+ All Categories
Home > Documents > PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 gennaio 1991; Giud. Ghezzi; imp. Perretti e...

PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 gennaio 1991; Giud. Ghezzi; imp. Perretti e...

Date post: 29-Jan-2017
Category:
Upload: phamthu
View: 212 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
3
sentenza 23 gennaio 1991; Giud. Ghezzi; imp. Perretti e altro Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp. 257/258-259/260 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23186362 . Accessed: 25/06/2014 09:13 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.109.96 on Wed, 25 Jun 2014 09:13:45 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 gennaio 1991; Giud. Ghezzi; imp. Perretti e altro

sentenza 23 gennaio 1991; Giud. Ghezzi; imp. Perretti e altroSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.257/258-259/260Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186362 .

Accessed: 25/06/2014 09:13

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 195.78.109.96 on Wed, 25 Jun 2014 09:13:45 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 gennaio 1991; Giud. Ghezzi; imp. Perretti e altro

GIURISPRUDENZA PENALE

Il provvedimento impugnato è stato emesso dal g.i.p. presso la Pretura circondariale di Monza su richiesta del procuratore della repubblica presso la Pretura circondariale di Monza. Ai

sensi dell'art. 324, n. 3, c.p.p. la cancelleria del tribunale della

libertà ha dato immediato avviso all'autorità giudiziaria proce

dente, ossia al p.m. presso la Pretura di Monza, per la trasmis

sione degli atti su cui si è fondato il provvedimento oggetto di riesame. Ai sensi del 6° comma di detta norma si è data

rituale comunicazione alle parti della data fissata per l'udienza

in camera di consiglio. Sul punto va brevemente osservato che l'art. 324, n. 6, c.p.p.

(cosi come la norma di cui all'art. 309, n. 8) impone di dare

avviso della data fissata per l'udienza al pubblico ministero sen

za specificare se detta autorità debba essere ritenuta il pubblico ministero che, nel procedimento in oggetto, procede nelle inda

gini, oppure il p.m. presso il tribunale individuato a norma del

l'art. 324, n. 5, c.p.p. Ad avviso di questo tribunale non vi è dubbio che quella par

te pubblica destinataria dell'avviso d'udienza debba intendersi

il pubblico ministero che procede nelle indagini nel procedimen to dove è stato impugnato il provvedimento. Solo questi ha,

infatti, interesse al mantenimento del provvedimento impugna to ed alla partecipazione all'udienza camerale innanzi al tribu

nale. Ciò è tanto più vero se si pensa che con la richiesta di

riesame possono anche non essere enunciati i motivi e che nel

corso dell'udienza possono essere esposti tanto nuovi motivi,

quanto motivi non enunciati nell'originaria richiesta di riesame

(art. 324, n. 4, c.p.p.) . A questa sostanziale ampiezza di tratta

zione corrisponde da parte del tribunale adito, a mente degli art. 324, n. 7, e 309, n. 9, una uguale ampiezza di poteri deciso

ri: il tribunale può annullare, riformare, confermare l'ordinan

za impugnata, cosi come, in caso di sequestro, può anche par zialmente revocarlo. Può annullare il provvedimento impugna to o riformarlo in senso più favorevole all'imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati, ovvero può confermarlo per

ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provve dimento.

Inoltre, e ciò interessa particolarmente porre in evidenza, il

tribunale può decidere sulla base degli elementi addotti dalle

parti nel corso dell'udienza (art. 309, n. 9, richiamato dall'art.

324, n. 7). In sostanza la nuova normativa, senza particolari

preclusioni per quanto riguarda le allegazioni e la prospettazio ne di nuovi elementi (i limiti riguardano semmai le modalità

di enunciazione dei nuovi motivi che devono necessariamente

precedere la discussione, art. 324 n. 4, e 309, n. 6, c.p.p.), con

sente alle parti ampia libertà nel sostenere le proprie ragioni, sicché l'udienza camerale diventa un momento di confronto reale

a differenza di quanto avveniva con la precedente normativa.

Se questi sono i termini della questione non vi è dubbio che

per «avviso al p.m.» debba intendersi «avviso al p.m. proce

dente». Diversamente ragionando, ossia ritenendo che si debba

fare avviso solo al p.m. presso il tribunale del riesame verrebbe

a crearsi una vistosa disparità di trattamento tra accusa e difesa

ed una insostenibile violazione del principio del contraddittorio,

atteso che il p.m. procedente, se non avvisato, non sarebbe in

grado di partecipare all'udienza camerale e quindi di esercitare

quelle facoltà e quei poteri che a detta partecipazione sono

connessi.

Conformemente a questo orientamento il tribunale ha dato

avviso dell'udienza tanto al p.m. presso il Tribunale di Milano,

quanto al p.m. presso la Pretura circondariale di Monza.

(Omissis)

Il Foro Italiano — 1991.

PRETURA DI MILANO; sentenza 23 gennaio 1991; Giud.

Ghezzi; imp. Peiretti e altro.

Omicidio e lesioni personali colpose — Omicidio colposo —

Circolazione stradale — Inosservanza dell'obbligo delle «cin

ture di sicurezza» — Fattispecie (Cod. pen., art. 589; 1. 18

marzo 1988 n. Ili, norme sulla istituzione della patente di

guida comunitaria e nuove disposizioni per il conseguimento delle patenti di guida e per la prevenzione e la sicurezza

stradale).

Rispondono del reato di omicidio colposo due conducenti di

automobile i quali, nell'impegnare contemporaneamente a ve

locità sostenuta alle due di notte un incrocio con fondo stra

dale bagnato e semafori lampeggianti, senza minimamente cu

rarsi se altri sopraggiunga, si urtino provocando la morte di

una donna priva di cintura di sicurezza, passeggera di una

delle due autovetture (nella specie, la determinazione percen tuale del concorso di colpa è stata fissata nella misura del

venti per cento riguardo alla violazione dell'obbligo di indos

sare la cintura di sicurezza e la rimanente responsabilità è

stata attribuita, rispettivamente, per il settanta per cento al

conducente che ha trasgredito l'obbligo di dare la preceden

za, di moderare la velocità e di far rispettare l'obbligo di in

dossare la cintura, e per il trenta per cento all'altro condu

cente che si è limitato a non moderare a sufficienza la ve

locità). (1)

All'esito dell'istruzione dibattimentale le prove addotte dalla

pubblica accusa, e soprattutto la perizia tecnica d'ufficio che

è stato necessario disporre essendo il p.m. decaduto dalle sue

prove, appaiono esaurienti e convincenti e sembrano dimostrare

la responsabilità di entrambi i prevenuti in ordine ai reati loro

ascritti.

In realtà, al di là delle complesse disquisizioni nelle quali si

sono addentrate le parti nel corso del lungo dibattimento, e che

hanno spesso riguardato argomenti del tutto marginali o irrile

vanti, il fatto appare di notevole semplicità e la responsabilità

degli imputati, di entrambi, balza all'occhio evidente: alle due

di notte, con fondo stradale bagnato e semafori lampeggianti, due autovetture, con assoluta imprudenza derivante forse dal

l'euforia dell'ora, o dalla convinzione che statisticamente poche auto circolano cosi tardi, impegnano contemporaneamente a ve

locità sostenuta l'incrocio, senza minimamente curarsi se altri

sopraggiunga. L'urto è purtroppo inevitabile, anzi, nessuno fa

nulla per evitarlo, e la trasportata Camurati, priva di cintura

di sicurezza, viene sbalzata fuori, urta violentemente il capo

contro il marciapiede e viene poi definitivamente uccisa dalla

vettura stessa. L'unico dato che potrebbe teoricamente esclude

re la responsabilità di uno dei due, qualora fosse provato o

probabile, è che uno dei due circolasse a velocità particolar mente moderata, come è previsto dal codice stradale, sia perché si approssimavano ad un incrocio, sia perché il semaforo era

lampeggiante ed il fondo stradale bagnato. Quanto alla velocità

dei due veicoli le considerazioni cui è giunto il perito d'ufficio

nella perizia e soprattutto nella deposizione odierna appaiono

logiche, sensate e pienamente condivisibili: non vi sono elemen

ti per compiere una valutazione precisa, e la stima, necessaria

mente empirica, porta a ritenere che le vetture avessero una

velocità sostanzialmente analoga e decisamente elevata in rela

zione alle condizioni di tempo e di luogo, stimabile tra i 60

ed i 70 kmh. Se infatti la Uno fosse andata piano, non avrebbe

(1) Con riguardo alla violazione dell'obbligo da parte del conducente

di un'automobile di far indossare la «cintura di sicurezza» a quanti vi sono trasportati come passeggeri non risultano precedenti giurispru denziali editi. In argomento, cfr. C. Romano, Considerazioni su un

caso di lesività mortale da cintura di sicurezza, in Riv. giur. circolaz.

e trasp., 1989, 563.

Quanto al principio pacifico in giurisprudenza e ribadito in motiva

zione, secondo cui l'obbligo di moderare la velocità incombe anche su

chi abbia la precedenza nell'impegnare l'area di intersezione con altre

strade, per cui in caso di relativa violazione lo scontro tra veicoli dà

luogo a concorso di colpa del conducente favorito, cfr. Cass. 27 mag

gio 1988, Pirovano e 7 luglio 1988, Zambianchi, Foro it., Rep. 1989, voce Omicidio e lesioni personali colpose, nn. 27, 30.

This content downloaded from 195.78.109.96 on Wed, 25 Jun 2014 09:13:45 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 gennaio 1991; Giud. Ghezzi; imp. Perretti e altro

PARTE SECONDA

compiuto un tragitto cosi lungo prima di fermarsi e non avreb

be determinato una cosi decisa modificazione nella traettoria

della Golf, oltre a non subire danni rilevanti al frontale. Se

la Golf avesse subito l'impatto a velocità moderata l'urto non

avrebbe provocato la traslazione della Camurati a circa 10 me

tri di distanza né avrebbe avuto tanta energia cinetica da fer

marsi a 10 metri dopo aver stortato una ruota contro il marcia

piede ed esservi poi salita sopra. Il fatto che il coprimozzo sia

intatto è irrilevante posto che evidentemente la ruota ha colpito il cordolo con una parte diversa dal coprimozzo. Tuttavia sa

rebbe derivata una declaratoria di responsabilità di entrambi

anche se il perito avesse concluso per una velocità decisamente

inferiore, di meno di 50 Kmh. Se infatti in quell'incrocio vi è una visibilità di soli 22 metri, e se a 50 Kmh un'auto percorre 14 metri in un secondo, ed il tempo di reazione (quello necessa

rio ad iniziare a pigiare il pedale del freno) è di circa un secon

do e mezzo, ne consegue che una velocità prudente e tale da

evitare il sinistro doveva essere notevolmente inferiore a 50 Kmh.

È invece pacifico che per entrambi i veicoli fosse notevolmen

te superiore. Essendo parimenti pacifico per giurisprudenza co

stante della Suprema corte che anche il titolare della precedenza aveva comunque un preciso onere di prudenza ed attenzione, ne consegue che entrambi risultano responsabili del sinistro, in

modo casualmente determinante anche se differenziato come

vedremo.

Resta da considerare la questione del mancato uso della cin

tura da parte della Camurati a fronte di un preciso .obbligo

imposto dalla recente normativa. Poiché sembra assolutamente

pacifico che la cintura non era in uso, e che se lo fosse stata, la vittima non sarebbe fuoriuscita dalla vettura, anche se non

si può da ciò dedurre in modo assoluto che non sarebbe comun

que deceduta a causa dell'urto violento determinatosi proprio sul suo lato, sembra che ciò entri nella determinazione percen tuale del concorso di colpa.

Pare equo fissare tale percentuale nel 20% del totale come

concausa che agisce nella determinazione dell'evento. La rima

nente responsabilità deve essere divisa, globalmente intesa, nel

70% al Guetta, al quale incombeva l'onere di dare la preceden za oltre che di moderare la velocità e che, in quanto proprieta rio e guidatore dell'auto, non fece rispettare alla Camurati l'ob

bligo di indossare la cintura, e nei 30% al Peretti, reo comun

que di imprudenza per non avere moderato a sufficienza la

velocità. Pertanto, vanno condannati, previa concessione delle

attenuanti generiche. Valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p. stimasi equo condannarli alla pena di mesi 8 di reclusione.

All'affermazione di penale responsabilità segue per legge la

condanna al pagamento delle spese processuali. Ricorrendo le condizioni di legge si concedono ad entrambi

i benefici della sospensione condizionale della pena e della non

menzione.

Gli imputati vanno inoltre condannati al risarcimento dei danni

in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, non essendo stato fornito alcun parametro per la determi

nazione del loro ammontare, nonché alla rifusione delle spese

legali dalle stesse sostenute, che si liquidano in lire 4.040.000

complessivamente, comprensive di onorari di avvocato. Si re

spinge l'istanza di liquidazione di una provvisionale, non essen

do stato fornito alcun elemento che la giustifichi.

PRETURA DI GENOVA; sentenza 9 luglio 1990; Giud. Pe

truzziello; imp. Sturla e altri.

PRETURA DI GENOVA;

Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Norme per la

prevenzione degli infortuni — Lavoro portuale — Applicabi lità (Cod. nav., art. 68, 81, 108; d.p.r. 27 aprile 1955 n. 547, norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, art. 2).

Responsabile civile e civilmente obbligato per la pena pecunia ria — Lavoro portuale — Infortuni sul lavoro — Compagnia dei lavoratori portuali — Responsabilità civile — Fattispecie

(Cod. civ., art. 2043, 2087; cod. nav., art. 110, 111; cod.

pen., art. 185).

Il Foro Italiano — 1991.

Le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro contenu

te nel d.p.r. 27 aprile 1955 n. 547 sono applicabili anche al

lavoro portuale. (1) È ammissibile, nel procedimento penale instaurato a seguito di

infortunio sul lavoro verificatosi in ambito portuale, la cita

zione come responsabile civile (oltre che dell'ente portuale e

dell'impresa concessionaria delle operazioni portuali) della com

pagnia dei lavoratori portuali, anche se la medesima non ab

bia ottenuto la concessione per operare come impresa e sem

pre che le siano attribuiti poteri di organizzazione e direzione

del lavoro, sia pure concorrenti con quelli dell'impresa (nella

specie, l'infortunio si era verificato anteriormente all'appro vazione dei decreti con cui, nel 1987, il Consorzio autonomo

del porto di Genova aveva sottratto alla Compagnia unica

lavoratori merci varie i poteri di direzione del lavoro e la di

sponibilità dei mezzi meccanici). (2)

(1) Come è reso esplicito nella sentenza il problema dell'applicabilità del d.p.r. n. 547 al lavoro portuale si risolve nel verificare se questa attività possa farsi rientrare tra quelle escluse da tale ambito di applica zione in base all'art. 2 del testo normativo indicato ed in particolare se possa essere ricompresa tra quelle indicate alla lett. e) (l'«esecizio della navigazione marittima, aerea ed interna»).

Una soluzione diversa da quella accolta nella sentenza in epigrafe è quella proposta da Trib. Ravenna 23 aprile 1976 (Foro it., Rep. 1979, voce Lavoro portuale, n. 8), secondo cui il concetto di navigazione ri

comprenderebbe anche lo sbarco e l'imbarco di persone e di merci con la conseguenza che non sarebbero applicabili le norme del d.p.r. citato al caso di infortunio verificatosi nel corso di operazioni di carico e

scarico delle merci dalle stive della nave.

Estensivamente, Trib. Venezia 15 giugno 1983, id., Rep. 1985, voce

Infortuni sul lavoro, n. 388, ha ritenuto l'applicabilità del d.p.r. n. 547 anche alle attività lavorative svolte a bordo delle navi nei porti ed anche se si tratti di navi di nazionalità straniera.

Hanno implicitamente affermato l'applicabilità della normativa di ca rattere generale sulla prevenzione degli infortuni al lavoro portuale, Pret.

Sampierdarena 8 aprile 1987, id., 1987, I, 2250, con nota di richiami; Cass. 7 luglio 1981, Fiorentino e 19 novembre 1980, Fiorentino, id.,

Rep. 1984, voce cit., nn. 270, 175 (entrambe riportate per esteso —

con le date 6 ottobre 1981 e 28 gennaio 1981 — in Mass. giur. lav., 1983, 280, con nota di R. Longobardi, Natura giuridica dei rapporti delle compagnie portuali con i propri soci e con le imprese per opera zioni portuali).

Sotto il diverso profilo attinente all'equiparazione delle società coo

perative ai datori di lavoro ai fini dell'individuazione del soggetto tenu to all'applicazione delle misure di prevenzione antinfortunistica, il d.p.r. n. 547 è stato ritenuto applicabile al lavoro portuale da Pret. Napoli 22 febbraio 1980, id., Rep. 1983, voce cit., n. 415 (per esteso, Riv.

giur. lav., 1982, IV, 502, con nota critica di A. Culotta, I destinatari dei doveri di sicurezza nei lavori portuali).

(2) La decisione si inserisce in quel filone giurisprudenziale, esplicita mente richiamato (da ultimo, Cass. 23 giugno 1988, Jangad, Foro it., Rep. 1989, voci Infortuni sul lavoro, n. 198 e Omicidio e lesioni perso nali colpose, n. 85; 7 febbraio 1986, Coppola, id., 1988, II, 171, con nota di richiami, ed anche in Dir. maritt., 1987, 850, con nota di R.

Longobardi, La responsabilità della prevenzione degli infortuni nella

esecuzione delle operazioni portuali da parte delle maestranze portuali) che, senza negare la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato tra l'impresa concessionaria delle operazioni portuali ed il lavoratore avviato dalla compagnia di cui è socio, non esclude però che residui in capo agli organi della compagnia un potere di direzione ed organiz zazione del lavoro che giustifica l'ammissibilità della sua citazione co me responsabile civile nel giudizio penale conseguente all'infortunio sul lavoro nel quale sia stata esercitata l'azione penale anche nei confronti di soci della medesima. Si sottolinea, però, nella sentenza che la deci sione ha come presupposto l'organizzazione del lavoro esistente prima dei decreti del presidente del Consorzio autonomo del porto di Genova emanati nel 1987 (vedili in nota a Tar Liguria 12 marzo 1987, nn. 256 e 255, Foro it., 1987, III, 341, con nota di C. Brusco, Cronache del

porto di Genova) che hanno sottratto alla compagnia dei lavoratori

portuali — Culmv — la più parte dei poteri di direzione e organizzazio ne del lavoro.

L'astratta ammissibilità di una responsabilità concorrente tra impresa e compagnia è contestata da Culotta (v. lo scritto citato alla nota prece dente) secondo cui non è «possibile, in sede penale, ravvisare un obbli

go di natura solidale la cui violazione costituisca reato per entrambi

gli obbligati, perché ciò comporterebbe l'inevitabile lesione del princi pio di tassatività del precetto, in quanto la responsabilità di un soggetto verrebbe a dipendere dall'adempimento dell'altro, con conseguente in certezza sulla condotta da tenere in relazione all'altrui inerzia o attività».

This content downloaded from 195.78.109.96 on Wed, 25 Jun 2014 09:13:45 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended