamente formulato a seguito della riforma

avvenuta ad opera del d.l. 8 giugno 1992 n. 306 convertito in

1. 7 agosto 1992 n. 356, è possibile desumere a contrario che

la produzione di atti dello stesso procedimento è praticamente

illimitata, salvo divieti di ordine generale, in quanto le limita

zioni ivi previste si riferiscono ad atti di altri procedimenti. (Omissis)

II

(Omissis). Ritiene il collegio che la responsabilità dei B. in ordine ad entrambi i reati contestati, sia ampiamente provata.

Le risultanze processuali, in generale, e la testimonianza resa

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PARTE SECONDA

dal Carchesio, in particolare, portano a ritenere che uno degli autori dei due furti sia stato proprio il B.

Circa il furto compiuto ai danni di F. R., è risultata decisiva

la circostanza del rinvenimento indosso al B. delle banconote

straniere: tale particolare, oltre ad essere stato riferito dal teste

ha trovato riscontro nel verbale di sequestro operato dai re

sponsabili della sezione volanti della questura di Pescara.

Il F. aveva lamentato proprio la sottrazione di moneta stra

niera del tipo di quella rinvenuta indosso al B.: tale elemento

oltre che essere stato riferito al dibattimento dal C. ha trovato

riscontro anche nella denuncia presentata dal F. e prodotta dal

p.m. in dibattimento.

Inoltre, il B. è stato fermato proprio nelle vicinanze dell'abi

tazione del F. ed indosso a lui sono state trovate proprio la

quantità e la qualità delle monete, la cui sottrazione era stata

lamentata dal F. stesso.

Altro particolare rilevante è il luogo in cui tale somma è stata

occultata, gli slip del B.: il sito è certamente inusuale, né può

argomentarsi che il B. l'avesse scelto per una sua comodità o

sicurezza, in quanto lo stesso B. non ha dichiarato di sentirsi

minacciato.

Anzi, riguardo al possesso egli ha fornito una versione assai

poco attendibile e comunque non dimostrata, e cioè che le mo

nete de quibus gli erano state date da sua nonna in Albania.

Invero, diverso sarebbe stato il caso in cui il B. avesse sot

tratto soltanto delle lire italiane e di esse la parte offesa non

avesse in precedenza rilevato i numeri di sorta: in questa ipote

si, sempre prescindendo dagli altri indizi soprariferiti e già di per se stessi esaurienti, la versione del B. avrebbe avuto una

sua credibilità, data la fungibilità del denaro, in generale. Nel caso di specie, invece, trattandosi di valuta straniera il

denaro è venuto ad assumere carattere infungibile, per via delle

circostanze del caso concreto, rappresentate anche dall'inutiliz

zabilità immediata di esso. Il B. ha ammesso il furto dell'autoradio, mentre ha negato

di essere l'autore del furto delle monete, nonostante la sostan

ziale contestualità delle rispettive azioni.

Tale particolare non può costituire un argomento a suo favo

re, perché il diverso atteggiamento tenuto è stato chiaramente

dovuto alle diverse modalità di scoperta. Infatti, mentre nel pri mo caso è stato visto chiaramente dai poliziotti disfarsi dell'au

toradio e pertanto ha ritenuto più opportuno non negare l'evi

denza, nel secondo, la situazione (occultamento del denaro ne

gli slip, mancata scoperta immediata del corpo di reato, apparente facilità di giustificazione del possesso, ecc.) ha portato il B.

a cercare di alleviare la sua posizione fornendo giustificazioni di comodo ed improvvisate.

Gli indizi sopraelencati possono essere ritenuti gravi, precisi e concordanti: sotto il primo aspetto essi sono risultati consi

stenti, e cioè resistenti alle obiezioni e quindi attendibili e con

vincenti; sono risultati concordanti perché non contrastano né

fra loro né con altri elementi certi; sono risultati precisi perché non generici e non suscettibili di altra interpretazione altrettan

to più o meno verosimile.

In sostanza, fra d'essi non solo non c'è contraddizione, ma

anzi tendono tutti a contribuire alla formazione di un convinci

mento unitario.

Infatti già il rinvenimento del denaro all'interno degli slip è di per sé una circostanza indicativa: se poi viene posta in

correlazione con la denuncia sporta dal F. e con la presenza del B. nei pressi dell'abitazione del F. stesso, è possibile giunge re ad affermare che la citata presenza non solo non era occasio

nale, ma era chiaramente dovuta all'attività illecita svolta poco

prima. La denuncia del F. è stata acquisita al dibattimento ai sensi

dell'art. 507 c.p.p. e pertanto può essere posta a fondamento, anche da sola, di un giudizio di responsabilità. (Omissis)

Le uniche preclusioni che l'art. 507 incontra sono quelle di ordine generale, fra le quali non rientra la denuncia sporta dal la parte offesa F.: l'acquisizione di essa denuncia da parte di

questo tribunale si è resa necessaria proprio per giungere all'ac certamento della realtà sostanziale a sopperire ad una oggettiva carenza probatoria, rappresentata dalla mancata testimonianza

Il Foro Italiano — 1994.

resa dal F. al dibattimento e dovuta anche alla sua età avanza

ta. (Omissis)

III

Motivi della decisione. — L'imputato è stato citato a giudizio con decreto del 23 marzo 1993 ed è regolarmente comparso al

l'udienza del 20 dicembre 1993. Aperto il dibattimento, sono

state ammesse le prove richieste dalle parti: per il pubblico mi

nistero i testimoni indicati nella lista di cui agli art. 468-567 c.p.p., Franzetti, Mancinelli e Cedrati; per la difesa i testimoni

indicati in lista, Piera Vidoli e Arnaldo Giudici. Su accordo intervenuto tra le parti ai sensi dell'art. 496, 2° comma, c.p.p., sono stati dapprima escussi i testi della difesa, di seguito il Fran

zetti. Ad esito di quest'ultima testimonianza il pubblico mini

stero ha dichiarato di voler rinunciare al teste Cedrati; nulla

ha osservato la difesa e l'ordinanza di ammissione del teste è

stata revocata ai sensi dell'art. 495, ultimo comma, c.p.p. È

stato disposto l'accompagnamento coattivo del teste Mancinel

li, eseguito all'odierna udienza.

Le testimonianze cosi assunte hanno consentito di raccoglie

re, con sufficiente grado di certezza, i seguenti elementi: — la sera del 22 luglio 1991 dal distributore di benzina gesti

to da Augusto Franzetti è stato sottratto il cartello con la scritta

«aperto-chiuso», del valore di circa duecentomila lire; — Paolo Mancinelli, che lavorava in un bar nei pressi del

distributore, ha visto il cartello caricato su un fuoristrada, di

cui ha rilevato il numero di targa, a bordo del mezzo vi erano

due giovani di media corporatura; il teste non ha saputo riferire

altri particolari idonei per un riconoscimento; — la targa corrisponde ad un fuoristrada che il Cedrati (il

teste a cui il pubblico ministero ha rinunciato) aveva in quel

periodo dato in uso all'imputato ed al padre; — il mezzo veniva abitualmente utilizzato per la necessità del

l'azienda cantieristica gestita dalla famiglia dell'imputato e dun

que da Ottavio Vidoli, Emanuele Vidoli, Piera Vidoli, Marco

Pagani, da due operai di circa quarantacinque anni e da due

operai infratrentenni.

Su queste basi non può dirsi raggiunta la prova dell'assunto

accusatorio: non emerge infatti perché si faccia riferimento al

concorso di «persone» (cioè più di una: ma non è stata conte

stata l'aggravante di cui all'art. 625, n. 5, c.p.) rimaste non

identificate e soprattutto perché e come debba ritenersi invece

identificato Emanuele Vidoli.

A fronte della articolata istruttoria dibattimentale sopra de

scitta, svoltasi nel corso di due udienze, oggi il pubblico mini

stero ha chiesto «ai sensi dell'art. 507 c.p.p.» che il pretore chiamasse a testimoniare il brigadiere Pilato, comandante della

stazione carabinieri di Laveno all'epoca dei fatti. La richiesta è stata respinta con ordinanza letta in udienza.

Deve ritenersi esclusa la possibilità di acquisire solo in dibat

timento elementi fondamentali che devono costituire il presup

posto per l'esercizio dell'azione penale, cioè quegli elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio in difetto dei quali il pubblico ministero deve — secondo la fondamentale previsione dell'art.

125 disp. att. c.p.p. — presentare richiesta di archiviazione.

Una parte non può rinviare una richiesta fondamentale di

prova alla fine del dibattimento, valutando — sulla base di quan to accaduto durante il dibattimento stesso — insufficienti quelle tempestivamente indicate e richieste, e in quanto tali rese note

all'altra parte che ha potuto e dovuto su quella base articolare

la propria strategia processuale (si consideri che in questo pro cesso la difesa ha indicato specificamente le circostanze oggetto di esame per i propri testimoni, mentre l'accusa aveva fatto

generico riferimento a «fatti contestati cosi come emergono dal

capo di imputazione»: formulazione non sanzionata da inam

missibilità — anche secondo la giurisprudenza di Cassazione —

ma che non può costituire proprio perché generica, il presuppo sto per una tardiva modificazione dei temi e delle fonti di prova).

Tanto più ciò vale, quando si tratti non di una prova la cui necessità di assunzione emerga dal dibattimento, o anche dagli atti già contenuti nel fascicolo per il dibattimento, o dalla for

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Page 5: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 febbraio 1994; Pres. Di Stefano, Est. Eramo; imp. D. ed altri

GIURISPRUDENZA PENALE

mulazione dell'accusa, come parrebbe indicare la Suprema cor

te nella sua ricostruzione interpretativa dell'art. 507 c.p.p. (Cass.,

sez. un., 6 novembre 1992, Martin, Foro it., 1993, II, 65), bensì'

addirittura di un elemento fondamentale a sostegno dell'accusa

(tali devono ritenersi gli esiti di indagini svolte da un sottuffi

ciale dell'arma: né di tali esiti si potrà dire — come richiedono

le sezioni unite nella sentenza citata — che si tratti di una prova

«il cui valore dimostrativo in base agli atti si imponga con evi

denza», al termine di un dibattimento in cui ad essi non si è

fatto alcun cenno, ed in mancanza di riferimenti presenti nel

l'imputazione o in atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento).

D'altronde, se è vero che l'imputato per difendersi adeguata

mente deve poter conoscere quanto si prospetta contro di lui

(Cass., sez. V, 6 luglio 1992, Trottini, id., Rep. 1993, voce Giu

dizio penale (atti preliminari del), n. 12) non gli può essere sfug

gita, nel caso di specie, la vistosa mancata indicazione nella

lista del pubblico ministero di qualsiasi operante o protagonista

di indagini: ed allora l'odierno imputato si è difeso tempestiva

mente — con deposito di lista e nel corso del dibattimento —

sulla base di quanto gli era noto.

Mentre, in sintesi, il pubblico ministero: o sapeva che il sot

tufficiale dell'arma aveva svolto indagini decisive ed ha delibe

ratamente riservato la sua introduzione al termine del dibatti

mento ed allora l'ammissione del teste costituirebbe l'avallo ad

una inammissibile prova a sorpresa; oppure ha sottovalutato,

non valutato, o non conosciuto l'esistenza e la portata di quelle

indagini nel momento del rinvio a giudizio: ed allora si vorreb

be di fatto promossa in via principale e non — come prevede

l'art. 507, comunque interpretato — in via residuale, l'acquisi

zione e la valutazione di prove a carico dell'imputato da parte

del giudice del dibattimento, che non è organo tenuto a svolge

re indagini al fine di esercitare l'accusa.

Né si può considerare l'intero sistema processuale una finzio

ne; lo vietano elementari considerazioni di garanzia dell'impu

tato, ma anche di ripartizione di funzioni tra uffici giudiziari, di procedimentalizzazione delle indagini preliminari, di econo

micità di gestione del dibattimento penale (valga in tal senso

il richiamo alle direttive nn. 1, 3, 37, 48, 58, 66, di cui all'art. 2 1. delega 16 febbraio 1987 n. 81, ed in particolare per quanto

riguarda la distinzione di funzioni nel processo pretorile la di

rettiva n. 103).

È vero, come scrive il pubblico ministero nel ricorso che ha

dato luogo alla sentenza delle sezioni unite sopra citata, che

«il nuovo processo conserva una funzione conoscitiva e rimane

destinato alla ricerca della verità»: ma questa ricerca oltre ad

avere necessariamente protagonisti definiti e forme certe ha an

che un limite esterno costituito dalla insufficienza degli elementi

a sostegno dell'accusa: doverosamente da valutare dal pubblico

ministero ai sensi dell'art. 125 disp. att. c.p.p. o dal giudice

del dibattimento ai sensi dell'art. 530, 2° comma, c.p.p.

Rigettata pertanto la richiesta di integrazione istruttoria, l'in

sufficienza delle prove raccolte a carico dell'odierno imputato

ne impone l'assoluzione per non aver commesso il fatto, ai sen

si dell'art. 530, 2° comma, c.p.p.

Il Foro Italiano — 1994.

PRETURA DI BARI, sezione distaccata di Bitonto; sentenza

5 novembre 1993; Giud. Ruffino; imp. Parisi.

PRETURA DI BARI,

Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Veicoli a motore fuori uso — Centro di raccolta — Autorizzazione regionale

— Necessi

tà (D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, attuazione delle direttive

(Cee) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smal

timento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi, art. 1, 2, 6, 15, 25).

Perché si abbia smaltimento dei rifiuti speciali previsti dall'art. 2, 3° comma, n. 4, d.p.r. 915/82, soggetto all'autorizzazione

regionale, è necessario e sufficiente che il titolare realizzi in

modo non provvisorio, sul fondo ove l'attività ha sede, la

raccolta e il deposito di veicoli a motore fuori uso e loro

parti, finalizzati tanto alla mera allocazione dei mezzi mecca

nici destinati all'abbandono da parte dei possessori quanto

al trattamento dei rifiuti stessi, sia mediante smontaggio e

recupero delle parti servibili per il successivo riutilizzo sia me

diante demolizione o rottamazione in funzione del riciclo del

la materia. (1)

Parisi Giuseppe è stato tratto a giudizio per rispondere del

reato ascrittogli con il decreto di citazione e riportato in epigrafe. All'odierna udienza dibattimentale, presente l'imputato, il pre

tore ha disposto in via preliminare l'espunzione dal fascicolo

per il dibattimento, siccome irritualmente inseritavi, e la restitu

zione al p.m., della notizia di reato inviata dalla polizia munici

pale di Giovinazzo. Aperto il dibattimento, il p.m. ha esposto i fatti oggetto del

l'imputazione ed ha chiesto ammettersi prova testimoniale sulle

circostanze ed a mezzo dei testi indicati in lista (Parato Felice

e Marolla Giuseppe), nonché l'esame dell'imputato.

La difesa ha chiesto ammettersi l'esame dell'imputato.

Ammesse dal pretore le prove richieste, si è proceduto all'e

scussione dei testi Parato e Marolla ed all'esame del Parisi.

Indicati dal pretore gli atti utilizzabili ai sensi dell'art. 511,

5° comma, c.p.p., le parti hanno svolto la discussione finale,

conclusa con le richieste trascritte in epigrafe.

Sussiste ad avviso del pretore la penale responsabilità di Pari

si Giuseppe per il reato di smaltimento di rifiuti speciali in as senza di autorizzazione regionale, previsto e punito dal combi

nato disposto degli art. 6, lett. d), e 25, 1° comma, d.p.r. 10

settembre 1982 n. 915.

Le risultanze dibattimentali, concentrate nelle testimonianze

di Parato Felice e Marolla Giuseppe nonché nell'esame dell'im

putato, hanno acclarato in modo del tutto coerente e puntuale

il fatto integrante il reato contestato. (Omissis)

In particolare, è stato pienamente provato:

a) che il Parisi gestiva sul fondo in questione (la cui titolarità

(1) Sulla questione, v., da ultimo, Cass. 3 aprile 1989, Centurelli,

Foro it., 1990, II, 499, con nota di richiami.

In dottrina, da ultimo, v. Paone, I reati in materia di inquinamento, Torino, 1993, 330-335.

In argomento, si segnalano anche le seguenti decisioni, ancora inedi

te: Cass. 15 aprile 1993, Nano, che ha sostenuto che il rinvenimento,

con le carcasse di autovetture, di batterie evidentemente dismesse che,

notoriamente, contengono acidi nocivi e tossici, integra la violazione

di cui all'art. 26 d.p.r. 915/82, mentre l'accertata gestione a fini di

commercio di una raccolta di rifiuti speciali parti di autoveicoli confi

gura sia una discarica, in relazione al materiale non utilizzabile abban

donato, sia lo smaltimento dei rifiuti per quello che, previa cernita,

viene recuperato e riciclato; Cass. 7 maggio 1993, Felice, per cui, qua

lora i veicoli raccolti non vengano ammassati, ma demoliti, si dà corso

al processo, definito nel titolo secondo del d.p.r. 915/82 come «regime

delle attività di smaltimento dei rifiuti speciali»; a tale fatto di demoli

zione, qualificato come smaltimento, va applicato il 1° comma (con

la pena più severa ivi indicata), e non il 2° comma dell'art. 25 d.p.r.

cit.; Cass. 19 maggio 1993, Civa, ribadisce che i veicoli a motore, ri

morchi e simili, fuori uso e loro parti devono considerarsi «rifiuti spe

ciali» in quanto espressamente classificati come tali in forza dell'art.

2, 4° comma, d.p.r. n. 915 con la conseguente necessità della autorizza

zione regionale per ogni fase di smaltimento, compreso il trasporto. In senso analogo, Cass. 27 maggio 1993, Zuliani.

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