sentenza 23 febbraio 1994; Pres. Di Stefano, Est. Eramo; imp. D. ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp.535/536-541/542Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188518 .
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PARTE SECONDA
mento di terreno appartenente all'impresa; tant'è che essi vi fe
cero eseguire dei lavori di ampliamento e di scavo a mezzo di
ruspe. Tali lavori durarono una decina di giorni e furono poi inter
rotti per mancanza di fondi (si vedano le numerose testimo
nianze sul punto); essi furono, comunque, effettuati nel 1980.
La dedotta circostanza relativa alla ripetuta richiesta di proro
ghe mostra, in effetti, come persistesse il proposito aziendale
di conservarsi la discarica. Ma le richieste avevano ad oggetto
operazioni di intervento sull'assetto urbanistico del suolo che,
appunto, richiedevano la concessione per la loro esecuzione; e,
come si è più volte accennato, comunque i conferimenti di ri
fiuti erano cessati prima del 1982. Dalle dette richieste di proro
ga può ricavarsi la prova del fatto che l'Acna non aveva di
smesso al suo destino l'area interessata dalla discarica, area che,
anzi, le apparteneva e che essa custodiva mediante recinzione
e vigilanza. Ma siffatta mancata dismissione, a parere della cor
te, non costituisce elemento che consenta di affermare sussi
stente tuttora la «gestione» della discarica. Per gestione di di
scarica illecita, infatti, deve intendersi esclusivamente l'attività
alla quale la discarica è strettamente finalizzata; il conferimento
di rifiuti. Addebito di omessa adozione delle misure necessarie ad evi
tare un aumento dell'inquinamento. — Il giudice a quo ha rite
nuto di non poter affermare la penale responsabilità degli im
putati in ordine all'addebito di violazione dell'art. 32 d.p.r.
915/82, in quanto tale norma, di natura transitoria, aveva per destinatari coloro che all'entrata in vigore del decreto effettua
vano attività di smaltimento di rifiuti. Poiché, a parere del pre
tore, i giudicabili non effettuavano tale attività, mancava in atti
il presupposto di fatto per applicare nei loro confronti la dispo sizione punitiva in questione.
L'argomentazione non può che trovare conferma evidente in
sede di appello. Ad essa potrebbe altresì aggiungersi questa os
servazione: difetta totalmente alle carte processuali la dimostra
zione di un avvenuto peggioramento tra la situazione antece
dente rispetto all'entrata in vigore del citato d.p.r. e quella suc
cessiva. Peggioramento, ovviamente, che una condotta attenta
e diligente degli odierni appellanti avrebbe potuto impedire e
prevenire.
I
TRIBUNALE PER I MINORENNI DE L'AQUILA; sentenza
23 febbraio 1994; Pres. Di Stefano, Est. Eramo; imp. D.
ed altri.
TRIBUNALE PER I MINORENNI DE L'AQUILA;
Dibattimento penale — Ammissione di nuove prove — Verbale
dell'udienza di convalida dell'arresto (Cod. proc. pen., art.
507).
È acquisibile, a norma dell'art. 507 c.p.p., il verbale dell'udien
za di convalida dell'arresto, nel corso della quale l'interessato
abbia reso dichiarazioni la cui utilizzazione si rivela necessa
ria ai fini della decisione. (1)
(1-3) È noto l'ampio dibattito concernente i poteri integrativi del giu dice dibattimentale ex art. 507 c.p.p., specie a seguito di Cass., sez. un., 6 novembre 1992, Martin (Foro it., 1993, II, 65, con nota di ulte riori richiami): mentre la dottrina si è, pressoché unanimemente, fatta
Il Foro Italiano — 1994.
II
TRIBUNALE PER I MINORENNI DE L'AQUILA; sentenza 23 febbraio 1994; Pres. Di Stefano, Est. Eramo; imp. B.
Dibattimento penale — Ammissione di nuovo prove — Denun
cia di reato (Cod. proc. pen., art. 507).
È acquisibile, a norma dell'art. 507 c.p.p., la denuncia della
persona offesa dal reato, ove essa contenga elementi la cui
utilizzazione si rivela necessaria ai fini della decisione. (2)
III
PRETURA DI VARESE, sezione distaccata di Gavirate; sen
tenza 1° febbraio 1994; Giud. Battarino; imp. Vidoli.
Dibattimento penale — Ammissione di nuove prove — Limiti — Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 507).
Non è ammissibile che una parte possa rinviare una richiesta
fondamentale di prova alla fine del dibattimento, valutando,
sulla base di quanto accaduto durante lo stesso, insufficienti
quelle tempestivamente indicate e richieste, e in quanto tali
rese note all'altra parte che ha potuto e dovuto su quella base
articolare la propria strategia processuale; ne consegue che
deve ritenersi esclusa la possibilità di acquisire solo in dibatti
mento elementi fondamentali che devono costituire il presup
posto per l'esercizio dell'azione penale, cioè quegli elementi
idonei a sostenere l'accusa in giudizio in difetto dei quali il
pubblico ministero deve, secondo la previsione dell'art. 125
disp. att. c.p.p., presentare richiesta di archiviazione. (3)
carico di segnalare come la linea ermeneutica percorsa dalla corte di
legittimità nel suo più ampio consesso (peraltro confermata da Corte
cost. 26 marzo 1993, n. Ill, ibid., I, 1356) collida con le linee ispiratri ci del 'processo di parti' (cfr., tra i numerosi commentatori della pro nuncia, Aprile, L'art. 507 c.p.p. tra principio dispositivo delle parti, terzietà del giudice del dibattimento e poteri officiosi di iniziativa istrut
toria, dopo la sentenza del 6 novembre 1992 delle sezioni unite penali della Cassazione, in Nuovo dir., 1993, 100 ss.; Bassi, Principio disposi tivo e principio di ricerca della verità materiale: due realtà di fondo del nuovo processo penale, in Cass, pen., 1993, 1370 ss.; Iacoviello, Processo di parti e poteri probatori del giudice, ibid., 3132 ss.; Lom
bardo, Principio dispositivo e poteri officiosi del giudice penale: osser
vazioni sull'art. 507 c.p.p., in Riv. dir. proc., 1993, 1268 ss.; Marafio
ti, L'art. 507 c.p.p. al vaglio delle sezioni unite: un addio al processo accusatorio e all'imparzialità del giudice dibattimentale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1993, 829 ss.; Moretti, Il potere probatorio integrativo del giudice: da eccezione a regola, in Critica del diritto, 1992, fase.
6, 25 ss.; cui adde, tra gli altri, Spangher, L'art. 507 c.p.p. davanti alla Corte costituzionale: ulteriore momento nella definizione del «siste ma accusatorio» compatibile con la Costituzione, in Giur. costit., 1993, 919 ss.), la giurisprudenza si è, talora, impegnata in un'opera di rigoro sa messa a punto degli argini all'esercizio del potere integrativo (cfr., tra le più recenti, in vario senso, Cass. 17 marzo 1993, Farina, Foro
it., Rep. 1993, voce Dibattimento penale, n. 113; 3 febbraio 1993, Gat
to, ibid., n. 115; 11 novembre 1992, Tagliaferri, ibid., n. 114). La terza sentenza in epigrafe — che interpreta in senso assai rigoroso
il ruolo dell'art. 507 c.p.p. nel contesto del sistema — si caratterizza
per il richiamo ad una sorta di deontologico principio di completezza della discovery predibattimentale del pubblico ministero, che non man
ca di riverberarsi in veri e propri apparati sanzionatori atti a garantire l'osservanza delle fisiologiche regole del processo; è contrario allo spiri to del fair trial che il rappresentante dell'accusa rinvìi alla fase termina le ilei dibattimento, 'confidando' nel meccanismo eccezionale previsto dall'art. 507 c.p.p., la richiesta di assunzione di una prova pur deduci bile entro i termini fissati dall'art. 468 c.p.p. e, peraltro, ex ante valuta bile come necessaria ai fini della 'rappresentazione' dibattimentale del fatto (per tale nota terminologia, concernente i rapporti tra 'ricostru zione' e 'rappresentazione' del fatto, cfr. Siracusano, Diritto di difesa e formazione della prova in fase dibattimentale, in Cass, pen., 1989, 1591 ss.). Da tale lettura discende, ad avviso del decidente, l'inattivabi lità dei poteri integrativi d'ufficio fissati dall'art. 507 e, pertanto, nel caso di specie, l'assoluzione dell'imputato dagli addebiti mossigli per insufficienza dell'apparato probatorio a carico.
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GIURISPRUDENZA PENALE
I
(Omissis). Circa il reato di furto perpetrato ai danni di O. M., le testimonianze rilasciate da G. F. e dallo stesso O. sono risul
tate univoche e concordanti: in particolare dalla deposizione di
quest'ultimo è possibile affermare la sussitenza del fatto, men
tre da quella del G. si giunge ad attribuire quest'ultimo proprio ai tre imputati.
La testimonianza del G. è risultata inequivoca: egli ha infatti
dichiarato di avere visto i tre giovani dall'aspetto zigano calarsi
dal muro di cinta dell'abitazione dell'O. e di avere perfettamen te riconosciuto i tre, a lui già .noti.
Le circostanze riferite convergono tutte sul fatto che il com
portamento dei tre giovani non poteva essere stato dovuto a
semplice curiosità; né è possibile affermare che la loro presen
za, anche di uno solo di essi giovani sia stata occasionale, dal
momento che tutti hanno avuto il medesimo atteggiamento. Al riguardo, la giustificazione fornita da M. in dibattimento
è risultata poco credibile: egli ha infatti dichiarato di essersi
trovato per caso e di essere stato coinvolto nella vicenda; tutta
via tali affermazioni contrastano con il comportamento tenuto,
soprattutto con la fuga; in sostanza, se egli fosse stato convinto
della bontà delle sue azioni avrebbe tenuto un atteggiamento
più spontaneo. Le testimonianze, riportate, inoltre, hanno trovato riscontro
in altri elementi del procedimento: fra essi vi sono il verbale
di arresto in flagranza di D. e il verbale di udienza di convali
da, durante la quale egli ha chiamato in correità M. e M.
Le dichiarazioni del D. sono state acquisite al dibattimento
ai sensi dell'art. 507 c.p.p. e pertanto possono essere poste a
fondamento, anche da sole, di un giudizio di responsabilità. La difesa, nel corso della discussione, ha sostenuto che esse
dovevano essere considerate «prova illegittimamente acquisita» ai sensi dell'art. 191 c.p.p., in quanto all'acquisizione ostava
il precetto dell'art. 431 c.p.p., che elenca in modo tassativo i
documenti che possono entrare a far parte del fascicolo per il
dibattimento, escludendo di conseguenza le dichiarazioni del cor
reo, nel caso di reato perseguibile di ufficio.
In realtà fra le due norme il collegamento non sussiste in
quanto esse si riferiscono a due diverse fasi del procedimento: la sedes materiae dell'art. 191 c.p.p. è quella dell'udienza preli
minare, mentre quella dell'art. 507 è l'istruzione dibattimentale.
In effetti l'art. 191 c.p.p. stabilisce un principio generale, vale
Di segno diametralmente opposto appaiono le due pronunce del Tri
bunale per i minorenni de L'Aquila (in larga misura omologhe: la moti vazione della pronuncia da cui si è tratta la seconda massima viene
riportata solo nelle parti differenziali rispetto alla decisione pubblicata per prima, omettendosi le parti comuni), il cui fulcro è rinvenibile nella
statuizione per la quale l'ambito applicativo dell'art. 507 c.p.p. sarebbe
«in sostanza illimitato» atteso che «nessun limite può essere posto alla
ricerca della verità se non per la tutela di interessi costituzionalmente
preminenti». Muovendo da tale totalizzante premessa (per talune cospi cue osservazioni sulle finalità del processo, cfr. Fiandaca, Modelli di
processo e scopi della giustizia penale, in Foro it., 1992, I, 2023 ss.) il tribunale, nel disattendere le eccezioni di inutilizzabilità sollevate dal
la difesa (sulla portata della categoria dell'inutilizzabilità, cfr., per tut
ti, Galatini, L'inutilizzabilità della prova nel processo penale, Padova,
1992, e Nobili, Divieti probatori e sanzioni, in Giust. pen., 1991, III, 641 ss.), ha ammesso, avvalendosi dei poteri integrativi di cui all'art. 507 c.p.p., il verbale dell'udienza di convalida (prima massima), nella
specie contenente una chiamata in correità pur di indiscutibile rilievo
ai fini della decisione, e finanche la denuncia della persona offesa dal
reato (seconda massima), che non aveva reso testimonianza in sede di
battimentale «anche» a causa della «sua età avanzata»: in tale ultima
fattispecie, dunque, un atto di impulso nel quale si era estrinsecata la
notitia criminis (non rientrante, per communis opinio, nel novero degli «atti del procedimento» in senso proprio: cfr., per una sintesi del dibat
tito, Galati, Gli atti, in Siracusano - Gala ti - Tranchina - Zappalà, Diritto processuale penale, Milano, 1994, I, 262 ss.), acquisito ex offi cio a norma dell'art. 507, è stato ritenuto idoneo a surrogare, ad ogni
effetto, la dichiarazione rappresentativa, per proprio statuto sottoposta alle regole di elaborazione probatoria proprie del contraddittorio dibat
timentale. [G. Dì Chiara]
Il Foro Italiano — 1994.
vole in ogni stato e grado del procedimento, ma la sua estrema
genericità impone all'interprete di individuare di volta in volta
il divieto stabilito dalla legge all'acquisizione delle prove: essen
do essa norma di divieto e che costituisce eccezione ad una re
gola di ordine generale, è necessario che il citato divieto sia
espresso. Di conseguenza, non possono essere acquisite le testimonian
ze aventi ad oggetto le dichiarazioni rese dall'imputato o dalla
persona sottoposta ad indagini nel corso del procedimento, ai
sensi dell'art. 62 c.p.p.; o nel caso del successivo articolo per
quanto riguarda l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da per sona sottoposta ad indagini, dichiarazioni dalle quali emergono indizi a suo carico; o, ancora, sono inutilizzabili dei risultati
delle ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di comu
nicazioni o conservazioni eseguiti a carico dei difensori delle
parti e in violazione delle disposizioni previste dall'art. 103 c.p.p. Altri divieti espressi sono, ad esempio, stabiliti nell'art. 195
c.p.p., che stabilisce l'inutilizzabilità della testimonianza indi
retta, se non in presenza di determinate condizioni; o negli art.
197, 203, 234, ultimo comma, 240, 254, ultimo comma, 270
e 271 del codice di rito. Il divieto può essere espresso anche
a contrario, come nel caso dell'art. 192, 3° comma, c.p.p. In esso si stabilisce che le dichiarazioni rese dal coimputato
del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 c.p.p. sono valutate unitamente
agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità:
pertanto, mancando questi ultimi, le dichiarazioni non possono essere poste a fondamento da un giudizio di colpevolezza; non
si è in presenza nel caso appena citato di una prova insufficien
te ma di una vera e propria inutilizzabilità, perché delle citate
dichiarazioni, singolarmente considerate, non può essere fatto
alcun altro uso processuale. Nel caso di specie le dichiarazioni hanno trovato riscontro
nel verbale di arresto e nella testimonianza del Giorgio, elemen
ti che già da soli sono sufficienti, a fondare un giudizio di re
sponsabilità. L'ambito applicativo dell'art. 507 c.p.p. è in sostanza illimi
tato, specie dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 241
del 1992 (Foro it., 1992, I, 2014), con la quale è stato afferma
to, in sostanza, il principio per cui nessun limite può essere
posto alla ricerca della verità se non per la tutela di interessi
costituzionalmente preminenti. Lo scopo del processo penale è
proprio quello appena citato ad ogni limitazione alla ricerca
e, soprattutto, all'acquisizione delle prove allontana la verità
formale (o processuale) da quella sostanziale. Le uniche preclu sioni che l'art. 507 incontra sono quelle di ordine generale, so
prariportate, fra le quali non rientra il verbale dell'udienza pre liminare: l'acquisizione del verbale citato, da parte di questo
tribunale, si è resa necessaria proprio per giungere all'accerta
mento della realtà sostanziale.
Non sono state rinvenute preclusioni di sorta e fra di esse
non può essere annoverata la non irrepetibilità dell'atto de quo, né può essere invocato il riferimento all'art. 431 c.p.p.
Si è detto innanzi che quest'ultimo articolo disciplina una fa
se completamente diversa del procedimento, ovvero quella del
l'udienza preliminare; inoltre l'art. 507 c.p.p. prevede l'acquisi zione di «nuovi» mezzi di prova e quindi, ovviamente, diversi
da quelli già presenti nel fascicolo.
Infine, sempre per quanto riguarda l'irripetibilità, dall'art.
238 c.p.p. come nuovamente formulato a seguito della riforma
avvenuta ad opera del d.l. 8 giugno 1992 n. 306 convertito in
1. 7 agosto 1992 n. 356, è possibile desumere a contrario che
la produzione di atti dello stesso procedimento è praticamente
illimitata, salvo divieti di ordine generale, in quanto le limita
zioni ivi previste si riferiscono ad atti di altri procedimenti. (Omissis)
II
(Omissis). Ritiene il collegio che la responsabilità dei B. in ordine ad entrambi i reati contestati, sia ampiamente provata.
Le risultanze processuali, in generale, e la testimonianza resa
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PARTE SECONDA
dal Carchesio, in particolare, portano a ritenere che uno degli autori dei due furti sia stato proprio il B.
Circa il furto compiuto ai danni di F. R., è risultata decisiva
la circostanza del rinvenimento indosso al B. delle banconote
straniere: tale particolare, oltre ad essere stato riferito dal teste
ha trovato riscontro nel verbale di sequestro operato dai re
sponsabili della sezione volanti della questura di Pescara.
Il F. aveva lamentato proprio la sottrazione di moneta stra
niera del tipo di quella rinvenuta indosso al B.: tale elemento
oltre che essere stato riferito al dibattimento dal C. ha trovato
riscontro anche nella denuncia presentata dal F. e prodotta dal
p.m. in dibattimento.
Inoltre, il B. è stato fermato proprio nelle vicinanze dell'abi
tazione del F. ed indosso a lui sono state trovate proprio la
quantità e la qualità delle monete, la cui sottrazione era stata
lamentata dal F. stesso.
Altro particolare rilevante è il luogo in cui tale somma è stata
occultata, gli slip del B.: il sito è certamente inusuale, né può
argomentarsi che il B. l'avesse scelto per una sua comodità o
sicurezza, in quanto lo stesso B. non ha dichiarato di sentirsi
minacciato.
Anzi, riguardo al possesso egli ha fornito una versione assai
poco attendibile e comunque non dimostrata, e cioè che le mo
nete de quibus gli erano state date da sua nonna in Albania.
Invero, diverso sarebbe stato il caso in cui il B. avesse sot
tratto soltanto delle lire italiane e di esse la parte offesa non
avesse in precedenza rilevato i numeri di sorta: in questa ipote
si, sempre prescindendo dagli altri indizi soprariferiti e già di per se stessi esaurienti, la versione del B. avrebbe avuto una
sua credibilità, data la fungibilità del denaro, in generale. Nel caso di specie, invece, trattandosi di valuta straniera il
denaro è venuto ad assumere carattere infungibile, per via delle
circostanze del caso concreto, rappresentate anche dall'inutiliz
zabilità immediata di esso. Il B. ha ammesso il furto dell'autoradio, mentre ha negato
di essere l'autore del furto delle monete, nonostante la sostan
ziale contestualità delle rispettive azioni.
Tale particolare non può costituire un argomento a suo favo
re, perché il diverso atteggiamento tenuto è stato chiaramente
dovuto alle diverse modalità di scoperta. Infatti, mentre nel pri mo caso è stato visto chiaramente dai poliziotti disfarsi dell'au
toradio e pertanto ha ritenuto più opportuno non negare l'evi
denza, nel secondo, la situazione (occultamento del denaro ne
gli slip, mancata scoperta immediata del corpo di reato, apparente facilità di giustificazione del possesso, ecc.) ha portato il B.
a cercare di alleviare la sua posizione fornendo giustificazioni di comodo ed improvvisate.
Gli indizi sopraelencati possono essere ritenuti gravi, precisi e concordanti: sotto il primo aspetto essi sono risultati consi
stenti, e cioè resistenti alle obiezioni e quindi attendibili e con
vincenti; sono risultati concordanti perché non contrastano né
fra loro né con altri elementi certi; sono risultati precisi perché non generici e non suscettibili di altra interpretazione altrettan
to più o meno verosimile.
In sostanza, fra d'essi non solo non c'è contraddizione, ma
anzi tendono tutti a contribuire alla formazione di un convinci
mento unitario.
Infatti già il rinvenimento del denaro all'interno degli slip è di per sé una circostanza indicativa: se poi viene posta in
correlazione con la denuncia sporta dal F. e con la presenza del B. nei pressi dell'abitazione del F. stesso, è possibile giunge re ad affermare che la citata presenza non solo non era occasio
nale, ma era chiaramente dovuta all'attività illecita svolta poco
prima. La denuncia del F. è stata acquisita al dibattimento ai sensi
dell'art. 507 c.p.p. e pertanto può essere posta a fondamento, anche da sola, di un giudizio di responsabilità. (Omissis)
Le uniche preclusioni che l'art. 507 incontra sono quelle di ordine generale, fra le quali non rientra la denuncia sporta dal la parte offesa F.: l'acquisizione di essa denuncia da parte di
questo tribunale si è resa necessaria proprio per giungere all'ac certamento della realtà sostanziale a sopperire ad una oggettiva carenza probatoria, rappresentata dalla mancata testimonianza
Il Foro Italiano — 1994.
resa dal F. al dibattimento e dovuta anche alla sua età avanza
ta. (Omissis)
III
Motivi della decisione. — L'imputato è stato citato a giudizio con decreto del 23 marzo 1993 ed è regolarmente comparso al
l'udienza del 20 dicembre 1993. Aperto il dibattimento, sono
state ammesse le prove richieste dalle parti: per il pubblico mi
nistero i testimoni indicati nella lista di cui agli art. 468-567 c.p.p., Franzetti, Mancinelli e Cedrati; per la difesa i testimoni
indicati in lista, Piera Vidoli e Arnaldo Giudici. Su accordo intervenuto tra le parti ai sensi dell'art. 496, 2° comma, c.p.p., sono stati dapprima escussi i testi della difesa, di seguito il Fran
zetti. Ad esito di quest'ultima testimonianza il pubblico mini
stero ha dichiarato di voler rinunciare al teste Cedrati; nulla
ha osservato la difesa e l'ordinanza di ammissione del teste è
stata revocata ai sensi dell'art. 495, ultimo comma, c.p.p. È
stato disposto l'accompagnamento coattivo del teste Mancinel
li, eseguito all'odierna udienza.
Le testimonianze cosi assunte hanno consentito di raccoglie
re, con sufficiente grado di certezza, i seguenti elementi: — la sera del 22 luglio 1991 dal distributore di benzina gesti
to da Augusto Franzetti è stato sottratto il cartello con la scritta
«aperto-chiuso», del valore di circa duecentomila lire; — Paolo Mancinelli, che lavorava in un bar nei pressi del
distributore, ha visto il cartello caricato su un fuoristrada, di
cui ha rilevato il numero di targa, a bordo del mezzo vi erano
due giovani di media corporatura; il teste non ha saputo riferire
altri particolari idonei per un riconoscimento; — la targa corrisponde ad un fuoristrada che il Cedrati (il
teste a cui il pubblico ministero ha rinunciato) aveva in quel
periodo dato in uso all'imputato ed al padre; — il mezzo veniva abitualmente utilizzato per la necessità del
l'azienda cantieristica gestita dalla famiglia dell'imputato e dun
que da Ottavio Vidoli, Emanuele Vidoli, Piera Vidoli, Marco
Pagani, da due operai di circa quarantacinque anni e da due
operai infratrentenni.
Su queste basi non può dirsi raggiunta la prova dell'assunto
accusatorio: non emerge infatti perché si faccia riferimento al
concorso di «persone» (cioè più di una: ma non è stata conte
stata l'aggravante di cui all'art. 625, n. 5, c.p.) rimaste non
identificate e soprattutto perché e come debba ritenersi invece
identificato Emanuele Vidoli.
A fronte della articolata istruttoria dibattimentale sopra de
scitta, svoltasi nel corso di due udienze, oggi il pubblico mini
stero ha chiesto «ai sensi dell'art. 507 c.p.p.» che il pretore chiamasse a testimoniare il brigadiere Pilato, comandante della
stazione carabinieri di Laveno all'epoca dei fatti. La richiesta è stata respinta con ordinanza letta in udienza.
Deve ritenersi esclusa la possibilità di acquisire solo in dibat
timento elementi fondamentali che devono costituire il presup
posto per l'esercizio dell'azione penale, cioè quegli elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio in difetto dei quali il pubblico ministero deve — secondo la fondamentale previsione dell'art.
125 disp. att. c.p.p. — presentare richiesta di archiviazione.
Una parte non può rinviare una richiesta fondamentale di
prova alla fine del dibattimento, valutando — sulla base di quan to accaduto durante il dibattimento stesso — insufficienti quelle tempestivamente indicate e richieste, e in quanto tali rese note
all'altra parte che ha potuto e dovuto su quella base articolare
la propria strategia processuale (si consideri che in questo pro cesso la difesa ha indicato specificamente le circostanze oggetto di esame per i propri testimoni, mentre l'accusa aveva fatto
generico riferimento a «fatti contestati cosi come emergono dal
capo di imputazione»: formulazione non sanzionata da inam
missibilità — anche secondo la giurisprudenza di Cassazione —
ma che non può costituire proprio perché generica, il presuppo sto per una tardiva modificazione dei temi e delle fonti di prova).
Tanto più ciò vale, quando si tratti non di una prova la cui necessità di assunzione emerga dal dibattimento, o anche dagli atti già contenuti nel fascicolo per il dibattimento, o dalla for
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GIURISPRUDENZA PENALE
mulazione dell'accusa, come parrebbe indicare la Suprema cor
te nella sua ricostruzione interpretativa dell'art. 507 c.p.p. (Cass.,
sez. un., 6 novembre 1992, Martin, Foro it., 1993, II, 65), bensì'
addirittura di un elemento fondamentale a sostegno dell'accusa
(tali devono ritenersi gli esiti di indagini svolte da un sottuffi
ciale dell'arma: né di tali esiti si potrà dire — come richiedono
le sezioni unite nella sentenza citata — che si tratti di una prova
«il cui valore dimostrativo in base agli atti si imponga con evi
denza», al termine di un dibattimento in cui ad essi non si è
fatto alcun cenno, ed in mancanza di riferimenti presenti nel
l'imputazione o in atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento).
D'altronde, se è vero che l'imputato per difendersi adeguata
mente deve poter conoscere quanto si prospetta contro di lui
(Cass., sez. V, 6 luglio 1992, Trottini, id., Rep. 1993, voce Giu
dizio penale (atti preliminari del), n. 12) non gli può essere sfug
gita, nel caso di specie, la vistosa mancata indicazione nella
lista del pubblico ministero di qualsiasi operante o protagonista
di indagini: ed allora l'odierno imputato si è difeso tempestiva
mente — con deposito di lista e nel corso del dibattimento —
sulla base di quanto gli era noto.
Mentre, in sintesi, il pubblico ministero: o sapeva che il sot
tufficiale dell'arma aveva svolto indagini decisive ed ha delibe
ratamente riservato la sua introduzione al termine del dibatti
mento ed allora l'ammissione del teste costituirebbe l'avallo ad
una inammissibile prova a sorpresa; oppure ha sottovalutato,
non valutato, o non conosciuto l'esistenza e la portata di quelle
indagini nel momento del rinvio a giudizio: ed allora si vorreb
be di fatto promossa in via principale e non — come prevede
l'art. 507, comunque interpretato — in via residuale, l'acquisi
zione e la valutazione di prove a carico dell'imputato da parte
del giudice del dibattimento, che non è organo tenuto a svolge
re indagini al fine di esercitare l'accusa.
Né si può considerare l'intero sistema processuale una finzio
ne; lo vietano elementari considerazioni di garanzia dell'impu
tato, ma anche di ripartizione di funzioni tra uffici giudiziari, di procedimentalizzazione delle indagini preliminari, di econo
micità di gestione del dibattimento penale (valga in tal senso
il richiamo alle direttive nn. 1, 3, 37, 48, 58, 66, di cui all'art. 2 1. delega 16 febbraio 1987 n. 81, ed in particolare per quanto
riguarda la distinzione di funzioni nel processo pretorile la di
rettiva n. 103).
È vero, come scrive il pubblico ministero nel ricorso che ha
dato luogo alla sentenza delle sezioni unite sopra citata, che
«il nuovo processo conserva una funzione conoscitiva e rimane
destinato alla ricerca della verità»: ma questa ricerca oltre ad
avere necessariamente protagonisti definiti e forme certe ha an
che un limite esterno costituito dalla insufficienza degli elementi
a sostegno dell'accusa: doverosamente da valutare dal pubblico
ministero ai sensi dell'art. 125 disp. att. c.p.p. o dal giudice
del dibattimento ai sensi dell'art. 530, 2° comma, c.p.p.
Rigettata pertanto la richiesta di integrazione istruttoria, l'in
sufficienza delle prove raccolte a carico dell'odierno imputato
ne impone l'assoluzione per non aver commesso il fatto, ai sen
si dell'art. 530, 2° comma, c.p.p.
Il Foro Italiano — 1994.
PRETURA DI BARI, sezione distaccata di Bitonto; sentenza
5 novembre 1993; Giud. Ruffino; imp. Parisi.
PRETURA DI BARI,
Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Veicoli a motore fuori uso — Centro di raccolta — Autorizzazione regionale
— Necessi
tà (D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, attuazione delle direttive
(Cee) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smal
timento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi, art. 1, 2, 6, 15, 25).
Perché si abbia smaltimento dei rifiuti speciali previsti dall'art. 2, 3° comma, n. 4, d.p.r. 915/82, soggetto all'autorizzazione
regionale, è necessario e sufficiente che il titolare realizzi in
modo non provvisorio, sul fondo ove l'attività ha sede, la
raccolta e il deposito di veicoli a motore fuori uso e loro
parti, finalizzati tanto alla mera allocazione dei mezzi mecca
nici destinati all'abbandono da parte dei possessori quanto
al trattamento dei rifiuti stessi, sia mediante smontaggio e
recupero delle parti servibili per il successivo riutilizzo sia me
diante demolizione o rottamazione in funzione del riciclo del
la materia. (1)
Parisi Giuseppe è stato tratto a giudizio per rispondere del
reato ascrittogli con il decreto di citazione e riportato in epigrafe. All'odierna udienza dibattimentale, presente l'imputato, il pre
tore ha disposto in via preliminare l'espunzione dal fascicolo
per il dibattimento, siccome irritualmente inseritavi, e la restitu
zione al p.m., della notizia di reato inviata dalla polizia munici
pale di Giovinazzo. Aperto il dibattimento, il p.m. ha esposto i fatti oggetto del
l'imputazione ed ha chiesto ammettersi prova testimoniale sulle
circostanze ed a mezzo dei testi indicati in lista (Parato Felice
e Marolla Giuseppe), nonché l'esame dell'imputato.
La difesa ha chiesto ammettersi l'esame dell'imputato.
Ammesse dal pretore le prove richieste, si è proceduto all'e
scussione dei testi Parato e Marolla ed all'esame del Parisi.
Indicati dal pretore gli atti utilizzabili ai sensi dell'art. 511,
5° comma, c.p.p., le parti hanno svolto la discussione finale,
conclusa con le richieste trascritte in epigrafe.
Sussiste ad avviso del pretore la penale responsabilità di Pari
si Giuseppe per il reato di smaltimento di rifiuti speciali in as senza di autorizzazione regionale, previsto e punito dal combi
nato disposto degli art. 6, lett. d), e 25, 1° comma, d.p.r. 10
settembre 1982 n. 915.
Le risultanze dibattimentali, concentrate nelle testimonianze
di Parato Felice e Marolla Giuseppe nonché nell'esame dell'im
putato, hanno acclarato in modo del tutto coerente e puntuale
il fatto integrante il reato contestato. (Omissis)
In particolare, è stato pienamente provato:
a) che il Parisi gestiva sul fondo in questione (la cui titolarità
(1) Sulla questione, v., da ultimo, Cass. 3 aprile 1989, Centurelli,
Foro it., 1990, II, 499, con nota di richiami.
In dottrina, da ultimo, v. Paone, I reati in materia di inquinamento, Torino, 1993, 330-335.
In argomento, si segnalano anche le seguenti decisioni, ancora inedi
te: Cass. 15 aprile 1993, Nano, che ha sostenuto che il rinvenimento,
con le carcasse di autovetture, di batterie evidentemente dismesse che,
notoriamente, contengono acidi nocivi e tossici, integra la violazione
di cui all'art. 26 d.p.r. 915/82, mentre l'accertata gestione a fini di
commercio di una raccolta di rifiuti speciali parti di autoveicoli confi
gura sia una discarica, in relazione al materiale non utilizzabile abban
donato, sia lo smaltimento dei rifiuti per quello che, previa cernita,
viene recuperato e riciclato; Cass. 7 maggio 1993, Felice, per cui, qua
lora i veicoli raccolti non vengano ammassati, ma demoliti, si dà corso
al processo, definito nel titolo secondo del d.p.r. 915/82 come «regime
delle attività di smaltimento dei rifiuti speciali»; a tale fatto di demoli
zione, qualificato come smaltimento, va applicato il 1° comma (con
la pena più severa ivi indicata), e non il 2° comma dell'art. 25 d.p.r.
cit.; Cass. 19 maggio 1993, Civa, ribadisce che i veicoli a motore, ri
morchi e simili, fuori uso e loro parti devono considerarsi «rifiuti spe
ciali» in quanto espressamente classificati come tali in forza dell'art.
2, 4° comma, d.p.r. n. 915 con la conseguente necessità della autorizza
zione regionale per ogni fase di smaltimento, compreso il trasporto. In senso analogo, Cass. 27 maggio 1993, Zuliani.
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